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sinistra

Democrazia e potere

di Salvatore Bravo

59C5AECC 3BAA 4C54 8302 58A970ABA47ADiritto e violenza

Il Marx di Maurizio Ricciardi in “Il potere temporaneo Karl Marx e la politica come critica della società” è il Marx della prassi (dal gr. πρᾶξις «azione, modo di agire», der. di πράσσω «fare»), in cui la cristallizzazione del potere capitalistico opera capillarmente e nel contempo si irrigidisce in istituzioni che eternizzano il potere politico. Le istituzioni che in Hegel erano il luogo etico nel quale il diritto esplicava l’universale, in Marx non solo sono storicizzate, ma non vi è nessun diritto che precede la prassi, il diritto si forma nella storia, nella relazione tra struttura e sovrastruttura. Le istituzioni ed il diritto, se rappresentate come astoriche, sono il mezzo con cui i sistemi perpetuano se stessi e legittimano la violenza. Con la genealogia storica si denuncia la modalità ideologica con cui il potere si afferma nel quotidiano. La ricostruzione storica curvata nell’ideologia, nella difesa degli interessi particolari a cui si doveva “necessariamente” giungere è già violenza, perché si vorrebbe inibire il pensiero, la critica radicale e la prassi. La storia collassa su se stessa, si chiude al futuro, ed il passato diventa il despota del presente1:

Ciò che preme a Marx è mettere in discussione l’ipoteca del passato sul presente, il cui effetto è la radicale destoricizzazione dei rapporti tra gli uomini, che non vengono interpretati per ciò che sono, ma per ciò che si presume siano sempre stati e di conseguenza dovranno essere sempre, legittimando in questo modo la necessaria e indiscutibile trascendenza del potere”.

 

Astoricizzazione e gerarchia

Storicizzare è riportare il fenomeno storico alla sua genetica storica. Con la categoria della comprensione si materializza l’attività del soggetto storico resistente che in quanto tale “si umanizza”, mentre la naturalizzazione del presente, per mezzo della sua astoricizzazione preserva e conserva “l’antiumano”, il dominio della forma merce sulla persona.

L’essere umano appartiene alla storia, la sua attività è nella storia come la sua essenza (Gattungswessen), pertanto neutralizzare il cammino storico è violenza. In tal modo si persegue l’Object, il soggetto umano deve adeguarsi e sottostare alle istituzioni.

Vi è un secondo livello di violenza che si interseca con il primo e costruisce l’ordito della violenza totalitaria del “ potere politico”: il diritto è la sovrastruttura attraverso cui la struttura economica si autorappresenta e si dichiara depositaria legittima del potere, che mentre include tutti in nome dell’uguaglianza formale, materialmente esclude i popoli dalla gestione del potere. I sudditi ed i detenitori del potere si fronteggiano, se il diritto non è storicizzato ed il velo di Maya dell’ideologia non cade, la contrapposizione in tale contesto non è dialettica, ma solo giustapposizione gerarchica2:

"Ancora una volta, si mostra però come per Marx il diritto non sia l’opposto della violenza, ciò che ne impedisce l’azione, ma che piuttosto la violenza sia il complemento del diritto, ciò che ne consente la vigenza sistematica, di modo che la storia del potere come Gewalt (…). In maniera non dissimile da quanto avviene tra la sfera della circolazione e quella della produzione, la coazione violenta che domina nella seconda è possibile proprio perché il diritto regola la prima”.

 

Träger e Gewalt

Il termine Träger utilizzato da Marx connota la violenza del potere (Gewalt). La violenza è ancipite in Marx, non è solo la levatrice della storia, ma essa assume una polisemia di funzioni effettuali. Nei Grundrisse il denaro costituisce una comunità apparente, sostenuta dagli interessi privati “die soziale Macht” (la potenza sociale), la divisione del lavoro produce denaro in funzione del quale si agisce, il plusvalore diviene la divinità mondana a cui si obbedisce in modo automatico. La violenza del plusvalore riduce il popolo a massa uniforme da cui estrarre il capitale. Nel Capitolo XIII del Capitale l’accumulazione originaria è analizzata nella sua genetica violenta: ”La storia di questa espropriazione (Expropriation) degli operai è scritta negli annali dell’umanità a tratti di sangue e di fuoco» (Marx 1867, 742 [779])”.

