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marx xxi

La battaglia attorno al PCI

di Lamberto Lombardi*

Riceviamo da Lamberto Lombardi

lavoro cccp manifestoTrent'anni fa, poco prima del suo settantesimo compleanno, finiva il PCI, per scelta quasi unanime dei suoi dirigenti e con plauso unanime e spesso ironico dei suoi avversari. Fu seguito, in pochi anni, dalla scomparsa di tutti gli altri Partiti della Prima Repubblica.

Trent'anni è un lasso di tempo ampio che ha consentito di sistemare, magari immeritatamente, i La Malfa, gli Zanone, i De Martino, Nenni, e perfino Andreotti, nell'indisturbato album dei ricordi, quello da riaprire solo nelle ricorrenze comandate. Non così è per il PCI.

Sorprendentemente gli sforzi imponenti di collocarlo su di un binario morto della Storia sembrano fallire ripetutamente e lo riscontriamo nell'opinionistica borghese, e non solo in quella espressasi intorno al centenario della sua nascita, lo ritroviamo in quel suo atteggiamento di attenzione non placata, tra il livoroso e lo sprezzante, ma anche in una sua curiosità mai attenuata, volta ad indagare una storia che in nessun modo si è riusciti a ridurre a inerte stereotipo.

Sarà per l'insostenibile leggerezza della politica italiana di oggi, sarà per la dimenticabile teoria dei suoi personaggi e delle sue vicende dimenticate in poche settimane, sarà per l'inveterata abitudine e necessità degli opinionisti nostrani a fare settimanalmente professione di anticomunismo, sarà per un oscuro e non confessabile rimorso, sarà che di quella storia siano in pochi ad averci davvero capito qualcosa, sarà, infine, che quel vuoto non è mai più stato davvero politicamente riempito, ma ci pare che attorno al PCI sia ancora in atto un'aspra battaglia nonostante nulla sembra esistere che la imponga all'ordine del giorno.

Comunque sia queste analisi, anche quelle intraprese da studiosi eminenti e seri, ci lasciano spesso una sensazione di incompiutezza. Comprese quelle portate da studiosi teoricamente 'schierati', quelli che una volta si sarebbe definiti 'organici'. Principalmente perchè analizzare i travagli ed i passaggi politici di quel Partito solo attraverso le diverse posizioni assunte nel tempo dai suoi gruppi dirigenti e attraverso le svolte adottate ufficialmente, come essi fanno, è operazione sicuramente necessaria ma non sufficiente a darci l'idea di quale fosse nella realtà il significato di quella presenza politica ed il suo ruolo nella società italiana.

I filoni di analisi si sviluppano, generalmente, su due direttive, manco a dirlo, contrapposte e che attivano contrapposti spazi di polemica: quella volta a dimostrare la natura del PCI eversiva e incompatibile con la democrazia e l'altra volta a confermarne invece l'anima essenzialmente e/o perfidamente social-democratica.

Del primo filone poco ci sentiamo di dire perchè più che al reale portato del PCI in Italia ha a che fare con la ossessiva reiterazione di una scomunica politica in riferimento alla sua appartenenza al campo del comunismo internazionale, quindi URSS, quindi, orrore, Stalin. E' un filone utile, oggi come ieri, solo alle momentanee fasi della propaganda elettorale per poter additare questo o quello degli avversari ad una scomunica col linguaggio tipico dell'eversione nera.

Diverso è l'interesse nostro per il secondo approccio di studio, quello sulla vera o supposta natura socialdemocratica del PCI, che però attiva da subito diversi paradossi.

Il primo di questi è di riportare agli onori della cronaca una socialdemocrazia di cui si sono perse le tracce in Italia e in Europa da decenni, forse proprio in conseguenza di un tramonto politico, quello dell'opzione comunista, che a rigor di logica avrebbe dovuto spianarle la strada.

Il secondo paradosso segue a ruota, quello rappresentato dal sostanziale, inglorioso e lungo declino, prima politico poi elettorale, di quel PDS, ma anche del PRC finalmente mondatosi dagli oscuri ceppi del centralismo democratico, che nascevano dalle ceneri del PCI per assumere finalmente quell'agognata 'fisionomia' democratica che avrebbe dovuto legittimarne il ruolo politico liberandolo dai veti atlantici.

Quello verso la sponda cosiddetta democratica è stato dunque un passo falso; ma lo è stato perchè avvenuto troppo tardi (Canfora) o perchè, viceversa, non doveva essere compiuto?

