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La malsana tentazione del "marxismo occidentale"

di Greg Godels*

mbvvfywLa storia del marxismo trova un'immagine speculare in quella dell'anti-marxismo - le correnti intellettuali che si presentano come vero marxismo.

Prima ancora che il marxismo venisse a costituire un'ideologia coesa, Marx ed Engels dedicarono una parte sovente trascurata del loro Manifesto Comunista del 1848 alla demolizione delle ideologie rivali che aspiravano a rappresentare il vero socialismo.

Via via che il movimento operaio andava faticosamente alla ricerca di un sistema di pensiero in grado di ispirare la sua reazione al capitalismo, le idee di Karl Marx e Friedrich Engels conquistarono progressivamente gli operai, i contadini e gli oppressi. Non si trattò di una vittoria facile. Il liberalismo - l'ideologia dominante della classe capitalista - aveva coadiuvato la lotta degli operai e dei contadini contro la tirannide assolutista.

Una volta che il capitalismo e le istituzioni liberali si furono consolidati, l'anarchismo - l'ideologia della piccola borghesia delusa - iniziò a contendere al marxismo la guida del movimento operaio. Gli anarchici - che in modo contraddittorio professavano un individualismo estremo e una democrazia utopistica ricavata dal capitalismo, ma al tempo stesso manifestavano un acceso odio nei riguardi delle istituzioni e delle strutture economiche del capitalismo - non furono tuttavia in grado di offrire una via d'uscita praticabile dalla pesante oppressione capitalista.

Con la conquista del potere da parte del bolscevismo, nel 1917, il movimento operaio si trovò di fronte un esempio di socialismo autentico ed esistente guidato da marxisti autentici e dichiarati - un potente faro che indicava la via nella lotta contro il capitalismo.

La vittoria della Rivoluzione Russa consolidò il ruolo del marxismo quale cammino più promettente per la maggioranza degli sfruttati, e quello del leninismo quale unica ideologia vittoriosa per il cambiamento rivoluzionario e il socialismo. Ancora oggi, il leninismo rimane l'unica via collaudata al socialismo.

Subito dopo la rivoluzione, tuttavia, spuntarono i «marxismi» rivali.

Il fallimento delle successive rivoluzioni europee fuori dalla Russia, in particolare di quella tedesca, determinò il distacco di numerosi intellettuali, quali Karl Korsch e György Lukács, che ipotizzarono una via diversa e presuntamente migliore verso la rivoluzione proletaria. I critici e i detrattori del leninismo - forti del sostegno materiale fornito loro da vari benefattori, dei loro incarichi universitari e del sostegno dei numerosi soggetti ansiosi di consumare il tradimento di classe - iniziarono così a moltiplicarsi.

Soprattutto in occidente - Nord America ed Europa - dove la classe operaia era rilevante e stava crescendo rapidamente, la dissidenza, il tradimento di classe e l'opportunismo emersero come forze disgreganti all'interno del movimento comunista mondiale - forze che le classi dominanti capitaliste furono ben liete di favorire. I giovani, gli operai non specializzati, gli aspiranti intellettuali e gli elementi declassati erano particolarmente vulnerabili alle sirene di indipendenza, purezza, idealismo e valori liberali. Per chi era disposto a vendere questo tipo di idee erano a disposizione denaro, opportunità di carriera e celebrità.

In realtà, non tutti i critici del marxismo-leninismo - cioè del comunismo rivoluzionario - erano o sono in malafede o privi di meriti; se vogliamo essere onesti, tuttavia, dobbiamo riconoscere che nessun reale fautore del rovesciamento del capitalismo ha mai potuto aspirare a un ruolo di primo piano, alla celebrità o a una ribalta mediatica nell'Occidente capitalista. Può al massimo costituire una curiosità, o una pedina esibita tanto per salvare le apparenze - un fantoccio.

E per contro, qualunque intellettuale o figura politica che acquisti effettivamente un ruolo di primo piano o di influenza non può rappresentare una reale minaccia esistenziale per il capitalismo, nel momento in cui la via verso la ribalta e l'influenza è pattugliata dai guardiani del capitalismo.

Malgrado ciò, il movimento operaio è sempre stato funestato da tendenze o mode ideologiche divisive promosse da soggetti indipendenti che, intenzionalmente o meno, si fanno sfruttare dalla classe capitalista e fanno il suo gioco.

