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bandierarossa

Pane, cittadinanza e sicurezza

di Norberto Fragiacomo

Mix vignette Mauro Biani reddito cittadinanza e flat tax manif18mag18Più ancora del borioso e divisivo Governo Renzi quello attuale sta catalizzando su di sé sentimenti opposti, che vanno da un’implacabile avversione a genuini entusiasmi (tralascio l’opposizione sempre più sbracata del PD: fino a ieri viva voce dei mercati, i suoi esponenti si sgolano oggidì nei panni di ultras dello spread).

I sostenitori, va riconosciuto, sono in larga maggioranza: le loro schiere, tuttavia, sono per lo più formate da “gente comune” che fa di necessità virtù, e per difetto di alternative affida le proprie preci alla trimurti Conte-Di Maio-Salvini. Meno numerosi sono coloro – in buona parte di provenienza marxista – che motivano il proprio appoggio con argomenti più articolati, assegnando in sostanza a questo anomalo esecutivo un ruolo che potremmo definire di “guastatore” nei confronti del fortilizio europeo e liberista. Eccesso di fiducia e ottimismo? Mi piacerebbe avessero ragione, ma a essere onesto coltivo parecchi dubbi sugli intenti “rivoluzionari” dei c.d. gialloverdi e soprattutto sulla loro determinazione, sulla capacità di tenuta di fronte agli assalti esterni: benché indebolita dalle stramberie di Trump, la finanza euroatlantica sa di non potersi permettere una tattica attendista (e difatti ha già scatenato il personale politico di servizio, da Juncker ai figuranti piddini).

Del pari non condivido l’atteggiamento di quanti (la quasi totalità della sinistra-sinistra) contestano il governo qualsiasi cosa faccia, scorgendo dietro ogni sua azione un perfido inganno. Si tratta di una condanna aprioristica, che non abbisogna di prove perché fondata sul “fatto notorio” che le forze politiche al potere sarebbero fasciste, razziste ecc.1 Questa posizione appare dialetticamente robusta solo perché puntellata dai media e dai loro ispiratori, che comprensibilmente la giudicano funzionale alle proprie esigenze.

Personalmente non mi dichiaro né a favore né contrario, considerato anzitutto il poco tempo trascorso dall'insediamento: all'indomani del voto espressi scetticismo sulla bontà dei programmi elettorali di Lega e 5Stelle, ma qualche mese dopo sostenni il loro diritto a governare contro chi voleva a tutti i costi la nascita di un esecutivo “tecnico”, cioè votato dai mercati. Ho approvato (con le debite riserve) il Decreto Dignità, riconoscendovi un passo di lato rispetto alla precedente marcia liberista, nonché l’accordo sull'Ilva e la posizione assunta sulle concessioni autostradali, ma alle promesse dovranno seguire i fatti, e le azioni dei nostri neofiti tradiscono sovente un certo impaccio.

Di sicuro questo governo tricipite si distacca dai precedenti sotto il profilo dei comportamenti pubblici - comportamenti intesi in senso stretto. Per enfatizzare la “novità Monti” i media si gettarono come tarme sul suo loden, con il giovane (per antonomasia) Matteo Renzi il gioco fu ancor più facile, ma entrambi i premier si limitarono ad adattare il “politichese” alle proprie esigenze, interfacciandosi col popolo solo per ammonirlo/educarlo (il primo) e per blandirlo grossolanamente (il secondo). Concluso il bagnetto di folla, le distanze con le masse permanevano inalterate. I nuovi arrivati, invece, appaiono diretti e spontanei – talora persino naif. I sorrisi e la gestualità di Conte non hanno nulla di artefatto, e lo stesso Matteo Salvini – benché sia un comunicatore abilissimo – sembra trovarsi a suo agio in ogni occasione. La sorpresa però è Di Maio: prima delle elezioni veniva descritto come un post-democristiano, un moderato grigio e calcolatore – oggi scopriamo in lui un capopopolo tagliente, pugnace e incisivo. A impressionare non sono gli strafalcioni (ingigantiti dall'ostile propaganda mediatica: in realtà parla piuttosto bene), ma schiettezza e assenza di “diplomazia”: adopera quasi sempre a proposito termini forti – si pensi all'uscita sull'infame Jobs act – e quando c’è da contrattaccare UE, istituzioni e Moscovici vari non si tira affatto indietro. Più che un vicepremier pare un militante arrabbiato - e questo agli italiani non dispiace, dopo anni di euroinchini e concioni sulla responsabilità in salsa globalista. Populismo? Senz'altro, ma l’azzeramento delle citate distanze unito alla passione – che presumo sincera – scalda i cuori come non accadeva da tempo. Non è tutto: quest’anomala maggioranza cresce nei consensi anche perché pare intenzionata ad attenersi ai programmi elettorali. Le campagne passate ci avevano abituato a un massimalismo parolaio (tanto a destra quanto a “sinistra”) che poi, a urne chiuse, cedeva il passo a sano realismo neoliberale: per anni i desiderata delle lobby sono stati esauditi al volo, senza bisogno di diffide – anche i toni dei politicanti, in precedenza accesi, si ammorbidivano di colpo al primo ingresso in parlamento. Adesso sembra accadere l’esatto contrario: ai placidi ammiccamenti (all'Unione, alla finanza ecc.) di gennaio-febbraio hanno fatto seguito un piglio deciso, una retorica incendiaria.

