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lacausadellecose

La questione sindacale e il sindacalismo alternativo in questa fase

di Michele Castaldo

Festa di Popolo del pittore Andrea Guida 2005Senza girarci troppo intorno cerchiamo di andare al cuore del problema: la questione sindacale non è una fra le tante, ma è la questione delle questioni inerente il rapporto del proletariato, cioè il produttore di valore, col capitale. Detto rapporto non si presenta sempre allo stesso modo ma segue l’andamento dell’accumulazione capitalistica, l’estensione del modo di produzione, le trasformazioni tecnologiche dei mezzi di produzione, il rapporto della concorrenza fra le merci comprese le merci operaie e la concorrenza al loro interno. Su tale questione l’insieme della sinistra si è rotta parecchi denti senza mai riuscire a venirne a capo per un vizio d’origine mai superato, quello di non mettere al centro il soggetto-agente, che è il proletariato, e la sua azione dipendente dall’andamento del modo di produzione.

Queste note sono motivate da alcuni fatti che stanno accadendo in Italia e nel settore specifico della Logistica, ovvero il trasferimento delle merci attraverso colossi del settore come Amazon, ad esempio, ma che rivestono caratteri generali della contrattazione tra la merce proletaria e il capitalista, ovverossia quella che storicamente si è definita come la questione sindacale.

Dal momento che in Italia, all’interno di questo settore, è emersa la necessità di organizzarsi dei lavoratori per lo più immigrati e di colore, trovando in alcuni militanti dell’estrema sinistra residuale degli anni ’70 del secolo scorso, la disponibilità a farlo, si è costituito una decina d’anni fa un piccolo sindacato, il SI Cobas, che è balzato sulla scena perché per tutto questo periodo ha saputo tenere testa al padronato del settore e alla più brutale repressione da parte delle istituzioni dello Stato democratico italiano.

Dunque parliamo perciò del SI Cobas e di quelle formazioni o piccoli gruppi che come attività ad esso danno sostegno. Lo facciamo con lo spirito fraterno, parlando dei problemi spersonalizzandoli per meglio capirci, se ci riusciamo.

C’è un documento della Tendenza internazionalista rivoluzionaria, pubblicato sul loro sito e su sinistrainrete.info, che sintetizza sul piano politico la questione che stiamo trattando in riferimento alla repressione che c’è stata ai primi di marzo e alla risposta a Piacenza da parte di militanti e lavoratori, come « Prima ferma risposta all'aggressione padronale-statale al SI Cobas. Ora bisogna continuare e allargare il fronte di resistenza e di lotta ».

In chiusa del documento i compagni scrivono: « L’intensità e la concatenazione di queste sfide richiederà a tutti/e il massimo impegno effettivo. Noi siamo pronti ». Ovviamente apprezziamo innanzitutto il fatto che un nucleo di militanti, non più giovanissimi, dà la propria disponibilità per sfide molto complicate che il modo di produzione capitalistico presenta al proletariato. Ma il punto è proprio questo: la sfida non è tra comunisti e modo di produzione capitalistico, che avremmo già persa, la sfida è tra la volontà delle forze oggettive del modo di produzione, che non sono un piccolo gruppo di capitalisti ma un insieme di relazioni fra più classi sociali e una crisi priva di soluzioni. Si tratta di un punto d’analisi teorica fondamentale da cui partire per fare passi corretti e non essere travolti dagli eventi. Sicché la questione sindacale non può essere a ridotta, come scrivono i compagni « A sua volta Amazon, per principio contraria alla presenza sindacale nei suoi magazzini negli Stati Uniti, sta da tempo avvertendo che a Piacenza si avvicina il momento in cui dovrà fare i conti con lotte vere, determinate, nelle quali non troverà davanti a sé esponenti sindacali pronti a svendere le necessità e le aspettative dei lavoratori e delle lavoratrici per trenta denari», perché la sola onestà di militanti politici e/o sindacali è una condizione, collaterale se si vuole, ma ci vuole ben altro per far fronte a alla valanga che sta per arrivarci addosso.

