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La crisi smascherata. Reportage dalla piazza No Mask

di Julia Page

Reportage dalla manifestazione No Mask tenuta a Roma il 5 settembre

WhatsApp Image 2020 09 09 at 10.02.54 10. Una doverosa premessa

Da qualche tempo sembrerebbe essere tornato in voga un vecchio adagio, per cui bisognerebbe «fare quel che si dice, dire quel che si fa». Fedeli a questo assunto, abbiamo pensato che convenire sull’avvento di una nuova composizione di riferimento – le famose piazze «spurie», che sempre di più trovano la loro genesi nel declassamento e nella conseguente crisi di mediazione del cosiddetto ceto medio – per poi etichettare a priori (leggi: senza nemmeno avventurarsi in una di queste piazze) i movimenti in ascesa come «imbecilli», «pazzi» o «reazionari», sarebbe da considerare un’operazione se non problematica, quantomeno inutile.

Per questo, sabato siamo andati a vedere con i nostri occhi la famigerata piazza dei «No Mask», certi del fatto che solo lo sguardo inchiestante possa davvero osservare il presente per tracciare linee di ragionamento scevre da due rischi opposti ma speculari: da un lato, appunto, quello di liquidare ogni momento di piazza che esuli dai nostri rigidi (e ormai ristrettissimi) confini come ontologicamente «reazionario» – magari basandoci solo sulle testimonianze del Gruppo L’Espresso o del Partito di Repubblica, oppure sulle dirette Facebook degli interventi dal palco, dimenticando invece che l’importanza delle piazze, anche nostre, sta, in genere, lontano dai riflettori. Dall’altro lato, invece, sta il rischio di trasformare in feticci cose che non stanno né in cielo né in terra: dire che le piazze di oggi e di domani saranno «spurie» (come se poi ci fossero mai state delle piazze – rilevanti – «pure») non vuol dire esaltare e innalzare a emblema dell’imminente rivolta dei soggetti che vanno in giro vestiti come un Gesù blasfemo che brucia la foto del Papa o quelli che naufragano al largo di Ustica alla ricerca della fine della terra (chiaramente, considerata piatta).

Se da un lato vedere queste energiche e grottesche performance in piazza sicuramente ci solleva dalla ormai constatata noia dei nostri ambiti, non dobbiamo (e non possiamo) approcciarci alla lotta di classe come fosse la Corrida.

Quelle che seguono, dunque, sono delle considerazioni, degli appunti, volti non tanto ad analizzare il potenziale della piazza di sabato, quanto piuttosto le linee di ragionamento che da essa emergono.

 

1. La piazza

Partiamo da una serie di dati di fatto. La composizione che ha attraversato la piazza di sabato era, a dir poco, eterogenea: se la media anagrafica si collocava nettamente nella fascia della «mezza età», non mancavano giovani e giovanissimi – i primi abbastanza curiosi, telefoni alla mano a scattare foto e fare video, i secondi chiaramente costretti dai genitori a prendere parte all’inconsueta gita familiare. Indossavano forse pentole a mo’ di elmetto per proteggersi dalle radiazioni del 5G? No, affatto. A parte qualche isolato soggetto – come il già citato Gesù, o il ventenne in total black che andava in giro gridando che «i salafiti sono i nuovi razzisti» – tutto sembrava straordinariamente normale. Famiglie, anziani, ragazzi – alcuni con cartelli, altri con striscioni raffazzonati, tutti estremamente partecipi, reattivi e concentrati sulle parole che provengono dal palco. C’è poi «Il Popolo delle Mamme», ben identificato dalla maglietta con il logo indossata da tutti i suoi membri, ci sono le bandiere pro-Trump, le bandiere pro-Ratzinger (testimonianza della forte presenza dei fondamentalisti cattolici nella piazza, invitati a parlare anche sul palco), e i cartelli «Make Italy Great Again».

Va bene, vogliamo anche togliervi subito (così da non tornarci più) la curiosità che più vi attanaglia: ma Forza Nuova?! Sì, Forza Nuova c’è, inutile negarlo, e quasi al completo del suo organico. Restano defilati, o meglio, ben mescolati alla folla. L’impressione è che il ruolo svolto da Forza Nuova sia stato più quello di «infrastruttura», che non invece di effettivo «portatore di contenuti»: servizio d’ordine, palco, coordinamento delle realtà e delle associazioni che hanno aderito alla manifestazione – insomma, il know-how di chi è abituato a stare in piazza. Forza Nuova non viene mai nominata, nemmeno quando il suo leader Giuliano Castellino sale sul palco per strepitare (letteralmente) un intervento privo di contenuto politico, di mera agitazione e difesa della «sua gente», accolto peraltro tiepidamente dal pubblico un po’ interdetto. Non è un caso, se si considera il fatto che molte realtà – incluso il magmatico mondo dei Gilet Arancioni capeggiati dal Generale Pappalardo – hanno rinunciato alla piazza proprio per dissociarsi dalla galassia neofascista.