La violenza del potere capitalistico e statale è processuale, il capitale non vive racchiuso nei caveau, o nelle transazioni, ma rende gli esseri umani veicolo (Träger) della sua diffusione ideologica e materiale. Si installa nella persona, ne diventa parte, sostituisce i pensieri con il calcolo, fino a rendere sempre più improbabile, ma non impossibile, pensare nuove prospettive. La violenza capitalistica circola per rendere i soggetti omogenei, uguaglianza perversa del potere che, mentre distribuisce gli spazi d’azione dei gruppi sociali li “vorrebbe” omologare sulla linea del “calcolo capitale3:

"Il capitalismo mostra così di essere indifferente a qualsiasi espressione individuale, anche se evidentemente la scissione che lo costituisce distribuisce in maniera radicalmente differente il rischio di questa indifferenza. In realtà il capitale che si muove è il plusvalore accumulato nonostante l’antagonismo della forza lavoro. Esso consiste materialmente in denaro, scorte e macchinari che rendono diversamente profittevole la partecipazione alla società per chi può accedervi. Come abbiamo già segnalato, Marx usa il termine Träger per indicare indifferentemente persone e cose che si fanno letteralmente veicolo dei del movimento del capitale”.

La macchina è il veicolo della violenza capitale, i lavoratori asserviti ad essa ne divengono parte integrante, la ripetizione del gesto, la dipendenza indotta trasformano il lavoratore in organismo meccanico. L’essere umano adegua se stesso al sistema che lo strumentalizza per produrre plusvalore. La violenza entra nel circuito lavorativo in forme sempre nuove, l’assoggettamento si concretizza in forma plurali, è l’incipit di quello che G. Anders in L’uomo è antiquato definirà la vergogna prometeica. Marx ha tematizzato la vergogna a cui i lavoratori sono consegnati nel capitalismo associando il plusvalore all’alienazione4:

Questa divisione del lavoro è puramente tecnica. Ogni lavoro alla macchina richiede che l’operaio sia addestrato molto presto affinché impari ad adattare il proprio movimento al movimento uniforme e continuativo di una macchina automatica. In quanto il macchinario complessivo costituisce esso stesso un sistema di molteplici macchine che operano simultaneamente e combinate, anche la cooperazione basata su di esso richiede una distribuzione di differenti gruppi operai fra le differenti macchine. Ma il funzionamento a macchina elimina la necessità di consolidare questa distribuzione come accadeva per la manifattura, mediante l’appropriazione permanente dello stesso operaio alla stessa funzione. Siccome il movimento complessivo della fabbrica non parte dall’operaio ma dalla macchina, può aver luogo un continuo cambiamento delle persone senza che ne derivi un’interruzione del processo lavorativo. La prova più lampante di questo è data dal sistema a relais introdotto durante la rivolta dei fabbricanti inglesi nel periodo 1848-1850. Infine, la velocità con la quale il lavoro alla macchina viene appreso nell’età giovanile, elimina anche la necessità di preparare una particolare classe di operai esclusivamente al lavoro delle macchine. Ma i servizi dei semplici manovali nella fabbrica sono a loro volta in parte sostituibili con macchine, in parte consentono a causa della loro assoluta semplicità un rapido e costante cambiamento delle persone caricate di questo tedioso lavoro.