Non si tratta solamente di chiacchiere: la scelta – al limite della temerarietà – di alzare il deficit al 2,4% del PIL ha anzitutto una valenza simbolica: è quasi un guanto di sfida alla Commissione UE. Poco importa che negli esercizi scorsi la soglia sia stata quasi sempre raggiunta, talvolta superata: le stime iniziali erano ossequiosamente basse, i successivi via libera piatiti in cambio di concessioni – e comunque il surplus ha imbandito le tavole di banchieri, grandi imprenditori, finanzieri ecc. I mercanti possono accettare sotterfugi e furberie, non l’insubordinazione – poiché una rivendicazione di sovranità è ai loro occhi blasfema negazione della tesi globalista e pan-finanziaria che ha inferto alla nostra Costituzione la ferita purulenta del nuovo articolo 81 (L. Cost. 1/2012).

Non è casuale che i bigotti del pensiero unico vadano ripetendo in giro, in queste giornate d’ottobre, che la manovra abbozzata nel Def sarebbe “incostituzionale” perché contraria alle regole del pareggio di bilancio su cui, secondo l’articolo 1 della loro Costituzione materiale, la Repubblica (ex) democratica si fonda2 .

Ma è davvero così innovativa ‘sta benedetta manovra? Direi di sì, anche se la presenza di un elemento di novità non equivale di per sé a certificato di garanzia… di sicuro il ritorno a un sistema pensionistico a misura d’uomo e il c.d. reddito di cittadinanza di marca 5stelle segnano ulteriori passi di lato dopo quelli citati in apertura3 . Del reddito si sa ancora poco, se non che dovrebbe partire dai 780 euro mensili netti e che sarebbe erogato sotto forma di carta prepagata. La card – ci dicono – sarà utilizzabile per l’acquisto di generi di prima necessità e comunque non voluttuari: sempre che non si voglia imporre ai fruitori una dieta salutista (questa sì sarebbe una mancanza di rispetto!) ha tutta l’aria di una misura di buon senso, più che da “Stato etico”. Il risultato prevedibile? Una larga fascia di popolazione, oggi impossibilitata a farlo, ricomincerebbe a consumare, con benefici effetti sulla domanda di beni e servizi (che, come Keynes insegna, è la benzina del reddito nazionale, cioè del PIL). Si può non essere entusiasti dello strumento (io non lo sono: da socialista preferisco i diritti4 ), ma esso potrebbe favorire la crescita anziché preconizzate derive oblomoviane, visto e considerato che per non perdere il beneficio toccherà seguire corsi di formazione, prestare attività a favore della comunità ecc. Una mano offerta ad amministrazioni locali in disarmo perché strangolate da un decennio di lacci legislativi sarebbe benvenuta e preziosa anzitutto per i cittadini, ma c’è un’altra ricaduta positiva che preme sottolineare: disporre del(lo stretto) necessario per vivere significa non essere più costretti ad accettare qualsiasi lavoro, anche degradante e schiavistico. Il reddito pentastellato potrebbe infrangere le catene di riders, operatori di call center, raccoglitori di pomodoro ecc., costringendo la parte datoriale ad offrire condizioni decenti. Ai negrieri la cosa non andrà ovviamente a genio… peggio per loro: se il risultato dell’introduzione fosse un rapido affrancamento dalla servitù la parola “cittadinanza” non sarebbe stata spesa a sproposito.

Chiaramente non è tutto similoro quel che luccica.

L’attuale esecutivo sembra aver ereditato dai predecessori la convinzione che il modo migliore di affrontare le criticità sia aggravare le sanzioni esistenti e introdurne di nuove: quest’approccio ha reso ormai l’Italia un Paese in cui dei reati più gravi si occupa Beccaria, di quelli minori e delle infrazioni d’altra natura Dracone.

Il Decreto Sicurezza e Immigrazione, firmato ieri dal Presidente della Repubblica, è farina del sacco leghista, ma è stato apertamente condiviso da Giuseppe Conte: esprime dunque anche il punto di vista dei 5stelle sulle due tematiche. Che sia un provvedimento da “destra d’ordine” è innegabile, che s’ispiri a logiche liberticide (come taluni pretendono) mi pare francamente esagerato.

All'interno del Titolo I, dedicato all'immigrazione, la norma che ha forse suscitato maggior scalpore è quella - contenuta nell'articolo 14, comma 1, lett. d)5 - relativa alla revoca della cittadinanza (ecco un tema che ritorna, stavolta in differente contesto). Essa prevede che lo straniero/apolide che abbia acquisito la cittadinanza italiana in conseguenza della nascita sul territorio nazionale (naturalmente al raggiungimento della maggiore età), per matrimonio ovvero concessione presidenziale sia privato del beneficio ove riconosciuto colpevole, con sentenza passata in giudicato, di uno fra i delitti espressamente indicati, tutti ascrivibili alla categoria “terrorismo” (d. commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, delitti di associazione terroristica, banda armata, assistenza ai membri di associazioni sovversivi o terroristiche, addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale).

Una prima annotazione: già a legislazione vigente la cittadinanza si può perdere. I casi sono quelli di prestazione del servizio militare o di assunzione di un impiego presso uno Stato in guerra con il nostro et similia.

