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illatocattivo

A proposito di «Ai nostri amici»

R. F.

ai nostriIl testo che segue è una critica di Ai nostri amici, l'ultima impresa editoriale del Comitato Invisibile. Teniamo ad avvertire il lettore che tale critica non sarà assolutamente esaustiva, giacché il testo in questione meriterebbe di essere decrittato in maniera assai più profonda di quanto si possa fare nello spazio di poche pagine; ci limiteremo dunque ad esaminare alcuni dei postulati fondamentali che ci sembrano costituire il nucleo teorico del libro.

Ai nostri amici rappresenta un buon esempio di come un bricolage concettuale conservatore possa spacciarsi per rivoluzionario; farne la critica non è un'impresa agevole, tanto più che l'opera in sé è a prima vista densa, perfino sovraccarica. Ciononostante, dopo un'attenta lettura, ci si accorge che il suo cuore pulsante si riduce ad una manciata di deboli proposizioni, che potrebbero passare perfettamente inosservate nel magma all'interno del quale galleggiano.

 

L'Occidente

L'Occidente è l'ossessione del Comitato Invisibile: ai suoi occhi esso concentra tutti gli orrori della civiltà. Esso è dunque sinonimo, indistintamente, di capitalismo, imperialismo, colonialismo, distruzione della natura, volontà di dominazione dell'altro etc. Ma l'uso di una simile nozione ci appare sospetto, giacché questa opposizione rigida tra l'Occidente e il Resto non fa che rovesciare la visione imperialista o conservatrice che fa di questo stesso Occidente un assoluto. Insomma, il Comitato Invisibile è Spengler (o Alain de Benoist, se si preferisce) messo a testa in giù. La genesi occidentale del modo di produzione capitalistico, evidentemente innegabile, si trasforma in colpa metafisica. Inversamente, ciò che è non-occidentale ne risulta ontologicamente valorizzato. La civiltà occidentale moderna è dunque il male assoluto. Viene da chiedersi cosa ne sia dei precedenti 20.000 anni di società di classe e di sfruttamento dell'uomo sull'uomo: l'Occidente sarebbe quindi sbarcato da un altro pianeta? Il Comitato, che sicuramente adora le «genealogie» del nietzschianismo di sinistra, dovrebbe sapere che:

«Lo stesso termine di Occidente, opposto a quello di Oriente, è stato creato per designare questa rottura [tra Chiesa romana d'Occidente e Chiesa romana d'Oriente, nda] all'interno di una stessa civiltà e di una stessa religione.» (Georges Corm, Storia del Medio Oriente, Jaca Book, Milano 2009, p. 28).

Avendo ormai posto l'Occidente – dalla Francia storicamente colonizzatrice all'Irlanda arci-colonizzata dall'Inghilterra – e il non-Occidente come due essenze esteriori l'una all'altra, cosa ci dice dunque il Comitato Invisibile in merito al primo?

 

Produzione e circolazione

In materia di analisi del funzionamento del capitale, la tesi fondamentale del Comitato Invisibile risiede nella sparata seguente:

«[...] il processo di valorizzazione della merce [...] coincide con il processo dicircolazione che, a sua volta, coincide con il processo di produzione, il quale, d’altronde, dipende in tempo reale dalle fluttuazioni finali del mercato.» (Comité Invisible, À nos amis, La Fabrique, 2014; trad. it.: Ai nostri amici, senza ulteriori indicazioni, p. 92; d'ora in avanti verrà indicato soltanto il numero di pagina dell'edizione italiana).

A costo di essere brutali, va detto che questa affermazione non significa assolutamente nulla. In primo luogo, è il capitale – o al limite il valore – che si valorizza; la merce non fa nulla di per se stessa: essa è soltanto un supporto, un momento necessario nel ciclo per mezzo del quale il capitale perviene a valorizzarsi; quando la merce si presenta come tale sul mercato, il plusvalore è già stato prodotto, deve «solo» essere realizzato attraverso la vendita. In secondo luogo, la coincidenza fra processo di produzione e processo di circolazione è un'impossibilità logica: la sfera della circolazione non aggiunge alcun valore al valore già prodotto; inoltre, essa è sempre separata nel tempo e nello spazio dalla sfera della produzione, salvo supporre che lo stesso lavoratore – in virtù di non si sa quale ubiquità – possa essere operaio di Goodyear e simultaneamente cassiere da Mister Auto. Riassorbire la produzione nella circolazione, o viceversa, non può che significare confondere lavoro produttivo e improduttivo, lavoro che si scambia contro capitale e lavoro che si scambia contro reddito, e dunque restare intrappolati nel feticcio della distribuzione, che dissolve la specificità del lavoro che produce plusvalore nella totalità dei redditi da salario.

Ora, ciò che è ancor più importante per decifrare il testo di cui ci occupiamo qui, è che a partire dai rapporti di distribuzione, ovvero a partire dalla indistinzione fra lavoro produttivo e improduttivo, si può criticare tutto: la merce, il denaro, le disuguaglianze, perfino lo Stato – tutto, salvo il capitale, poiché solo il lavoro produttivo lo produce. Non è questione di essenzializzare il lavoro produttivo identificandolo con una qualche figura mitica, tanto più che la produzione di plusvalore non si limita all'«industria» nel senso abituale del termine (diversamente da ciò che presuppongono gli anti-marxisti); il carattere produttivo o meno del lavoro va determinato al livello dell'operaio collettivo, «socialmente combinato» (ed è del resto ciò che Marx non smette di affermare nel Capitale, così come nei Lineamenti fondamentali e nelle Teorie del plusvalore). Ciononostante, è importante avere le idee chiare su questo punto, onde mantenere ferma la distinzione tra lo strutturante e lo strutturato, senza perciò ridurre lo strutturato ad un epifenomeno privo di realtà (è questo un nesso fondamentale).