 

2. I contenuti

Gli interventi si succedono uno dopo l’altro, e a parlare sono i personaggi più disparati: alcuni sono francamente assurdi – il neuropsichiatra infantile che sostiene che la mascherina impedisca lo sviluppo di una parte di cervello dei bambini, per cui tra qualche anno non saranno in grado di «distinguere un volto da un albero» (?!) supera di gran lunga l’allieva di Giordano Bruno che ha riscosso tanto successo. Altri, tuttavia, mettono in luce alcune questioni su cui vale la pena soffermarsi.

Il nemico, il popolo e il tricolore

Li chiamano «complottisti» – e, in effetti, nei loro canali Telegram girano delle notizie e dei video degni di Adam Kadmon di Mistero – ma in quella piazza l’unico a nominare Soros e Bill Gates come «nemici del popolo» è Giuliano Castellino. I fischi, gli insulti gridati verso il palco, i «buuu» non sono per i «poteri forti», per la Massoneria – che pure vengono nominati e suscitano grandi reazioni nel pubblico – ma sono tutti per Zingaretti, segretario del Partito Democratico e Presidente della Regione Lazio, per il Movimento 5 Stelle, nella persona di Virginia Raggi e Luigi Di Maio, e soprattutto per i media. Interessante, a questo riguardo, che ad essere preso di mira sia proprio il blastatore Enrico «Mentina» (cit.) Mentana, con la piazza che, con un boato assordante, intona «Mentana, Mentana, vaffanculo!»

Quello che questi soggetti hanno in comune è l’aver tacciato di idiozia, follia o assurdità le istanze portate avanti dalla piazza: a loro, l’establishment, si contrappone l’assunto per cui «Noi siamo il popolo!», slogan ripetuto ossessivamente e riportato sullo striscione – non firmato – di Forza Nuova. Sembrerebbe quasi una forma di opposizione rispetto a chi decide contro il popolo, un’autoinvestitura di potere che, tuttavia, non identifica direttamente un potenziale portavoce istituzionale (Salvini, Meloni o chi per loro). Anche il tricolore, sventolato da più parti, non viene assunto come «sovranismo» statale o monetario, ma come simbolo del popolo. Non c’è la Nazione – anzi, ci sono una certa vergogna e sdegno verso il sistema-Italia tutto – ma c’è il popolo. La netta presa di posizione contro il Movimento 5 Stelle («Bruciamo le bandiere del Movimento 5 Stelle!», «Mettetevi le vostre cinque stelline nel culo!»), d’altronde, lascia ben intravedere il sentimento di tradimento delle aspettative rispetto all’ormai partito di Governo alleato del PD.

Libertà! Libertà!

Ripetuta come un mantra ogni due/tre interventi, la parola «libertà» è l’unica che porta davvero tutti i componenti della piazza a unirsi al coro lanciato dal palco. Uno slogan, peraltro, che non ci giunge nuovo, essendo stato già assunto a suo tempo dai NoVax. «Libertà» di fare cosa, però, non è dato saperlo. Qui si colloca uno dei nodi fondamentali, per comprendere quali spazi di possibilità si aprano, per noi, da piazze come quella di sabato: si tratta di una libertà proprietaria, la liberty americana, cittadinista, antigovernativa ma individualista, oppure di una forma altra, magari mistificata, di un anelito di autonomia e autodeterminazione? O forse un indistinto e confuso miscuglio delle due cose, e probabilmente di altre ancora?

