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antropocene

Il comunismo della decrescita: l'ultima svolta di Marx

di Peter Boyle

Marx in greenAnche se il marxista giapponese Kohei Saito non avesse scritto Marx in the Anthropocene: Towards the Idea of Degrowth Communism, la sinistra oggi dovrebbe ancora prendere sul serio l'idea della decrescita.

Questo perché, spiega l'economista e antropologo Jason Hickel in Less is More, «Sebbene sia possibile passare al 100% di energia rinnovabile, non possiamo farlo abbastanza velocemente da rimanere sotto gli 1,5°C o i 2°C, se continuiamo a far crescere l'economia globale ai ritmi attuali».

Non è solo la dipendenza dai combustibili fossili a mettere in pericolo il pianeta, ma la ricerca cronica della crescita economica da parte del capitalismo. Crescita illimitata significa maggiore domanda di energia. E una maggiore domanda di energia rende più difficile sviluppare una capacità sufficiente per generare energia rinnovabile nel breve tempo rimasto per evitare un riscaldamento catastrofico.

Questo è il motivo per cui la rilettura di Saito dell'opera di una vita di Karl Marx è cruciale per i socialisti di oggi. Come egli sostiene, l'ecologia non era una considerazione secondaria per Marx, ma al centro della sua analisi del capitalismo. E mentre si avvicinava alla fine della sua vita, Marx si rivolse sempre più alle scienze naturali e si convinse profondamente che una crescita illimitata nel capitalismo non poteva essere sfruttata per scopi umani o ambientali. Piuttosto, come spiega Saito, Marx capì che il comunismo avrebbe portato sia abbondanza che decrescita.

 

Altro che riscaldamento globale

Oggi, gli attivisti ambientali in genere si concentrano sul riscaldamento globale.

Ma il problema è più profondo di questo. Scienziati come James Hansen e Paul Crutzen hanno identificato una serie di «confini planetari» oltre i quali il disastro è quasi certo. Il cambiamento climatico è uno di questi. Tuttavia, esistono anche punti di svolta anche per quanto riguarda la perdita di biodiversità o di terreni boschivi, l’acidificazione degli oceani, l’inquinamento chimico, l’assottigliamento dello strato di ozono, il carico di azoto e fosforo nelle acque e l’esaurimento dell'acqua dolce.

Ad esempio, la concentrazione atmosferica di carbonio non dovrebbe superare le 350 parti per milione (ppm) se il clima deve rimanere stabile, e abbiamo già superato quel limite nel 1990. Ora è di 420 ppm. Allo stesso modo, si minaccia un disastro se la proporzione della superficie terrestre coperta da foreste scende al di sotto del 25 % o se il tasso di estinzione supera le dieci specie per milione all'anno.

Dalla deforestazione dell'Amazzonia alle estinzioni causate dagli incendi boschivi determinati dai cambiamenti climatici in Australia, la causa principale rimane la stessa: un'espansione economica incontrollata.

Per quanto l'evidenza richieda la decrescita, la proposta solleva nondimeno difficili questioni politiche. Ad esempio, i socialisti nei paesi sviluppati e in via di sviluppo sono uniti nel chiedere migliori standard di vita. Ed è difficile immaginare che un movimento di massa contro il capitalismo prenda piede a meno che non possa offrire una vita migliore.

Questi, tuttavia, non sono problemi insormontabili. Come sostengono sia Saito che Hickel, a causa del ruolo dell'imperialismo nel trasferire sistematicamente i costi ecologici al Sud del mondo, la crescita economica deve diminuire drasticamente nei paesi più ricchi, mentre continua a crescere nel Sud del mondo.

Ma questo non significa che la gente comune nei paesi ricchi debba subire un brusco calo della qualità della vita. Ristrutturando radicalmente l'economia per dare priorità ai bisogni sociali e alla sostenibilità ecologica, è possibile migliorare la vita della maggioranza anche riducendo la produzione.

Come sostiene Saito in Marx in the Anthropocene, in seguito, man mano che Marx approfondiva le sue ricerche nell'economia politica e nelle scienze naturali, questa idea divenne più cruciale per la sua visione di una società post-capitalista. Tuttavia, si tratta di una prospettiva che è andata in parte perduta, dato che Marx non è vissuto abbastanza a lungo per incorporare l'analisi nei volumi successivi del Capitale, previsti ma non completati. E non si tratta solo di congetture. Saito costruisce la sua argomentazione sulla base della sua profonda conoscenza di quaderni e scritti inediti che ora sono stati pubblicati come parte delle nuove opere complete di Marx e Friedrich Engels, la Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA).

Marx, scrive Saito, si rese conto che «lo sviluppo capitalistico delle tecnologie non preparasse necessariamente una base materiale per il post-capitalismo». Ciò significava, come continua, che:

«Marx non solo considerava le “fratture metaboliche” nel capitalismo come l'inevitabile conseguenza della fatale distorsione nel rapporto tra uomo e natura, ma sottolineava anche la necessità di una trasformazione qualitativa nella produzione sociale per riparare il profondo abisso nel metabolismo universale della natura».