Tanto è ciò vero che sono gli stessi compagni che nello stesso documento scrivono: «L’operazione [di Piacenza] è un’intimidazione di massa contro i proletari, per lo più immigrati, che sono la punta più avanzata di quel tanto di conflitto di classe che c’è oggi in Italia », altrimenti detto: c’è molto poco che si muove in Italia e – aggiungo – non molto di più si muove nel mondo se non un disordine caotico destinato ad aumentare sempre di più come tale. Dunque stabilito che l’onestà è un elemento politico ma non è il fattore mobilitante, cerchiamo di ragionare tanto sulle mobilitazioni in corso quanto su quelle destinate a divenire tali.

Scrivono allora i compagni: « Ma è bene avere presente che l’iniziativa repressiva ordita con cura a Piacenza sotto il nuovo governo Draghi costituisce un salto di qualità rispetto alla precedente prassi. E per respingerla bisogna prepararsi a una resistenza decisa, organizzata, di non breve periodo, ampliando il più possibile il fronte di lotta».

Domandiamo: in cinquanta e passa anni quante volte abbiamo rivolto questa stessa esortazione ai lavoratori? E quante volte ha prodotto qualche risultato? Se non ha mai prodotto risultati vuol dire che i fattori che fanno muovere i lavoratori non sono le parole di onesti politici e sindacalisti, ma /altro ben altro. Questo diciamo come presa d’atto, ovvero come constatazione di fatto, né più né meno.

Veniamo perciò a quello di cui ci preme discutere in queste note, cioè della dura repressione che c’è stata ai primi di marzo, della reazione che c’è stata a Piacenza e di come proseguire, senza nulla sottacere sia sullo sciopero indetto dalle organizzazioni maggiormente rappresentative in termini di iscritti, cioè delle confederazioni Cgil-Cisl-Uil per il 22 marzo, sia dello sciopero indetto dal SI Cobas per il 26 dello stesso mese, sia della partecipazione unitaria o meno a quello del 22 marzo da parte degli iscritti al SI Cobas.

I compagni nel riferirsi alla mobilitazione che c’è stata a Piacenza contro la repressione riportano lo slogan che l’ha caratterizzata: « Gli slogan “Siamo tutti Arafat, siamo tutti Carlo”, “chi tocca uno, tocca tutti”, “la repressione non ferma le lotte” ». Ottima reazione dei manifestanti, in parte operai della Logistica in parte militanti di vari raggruppamenti di estrema sinistra.

Siamo proprio certi di essere soddisfatti di tale risposta dal punto di vista quantitativo? È lecito domandarlo o no? Se magari rapportiamo questa manifestazione a quello che gli stessi compagni scrivono « di quel tanto di conflitto » possiamo anche consolarci, ma che un vero conflitto di classe in Italia e in Europa oggi sia assente è certo o ci sbagliamo? Lo diciamo per deprimerci? No, lo diciamo per guardare in faccia la realtà e affrontarla correttamente.

È del tutto evidente che come militanti comunisti (di una certa tradizione) ci auguriamo che i lavoratori della Logistica, e con essi il SI Cobas, possano travolgere Amazon e imporre la propria organizzazione all’interno degli impianti, ma i sogni durano pochi attimi, poi il risveglio è amaro. Al riguardo vorremmo citare un solo esempio accorso a Napoli nel febbraio del 1981, quando scattarono gli arresti per i militanti che diressero la lotta dei senza tetto e dei disoccupati all’indomani del terremoto del 13 novembre 1980. In piazza il giorno dopo ci fu – anche lì come a Piacenza - « una vibrante mobilitazione » e sullo striscione che apriva il corteo c’era scritto « siamo tutti sovversivi », con riferimento all’imputazione rivolta ai compagni arrestati. Ma tutti sappiamo che di lì cominciò il riflusso. Ora, è vero che alcuni di quei militanti hanno rafforzato il loro spirito ideale e continuato nella battaglia politica, ma il movimento reale rifluì. Sic et simpliciter. E a quel che ci consta si trattava di militanti di spiccata onorabilità e onestà, e qualcuno fra essi in carcere di fronte al giudice Mancuso che elencava i capi di imputazione seppe anche rispondere: «guardi che i veri imputati siete voi dello Stato per quello che è successo nell’immediato dopo-terremoto a Napoli». Ma – ripetiamo – il movimento rifluì.