In Occidente è pressoché impossibile per un giovane radicale resistere alla tentazione esercitata da un vero e proprio mercato ideologico fatto di presunte teorie anti-capitaliste o socialiste che si contendono la sua lealtà. Dopo la fine del socialismo reale e privo di fronzoli dell'Unione Sovietica, il disorientamento di molti partiti comunisti e operai ha reso ancor più confusa questa competizione di idee.

È chiaro che il movimento operaio, il movimento rivoluzionario socialista, ha bisogno di una guida per sfuggire alle distrazioni, alle false teorie e alle ideologie contraffatte. Il fatto che i neofiti della politica si aggirino sperduti in un centro commerciale che spaccia ideologie speciose e fantastiche costituisce una grande tragedia, specie quando queste idee si travestono da marxismo.

* * * *

Fortunatamente, una nuova generazione di pensatori marxisti sta sfidando le sirene del finto marxismo, in particolare quello che ha finito per essere definito «marxismo occidentale». Un articolo di Wikipedia dai toni positivi ci offre forse la migliore definizione che si possa desiderare di questa espressione: «L'espressione indica un insieme non coeso di teorici che hanno promosso un'interpretazione del marxismo che si differenzia tanto dal marxismo classico e ortodosso quanto dal marxismo-leninismo sovietico». La definizione non potrebbe essere più chiara: il marxismo occidentale può essere qualsiasi cosa tranne il marxismo-leninismo che ha animato i partiti rivoluzionari di matrice operaia sin dall'epoca della rivoluzione bolscevica!

Il 21 novembre 2022, lo storico e giornalista marxista Vijay Prashad ha tenuto un seminario alla Marx Memorial Library in cui ha fustigato il marxismo occidentale degli anni Ottanta:

In quel periodo fu sferrato un attacco di vasta portata contro il marxismo, guidato dall'editore londinese New Left Books (oggi Verso Books), che nel 1985 pubblicò Egemonia e strategia socialista di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe. Questo libro sfruttava proditoriamente l'opera di Antonio Gramsci per lanciare un attacco al marxismo e promuovere un qualcosa che gli autori definivano «post-marxismo». Post-strutturalismo, post-marxismo, post-colonialismo: questo è divenuto il tono dominante della letteratura accademica prodotta nei Paesi occidentali a partire dagli anni Ottanta... Soprattutto dopo il crollo dell'Unione Sovietica, la nostra capacità di controbattere a questa denigrazione del marxismo condotta in nome del post-marxismo si è dimostrata estremamente debole... Quando [Laclau e Mouffe] parlano di «agency», del «soggetto» e via dicendo, dimostrano di aver sostanzialmente abbandonato il retaggio interpretativo dell'economia politica, ritornando a un'epoca pre-marxista; in realtà non sono andati avanti, oltre il marxismo, bensì indietro, all'epoca precedente il marxismo. (Viewing Decolonization through a Marxist Lens, pubblicato in Communist Review, inverno 2022/2023)

Prashad colloca nello stesso filone post-marxista le influenti opere di Hardt, Negri, Deleuze e Guattari.

Dà un giudizio negativo della svolta multiculturalista, in quanto ha «sostanzialmente tolto mordente alla critica anticoloniale e antirazzista; a livello globale abbiamo assistito all'ascesa del pensiero «postcoloniale» e perfino della «decolonialità» - come a dire: guardiamo il potere, guardiamo la cultura, ma non guardiamo l'economia politica che struttura la vita e il comportamento quotidiani e riproduce la mentalità coloniale; quella deve rimanere fuori dal dibattito... In tal modo siamo entrati in una sorta di palude accademica in cui il marxismo, per così dire, non aveva diritto di accesso».

Prashad avrebbe potuto citare anche l'intrusione nel marxismo della teoria della scelta razionale verificatasi negli anni Ottanta - un'analisi del tutto gratuita della teoria marxista condotta attraverso la lente dell'individualismo metodologico e dell'egualitarismo liberale. Un prestigioso esponente di quello che si definisce oggi «marxismo analitico» procedette a demolire il solido concetto di sfruttamento del marxismo «dimostrando» che se vi è diseguaglianza come condizione iniziale, è logico che la diseguaglianza venga riprodotta - una deduzione alquanto banale, che contribuisce ben poco alla comprensione dell'evoluzione storica del concetto di sfruttamento del lavoro...

