Print Friendly, PDF & Email

lanatra di vaucan

Introduzione al “Manifesto contro il lavoro”

di Massimo Maggini*

Gruppo Krisis: Manifesto contro il lavoro e altri scritti, introduzione di Massimo Maggini, prefazione di Anselm Jappe, postfazione di Norbert Trenkle, Mimesis ed. 2023

Schermata del 2023 11 09 18 55 22.pngPresentiamo qui l’edizione rinnovata ed ampliata del Manifesto contro il lavoro del gruppo Krisis. L’originale apparve in Germania nel “lontano” giugno 1999, in forma autoprodotta, e in Italia nel 2003 per i tipi di DeriveApprodi. Successivamente in Germania sono uscite altre tre edizioni, la seconda già nel settembre 1999, la terza nell’ottobre del 2004 e la quarta ed ultima nel gennaio 2019, in occasione del ventennale della prima uscita. In quest’ultimo caso, il Manifesto è stato corredato di una post-fazione scritta da Norbert Trenkle, che includiamo nel presente libro, con il quale in qualche modo proviamo a celebrare, anche in Italia, il ventennale della prima edizione italiana, arricchendola con altri testi.

Da quel primo anno, in cui è stato elaborato e ha preso forma il Manifest, molta acqua è passata sotto i ponti. Si sono succedute – e continuano a succedersi – guerre apocalittiche, movimenti sono nati e morti, emergenze su emergenze si sono avvicendate ed eventi decisivi hanno cadenzato la nostra esistenza. A fare da filo conduttore di tutti questi avvenimenti, solo apparentemente slegati fra loro, un motivo è però rimasto costante: la crisi strutturale del sistema capitalistico, che ha preso forma compiuta in modo inquietante e risoluto – benché già presente in nuce anche prima – almeno dalla fine degli anni ‘70, cioè in coincidenza, non casuale, della fine dei cosiddetti “30 anni gloriosi” e il boom economico che li aveva caratterizzati.

Ma cosa c’entra il “lavoro” con tutto questo? Soprattutto, perché muovergli una “critica” in tempi di crisi, quando molti, anzi, ne lamentano a gran voce la mancanza?

Secondo la teoria della Wertkritik (in italiano: Critica del Valore)1, corrente di pensiero da cui proviene anche il presente libro, questa crisi, letta come “fondamentale”, nel senso anche di definitiva – dalla quale cioè il sistema del capitale non può tornare indietro e dalla quale non può risollevarsi –, è determinata proprio dalla crisi del lavoro, a sua volta provocata dalla “evoluzione” tecnico-scientifica delle modalità attraverso le quali si esplica il lavoro stesso. La “rivoluzione” originata dall’applicazione della micro-elettronica alla produzione, scatenata principalmente dalla competizione fra capitalisti, ha dato vita ad una gigantesca produttività, capace di sfornare quotidianamente, e senza sosta, merci come nemmeno la mitologica cornucopia di Acheloo sarebbe riuscita a fare. Come rovescio della medaglia, la micro-elettronica ha letteralmente espulso dal ciclo produttivo una quantità immensa di forza lavoro umana produttiva (nel senso del capitalismo). Masse intere di persone rese “inutili”, cioè improduttive dal punto di vista della valorizzazione capitalistica, sommate ad una produttività ciclopica, ma sempre più difficile da valorizzare monetariamente, provocano una crisi senza ritorno per la valorizzazione stessa.

Non è pertanto un caso che il capitale si rifugi sempre più nella finanziarizzazione, unico vero appiglio rimasto a questo sistema in crisi, per evitare il crollo finale. La finanziarizzazione, lungi da essere l’astuto escamotage di un pugno di avidi speculatori nullafacenti a danno della produzione sana degli onesti lavoratori, è piuttosto l’àncora di salvataggio di questo sistema alla canna del gas. Non ci sono più “mani invisibili” né nuovi mercati che possano salvarlo. Neanche l’esternalizzazione nelle periferie da parte dei centri capitalistici in cerca di luoghi dove i costi delle materie prime e della forza-lavoro siano ridotti ai minimi termini è più in grado di rappresentare una via d’uscita2.