Nessuno tocchi i bambini

«I figli non sono più vostri, sono dello Stato!»: l’intera giornata di protesta, verrebbe da dire, gravitava più intorno ai figli, ai bambini, che non intorno a una negazione dell’esistenza del virus. La questione dei figli, unitamente al protagonismo delle donne-mamme – che, lo specifichiamo a scanso equivoci, è lungi dall’incarnare una sorta di innata coscienza «femminista»: emblematico, in questo senso, l’intervento di un signore che dal palco si autoproclama «fondatore del Popolo delle mamme»; le donne, ovviamente, prendono parola e vengono qualificate come protagoniste solo in quanto madri, ovvero nel loro più tradizione ruolo riproduttivo – sembra riportare al centro uno degli elementi fondativi dell’identità del ceto medio italiano, ovvero la famiglia nucleare, nonché un sorprendente leitmotiv che accompagnava già le piazze No Vax e che affonda le sue radici nella tradizione femminista: «il corpo è mio e decido io» (oppure, «il figlio è il mio e sul suo corpo decido io»), calibrato però sull’obbligatorietà delle scelte sanitarie imposte dal Governo – nella fattispecie, tamponi e vaccini. Anche qui, la domanda resta aperta: siamo di fronte a una reazione alla crisi di senso del ceto medio, sotto forma di un’affermazione di sovranità sulla famiglia nucleare – che dunque trae origine in quella stessa libertyproprietaria che informa la privacy – oppure, ancora una volta, di fronte a un abbrutimento, una polarizzazione estrema di quelle stesse istanze di autodeterminazione e autonomia che abbiamo incontrato, sotto tutt’altra forma, nelle giovani donne che hanno attraversato le piazze femministe degli ultimi anni?

Declino dell’Occidente

Il fatto più stupefacente – lo ammettiamo – è stato sicuramente l’endorsement più o meno esplicito, ma generalmente condiviso, alla figura del presidente Trump, unito a un feroce astio nei confronti della Cina, espresso sia attraverso la più generica opposizione al 5G («Lo usano i cinesi per controllarci») sia attraverso l’esplicita individuazione del Dragone come nemico («cinesi di merda» era la definizione più gettonata). In queste parole sembrerebbe quasi rispecchiarsi – sia chiaro, in forma estremamente banalizzata e grezza – un senso di declino dell’Occidente e della sua civiltà (di cui, in fondo, il ceto medio era pilastro ed emblema), minacciata dall’ascesa di una nuova potenziale egemonia. Anche l’endorsement a Trump non avviene mai sulla base di discorsi «anti-migranti» – discorsi peraltro, ci teniamo a specificarlo, completamente assenti dalla piazza: questo non vuol dire che i manifestanti non li condividano (questo non lo sappiamo), ma semplicemente che a fungere da catalizzatore di questi soggetti non è, per fare un esempio, l’odio verso i migranti – né tantomeno autoritari. Trump sembra essere considerato, piuttosto, come l’unico grande leader capace di arginare il declino della civiltà occidentale, attraverso una fusione, nella sua figura, di vecchi miti – la Nazione, la famiglia e i valori tradizionali, l’economia neoliberista ma industriale e protezionista – e nuova prassi politica: un’immagine forte, radicale, in grado di interpretare tanto le pulsioni di un ceto medio in crisi e di un proletariato rancoroso, stufo di sentirsi definire «zotico» dalla sinistra progressista, quanto gli interessi della borghesia produttiva nazionale.

Il sostegno alla figura di Trump, peraltro, lascia intravedere, in controluce, anche un’inedita – ma forse crescente – porosità dell’immaginario italiano rispetto alle influenze anglosassoni: anche le continue invocazioni all’applicazione e alla realizzazione della Costituzione italiana sembrano essere più vicine, nei loro aspetti «sentimentali» e retorici, al costituzionalismo americano (la Costituzione come atto fondativo dell’identità di popolo), piuttosto che alla tradizione della sinistra del dopoguerra e del PCI.

 

3. Il problema dell’organizzazione

Menzione a parte merita un ultimo punto, ovvero quello delle forme di organizzazione che hanno dato luogo alla piazza. Facendo una (sommaria) radiografia della piazza, possiamo individuare alcuni elementi paradigmatici che ci restituiscono l’immagine di come un soggetto collettivo magmatico e contraddittorio possa trovare forma concreta: se, come già detto, Forza Nuova – unica struttura politica di lungo corso presente – trova posto nella piazza grazie al suo know-how tecnico, la piazza accoglie anche politicanti in cerca di fortuna, i quali, grazie alla loro capacità di tessere relazioni trasversali, riescono a mettere in connessione soggettività prima estranee le une alle altre. Ci sono individui – uno su tutti, il direttore del sito di fake news di estrema destra Imolaoggi – che, nel loro solipsismo cybernetico, riescono a imporsi nell’informazione subculturale dei social come figure di riferimento. Ci sono, soprattutto, le persone – singoli individui – che si organizzano sui gruppi Telegram e Facebook, chat e gruppi che garantiscono un’orizzontalità assoluta in cui ognuno può dire la propria in discussioni spesso confuse e interminabili: con i loro autoeletti portavoce, sono soprattutto questi i soggetti che vivono quella piazza. Nella diffidenza verso ogni tipo di organizzazione politica o voce mediatica tradizionale, in assenza di interlocutori conflittuali credibili, la piazza del terzo millennio – il social network – diventa il luogo dove informarsi, comunicare, divertirsi.