La perdita è dunque conseguenza di quello che potremmo definire lato sensu un “tradimento”, cioè di una condotta infedele nei confronti della Nazione: aggiungere alle fattispecie già previste gli atti di terrorismo non è evidentemente irragionevole, visto che la loro commissione configura un’esplicita dichiarazione di guerra allo Stato.

Ciò che differenzia l’ipotesi di nuovo conio dalle precedenti è il fatto che a poter essere spogliati della cittadinanza non sono tutti gli italiani, ma soltanto quelli di origine straniera: in questa disparità di trattamento consisterebbe l’ipotizzata incostituzionalità della disposizione.

La scelta legislativa non è frutto del caso o di astratte valutazioni: il chiaro intento è quello di dare una risposta adeguata a certi comportamenti delinquenziali che, riportati dai media, hanno suscitato notevole sgomento nell'opinione pubblica.

Ora, si potrebbe argomentare che se il cittadino “di sangue italiano” viene privato del suo status per essersi arruolato in un esercito straniero analoga sorte andrebbe riservata a tutti coloro che, indipendentemente dalla nazionalità degli antenati, imbracciano le armi senza vestire una divisa: a violazione simile sanzione affine! Si è voluto invece dare un esempio, e non sempre gli esempi sono compatibili con le regole giuridiche… Una possibile linea difensiva da adottare in una futura controversia sarebbe la seguente: chi, non essendo nato italiano, chiede di diventarlo si assume (senza che nessuno glielo imponga) un impegno e una responsabilità maggiori di quelli richiesti all’autoctono – pertanto la violazione del patto di cittadinanza è più grave, e giustifica un trattamento particolarmente severo. Ad ogni buon conto direi che l’articolo 14 introduce una forzatura non necessaria.

Più insidiose sono, a parere dello scrivente, alcune disposizioni rinvenibili nel Titolo II, miranti a reprimere condotte delittuose. L’idea di dotare le polizie locali dei grossi centri urbani di armi a impulso elettrico (art. 19) suscita senz'altro curiosità, ma gli articoli 30, 31 e – soprattutto – 23 destano sincera preoccupazione. Le prime due norme inaspriscono – raddoppiandole – le pene per chi promuove od organizza l’occupazione arbitraria (ovvero l’attua in armi) di terreni od edifici altrui ed estendono a detta fattispecie l’impiego delle intercettazioni. Ora è palese che la formula dell’articolo 633 c.p. (“invade arbitrariamente terreni o edifici altrui”) ricomprende condotte diversissime, che vanno dal rifugiarsi per disperazione in una casa sfitta al sottrarla per biasimevoli fini al povero proprietario, e dunque risulta difficile valutare l’opportunità dell’innovazione, fermo restando che malizia suggerisce di interpretarla (anche) come un segnale mandato a certe frange di sinistra.

Suscita invece allarme autentico - perché foriero di pesanti conseguenze - l’articolo 23 del decreto. Fino a ieri il blocco delle strade era punito con una sanzione pecuniaria neppure penale, bensì amministrativa: da oggi viene equiparato a quello (infinitamente più pericoloso per l’incolumità dei viaggiatori!) delle vie ferrate, e chi lo commette incorre in una sanzione fino a sei anni di galera. Altra novità: una condanna definitiva per il delitto in questione impedisce l’ingresso in Italia dello straniero. Attenzione: il blocco stradale è ormai assurto a consueto strumento di pressione esercitato dai lavoratori a fronte di crisi occupazionali, delocalizzazioni ecc… si tratta in fondo di una modalità di protesta clamorosa ma pacifica, che non arreca grossi danni a chi la subisce.

Ecco: questa norma sembra pensata per comprimere drasticamente la “forza contrattuale” dei lavoratori, che si esprime da sempre attraverso la lotta – nel caso di specie una lotta non cruenta, ma che viene perseguita come se lo fosse.

Siamo allora alle avvisaglie di un fascismo prossimo venturo, come pretendono certuni? Non direi: questa deplorevole scelta normativa è pienamente in linea con quelle fatte negli ultimi anni, nel nostro e in altri Paesi “democratici” come USA, Spagna ecc., da governi considerati rispettabili. La cosa peraltro non mi rasserena: non sta scritto da nessuna parte che l’autoritarismo debba presentarsi in orbace. Se non sbaglio, questo Pasolini l’aveva capito… all’incirca mezzo secolo fa.

Nemo propheta in patria.


Note
1 Amano ripetere costoro che questo sarebbe “il governo più a destra della storia della Repubblica”: già obliata la macelleria sociale di Monti? Pardon, dimenticavo: il cattedratico e i suoi professavano l’antifascismo di rito!
2 Ecco un esempio da manuale di propaganda neoliberista, a dire il vero anche piuttosto sfacciata: http://ilpiccolo.gelocal.it/italia-mondo/2018/10/03/news/il-no-all-indebitamento-e-scolpito-nella-costituzione-1.17313092?ref=hfpitsbo-1
3 La flat tax chiaramente no: è robaccia liberista, anche se pensata per favorire i ceti medio-alti che del leghismo costituiscono la spina dorsale. D’altronde, lo dicevamo, quella al governo è una strana coppia di fatto…
4 D’altra parte il paragone fra il reddito e l’elemosina di Renzi in nome della comune appartenenza alla categoria “assistenzialismo” mi sembra onestamente surreale.
5 Nel suo complesso l’articolo consta di n. 3 commi e apporta alcune modifiche alla vigente Legge n. 91/1992 “Nuove norme sulla cittadinanza”.