In un altro scritto, “Le difficoltà del sindacalismo alternativo in questa fase”, si cerca di porre delle domande sia ai militanti del SI Cobas che ai lavoratori iscritti. Hanno fatto la stessa cosa i dirigenti del SI Cobas e i compagni estensori dello scritto che stiamo commentando? Perché è questa la questione: cercare di capire cosa pensano i lavoratori reali, quelli in carne e ossa non soli iscritti al SI Cobas, ma anche quelli iscritti agli altri sindacati e addirittura a quelli non iscritti, altrimenti non abbiamo la esatta percezione del nostro interlocutore e facciamo magari proclami entusiasti e trionfalistici non corrispondenti all’umore reale di chi dovrebbe continuare a mobilitarsi.

Scrivono i compagni, a proposito dello sciopero del 22 marzo e del suo supposto retroterra: « Altrettanto varrà per le singole azioni “sindacali”, tipo quella che tentò di organizzare un paio di settimane fa la Cgil contro lo sciopero in corso al magazzino Tnt-FedEx di Piacenza coinvolgendo una ventina di autisti piccoli distributori (tra cui 5 suoi iscritti), e portandoli dove? In prefettura, ovviamente, a fare denuncia contro i lavoratori in sciopero. E salvo clamorose smentite, che nel caso registreremo, puzza alquanto di bruciato lo sciopero improvvisamente proclamato in Amazon da Cgil-Cisl-Uil per il 22 marzo, giusto un paio di giorni dopo la retata poliziesca…».

Ora, nella storia del movimento operaio la direzione di grandiosi scioperi e mobilitazioni non ci sono mai stati dei rivoluzionari, e in certi casi ci sono stati addirittura poliziotti, preti, e negli Usa le più grandi mobilitazioni operaie non furono dirette dagli I.W.W. (l’organizzazione alla quale si riferiscono i dirigenti del SI Cobas). Questo lo diciamo proprio perché le grandi mobilitazioni operaie, quelle che veramente sono portatrici di innovazione sono spurie, come ad esempio quella del proletariato polacco che ruppe gli argini del sindacalismo statale e creò ex novo un movimento tra il sindacale e il politico. Diversamente da quello del Num dei minatori inglesi, unito e compatto, che fu sconfitto dopo un anno di dure lotte.

Ora che vuol dire? « puzza alquanto di bruciato lo sciopero improvvisamente proclamato in Amazon da Cgil-Cisl-Uil per il 22 marzo, giusto un paio di giorni dopo la retata poliziesca … »? Che questi sindacati sono d’accordo con la polizia per incastrare il SI Cobas? E non vi sembra una esagerazione?

Per essere realmente credibili non è necessario esagerare, non aiuta, e innanzitutto alimentiamo dubbi non solo fra gli iscritti agli altri sindacati, ma anche ai vostri stessi iscritti, proprio perché all’indomani della manifestazione di Piacenza, raffreddato l’entusiasmo per «la vibrante mobilitazione » i vostri iscritti sono richiamati dalla realtà, e suonerà nelle loro orecchie quell’infame ricatto della minaccia della revoca dei permessi di soggiorno da parte della questura. Avranno lo stesso vigore dei militanti comunisti che continuano a proclamare la necessità che « bisogna prepararsi a una resistenza decisa, organizzata, di non breve periodo, ampliando il più possibile il fronte di lotta »? ecc. o sono chiamati purtroppo a fare i conti col proprio isolamento come piccolo gruppo di lavoratori iscritti a un piccolo sindacato col sovraccarico delle difficoltà familiari, visto che sono quasi tutti immigrati?

Ora, che Amazon, a detta dello stesso SI Cobas, non solo in Italia, non vuole il sindacato nelle proprie aziende, vuol dire che non accetta in alcun modo che i lavoratori contrattino collettivamente la propria forza lavoro. Dunque non che non vuole solo il SI Cobas, ma il sindacato in quanto tale, ovvero lo strumento della contrattazione collettiva. Bene, contro questa tracotanza camorristica di Amazon le organizzazioni sindacali, Cgil-Cisl-Uil - concertative, istituzionali, ultrariformiste, inclini alla corruzione quanto e come si vuole - chiamano i lavoratori a scioperare perché sia riconosciuto il diritto a potersi iscrivere ai sindacati e dunque a vendere collettivamente la propria forza lavoro riguarda per tutti i lavoratori, come minimo dovrebbe essere salutato positivamente perché le lamentele – ripetiamo le lamentele – hanno bucato le pareti spesse delle « maleodoranti camere affumicate della socialdemocrazia », avrebbe detto Rosa Luxemburg, bene, i compagni della Tendenza internazionalista rivoluzionaria non trovano di meglio da dire che lo sciopero del 22 marzo puzzerebbe di bruciato, ovvero sarebbe stato indetto contro il SI Cobas, il che vorrebbe dire augurarsi il suo fallimento. Un atteggiamento che alimenta la divisione fra i lavoratori, anche perché lancia dei dubbi su eventuali iscritti agli altri sindacati che si sentirebbero indicati come spalleggiatori della polizia e della magistratura.