E, soprattutto, incontrarsi: ha ragione chi dice che queste piazze costituiscono anche la risposta a una solitudine imperante, la materializzazione di rapporti costruiti solo in forma virtuale. Camminando per la piazza, abbiamo notato tante, tantissime persone stringersi la mano e concretizzare una conoscenza avvenuta sui social («Ah ma quindi tu sei Sonia!», «Che bello che siete venuti, così finalmente ci conosciamo!»). Badate bene: anche in questo risiede un aspetto grottesco, quasi da balera, con adulti entusiasti e sovreccitati come fossero adolescenti, in un’esplosione di selfie e video spammati nei gruppi Telegram.

Se il magma solipsistico riporta a un’esigenza di incontro, la domanda che resta aperta è: in che modo, e fino a che punto, è possibile organizzare queste soggettività, impregnate di un sentimento di antipolitica, a sua volta acutizzato dal tradimento dell’unico partito che sembrava essere stato in grado di raccogliere queste istanze – il Movimento 5 Stelle? È possibile rovesciare la richiesta di comunità da un piano di soddisfazione individuale – egotico, di riconoscimento, di realizzazione, di senso – a uno di attacco e antagonismo verso lo status quo che, in fondo, ha portato all’impazzimento di queste fette di composizione?

 

4. Alcune considerazioni conclusive

Come già detto, quelle riportate qui sono solo considerazioni parziali, fatte «a caldo»: non tanto per esprimere un giudizio morale, nella dicotomia giusto/sbagliato – peraltro del tutto inutile – sulla piazza dei famigerati No Mask, ma per individuarla come sintomo delle confuse passioni che agitano un pezzo di composizione che va molto oltre l’apparente e ipermediatizzata follia – conseguenza tra l’altro prevedibile in una società che, in fondo, della follia ha fatto una merce centrale da produrre e consumare.

Nella sua specificità un po’ caricaturale – da prendere dunque con le pinze – la piazza-sintomo ci apre invece uno spiraglio, un punto di osservazione su qualcosa di più profondo e magmatico, che tocca pezzi significativi del ceto medio declassato, impaurito, frammentato e impazzito, ma che non ha (ancora) una direzione ontologicamente predeterminata: al momento quella più probabile, per inerzia, non è tanto quella fascista, come si sente spesso dire, quanto piuttosto esattamente quella della «perfetta normalità» di cui si diceva all’inizio – l’istituzionalizzazione dentro gli ingranaggi di funzionamento di una società che produce follia (dopotutto, a pensarci bene, soggetti come Salvini o come Trump altro non sono se non strumenti di stabilizzazione sistemica).

È questo, e non invece le grottesche performance, ad essere di particolare importanza per trovare una risposta alla domanda politica cruciale: è possibile deviare, stravolgere, rovesciare la direzione di questo magma? E se sì, come? La risposta, ovviamente, non la abbiamo. Ma è solo cercando di comprendere che si riescono ad avanzare delle ipotesi.

D’altronde, l’ambivalenza non può diventare uno slogan, un mantra consolatorio da ripetersi in chiave quasi auto-assolutoria: l’ambivalenza ha una sua temporalità, dei suoi luoghi e gradi di intensità, vive dentro rapporti di forza. E allora, è chiusa questa ambivalenza di cui oggi parliamo? In altre parole, è una situazione concreta aperta – e dunque agibile – oppure un destino ineluttabile? Iniziamo a porci concretamente la questione nell'unica forma che politicamente vale, ossia quella dell'inchiesta militante.

Se non lo facciamo, è abbastanza inutile fare i profeti del giorno dopo, di quelli che ti guardano e ti dicono: hai visto, che ti avevo detto? Saremmo morti tutti, prima o poi.