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Piombi
Tuesday, 07 September 2021 14:02
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Paolo Selmi
Saturday, 20 October 2018 18:15
(segue da intervento #3)


- Nella seconda tappa della riforma (1923) ci fu l'introduzione dei cervonets nello scambio economico nazionale mentre i sovznak, ulteriormente svalutati, erano oggetto di una seconda denominazione: il nuovo rublo ora valeva 100 rubli del '22. Fu in questo periodo che i cervonets gradualmente estromisero i sovznak: se a inizio anno erano il 3% della moneta circolante, già a ottobre erano saliti al 74%. Nei primi sette mesi la loro emissione avvenne a ritmo regolare, ma nei successivi cinque mesi essa subì una forte accelerazione. Causa di emissioni così ingenti fu l'apertura di crediti per grandi somme all'industria che, a causa della svalutazione, non era riuscita nel frattempo a mantenere nelle proprie casse il denaro che aveva soltanto all'inizio della NEP. Già a partire da maggio del '23 i finanziamenti in generale erano andati oltre le reali disponibilità creditizie e avevano assunto un carattere inflazionistico. Conseguenza di ciò fu un ulteriore deprezzamento dei sovznak e il governo li cercò di salvare giocando la sua ultima carta: fu dato ordine di emettere sovznak nella misura massima dell'equivalente di 15 milioni di rubli aurei al mese. Tuttavia, ciò generò scarsità di moneta e a fine estate del '23 scoppiò la "crisi delle monete di piccolo taglio": la struttura complessiva del denaro circolante mutava radicalmente e la quantità di sovznak in circolazione non bastava più per cambiare i cervonets. Questa crisi impoverì l'economia nazionale e iniziarono a comparire in circolazione nuovi surrogati del denaro di piccolo taglio. Il Narkomfin fu costretto a limitare per decreto il cambio indiscriminato dei cervonets sui sovznak: alla quantità di cervonets cambiati doveva corrispondere una pari quantità di sovznak emessa per finanziare i prelevamenti di grano. Ora era il mercato in ultima analisi a determinare la quantità di sovznak da emettere, il che portò a un'ulteriore svalutazione di tale moneta. Nonostante fossero emesse ogni mese decine di quadrilioni (10 elevato 24) di rubli in sovznak, la crisi delle monete di piccolo taglio durò fino all'inverno, quando i prelevamenti di grano si ridussero. Tuttavia, anche il potere d'acquisto del cervonets si era abbassato e a settembre del '23 era il 75% di quello di gennaio. Per impedire un ulteriore deprezzamento, il Narkomfin mutò ancora una volta la sua politica monetaria e riagganciò il tasso di cambio dei cervonets sui sovznak all'indice dei prezzi delle merci. La svalutazione del sovznak prese allora ritmi da capogiro e se ne decise la totale liquidazione.

- Per attuare la terza tappa della riforma monetaria fu necessario liquidare il deficit del bilancio statale. La svalutazione del sovznak aveva dato un enorme contributo a tal scopo in quanto aveva notevolmente ridotto l'entità dei debiti precedentemente contratti. Un ulteriore contributo lo diede lo Stato con l'introduzione in ogni sfera economica dei metodi di bilancio del calcolo economico e degli obbiettivi di piano. Furono così perfezionati i legami economici fra bilancio statale, organizzazioni e aziende. Ritornarono in vigore i severi controlli sul bilancio e sulle spese che avevano caratterizzato i primi tempi della rivoluzione. Per quattro volte furono inoltre emesse obbligazioni con l'obbiettivo di ridurre ulteriormente il debito: come risultato il deficit del bilancio statale al momento della terza tappa della riforma era ridotto al 5,5%. Altro presupposto di questa fase della riforma fu il processo di "denaturalizzazione" della tassazione, ovvero di passaggio dal pagamento in natura a quello in denaro, completato nel 1924. Questa misura incrementò notevolmente il bisogno di denaro da parte del mercato. Furono creati così i presupposti per la terza fase: furono emessi biglietti dal Tesoro, biglietti di Stato e monete di piccolo taglio coniate in una lega d'argento e rame. Allo stesso tempo furono ritirati dalla circolazione i sovznak: il cambio con cui furono ritirati rimase fisso a un rublo di biglietti di Stato contro 50.000 rubli di sovznak nel 1923.

Ormai il governo dei soviet aveva stabilito pieno controllo sulla situazione finanziaria: l'iperinflazione fu infine liquidata e ciò rafforzò i principi del calcolo economico nell'industria, stabilizzò i prezzi, sviluppò il commercio, ampliò i rapporti monetario-mercantili fra città e campagna e creò finalmente una valuta stabile e un bilancio statale senza debiti in un'economia sana e socialista. La rivoluzione bolscevica aveva trionfato non solo nelle piazze e sul campo di battaglia, ma anche in politica economica: per la prima volta nella Storia operai e contadini salivano in cattedra a dare lezioni di economia politica a un Occidente borghese che di lì a poco sarebbe stato travolto dalla crisi del '29. A distanza di novant'anni, resta ancora l'immensa portata storica di quegli eventi a testimoniare la validità di tali lezioni.
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(fonte: http://www.resistenze.org/sito/te/cu/ur/cuurbm08-009932.htm)

Scusami Norberto se ti ho tediato con questo brano, fatto in maniera che oggi definisco artigianale (manca il riferimento bibliografico al testo principale, ovvero "Istorija finansov SSSR (1917-1950 gg.)" di Djachenko (lo trovi qui per lo scarico https://mirknig.online/p/bzsj), un testo prezioso e che andrebbe tradotto in italiano.