Prashad avrebbe inoltre potuto menzionare la persistente influenza esercitata sulla teoria marxista - negli anni Ottanta e in seguito - dal relativismo postmoderno, che punta a demolire completamente l'idea che il marxismo sia la scienza della società. Per i postmodernisti, il marxismo può essere al massimo una tra le molte interpretazioni rivali della società, che ha una sua coerenza all'interno degli ambienti marxisti ma di cui viene negata qualunque rivendicazione di universalità. I postmodernisti, inoltre, negano la possibilità di giungere a una teoria complessiva valida del capitalismo, a una qualsiasi «meta-narrazione» in grado di tracciare la traiettoria di un sistema socio-economico. Pur non essendo possibile evidenziare in questa sede i difetti di questa teoria, si può ricordare che la scomparsa storica marxista Ellen Meiksins Wood denunciò con grande chiarezza questa tendenza accademica.

Un'altra ottima critica contemporanea del marxismo occidentale è offerta dalle opere dello scrittore marxista Gabriel Rockhill. Rockhill demolisce abilmente e radicalmente la scuola neo-marxista di Francoforte, e in particolare i suoi esponenti più celebri - Horkheimer, Habermas, Adorno e Marcuse - smascherandone i legami con vari sponsor. Chi pagava i conti otteneva in cambio ideologie favorevoli - un modello che si riscontra sovente tra i fautori del marxismo occidentale.

Rockhill smonta inoltre senza pietà il finto marxista attualmente più in vista, Slavoj Žižek. Già in un precedente post ho avuto il piacere di elogiare il modo in cui Rockhill ha sgonfiato il gigantesco ego di Žižek. Sia lo smascheramento della Scuola di Francoforte sia la demolizione del culto di Žižek attuati da Rockhill costituiscono letture fondamentali per la battaglia contro il marxismo occidentale.

Più di recente, il filosofo Carlos L. Garrido ha ingaggiato un ambizioso duello con il marxismo occidentale nel suo libro The Purity Fetish and the Crisis of Western Marxist («Il feticcio della purezza e la crisi del marxismo occidentale», Midwestern Marx Publishing Press, 2023). Centrale nell'argomentazione di Garrido è l'idea che al centro dell'attacco dei marxisti occidentali al marxismo-leninismo vi sia un «feticcio della purezza». Questa tesi acuta e originale inquadra effettivamente un tratto comune a tutte le star dell'anticomunismo occidentale di sinistra: da Friedrich Ebert a Slavoj Žižek, tutti questi «marxisti» hanno ipocritamente ribadito che i rivoluzionari sono tenuti ad adottare parametri di governance democratica, perfezione giudiziaria, nonviolenza e perfezione politica superiori a qualunque realtà esistente nella società borghese o ragionevolmente realizzabile in una società rivoluzionaria non puramente fantastica.

I marxisti occidentali non hanno difficoltà a passare sotto silenzio la storia criminale del capitalismo, fatta di genocidi, negazione della democrazia e sfruttamento, mentre fustigano i seguaci di Fidel per aver regolato i conti con qualche centinaio di torturatori batistiani. Deplorano i grandi mutamenti introdotti dai comunisti sovietici e cinesi nell'agricoltura allo scopo di prevenire le frequenti carestie che devastavano i loro Paesi, in ragione del fatto che questi mutamenti coincisero sfortunatamente con gravi carestie - come se i grandi mutamenti positivi fossero in grado di sfuggire alle catastrofi naturali, ciò che può avvenire soltanto nella loro fantasia.

Chiudono un occhio dinanzi ai costi umani imposti all'umanità dalla resistenza delle élite dominanti ai grandi cambiamenti, e al tempo stesso denunciano i rivoluzionari perché aspirano a questi cambiamenti e osano operare per un futuro migliore. Il marxismo occidentale sminuisce i grandi successi riportati dal socialismo reale, e al tempo stesso denuncia incessantemente gli errori commessi nella costruzione del socialismo. Garrido mette chiaramente in luce gli errori e le sofferenze inevitabilmente implicati dalla costruzione di un mondo nuovo, dalla liberazione dagli artigli spietati del capitalismo.

L'autore osserva:

È questo il genere di «marxismo» che piace all'imperialismo - quella che l'agente della CIA Thomas Braden definì «la sinistra compatibile». È questo il «marxismo» che funge da avanguardia di una contro-egemonia controllata.