 

Le forze produttive del capitalismo

Saito identifica nell'opera di Marx quattro ragioni per cui le forze produttive sviluppate dal capitalismo non possono essere adottate in una società ecosocialista post-capitalistica.

In primo luogo, poiché gran parte della tecnologia è progettata in parte per soggiogare e controllare i lavoratori, gran parte di essa è inadatta a una società non sfruttatrice.

In secondo luogo, come spiega Saito, «le tecnologie capitalistiche non sono adatte all'esigenza socialista di riunificare “concezione” ed “esecuzione nel processo lavorativo». Vale a dire, una società socialista deve garantire che l'utilizzo della tecnologia sia conforme allo scopo per il quale è stata progettata, e che questi funzionino insieme per fini umani ed ecologici.

In terzo luogo, secondo Saito, Marx osservava che «lo sviluppo capitalistico delle forze produttive mina e distrugge persino il metabolismo universale della natura». Vale a dire, interrompendo e distruggendo interi ecosistemi, lo sviluppo capitalista inibisce la capacità della natura di rinnovarsi.

In quarto luogo, Saito sostiene che Marx aveva previsto che lo sviluppo della tecnologia che separa mezzi e fini, come descritto sopra, avrebbe reso necessaria l'ascesa di una «classe burocratica». Questa nuova classe «avrebbe governato la produzione sociale generale al posto della classe capitalista» e «la condizione di alienazione della classe operaia sarebbe rimasta sostanzialmente la stessa».

Per queste ragioni, sostiene Saito, Marx iniziò a mettere in discussione la sua precedente visione secondo cui il capitalismo svolgeva un ruolo progressivo aumentando le forze produttive della società. Di conseguenza, conclude Saito, Marx fu «inevitabilmente costretto a mettere in discussione la sua precedente visione progressista della storia».

Questo cambiamento di prospettiva guidò il lavoro di Marx nei volumi successivi del Capitale, progettati ma rimasti incompiuti, per i quali intensificò lo studio sia delle scienze naturali sia delle società precapitalistiche. E dopo il 1868, questo portò Marx a un altro cambiamento di paradigma, abbracciando quello che Saito e altri chiamano oggi comunismo della decrescita.

Secondo questa nuova prospettiva, Marx abbandonò l'idea che una società comunista si sarebbe semplicemente appropriata dell'abbondanza ecologicamente non sostenibile che il capitalismo offre oggi a una piccola minoranza. Al contrario, avrebbe offerto una «radicale abbondanza di “ricchezza comune/comunitaria”». Secondo Saito, Marx chiarisce questo concetto nella Critica al Programma di Gotha, definendolo come «uno stile di vita non consumistico in un'economia post-scarsità che realizza una società sicura e giusta di fronte alla crisi ecologica globale dell'Antropocene».

In effetti, se leggiamo l'ultima opera di Marx sotto questa luce, nel comprenderla ci viene in soccorso la sua famosa lettera del 1881 a Vera Zasulich, una rivoluzionaria russa. In essa, Marx suggerisce che i modelli di proprietà terriera comunitaria pre-moderni presenti nei villaggi dell'impero russo potrebbero essere trasformati in modelli di proprietà collettiva e socialista. Secondo Saito, questa lettera dovrebbe essere «reinterpretata come la cristallizzazione della sua visione non produttivista e non eurocentrica della società futura» e «dovrebbe essere caratterizzata come comunismo della decrescita».

 

Il lavoro essenziale ha un'impronta ecologica inferiore

Saito sostiene che una società socialista si sposterebbe verso lavori essenziali che producono valori d'uso di base e, di conseguenza, la crescita economica rallenterebbe. Un'economia rimodellata per servire i bisogni sociali avrebbe un'impronta ecologica drasticamente inferiore, aggiunge, e la scarsità artificiale che il capitalismo ha prodotto da quando ha distrutto i vecchi beni comuni potrebbe essere superata.

Ma è vero? Alcune ricerche suggeriscono di sì. Lo studio di Hickel sui dati delle Nazioni Unite – citato in Less Is More – ha rilevato che

«La relazione tra PIL e benessere umano si svolge su una curva di saturazione, con rendimenti nettamente decrescenti: dopo un certo punto, che le nazioni ad alto reddito hanno superato da tempo, un PIL maggiore non migliora i risultati sociali fondamentali».

Per esempio, la Spagna spende solo 2.300 dollari a persona per fornire a tutti un'assistenza sanitaria di alta qualità come diritto fondamentale e vanta anche un'aspettativa di vita di 83,5 anni, una delle più alte al mondo. In effetti, l'aspettativa di vita della Spagna è di ben cinque anni superiore a quella degli Stati Uniti, dove il sistema privato a scopo di lucro «succhia una cifra esorbitante di 9.500 dollari a persona, mentre offre un'aspettativa di vita più bassa e risultati sanitari peggiori». La ben più povera Cuba ha goduto a lungo di un'aspettativa di vita superiore a quella degli Stati Uniti grazie alla sua assistenza sanitaria gratuita e universale. Durante la pandemia di COVID-19 questo divario è cresciuto fino a tre anni.