Ma il senso del I punto è ora più chiaro. Vuoi prendere di petto il capitalismo? Fai la rivoluzione. Altrimenti fai come stanno facendo loro... e arriviamo al secondo punto

2. Non solo stiamo passando dalla "cella prigionieri" dell'intervento di Gaetano, alla "camera ardente", il che in una prospettiva rivoluzionaria mi preoccupa relativamente. Non ci stiamo mobilitando neppure, a livello di cervelli, di energie, di elaborazione teorica, per creare i presupposti materiali di una transizione al socialismo. Non dovremmo neppure porci la domanda di dove vanno Salvini e Di Maio! Lo sappiamo già. C'è chi dice: facciamogli fare il lavoro sporco... poi arriviamo noi, il settimo cavalleggeri, con il libro in mano a indicare all'Italia in macerie la strada. Non abbiamo neppure fatto le Tesi di Aprile, ma neanche quelle di febbraio, di gennaio... e già una volta, al posto della rivoluzione, nonostante rivoluzionari ben più preparati e ideologicamente motivati di noi, è arrivata la reazione.

Un caro saluto.
Paolo
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Paolo Selmi
Saturday, 20 October 2018 18:00
"La cosa peraltro non mi rasserena: non sta scritto da nessuna parte che l’autoritarismo debba presentarsi in orbace. "
E fai bene a non rasserenarti, caro Norberto. Con il referendum appena fallito, qualcuno aveva provato già a farlo. Due considerazioni veloci, che meritano un approfondimento molto, ma molto più accurato di una semplice controreplica:
1. giustamente nutri "parecchi dubbi sugli intenti “rivoluzionari” dei c.d. gialloverdi e soprattutto sulla loro determinazione, sulla capacità di tenuta di fronte agli assalti esterni". Ti dirò di più: navigando a vista, "come da contratto", come dicono loro, riducendo il nostro "rating" (ammazza che parolone) a spazzatura e poi, di fatto, non proponendo vie alternative a quella capitalistica con cui si trovano d'amore e d'accordo, stanno dimostrando la loro più totale irresponsabilità. Che senso ha "sfidare l'UE" se NON si ha una prospettiva anticapitalistica? Se si frequentano i salotti bene degli industriali italiani e esteri a cui si chiede di investire?

Ti riporto un brano di un lavoro fatto tempo addietro e che mi piacerebbe condividere, perché sinceramente a me non importa nulla di rating, di downgrade, o di altre fregnacce capitalistiche. Ma se fatto in una prospettiva rivoluzionaria come questa sotto descritta:
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La situazione prerivoluzionaria è presto detta. Le spese belliche erano fuori controllo e la massa di denaro circolante al primo marzo 1917 era aumentata di ben 4 volte rispetto al periodo prebellico (laddove invece era stata da decenni vincolata allo standard aureo). Tutto ciò aveva causato un rapido aumento dei prezzi, già al 100% nel 1916, il rublo si era deprezzato di 4 volte rispetto al periodo prebellico e la circolazione monetaria era del tutto disorganizzata. Giunto al potere, il governo provvisorio di Kerenskij non riuscì a fronteggiare tali difficoltà. Cercò di far fronte al bilancio in deficit aumentando le tasse e immettendo nuova cartamoneta, stampandone in 8 mesi tanta quanta ne era stata stampata nei due anni e mezzo di guerra precedenti: circolavano biglietti di grosso taglio e biglietti di Stato. Tuttavia, l'impennata dei prezzi e la speculazione resero inutile tale sforzo e la "fame di denaro" divenne una vera e propria crisi, a cui il governo provvisorio tentò di rispondere emettendo ulteriore denaro. La totale carenza di banconota, specialmente di piccolo e medio taglio, portò persino in alcune città e province all'emissione di monete autonome diverse da quelle statali, con conseguente ulteriore caos e impennata dell'inflazione. Col governo provvisorio iniziò quindi anche la fine del sistema monetario unico nazionale.

Di fronte a ciò i bolscevichi, forti degli insegnamenti di Marx e Lenin, da lungo tempo avevano approntato un loro piano d'azione, improntato a sostituire anche nel settore finanziario i vecchi rapporti produttivi di sfruttamento con quelli nuovi del regime socialista. Attenendosi alle posizioni leniniste sul ruolo delle banche nel sistema della produzione sociale e facendo proprie le lezioni della storia, e in particolare l'errore della Comune di Parigi, che aveva lasciato nelle mani della borghesia le banche, il potere sovietico imboccò subito la strada della nazionalizzazione. L'8 novembre 1917 la Banca di Stato passò sotto l'amministrazione dello Stato socialista. Il 17 dicembre 1917 il Comitato Centrale Esecutivo Panrusso emanò un decreto sulla nazionalizzazione delle banche private (provvedimento decretato rapidamente per il sabotaggio della legge sul controllo operaio a opera dei titolari delle banche private). Tutte le banche azionarie private e gli uffici bancari furono aggregati alla Banca di Stato. Il potere sovietico si preoccupò di salvaguardare gli interessi dei lavoratori che avessero dei depositi. La nazionalizzazione delle banche privò la borghesia di una potente leva economico-finanziaria. Furono inoltre annullati i prestiti interni ed esteri contratti dal governo zarista e dal governo provvisorio. In tal modo il potere sovietico liberò la Russia dalla servitù finanziaria e rafforzò l'indipendenza del paese.