Riassume quindi in modo eloquente:

Per i marxisti occidentali, il socialismo è, per citare Marx, una questione puramente accademica. Non sono interessati alla lotta vera, a cambiare il mondo, ma a purificare incessantemente un'idea, destinata a essere dibattuta tra altri marxisti rinchiusi nelle loro torri d'avorio e a essere utilizzata come parametro per valutare il mondo reale. L'etichetta di «socialista» o «marxista» viene utilizzata semplicemente come un'identità controculturale e «tagliente», relegata ai margini della società reale. È a questo che si riduce in Occidente il marxismo - a un'identità individuale.

Potrei aggiungere che un'altra tendenza tipica dei marxisti occidentali è quella di investire fortemente nel socialismo degli altri. Invece di fare riferimento alla classe operaia dei loro Paesi, i marxisti occidentali si impegnano in lotte per il socialismo «surrogate» attraverso i movimenti solidali, scegliendosi le battaglie più «pure» e discettando per procura sui meriti dei vari socialismi.

Garrido approfondisce ulteriormente il tema del «socialismo come investimento identitario»:

    Nel contesto del trattamento iper-individualista del socialismo come identità personale attuato in Occidente, la cosa peggiore che potrebbe accadere per questi «socialisti» sarebbe, appunto, la realizzazione del socialismo. Essa implicherebbe infatti la totale distruzione della loro identità marginale e controculturale. La loro assoluta estraneità dalle masse lavoratrici dei loro Paesi può essere in parte interpretata come un tentativo di rendere gli ideali socialisti talmente marginali da non poter mai conquistare i lavoratori - e di conseguenza da non poter mai conquistare il potere politico.
    La vittoria del socialismo determinerebbe una perdita di individualità, una distruzione dell'identità del socialista interno al capitalismo. Il socialismo occidentale si fonda su un'identità che odia l'ordine esistente, ma odia ancora di più la perdita di identità che il superamento di tale ordine implicherebbe.

Garrido non si limita a dissezionare magistralmente il marxismo occidentale. Dedica infatti grande attenzione anche alla critica mossa dal marxismo occidentale alla Repubblica Popolare Cinese, in un capitolo intitolato La Cina e il feticcio della purezza del marxismo occidentale. Naturalmente, ha ragione nel deplorare la spregiudicata collaborazione del marxismo occidentale con gli ideologi borghesi nel condannare qualunque politica e iniziativa messa in atto dalla Cina popolare sin dalla rivoluzione del 1949. Come nel caso dell'URSS, qualunque valutazione onesta e ragionata della traiettoria della Cina popolare non può che ravvisarvi - con tutti i suoi limiti - una tappa positiva nel cammino dell'umanità verso il necessario superamento del capitalismo.

In quanto anti-imperialisti dobbiamo difendere il diritto della Repubblica Popolare Cinese (e degli altri Paesi) di scegliere il proprio cammino.

E in quanto marxisti, dobbiamo difendere il diritto del Partito Comunista Cinese di scegliere la propria via al socialismo.

Garrido tuttavia si spinge oltre, lanciandosi in un'apologia appassionata ma unilaterale del socialismo cinese. Per un radicale fautore del metodo dialettico si tratta di un curioso sbandamento. Come affermò negli anni Sessanta il prestigioso marxista R. Palme Dutt, la questione pregnante per un materialista dialettico è «Dove va la Cina?», e non «La Repubblica Popolare Cinese coincide o no con una forma pura e platonica di socialismo?».

Una valutazione più equilibrata della Repubblica Popolare Cinese dovrebbe prendere in considerazione l'importanza della base di classe prevalentemente contadina del Partito Comunista al momento della sua fondazione, i suoi rapporti con il nazionalismo cinese e le forti tendenze volontaristiche che caratterizzano il Pensiero di Mao Zedong. Dovrebbe tenere conto della spaccatura apertasi negli anni Sessanta nel movimento comunista mondiale e del riavvicinamento della Cina agli elementi più reazionari del potere USA negli anni Settanta, coronato dai vergognosi aiuti materiali forniti ai fantocci degli Stati Uniti e del Sud Africa durante le guerre di liberazione sudafricane. La Cina popolare finanziava Jonas Savimbi e l'UNITA mentre gli internazionalisti cubani morivano combattendo contro di loro e i loro alleati fautori dell'apartheid. Il che solleva un interrogativo: la Cina popolare potrebbe fare di più per aiutare Cuba a fare fronte al blocco imposto dagli USA, come fece in passato l'Unione Sovietica?

Un giudizio onesto dovrebbe includere l'invasione del Vietnam attuata dalla Cina popolare nel 1979, e la sua difesa incondizionata dei Khmer Rossi. Tutti questi elementi non possono non avere un peso in una valutazione della via cinese al socialismo.