Ora, benché il macchinario butti tecnicamente per aria il vecchio sistema della divisione del lavoro, in un primo tempo questo sistema si trascina nella fabbrica per consuetudine come tradizione della manifattura, per essere poi riprodotto e consolidato sistematicamente dal capitale quale mezzo di sfruttamento della forza-lavoro in una forma ancor più schifosa. Dalla specialità di tutt’una vita, consistente nel maneggiare uno strumento parziale, si genera la specialità di tutt’una vita, consistente nel servire una macchina parziale. Del macchinario si abusa per trasformare l’operaio stesso, fin dall’infanzia, nella parte di una macchina parziale. Così, non solo si diminuiscono notevolmente le spese necessarie alla riproduzione dell’operaio, ma allo stesso tempo si Completa la sua assoluta dipendenza dall’insieme della fabbrica, quindi dal capitalista. Qui, come dappertutto, si deve distinguere fra maggiore produttività dovuta allo sviluppo del processo sociale di produzione e la maggiore produttività dovuta al suo sfruttamento capitalistico”

La macchina, oggi, libera dal lavoro fisico, ma non emancipa, perché si esige dall’essere umano un comportamento macchinale, è iniziata l’assimilazione: il pensiero è sostituito dal calcolo macchinale, si imita e si compete con la macchina con la conseguente mortificazione dell’essere umano che si ritira dalla storia per lasciare spazio all’integralismo totalitario dei manipolatori tecnocratici. L’essere umano è semplice presenza (Vorhandenheit), ogni progettualità individuale e collettiva è sostituita da un mondo meccanocentrico.

 

Libertà e minaccia

La violenza del sistema è tale che la stessa “libertà” nel linguaggio del capitalismo assume una valenza minacciosa, in quanto è libertà delle merci, della libera circolazione supportata dalla competizione codificata dal diritto. La libertà è sempre escludente, in tale condizione, poiché si coniuga con la lotta economica, per cui la vittoria di taluni è il fallimento di altri. La libertà fa circolare il timore del fallimento, della rovina incombente, si è sempre esposti alla caduta. L’altro è il nemico, non vi è comunità, ma solo l’atomistica delle solitudini. La violenza si tramuta in angoscia, perché il pericolo è ovunque e chiunque è portatore di potenziale violenza distruttiva. La libertà diviene la forza fatale che guida la storia della forma merce, decreta la sudditanza degli esseri umani. La libertà non è più prassi emancipativa dei soggetti che pongono la realtà storica e la trasformano (Gegenstand), ma la condizione che consente la circolazione del capitalismo, la sudditanza dei popoli dinanzi ad un dio falso e bugiardo5: ”L’individuo moderno non è solo caratterizzato da una scissione costitutiva tra il suo essere privato e la sua esistenza pubblica, ma entra in relazione con altri gli altri in base alla previsione che essi siano una costante potenziale minaccia per la sua libertà”.

 

Democrazia come movimento

Dinanzi agli effetti del capitalismo, alla democrazia che lo legittima nelle forme del diritto, la democrazia realizzata non è che violenza camuffata. La democrazia per Marx dev’essere movimento, concetto, attività collettiva del pensiero (Begreifen), prassi senza cristallizzazione. La democrazia autentica dev’essere movimento, partecipazione, osmosi tra le parti, deve rendere effettiva la fine della categoria del politico incarnato nel potere6:

Marx si oppone pubblicamente a questa dittatura dei pochi, mentre la rivista da lui diretta punta a far emergere sia l’antagonismo tra il movimento sociale e la borghesia, sia la tensione con le posizioni e i comportamenti di coloro che si richiamano alla democrazia. Che la nuova rivista si presenti come organo della democrazia è motivato proprio dal tentativo di coniugare movimento sociale e movimento democratico. Questa comprensione della democrazia come movimento e non come forma istituzionale rimane una costante dell’opera marxiana, sebbene nel 1848, con la progressiva sconfitta del movimento rivoluzionario in Germania, finisca inevitabilmente per avere meno rilievo dello scontro costituzionale tra i vari governi tedeschi, e in particolare quello prussiano, e le assemblee di Francoforte e di Berlino”.