Francamente è da ritenersi assurdo un atteggiamento come questo e inspiegabile, anche perché è lo stesso diritto che chiede il SI Cobas, cioè quello che i lavoratori si organizzino per contrattare collettivamente la propria forza lavoro. In cosa consiste la differenza? Nell’onestà dei militanti del Si Cobas o nella capacità e la forza da mettere in campo da parte dei lavoratori? O crediamo che i sindacalisti di Cgil-Cisl-Uil chiedano la concertazione contro il diritto di sciopero per gli iscritti al SI Cobas? Insomma cerchiamo di ragionare piuttosto che impuntarci come bambini capricciosi, col rischio di bruciare quanto di buono è stato sin qui prodotto. Perché temere la concorrenza di organizzazioni sindacali ritenute meno oneste, meno combattive, meno rivoluzionarie e per giunta concertative?

Scrivono i compagni della tendenza internazionalista rivoluzionaria: « non si può fare a meno di rilevare che in piazza a Piacenza di lavoratori aderenti ad altre sigle del sindacalismo di base o all’opposizione in Cgil ce n’era solo una pizzicata », ma di chi la responsabilità? Se non dello stato di disgregazione, di paura, di diaspora delle file proletarie? Che fare per cercare di tessere dei fili unitari piuttosto che rincorrere il tesseramento come condizione di rafforzamento del sindacato “rivoluzionario”, e pretendere poi che in piazza ci sia più di una « pizzicata » quando tacciamo lo sciopero degli altri sindacati come ordito contro il proprio?

 

C’è qualcosa che non quadra

All’indomani della manifestazione di Piacenza il SI Cobas annuncia:

« 26 MARZO SCIOPERO NAZIONALE DELLA LOGISTICA IN OCCASIONE ANCHE DELLO SCIOPERO NAZIONALE DEI RIDERS, DEL PERSONALE DELLA SCUOLA E DEL TRASPORTO PUBBLICO ».

Tutto legittimo, ma c’è un ma grande come una montagna che non ci convince. Nel manifesto di indizione dello sciopero nazionale non viene menzionato il fulcro dell’azione repressiva della questura, ovvero la minaccia della revoca del permesso di soggiorno nei confronti dei lavoratori immigrati che sono stati attivi in questi anni nella Logistica parte dei quali sono iscritti o hanno lottato con il SI Cobas. Come mai? È una dimenticanza? È un errore di stampa? La cosa ci fa riflettere, perché delle due l’una: o i compagni dirigenti del SI Cobas ritengono i lavoratori immigrati loro iscritti tanto ferrati da resistere contro ogni minaccia della questura e della magistratura, oppure gli stessi compagni sottovalutano tale problema ritenendo che l’insieme della piattaforma rivendicativa sia talmente capace di mobilitare i settori coinvolti da mettere in secondo piano la minaccia della revoca del permesso di soggiorno.

Se però sono gli stessi compagni della Tendenza internazionalista rivoluzionaria a scrivere « Tra queste misure di repressione quella politicamente più pesante è la notifica della procedura di revoca del permesso di soggiorno », come mai non campeggia come prima parola d’ordine questa denuncia, mentre si elencano puntigliosamente le rivendicazioni economiche? Non fa parte dello stile di chi scrive queste note fare dietrologia, ma qualche spiegazione i compagni del SI Cobas la dovrebbero pur dare. Qui non si tratta di fare gli ipercritici o di spaccare il capello in quattro, ma di evidenziare un rischio serio di scivolare verso un crinale economicistico che innalza ai massimi livelli rivendicativi i principi della lotta economica mentre riduce a opzione l’aspetto politico, proprio quando lo Stato scende in campo con l’arma più ricattatoria e infame: la minaccia della revoca dei permessi di soggiorno ottenuti in anni e anni di lotte.