Oltre a questo, Saito sostiene che ci sono altre buone ragioni per cui una società post-capitalistica ha bisogno di rimodellare radicalmente l'economia. Ad esempio, con il capitalismo, un numero sempre maggiore di persone è costretto a svolgere «lavori di merda» precari, un termine che Saito ha preso a prestito dal defunto antropologo e attivista anarchico David Graeber. Ne sono un esempio gli addetti al telemarketing, i controllori dei parcheggi e dei trasporti pubblici e la maggior parte dei quadri intermedi. Oltre a essere privi di significato, perché fonte di sprechi, questi lavori contribuiscono alla distruzione dell'ambiente, approfondiscono le disuguaglianze e peggiorano la nostra salute mentale e la qualità della vita.

Su un piano più ampio, il comunismo della decrescita accorcerebbe radicalmente la settimana lavorativa, liberando la creatività umana, la socialità e la solidarietà sociale. Per spiegarlo, Saito osserva che nel corso del XX e del XXI secolo il rapido cambiamento tecnologico ha portato a un aumento della produttività. Eppure, le ore di lavoro non sono diminuite, sempre perché il capitalismo richiede una crescita costante.

In definitiva, però, Saito sostiene che solo liberando la maggioranza dal «dispotismo del capitale» otterremo la libertà di scegliere cosa produrre collettivamente e come farlo.

 

Contro il marxismo deterministico

Questi argomenti significano che Saito fa causa comune con una lunga serie di marxisti – tra cui Rosa Luxemburg, Lev Trockij, György Lukács, Antonio Gramsci e altri – che si sono opposti alle versioni deterministiche del marxismo. Sebbene tali teorie della storia siano contrarie a gran parte dell’opera di Marx, sia iniziale che tardiva, ci sono senza dubbio passaggi che danno sostegno al determinismo storico affermando che il capitalismo inevitabilmente si autodistruggerà.

Ad esempio, come scrisse notoriamente Marx nel 1859 [1] in Per la critica dell’economia politica,

«A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti... Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura».

Come sostiene Saito, è sbagliato leggere questo come una previsione restrittiva che la crescita economica si fermerà, provocando una grande crisi e la necessaria fine del capitalismo. Al contrario, «semplicemente non c'è alcuna prova empirica che la pressione sul saggio del profitto dovuta ai crescenti costi del capitale circolante provocherà presto una “crisi epocale”».

Anzi, il capitalismo potrebbe dimostrarsi capace di resistere alla catastrofe ecologica. Come spiega Saito,

«è necessario realizzare emissioni nette di carbonio pari a zero entro il 2050 per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C entro il 2100. Quando questa linea viene oltrepassata, vari effetti potrebbero combinarsi, rafforzando così il loro impatto distruttivo su scala globale, specialmente su coloro che vivono nel Sud del mondo. Tuttavia, le società capitalistiche nel Nord del mondo non crolleranno necessariamente».

Rispetto alle letture più ottimistiche di Marx, quella di Saito è sobria. Probabilmente, tuttavia, l'effettivo corso della storia dai tempi di Marx – che include crescenti fratture metaboliche – supporta la sua visione. Ed è per questo che la visione tardiva di Marx del comunismo della decrescita può essere una fonte di speranza per la nostra epoca di crisi multiple, accelerate e sovrapposte.


Note
[1] L’autore dell’articolo indica il 1869, quando Per la critica dell’economia politica, dalla cui prefazione è tratta la citazione, fu pubblicato nel 1859.

Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org

Fonte: Climate&Capitalism 23.06.2023

Comments

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andrea
Saturday, 08 July 2023 23:37
Che "sia possibile passare al 100% di energia rinnovabile" può dirlo giusto un economista e/o antropologo.
Io darei un po' più ascolto agli ingegneri chimici, minerari ed elettrotecnici, prima di scrivere certe fantasiose put...ate.
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Mario M
Sunday, 09 July 2023 08:18
Il progetto KiteGen potrebbe favorire questa transizione.
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andrea
Sunday, 09 July 2023 13:55
Elettrificare tutto presuppone un'estrazione di rame pari a migliaia di volte la quantità estratta dall'inizio dei tempi.
Giusto così, per limitarsi alle miniere di rame.
Costo energetico dell'operazione? Costo ambientale?
Costo ambientale dell'estrazione del litio necessario?
E non si illuda il popolino con le favole sul "riciclo". Si può riciclare (beninteso NON a costo zero, né finanziario, né ambientale) solo ciò che è stato già estratto, e la percentuale di resa del reimpiego diminuisce a ogni passaggio.
Se però, agli investitori del settore energetico (che son gli STESSI del fossile), vogliamo dare un'altra occasione per metterci le mani in tasca, diciamocelo, per favore, senza nascondersi dietro la compagneria.
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