 

Il potere legislativo

Il potere legislativo deve essere il luogo della democrazia, del movimento democratico contro ogni esecutivo, poiché la legge non dev’essere subita, ma dev’essere la sostanza del movimento democratico contro il potere: la legge è poietica, crea la comunità, è attività che si dispone a condividere il potere dal basso7:

Il legislativo marxiano è una figura di movimento che non conosce stabilizzazione e proprio per questo viene, esso appare a Marx intrinsecamente rivoluzionario. Il legislativo è l’irruzione del molteplice nell’ordine dello Stato. Esso dovrebbe in altri termini consentire l’esplicitazione di quella dinamica che il potere empirico costantemente produce. In quanto prodotto dalla rivoluzione il legislativo è anche destinato a renderne permanente il tempo e il movimento. Esso dovrebbe essere la dimostrazione che il mutamento non è avvenuto una volta per tutte, ma che ripresenta in continuazione come necessità politica ormai innegabile. Il legislativo esprime il tempo della rivoluzione, un tempo che non è confinabile a un evento originario, ma piuttosto al suo dispiegamento durevole e alla sua capacità di imporsi sulle istituzioni statali”.

Al potere succede l’associazionismo, l’estinzione del potere politico8:

L’associazione degli individui non elimina il potere come tale, che è anzi qualcosa che essi possono finalmente condividere, proprio perché non è più il segno della lotta e di un’oppressione. Se ora esso è pubblico senza essere politico è perché quest’ultimo è il segno indelebile che i rapporti sociali esibiscono quando devono governare la potenziale insubordinazione di classe. Ciò d’altra parte rimane un tratto caratteristico anche del dominio proletario, perché la necessità dello Stato è il segno che l’antagonismo di classe è ancora presente. Lo Stato in nessun caso può essere la rappresentazione dell’universale, ma sempre e soltanto l’esito di una scissione che esso contribuisce a riprodurre”.

 

I cannibali alle porte

L’estinzione del potere politico è il ritorno a se stessi dopo l’alienazione, il potere nella sua essenza è scissione interna al soggetto ed esterna, solo l’associazionismo, il ritrovarsi nella propria essenza sociale comporta una vita degna di essere vissuta. Alle porte di ogni comunità ci sono sempre i cannibali che vorrebbero riportare il disumano nell’umano, l’associazionismo è l’unità delle differenze contro il pericolo dell’ordine cannibalico del potere. Nella Guerra civile in Francia del 1871, così descrive il pericolo che incombe sulla Parigi liberata:” Le cocottes avevano seguito le orme dei loro protettori, gli scomparsi campioni della famiglia, della religione e soprattutto della proprietà. Al posto loro ricomparvero alla superficie le vere donne di Parigi, eroiche, nobili e devote come le donne dell’antichità. Parigi lavoratrice, pensatrice, combattente, insanguinata, raggiante nell’entusiasmo della sua iniziativa storica, quasi dimenticata, nell’incubazione di una nuova società, dei cannibali che erano alle sue porte”.

A Marx ci si approssima, ed ogniqualvolta ciò avviene, si scoprono e si leggono percorsi di ricerca che favoriscono la lettura dell’attualità; la radicalità marxiana è la radicalità della filosofia, vive fuori degli schemi dei poteri, della burocratizzazione dei saperi ossificati dalle conventicole. Solo la libertà del concetto e della ricerca consente di individuare nuovi processi di approfondimento, i quali riaprono scenari di pensiero, orizzonti inibiti dalla visuale del capitalismo e dalle forme di potere che mutano nel tempo. Marx ci rammenta non solo l’urgenza di elaborare alternative, ma specialmente la necessità di avere categorie e paradigmi per leggere il presente, ci insegna ad essere proficuamente contrastivi per decodificare il tempo storico a cui apparteniamo.


Note
1 Maurizio Ricciardi Il potere temporaneo Karl Marx e la politica come critica della società Meltemi Milano 2019 pp. 37 38
2 Ibidem pp. 215 216
3 Ibidem pag. 193
4 Karl Marx Il Capitale libro I cap. XIII paragrafo 4
5 Maurizio Ricciardi Il potere temporaneo Karl Marx e la politica come critica della società Meltemi Milano 2019 pp. 50 51
6 Ibidem pag. 81
7 Ibidem pag. 30
8 Ibidem pag. 78

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