Si tratta dunque, diciamo così, di prendere atto che il “lavoro” è diventato obsoleto, proprio da un punto di vista capitalistico. Ma se questo può rappresentare una disgrazia in una società del lavoro, potrebbe essere una festa in una società che non si basa più sul lavoro per la propria esistenza.

È bene ricordare che il lavoro che i teorici della Wertkritik contestano non è certo l’operare umano in sé (quello anzi viene “valorizzato”, utilizzando questo termine nel senso migliore possibile e opposto a quello del capitalismo). Il lavoro che viene contestato è quello che Marx definisce “lavoro astratto”, cioè quello il cui scopo non è di produrre beni e servizi per il benessere delle persone, magari in un contesto di rispetto consapevole del mondo, ma quello di generare profitto e aumentare feticisticamente l’accumulazione monetaria in vista di nuovi investimenti che riproducano lo stesso ciclo ad infinitum. Per il “lavoro astratto” produrre bombe atomiche, biciclette o alimenti bio è esattamente la stessa cosa, quello che importa è che il suo risultato riesca a garantire una produzione di plusvalore attraverso la quale rinnovare, e incrementare, ogni volta il ciclo non virtuoso dell’accumulo di capitale3.

Per questo motivo abbiamo ritenuto importante riproporre questo testo, che affronta una tematica che pare quanto mai lontana dal sentire comune e dalle cronache dell’oggi – ma invece quanto mai centrale per le sorti del capitalismo (e quindi anche del nostro quotidiano).

Per finire, un brevissimo accenno ai testi proposti nel libro.
Innanzitutto, abbiamo mantenuto il testo del Manifesto contro il lavoro nella versione originale, cioè quella uscita in Italia con DeriveApprodi nel 2003. I concetti espressi crediamo restino validi sine die, almeno finché domina la società del lavoro. Alcuni riferimenti e nomi invece sono decisamente anacronistici, perché riferiti esplicitamente all’epoca della pubblicazione. Li lasciamo perché, di fatto, rappresentano un modus universale di essere del potere e delle sue “maschere di carattere”.

Il testo di Anselm Jappe Dalla critica del valore alla critica del lavoro, pubblicato con il titolo Il Gruppo Krisis, la critica del lavoro e il “primato civile degli italiani” nell’edizione citata del 2003, dove appariva come post-fazione, diventa qui la pre-fazione, per l’occasione rivista e ampliata dallo stesso Jappe, cui seguono il Manifesto contro il lavoro vero e proprio e gli altri due testi già contenuti nell’edizione del 2003, cioè La dittatura del tempo astratto, di Robert Kurz, e Il superamento del lavoro. Uno sguardo alternativo oltre il capitalismo di Robert Kurz e Norbert Trenkle, che all’epoca ancora collaboravano. A chiudere, il testo di Norbert Trenkle a cui abbiamo già accennato, cioè Il “Manifesto contro il lavoro” vent’anni dopo, dove Trenkle fa il punto sugli esiti del Manifest e ne ribadisce l’attualità, sia pur sottolineandone alcuni aspetti critici.

Infine, come appendice tre brevi ma significativi quanto densi testi, che crediamo possano fungere da degno complemento, ed anche indiretto approfondimento, delle tematiche sollevate nel presente progetto editoriale.

Il primo è una intervista, dal titolo Il canto del cigno dell’economia di mercato, rilasciata al giornale politico TERZ da Robert Kurz nell’aprile 2000, poco dopo l’uscita del suo libro più famoso, lo Schwarzbuch Kapitalismus, cioè “Libro nero del capitalismo”4. Ciò che rende particolarmente interessante questa breve intervista è l’importante quanto raro accenno che fa qui Robert Kurz alla necessità di un’altra “soggettività” e un’altra “cultura” come presupposti essenziali e irrinunciabili per un autentico cambiamento. La “lotta” contro la formattazione capitalistica del nostro essere è altrettanto importante quanto quella contro il valore e la mercificazione del mondo.