Dopo la presa del potere altrettanto importante fu sin da subito la gestione economica: "inventario e controllo" con cui esercitare il controllo operaio anche sulle finanze. Questa politica economica richiedeva un rafforzamento del sistema monetario e, di conseguenza, la riduzione dell'emissione di banconote e il ritiro dalla circolazione del denaro superfluo. V. I. Lenin ipotizzava di realizzare la riforma monetaria tramite la sostituzione della vecchia moneta con una nuova. Ciò rifletteva la politica del Partito, tesa non ad annientare il denaro dopo la vittoria della rivoluzione ma a conservarne forma e impiego. L'idea centrale del piano di Lenin di riforma monetaria consisteva nel togliere agli elementi capitalisti la possibilità di concentrare nelle proprie mani somme di denaro per contrastare l'inventario e il controllo statale e, al contrario, impiegare il denaro come arma del potere sovietico contro loro. Per fare ciò non bastava solamente sostituire una moneta con un'altra, ma occorreva soprattutto creare le condizioni per la sua stabilità. Per questo motivo il piano leninista era inserito in un sistema complessivo di misure economiche e finanziarie, dirette all'incremento della produttività del lavoro, all'ampliamento degli scambi commerciali e alla regolamentazione dei prezzi, allo sviluppo dei pagamenti tramite giroconto e dei depositi bancari, all'incremento del flusso di denaro per mezzo dei conti correnti, alla regolamentazione dei bilanci finanziari e a un più rigoroso controllo delle entrate e delle uscite con la reintroduzione dopo anni della previsione di bilancio statale. Tutto ciò fu messo in pratica e con risultati incoraggianti, sia pur tra enormi difficoltà, fra la primavera e l'estate del 1918, ma subito rimesso nel cassetto a causa della nuova guerra incombente.

Comunismo di guerra

Se sul fronte militare e su quello della coesione sociale si raccoglievano i primi segnali di riscossa, su quello economico-finanziario si assistette a un arretramento pauroso. Le prime discussioni e le prime sperimentazioni sui salari, le tariffe, i cottimi, gli incentivi furono ben presto travolte dall'inflazione monetaria galoppante. Il governo sovietico non aveva avuto il tempo di creare un suo bilancio e una sua tesoreria. I primi tentativi fiscali furono un fallimento, perché resero poco e provocarono molti risentimenti. Non restava che stampare carta moneta, destinata a deprezzarsi da un giorno all'altro, per cercare di coprire il deficit di bilancio. Come risultato i prezzi raddoppiavano ogni tre mesi. Già nell'autunno '17 il rublo di carta era svalutato di 15 volte rispetto al 1913; alla fine del 1920 esso lo era di 20.000 volte. Circolavano biglietti di credito zaristi, denari emessi durante il governo provvisorio, biglietti di Stato del governo sovietico e sovznak (denaro emesso dal Tesoro senza copertura aurea dal 1919 al 1924). In totale da fine 1917 a metà 1921 la massa di banconote aumentò di 119 volte.

Tutto questo non fece altro che intensificare manovre speculative da parte di affaristi che ricavarono dalla compravendita di denaro enormi profitti. Col salario di un mese l'operaio non poteva comprare più nulla ed era in grado di coprire il proprio fabbisogno alimentare per soli tre giorni. Per garantire la sua sopravvivenza si cercò di compensarlo in natura, cioè con un minimo di beni alimentari (la razione e i pasti alle mense), di indumenti e di servizi, forniti a prezzi fissi, poi addirittura gratuiti. Gli affitti non costavano quasi più nulla: parecchi operai vennero insediati, sia pure in stretta coabitazione, negli alloggi dei benestanti. La parte in natura del salario divenne quindi dominante: essa era il 3,1% nel 1917 e il 93% nel marzo del '21. Oltre a questo ci fu un drastico, quasi monastico livellamento delle retribuzioni, che pure si era cercato di evitare. Incluso il compenso in natura, il salario arrivò ad essere solo il 27-28 % di quello anteguerra. Le razioni erano minime, garantite solo ai lavoratori indispensabili, distribuite irregolarmente e comunque insufficienti per vivere. Si diffusero quindi pratiche illegali e di lavoro nero, con cui intere azienda cercavano di arrotondare i loro redditi e per questo ampiamente tollerate dalle autorità. Garantendo comunque il minimo vitale a tutti tramite la pressoché totale sostituzione del pagamento in contanti con quello in natura si riuscì comunque, anche in questo difficile frangente, a tutelare la classe operaia e i contadini rispetto alle altre classi.