Delle «insurrezioni che sono venute», il minimo che si possa dire è che per l'appunto hanno toccato ben poco (in ogni caso, non a sufficienza) il «segreto laboratorio della produzione sulla cui soglia sta scritto: No admittance except on business». Il Comitato Invisibile pensa di poter aggirare questa difficoltà in maniera puramente intellettuale, lasciando intendere che la produzione di plusvalore sarebbe incomparabilmente più diffusa che in passato. Ora, o ciò è semplicemente falso, oppure è sempre stato così. Se fosse altrimenti, come avrebbe potuto Marx scrivere ciò che segue?

«Milton, che scrisse il Paradiso Perduto, era per esempio un lavoratore improduttivo; ma lo scrittore che fornisce lavoro di fabbrica al suo editore è un lavoratore produttivo. Milton creò il suo poema al modo stesso che il baco da seta genera la seta, cioè come estrinsecazione della sua natura; poi vendette per 5 sterline il suo prodotto e così divenne trafficante di merci. Ma il letterato proletario di Lipsia che produce libri (per esempio, compendi di economia politica) su comando del proprio editore si avvicina ad essere un lavoratore produttivo nella misura in cui la sua produzione è sottoposta al capitale e ha luogo al solo fine di valorizzarlo. […] Un insegnante che impartisce lezioni a scolari non è un lavoratore produttivo; ma se viene assunto come salariato, insieme ad altri, da un istituto trafficante in sapere, per valorizzare col proprio lavoro il denaro del suo proprietario, è un lavoratore produttivo [...]» (Karl Marx, Il Capitale: Libro I, capitolo VI inedito, a cura di Bruno Maffi, Etas, Milano 2002, p. 67).

Ciononostante, la produzione di plusvalore non è mai stata, né mai sarà, così diffusa e ampia da coincidere con la sfera della circolazione. Certo, il plusvalore prodotto dev'essere realizzato attraverso la compravendita della merce sul mercato e, in questo senso, il processo di circolazione è essenziale per la riproduzione del capitale; ma non costituisce altro che tempo di devalorizzazione del valore già prodotto. Lo slogan «Blocchiamo tutto!», celebrato dal Comitato, corrisponde all'idea che sarebbe possibile interrompere la produzione del plusvalore a partire da un punto qualsiasi sulla superficie della società. L'esempio che ci viene presentato, è quello del movimento francese contro la riforma delle pensioni del 2010, in particolare in rapporto al settore delle raffinerie. Ci viene detto che queste ultime hanno potuto essere bloccate pressoché da chiunque, ciò che rappresenta palesemente un accecamento, se non una mistificazione pura e semplice: da un lato, infatti, gli scioperi non furono affatto lanciati da «chiunque»; dall'altro, i blocchi fuori dei siti produttivi rimasero un sostegno esterno agli scioperi, e in nessun momento scomparve la frontiera tra il «dentro» e il«fuori». Ciò significa, semplicemente, che il movimento non fu in grado di far esplodere le separazioni e le identità particolari. D'altra parte, questa narrazione ricolma di esagerazioni, e i riferimenti a certi settori particolari, caratterizzati da un'alta composizione organica del capitale che non ha nulla di inspiegabile, servono al Comitato ad atteggiarsi a profeta del «blocco», nonché a fornire il proprio contributo al consensus post-moderno sulla sparizione della classe operaia – che è, lo sappiamo bene, il terreno sul quale tutti, compreso il Comitato Invisibile, si riconciliano con Toni Negri e altri detestati commoners.

 

Totalità

Dal punto di vista strettamente filosofico, il Comitato Invisibile si vuole discepolo di Foucault, desiderante e flussista, e dunque – ci mancherebbe altro – anti-marxista, anti-dialettico e anti-hegeliano. Ciò malgrado, per sfuggire a Hegel non è sufficiente volerlo. Quella che il Comitato Invisibile chiama «l'Epoca» (ovvero il periodo attuale), altro non è che la totalità espressiva hegeliana: non gerarchizzata, priva di centro, essa esprime in ciascuna delle sue parti lo stesso principio semplice (ciascuna delle sue parti è pars totalis); il suo principio è una sorta di Spirito del Mondo privo di incarnazione (diversamente da quello di Hegel, con i suoi individui «cosmicostorici»: Alessandro il Grande, Giulio Cesare etc.) che la attraversa da parte a parte, un po' come la politica presso gli antichi Greci o la religione nel Medio Evo. Eppure, né il Medio Evo poteva vivere di cattolicesimo, né Atene o Roma della politica; al contrario, le condizioni economiche del tempo spiegano perché là il cattolicesimo e qui la politica, giocassero «il ruolo principale» (cfr. Karl Marx, Il Capitale, Einaudi, Torino 1975, Libro I, tomo 1, p. 99, nota 33).

Dal canto suo, il Comitato Invisibile non smette di affermare la centralità dell'etica e delle sue verità: sarebbe proprio l'etica (senza scherzi!) il fattore in grado di spiegare l'ascesa dell'islamismo nel mondo arabo, la capitalizzazione politica delle primavere arabe da parte di questo stesso islamismo, così come i recenti misfatti dello Stato Islamico. Malgrado questo «carnevale permanente dell'interiorità feticizzata», il nostro Comitato non si scorda di ridiscendere sulla terra e di farsi un poco più materialista, quando si tratta di rendere conto, un po' più esplicitamente, della geniale strategia da proporre per altre «insurrezioni» a venire.