Queste scomode realtà rendono difficile concordare con l'affermazione di Garrido secondo cui la Repubblica Popolare Cinese ha costituito «un faro nella lotta anti-imperialista».

Oggi, naturalmente, la situazione è del tutto diversa. La mia opinione personale è che i vertici del Partito Comunista Cinese - per riprendere un'immagine tipica del maoismo classico - stiano «cavalcando la tigre» di un rilevante settore capitalista. Si può dibattere su quanto lo stiano facendo bene - ma lo stanno comunque facendo. Vi sono numerosi segnali promettenti, ma anche alcuni segnali preoccupanti.

In ogni caso, i compagni critici o scettici verso la via cinese non meritano di essere sommariamente gettati nella pattumiera del marxismo occidentale.

Dove Garrido coglie nel segno con il suo «feticcio della purezza» è nella sua analisi dell'organizzazione socialista negli Stati Uniti. L'autore rivolge uno sguardo critico al carattere di classe di gran parte della sinistra statunitense, evidenziandone la matrice piccolo-borghese e le influenze di idee piccolo-borghesi. I veicoli di queste idee sono da lui individuati nel mondo accademico, nei media e nelle ONG. L'ideologia piccolo-borghese trova ulteriore sostegno nelle imprese no-profit e, naturalmente, nel Partito Democratico.

La tendenza piccolo-borghese della sinistra USA ne rafforza l'atteggiamento ipercritico nei riguardi dei movimenti che tentano di costruire concretamente un futuro socialista. Ogni qual volta i socialisti o i radicali di orientamento socialista si misurano con gli enormi ostacoli che hanno di fronte, molti esponenti della sinistra li accusano di essere legati a cavallereschi ideali liberali, tanto irrealistici quanto garanzia di fallimento. Garrido ridicolizza l'insistenza sulla purezza rivoluzionaria: «...il problema è che le cose, nel mondo reale chiamato socialismo, non erano veramente socialismo; il socialismo in realtà è quella meravigliosa idea che esiste nella sua forma pura nella mia mente...».

Il feticcio della purezza dei ceti medi contagia i radicali che disprezzano i lavoratori definendoli «arretrati» o «sciagurati». Garrido controbatte a questa ossessione della purezza ricorrendo a una splendida citazione di Lenin: «Noi possiamo (e dobbiamo) incominciare a costruire il socialismo non con un materiale umano fantastico e creato appositamente da noi, ma con il materiale che il capitalismo ci ha lasciato in eredità».

Riguardo alla questione del voto della classe operaia a Trump, Garrido non fa sconti alla sinistra USA: 

...non si accorge che implicito in quel voto vi è il desiderio di qualcosa di nuovo, qualcosa che soltanto il movimento socialista potrebbe offrire - non certo Trump o qualunque partito borghese. Al contrario, in questo blocco della classe operaia non vede altro che una massa di razzisti, una minaccia «fascista» che può essere sconfitta soltanto rinunciando alla lotta di classe e accodandosi ai democratici. Per quanto sciocca possa apparire, è questa la linea che domina il movimento comunista contemporaneo negli Stati Uniti.

Non a tutti gli esponenti della sinistra può essere imputato questo fallimento, ma l'accusa centra sostanzialmente il bersaglio.

Infine, Garrido critica la tendenza di gran parte della sinistra USA a liquidare senza appello tutte le tendenze e i successi in senso progressista che hanno segnato la storia degli Stati Uniti. Molti esponenti della sinistra sminuiscono le eroiche lotte condotte nel corso della storia degli Stati Uniti dipingendo quest'ultima come un susseguirsi ininterrotto di reazione, razzismo e imperialismo. Garrido coglie nel segno quando ravvisa in questa tendenza un esempio di feticcio della purezza al negativo - nel denunciare ogni singola pagina della storia americana come irrimediabilmente fallimentare e fasulla, «...i marxisti feticisti della purezza accrescono ulteriormente la loro irrilevanza per la creazione di condizioni soggettive per la rivoluzione, isolandosi completamente da tradizioni che le masse americane hanno finito per fare proprie».