A questo proposito, un effetto positivo del crollo del potere di acquisto del denaro fu la polverizzazione delle enormi accumulazioni monetarie degli elementi capitalisti di città e campagna. L'intero complesso di misure economiche e finanziarie del Partito e del governo era teso a scaricare il peso dell'inflazione non sulle spalle dei lavoratori, ma dei borghesi e dei contadini agiati. In questo consistette la principale differenza con l'iperinflazione conosciuta nei Paesi capitalisti come, ad esempio, la Germania del primo dopoguerra. Tuttavia, lo scambio in natura generò un ulteriore deprezzamento del rublo e portò ulteriore caos nei rapporti monetari: ciò generò idee scorrette sul denaro e sul fatto che esso non occorresse più del tutto. Si giunse a ipotizzare per la società socialista altri elementi di misura del valore, come le "unità lavoro", mentre altri salutavano il continuo deprezzamento come una via naturale all'estinzione del denaro. Queste posizioni comunque contrastavano con la linea del Partito fissata da Lenin ed erano aspramente criticate.

NEP

Dopo la vittoria, come nell'industria e nell'agricoltura, anche nella sfera finanziaria iniziò un forte dibattito per la ricerca di una nuova politica economica. Le misure finanziarie previste inizialmente nella primavera del 1918 non erano più attuabili, a causa degli enormi mutamenti che avevano colpito nel frattempo il giovane Stato sovietico. Tuttavia la direttrice fondamentale della ristrutturazione finanziaria e i principi socialisti di impiego del denaro, del credito e delle finanze, tracciati da Lenin nel 1918, conservarono la stessa alta e vitale ispirazione. Inoltre, l'esperienza raccolta prima della guerra civile rese grandemente possibile il successo delle misure intraprese tra il 1921 e il 1925.

Rispetto dunque al comunismo di guerra, la politica governativa nella sfera monetaria e salariale cambiò radicalmente. Uno dei suoi presupposti fu la creazione di un'unità monetaria stabile. Il pauroso deprezzamento dei sovznak, causa di continui mutamenti dei prezzi e delle proporzioni fra gli stessi, non consentiva infatti di predisporre alcun calcolo economico realistico. Una valuta stabile era necessaria anche per stilare il bilancio statale, organizzare il sistema creditizio e il commercio. I piccoli produttori infatti avevano da tempo abbandonato i sovznak per ritornare addirittura alle monete auree di epoca zarista quando non alla valuta straniera. Tutto questo inoltre era di enorme ostacolo allo sviluppo di qualsiasi commercio fra città e campagna. Inoltre, dal momento che uno dei principi della NEP era includere il Paese nei processi di divisione internazionale del lavoro e sviluppare rapporti di cooperazione con altri Paesi, la nuova valuta doveva essere oltre che stabile anche convertibile e ciò richiedeva la creazione di un sistema monetario dello stesso tipo di quello vigente nei Paesi capitalisti industrializzati.

Un problema era la copertura di questa nuova moneta: c'era chi teorizzava di tornare all'oro, elemento di stabilità e di misura del valore e dei prezzi delle merci; si parlava quindi di "rublo aureo". A questo disegno si opponevano i sostenitori invece di un "rublo mercantile" sganciato completamente dal mercato estero e funzionale unicamente a quello interno. Il volume della sua emissione sarebbe stato determinato da un indice dei prezzi fissato dallo Stato e dal totale della produzione mercantile. Altre discussioni riguardavano invece i tempi di attuazione delle riforme e il ruolo dei sovznak, così deprezzati e così però diffusi come moneta.

Nell'ottobre 1921 i prezzi tornarono a crescere: infatti, con il passaggio alla Nep aumentarono i salari dei lavoratori e dell'industria. Di conseguenza aumentò l'emissione di cartamoneta e i prezzi al dettaglio aumentarono di 30 volte in 9 mesi. In queste condizioni di iperinflazione anche indicizzare i prezzi si rivelò inefficace: furono tentale le strade del rublo mercantile, dell'indice del Gosbank, dell'indice della Commissione speciale sui prezzi, dell'indice di bilancio, tuttavia nessuna di esse diede stabilità al sovznak. Il Ministero delle Finanze (Narkomfin) e la Banca di Stato (Gosbank) decisero di correre ai ripari e fu ripreso il progetto di affiancare al sovznak un'altra moneta, stabile, convertibile in oro, emessa unicamente dal Gosbank. La nuova moneta venne chiamata cervonets e la sua emissione (novembre 1922) diede il via a una riforma monetaria in tre tappe:

- Nella prima tappa il Gosbank mise in circolazione i cervonets per dei prestiti a breve scadenza al Tesoro, a patto che essi fossero coperti dalle sue riserve di metalli preziosi per almeno il 50%. I biglietti bancari erano impiegati per il loro valore nominale nel pagamento delle tasse e imposte statali quando per legge i pagamenti dovevano essere espressi in oro. Il Gosbank era tenuto a cambiare sempre e comunque i biglietti bancari con i sovznak e aggiornava quotidianamente il tasso di cambio. La stabilità del cervonets era sostenuta dal Gosbank tramite la libera compravendita di oro e valuta estera nel mercato interno. Allo stesso tempo il ministero cercò di stabilizzare il sovznak rendendolo più "pesante" (con meno zeri) realizzando a brevissima distanza ben due "denominazioni". L'obbiettivo era di unificare la circolazione di denaro e semplificare i calcoli economici. La prima denominazione del 1922 fu realizzata per decreto del Ministero delle Finanze: un nuovo rublo veniva ora scambiato con 10.000 unità monetarie di qualsiasi specie circolanti. Fu così che dalla fine del 1922 all'inizio del 1924 coesistettero in circolazione cervonets e sovznak: i primi erano impiegati nel commercio all'ingrosso e nei saldi contabili fra imprese statali ed enti, i secondi nel commercio al dettaglio e nello scambio fra città e campagna. È lo stesso Lenin nel novembre del '22 a fare il punto della situazione al IV Congresso del Comintern:

Anzitutto parlerò del nostro sistema finanziario e del nostro "famoso" rublo. Penso di poter affermare che i rubli russi siano famosi anche solo per il motivo che oggi in circolazione ce ne son di più di un quadrilione! (Risate) È una cifra astronomica. Son sicuro che qui non tutti sappiano cosa realmente significhi. (Risate generali). Ma noi non pensiamo che tale cifra sia in sé interessante dal punto di vista della scienza economica, visto che gli zeri possono essere sempre depennati. (Risate.) In quest'arte abbiamo ottenuto qualche risultato, del tutto ininfluente dal punto di vista strettamente economico e in seguito ricorreremo ancora a essa. Ciò che a noi realmente preme è il problema della stabilizzazione del rublo! Stiamo ora lavorando alla sua soluzione, le nostre forze migliori vi stanno lavorando e stiamo dando a ciò estrema importanza. Se riuscissimo a stabilizzare il rublo nel lungo periodo, e quindi a tempo indeterminato, vorrebbe dire che avremmo vinto. In tal caso tutte queste cifre astronomiche, questi trilioni e quadrilioni, non avrebbero significato nulla. Saremo capaci allora di basare la nostra crescita economica su basi solide. [...] La pratica dimostra che siamo già sulla strada giusta, stiamo iniziando a spingere la nostra economia verso la stabilizzazione del rublo, che è di suprema importanza per il commercio, per la libera circolazione delle merci, per i contadini e per le grandi masse di piccoli produttori.

Il sistema di circolazione parallela ebbe esiti positivi come negativi. Fra i primi, l'economia nazionale ebbe finalmente una valuta sufficientemente stabile, il cervonets, e questo scongiurò il pericolo che fossero immesse in circolazione oro e monete straniere. L'espressione in cervonets del credito alle aziende e al commercio si rivelò senz'altro più significativa dello stesso espresso però in sovznak. L'emissione di cervonets e il sostegno dato allo scambio di essi con valuta straniera permisero di incrementare i rapporti con l'economia mondiale e stabilire relazioni con istituti di credito stranieri incrementando così il credito commerciale. A partire da aprile 1924 inoltre il cervonets fu quotato alla borsa valori di New York e dopo due anni nelle maggiori piazze affari del mondo. Tuttavia, questo sistema ebbe anche conseguenze negative. Ci fu una forte speculazione sulla differenza fra il corso ufficiale e quello effettivo del cervonets, che investì tutti gli strati della popolazione. Fu fatto tutto il possibile per gestire il conseguente deprezzamento del sovznak, ma ne soffrirono tutti, a cominciare dallo stesso Stato e istituti di credito pubblici. Il cervonets restava inoltre una valuta prettamente cittadina e in campagna potevano permettersene il possesso solamente i contadini ricchi: si creò quindi una rottura tra i due mercati. Le operazioni contabili divennero più complesse e aumentarono le possibilità di errori contabili e di malversazioni.

(continua)
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gaetano
Saturday, 20 October 2018 14:47
In ogni caso articolo apprezzabile per la disamina nel merito di provvedimenti legislativi. La questione fondamentale resta il famoso "che fare? "
Ma non è cambiato molto, il partito non c'è. Quel che è peggio è che il partito non si fa per il desiderio mio e di qualche altro migliaio. purtroppo solo in una accelerazione della storia si presenteranno condizioni diverse. Oggi è cambiata l'attenzione delle persone "normali", apoliticizzate, in genere molto più aperta ad ascoltare e pronta ad afferrare e comprendere l'inganno e la natura fascista dell'euro e dell'aggressione neoliberista sovranazionale ai diritti ancora presenti nella legislazione nazionale.
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gaetano
Saturday, 20 October 2018 14:31
non giudico l'articolo nel suo complesso, mi fermo a:
"coltivo parecchi dubbi sugli intenti “rivoluzionari” dei c.d. gialloverdi e soprattutto sulla loro determinazione, sulla capacità di tenuta di fronte agli assalti esterni".
Logicamente, questa affermazione deve succedere, non precedere l'analisi. Per un motivo ovvio. Nessun marxista appoggia questo governo perchè crede sia guidato da redivivi Gramsci e Che Guevara. Tutti, inclusi i marxisti, sanno di non poter prevedere con esattezza la vita e la morte delle cose, delle persone e dei governi. Il punto è un altro: Siamo in una cella prigionieri. Ci sono due tizi che stanno provando a fare un buco nella parete per evadere. Non mi interessa il colore della maglietta, non importa se scavano con un cucchiaio o con un martello pneumatico, non sarò certo io a chiamare i secondini per bloccare gli scavatori, anzi, se posso dare una mano mi accodo. Se riesco a uscire fuori dalla prigione, si apre una nuova prospettiva: non sono fidanzato con nessuno dei due, gialloverde o fascioleghista che sia.
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