Comments

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Antonio
Tuesday, 15 September 2020 15:52
Manifestazione di irresponsabili egoisti e/o neofascisti .
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Mario M
Tuesday, 15 September 2020 13:02
Scrive Eros Barone: "Come è stato notato dagli osservatori più avvertiti, il negazionismo del virus è prima di tutto una forma di egoismo e una scelta di deresponsabilizzazione. "

L'uso del termine negazionismo tende ad associare molti medici, ricercatori e biologi, che sono critici rispetto a questa follia del covid, a quei gruppi che negano l'olocausto. In effetti questa furbizia del regime ha trovato accoglienza in parecchi intellettuali, dovrei definire questi collaborazionisti!?

Insomma, se vogliamo discutere, ripuliamo un po' il linguaggio.
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Pantaléone
Tuesday, 15 September 2020 08:31
Tuttavia, non indossare una maschera non significa ipso facto una forma di negazione, revisionismo o fascismo, o anche un anatema trotskista che sopprime la negazione.
Poiché abbiamo un dovere morale verso il corpo sociale, invochiamo la "misericordia" della chiesa, perché non indossare una maschera durante le epidemie di influenza stagionale?
Certamente ogni epidemia è un argomento complicato, la comunità scientifica su questa complessità ci dice tutto e il suo opposto.
Santa Bordiga, con una formazione scientifica, ci illumina su questo argomento, per chi vuole dissociarsi dalla forma capitale e dalle sue mistificanti allegorie.
Per quanto riguarda il socialismo, Marx ne fa una sintesi nelle sue risposte a Ferdinand Lassal.
Il socialismo "proteiforme" e in generale il salvatore del capitale.
In ultima istanza ringraziamo la provvidenza, che per esprimersi sull'argomento, non ci merita per il momento, il campo di riabilitazione!

Tradotto con www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)
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Eros Barone
Sunday, 13 September 2020 23:04
"Errata corrige": all'inizio del secondo capoverso si legga (non "I 'mass media' ma) "Il sistema dei 'mass media".
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Eros Barone
Sunday, 13 September 2020 22:59
Come è stato notato dagli osservatori più avvertiti, il negazionismo del virus è prima di tutto una forma di egoismo e una scelta di deresponsabilizzazione. Ma vi è di più, poiché negare l’esistenza stessa del virus è un modo per essere esonerati da qualsiasi forma di pietà e di solidarietà nei confronti delle persone colpite dal virus.
I 'mass media', invece di stroncare questa sindrome di autismo antisociale relegandola nella penombra irrazionale di questa pesante congiuntura, l'amplifica e la estende pur di incrementare, sia pure di pochi punti, il vero capitale dei 'mass media': l’'audience'. Si afferma sempre di più la teoria secondo cui sdottoreggiare, senza alcuna competenza specifica, su argomenti complessi significa esercitare il proprio personale diritto di espressione e si arriva a presentare la campagna negazionista sotto le ingannevoli vesti di una crociata per la libertà. Sennonché la concezione della libertà in nome della quale questa campagna viene promossa è l'emblema del peggiore individualismo possessivo e il suo significato si riassume nel disconoscere qualsiasi dovere di responsabilità nei confronti del prossimo. Così, grazie al rilevante contributo di Internet e degli altri 'mass media' la sindrome autistica del negazionismo, con la sua duplice valenza paranoica e menefreghista, tende a trasformarsi in movimento politico trovando i propri imprenditori, individuando i propri capri espiatori, facendo della paura e del complottismo il proprio cavallo di battaglia. Partendo da queste premesse mistificanti si fanno allora manifestazioni a Londra, a Berlino, a Zurigo e a Roma (ma non a Parigi, dove a scendere in piazza sono ancora una volta gli irriducibili "jilets jaunes"). La pandemia è il grande moltiplicatore delle crisi già in atto: dalla recessione economica mondiale al mutamento degli equilibri tra le potenze, dall'estensione delle aree di conflitto (Vicino Oriente, Mar Cinese Meridionale, Europa nord-orientale, America latina) alle migrazioni, dall’incertezza crescente di un futuro reso sempre più buio dalle micidiali contraddizioni del modo di produzione capitalistico all'enorme danno formativo che stanno subendo le nuove generazioni. Vi è un passo della Bibbia (Isaia 21,11-12) che si attaglia in maniera suggestiva alla pesante congiuntura che i popoli di tutto il mondo stanno vivendo. Esso recita così: «Sentinella, a che punto è la notte? Sentinella, a che punto è la notte?».
La sentinella risponde: «Viene la mattina, e viene anche la notte. Se volete interrogare, interrogate pure; tornate un’altra volta». Sì, torneremo un'altra volta per affermare nei fatti e non solo con le parole che il socialismo è l'unica soluzione giusta, razionale e progressiva dei mali della nostra epoca.
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