Il secondo è un recente scritto di Norbert Trenkle (qui leggermente modificato, in accordo con l’autore), pubblicato inizialmente nel 2022 sul giornale tedesco Jungle World, dal titolo Rottura qualitativa. Sull’attualità della critica del lavoro. Qui Trenkle ribadisce, in modo estremamente sintetico, le motivazioni di fondo per le quali il lavoro è corresponsabile, con il capitale, dei mali cui è sottoposto il nostro vivere sociale, e quanto la necessità di liberarsene sia ancor più stringente e necessaria oggi, in tempi di crisi estrema per la valorizzazione capitalistica.

Il terzo, infine, è un importante testo di Robert Kurz che ha come titolo Il duplice Marx. Questo testo, scritto in occasione dei centocinquanta anni dall’apparizione del Manifesto del Partito Comunista, apparve sul giornale brasiliano Folha de Sao Paulo, con cui Kurz ha collaborato a lungo. Qui Kurz indica acutamente come il Marx del movimento operaio, quello osannato dai molti proseliti che spesso usano proprio il Manifesto del Partito Comunista come “libro sacro” per giustificare la loro adesione incondizionata alla fede operaia, non sia l’unico, ma esista un “altro Marx”, un Marx “esoterico” che traspare dai suoi scritti ma che è rimasto indietro rispetto a quello del “movimento operaio” e del “lavoro”. Questo altro Marx, critico invece spietato del sistema capitalistico nelle sue radici, è quello che interpreta e in un certo senso “disvela” i meccanismi interni di questo sistema, e il loro necessario incamminarsi verso una crisi definitiva che si preannuncia drammatica e duratura. Un Marx “altro” da riprendere oggi, in un momento storico in cui la sua lettura della crisi del capitale, rimasta finora per lo più sottotraccia, si rivela particolarmente attuale.

Una curiosità: quest’ultimo testo (Il duplice Marx) termina richiamando la necessità di un “nuovo” Manifesto, la cui lingua deve essere ancora trovata. Non sappiamo se il presente Manifesto, questo “contro il lavoro”, sia già quello a cui alludeva Kurz con questa frase. Crediamo comunque sia un testo, anche perché volutamente “irriverente” e “provocatorio” rispetto a molte tesi classiche della sinistra, estremamente stimolante, in grado di porre problemi e sollevare questioni di importanza fondamentale in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo, che sembra ben lungi dal trovare soluzione.

Per ultimo, un doveroso ringraziamento ad Afshin Kaveh, la cui generosità, disponibilità e competenza nel revisionare i testi ci ha messo in grado di portare a termine in tempi congrui e con il dovuto rigore la presente pubblicazione, e a Sonia Bibbolino, la quale ha reso possibile un’ultima revisione complessiva del libro, emendandolo dai molti refusi.

Buona lettura.


* Redazione dell’Anatra di Vaucanson.

Note:
1.Per approfondimenti sulla Wertkritik e la sua storia, può essere utile la consultazione di questi due articoli: Anselm Jappe, Una storia della critica del valore attraverso gli scritti di Robert Kurz e Klaus Kempter, L’importanza della critica del valore e della critica della dissociazione-valore per la scienza della storia
2. A questo proposito, cf. Robert Kurz, Das Weltkapital, Tiamat, 2005 (tr.it.: Il capitale mondo, Meltemi, 2022).
3. Per approfondimenti sul concetto di “lavoro astratto” rimandiamo alla prefazione di Anselm Jappe Dalla critica del valore alla critica del lavoro.
4. Un titolo, ad onor del vero, che non era quello che l‘autore aveva pensato per quest’opera. Il titolo che aveva prescelto (die Mühlen des Teufels, in italiano “I mulini del diavolo”) non indica, infatti, una semplice replica ai vari “libri neri” sul comunismo, in voga all’epoca. Piuttosto, richiama una critica feroce e sostanziale al sistema del capitale all’interno del quale Kurz pone anche il modello del socialismo reale, “vittima” soltanto presunta della potenza capitalistica, la quale – secondo la vulgata – avrebbe vinto questa lotta fra titani, solo apparentemente opposti. L’intervista è rintracciabile, comunque, anche in rete, all’indirizzo https://anatradivaucanson.it/dibattiti/il-canto-del-cigno-delleconomia-di-mercato, corredata di un commento ad hoc, grazie al quale è possibile approfondire l’argomento.

Add comment

Submit