Ora i compagni si dovrebbero chiedere innanzitutto cosa è il riformismo operaio e se lo definiscono come fa la rivista Il Pungolo rosso nel suo numero 2 a p. 3, che già a suo tempo criticammo e cioè: «[…] il brillante risultato di decenni di (dis)educazione dei lavoratori più combattivi da parte dei partiti stalinisti e socialdemocratici, e delle organizzazioni sindacali ad essi collegate, che hanno sempre più a fondo “nazionalizzato” i proletari europei, imbevendoli dei primato degli interessi nazionali anche quando li incitavano alla lotta contro le forze più reazionarie», vuol dire che stiamo su un terreno non materialistico.

 

Per concludere

Cari compagni della Tendenza internazionalista rivoluzionaria, ci sia consentita una domanda: come mai si scrive al maschile con la sola sigla p.m. Pradella: « Sicché non può che risultare provocatoria la motivazione del p.m. Pradella secondo cui la lotta in questione sarebbe “al di fuori di qualsiasi lecita rivendicazione di tipo sindacale, di qualsiasi vertenza o relazione industriale”! – è la spudorata menzogna contenuta nel decreto di perquisizione» piuttosto che un procuratore capo, una donna, la dottoressa Grazia Pradella? Non si taccia come provocatoria la quisquiglia, perché c’è il rischio che qualche cattivo pensante – e di questi tempi ce n’è fin troppi in giro – potrebbe pensare che si sia voluto non troppo infierire nei confronti di una donna che copre un ruolo infame nei confronti della lotta dei lavoratori immigrati, in una fase dov’è imperante la lotta al femminicidio con connotati piccolo-borghesi.

Si tratta di “piccolo” dettaglio, certo, ma ce n’è un altro sempre “piccolo”, dove si dà «appuntamento mercoledì 23 settembre 2020 alle ore 10 presso il Tribunale di Bologna, in via Farini 1», per fare cosa, se non per invocare la mano pesante nei confronti del maschio assassino da parte della magistratura? E il malizioso si potrebbe chiedere: come si tengono insieme le due cose?

Pertanto con umiltà consigliamo ai proletari iscritti al SI Cobas di:

a. aderire allo sciopero del 22 marzo indetto da Cgil-Cisl-Uil, e di partecipare a eventuali manifestazioni lì dove si renda possibile;

b. aprire una franca e leale discussione con i lavoratori degli altri sindacati che manifestano;

c. dichiarare la propria totale disponibilità a un terreno comune di lotta con o senza le sigle sindacali;

d. istituire da subito coordinamenti unitari anche autonomamente dalle sigle di riferimento.

La strada è lunga e irta di difficoltà e un terreno unitario dei lavoratori si impone non come volontà dei comunisti, ma come necessità per far fronte alla crisi che avanza come una valanga.

Quanto ai compagni del SI Cobas e alle sigle collaterali di sostegno, una sana riflessione sul “nostro” ruolo andrebbe fatta, pena arenarsi in un “estremismo” politico-sindacale privo di valore.

Comments

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Gian Marco Martignoni
Thursday, 25 March 2021 22:12
Caro Castaldo, hai un vissuto e un'esperienza che ti permette di discernere tra chi millanta e le tendenze oggettive e soggettive della lotta di classe. Uno sciopero di carattere nazionale lo puoi promuovere quando hai organizzato e sindacalizzato più siti su scala nazionale, contrattando le condizioni di lavoro, gli orari, i salari, il pagamento delle multe, ecc, con le relative controparti aziendali. A quel punto puoi montare la panna...Considera che in Lombardia tutto è partito dal sito di Origgio, dove la Filt-Cgil nel 2017 ha trovato qualche delegato interno in grado di trascinare gli altri lavoratori e le lavoratrici alla lotta. Tutto il resto è chiacchera, compresa la fraseologia sui sindacati concertativi , ecc. Te lo ricordi un certo Bernocchi che - privo di qualsiasi base teorica ed economica - teorizzava il salario europeo, senza precisare se indicava quello della Germania o quello della Grecia ? Certamente il 22 di marzo rimarrà una data storica per il movimento operaio, al di là dei grilli parlanti che non mancano mai.
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