Questo è senz'altro vero, ma va ricordato che è sempre presente il rischio che la storia degli Stati Uniti venga celebrata in modo così acceso da fare sì che l'ardore patriottico finisca per passare sotto silenzio il retaggio di crudeltà e sanguinose stragi che grava su questo Paese. Per esempio, durante l'era dei Fronti Popolari, lo slogan «Il comunismo è l'americanismo del ventesimo secolo» promosso dal leader comunista Earl Browder segnalava un investimento eccessivo nell'americanismo in termini di giustizia sociale, e un investimento insufficiente nel comunismo.

La storia e la tradizione degli Stati Uniti sono contraddittorie, e un marxista dovrebbe sempre mettere in luce questa contraddizione - un retaggio composto da grandiosi e storici cambiamenti sociali e, al tempo stesso, da atti orribili e disumani. Le origini di questo Paese condividono un tragico passato di colonialismo e colonizzazione con Paesi quali l'Australia e il Sud Africa, in termini di genocidi perpetrati contro le popolazioni indigene. Gli stessi coloni introdussero o tollerarono il brutale sfruttamento degli africani ridotti in schiavitù. Possiamo dare la colpa alla classe dirigente degli Stati Uniti - ma la storia degli Stati Uniti è fatta anche di questo.

Al tempo stesso, la rivoluzione americana fu la più radicale del suo tempo, e ogni generazione successiva generò un movimento che aspirava a correggere gli errori del passato o ad allargare gli orizzonti del progresso sociale. La storia del popolo americano è segnata da una guerra civile per l'emancipazione, dall'allargamento del suffragio, dalle conquiste degli operai contro le corporation, dallo Stato sociale, dalle pensioni e da una miriade di altre pietre miliari.

Riflettendo e scrivendo sul bicentenario della Rivoluzione Francese (Echi della Marsigliese), lo storico marxista Eric Hobsbawm non poté fare a meno di rimanere colpito di fronte alla scarsa influenza esercitata a livello globale dalla rivoluzione americana sui mutamenti sociali dell'Ottocento. La sua opinione era che i riformatori e rivoluzionari dell'epoca erano più inclini a ravvisare un punto di partenza «nell'Ancien Régime francese che nei coloni liberi e negli schiavisti del Nord America». Indubbiamente, la macchia rappresentata dal genocidio dei popoli indigeni e dal brutale schiavismo ebbe un peso in questo atteggiamento.

Le osservazioni di Hobsbawm evidenziano in effetti il carattere contraddittorio del passato degli Stati Uniti. Tale giudizio non dipende da un «feticcio della purezza», bensì dalla realtà concreta, fattuale della storia americana.

Malgrado ciò, Garrido ha ragione nel rammentarci i numerosi rivoluzionari - Marx, Lenin, Mao, Ho Chi Minh, William Z Foster, Herbert Aptheker, Fidel e altri ancora - che trassero (e trasmisero) ispirazione dalle vittorie popolari e dalla fiera resistenza contro l'oppressione delle classi dominanti che segnarono la storia americana. A tale proposito cita opportunamente il rigetto da parte del leader comunista Georgi Dimitrov del nichilismo nazionale - la denigrazione di qualunque manifestazione di orgoglio e successo nazionale. Ogni identità nazionale contiene in sé un'identità che merita di essere celebrata nella misura in cui resiste all'oppressione e lotta per una vita migliore. I lavoratori devono imparare l'umiltà nazionale dai fallimenti del passato, e al tempo stesso trarre orgoglio nazionale dalle vittorie contro l'ingiustizia. Una sinistra che svolga soltanto uno dei due compiti, e non entrambi, non potrà conquistare la classe operaia.

* * * *

Il marxismo occidentale - un marxismo scolastico, slegato dalla pratica rivoluzionaria - trae in inganno troppi potenziali compagni di strada, sinceri e affamati di cambiamento, lungo l'ardua via verso il socialismo. È confortante udire voci che si levano per denunciare il carattere sterile e oscurantista di questo inganno, difendendo nel contempo la tradizione del marxismo-leninismo e del comunismo. Dobbiamo incoraggiare e sostenere i marxisti come Prashad, Rockhill e Garrido in questa battaglia.


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Comments

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Mario Galati
Sunday, 18 June 2023 10:04
Non so se non è stato pubblicato e tradotto negli USA in lingua inglese, o se Greg Godels non l'ha letto (che lo conosca e lo ritenga irrilevante mi sembra improbabile), ma tra i riferimenti per la critica del cosiddetto "marxismo occidentale" andrebbe senzaltro annoverato "Il marxismo occidentale: come nacque, come morì, come può rinascere", di Domenico Losurdo.
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