Al più le risposte al quesito vengono ricercate nella approfondita e certosina disamina di tanti documenti congressuali, di tanti interventi dirigenziali e certo ci dice che alcune 'mutazioni' erano in corso da tempo in seno al gruppo dirigente, anche quello ampiamente inteso sino a comprendere le strutture territoriali, ma queste mutazioni però sembrano non avevano scalfito l'anima di quella parte della società italiana che era stata protagonista di una stagione politica che aveva illuminato lo scenario in Europa e nel mondo.

Lo scarto tra la percezione derivata dallo studio del PCI per il tramite esclusivo della documentaristica politica e il reale vissuto e portato di quel popolo nel contesto complessivo del popolo italiano ci appare evidente se pensiamo a eventi come i funerali di Berlinguer e di Togliatti. Eventi che sono stati sostanzialmente derubricati dagli addetti quasi a evenienza folkloristica, evenienza non degna di analisi, non attinente alla dialettica interna al PCI, politicamente insignificante. Eppure sono fatti che non hanno eguali nella storia repubblicana o europea. Cosa avranno voluto significare? Accontentarsi della vulgata predominante che spiegava quelle partecipazioni oceaniche con il fatto che i due segretari venissero ritenuti 'brave e stimate persone' non fa onore alla nostra intelligenza ed è di fatto inutilizzabile. Così come considerarli l'epitaffio funebre per qualcosa di grande che scompariva.

Eppure solo Pier Paolo Pasolini si accorse, tra gli intellettuali, della profonda e umana politicità di quegli eventi esprimendo filmicamente quello che consideriamo un stupito e rispettoso interrogativo, tanto simile alla nostra vertigine nel vedere ancora quelle immagini che parlano di politica senza che noi si sia stati ancora in grado di decifrarla adeguatamente. (Uccellacci e uccellini)

La nascita del 'Partito Nuovo', quello che si chiamerà definitivamente PCI, prese le mosse dalla togliattiana svolta di Salerno nel'43, e la sua formulazione viene ritenuto il passaggio dal Partito rivoluzionario a quello 'socialdemocratico', tanto dagli esegeti del moderatismo 'intrinseco' in quel passaggio, quanto dai critici di tale supposta deriva. Eppure quel Partito era davvero profondamente cambiato già durante le prove degli anni della dittatura e della guerra, e l'apertura alla lotta nella democrazia comprendeva in sé anche una struttura militante che si era sviluppata e radicata sino a divenire formidabile elemento di rilievo militare e politico. Giudicare quel passaggio fondamentale senza tenere conto della struttura politica del partito che lo adottava, senza annoverare tra i protagonisti le decine di migliaia di quadri formati e disciplinati, limitandosi quindi alla cronaca documentale, questo è, a parer nostro, difetto imputabile ad entrambi i contrapposti filoni della critica 'amica'. Difetto che pregiudica assai ogni successiva comprensione.

Perchè, ad esempio, è cosa diversa dire che si agisce in ambito democratico e invece dirlo potendo, e volendo, contare su di una struttura in grado di dare autonomamente conto dei risultati elettorali, sezione per sezione, in tempo reale, in concorrenza temporale con i dati trasmessi dal Viminale, in un periodo in cui certi fino in fondo non si poteva essere che tutto sarebbe filato liscio. Non si agiva solo nella democrazia, ma la si garantiva, a tutti.

Tale ruolo di garanzia non solo non è venuto meno negli anni, scontando magari la mutazione strutturale derivante dall'allontanarsi dell'esperienza bellica e dal relativo rinnovo dei quadri, ma è andato crescendo, soprattutto nella percezione delle classi lavoratrici. Sino a metà degli anni settanta continuarono ad aumentare le sezioni territoriali e di fabbrica e possiamo dire, con buona approssimazione, che ce ne fosse una in ogni paese o paesino della penisola.

Il rafforzamento costante di questa struttura e del suo ruolo garante per la vita sociale dei lavoratori ha costituitoin l'elemento politico fondamentale di identificazione. Così come le svolte progressivamente adottate dai suoi dirigenti, il Partito Nuovo, l'amnistia per i fascisti, il compromesso storico, l'assunzione dell'orizzonte europeo, venivano magari aspramente discusse ma collettivamente assunte, o, per i critici, digerite, perchè quei dirigenti erano in grado di mostrarsi parte integrante di quella garanzia, perchè erano 'organici' alla classe operaia, chiarendo ad ogni passo la loro scelta di campo ed il loro ruolo. Perchè quei dirigenti erano, e mostravano di dover essere, innovatori, cosa ben diversa dall'essere liquidatori.

Non vi è passaggio, piccolo o grande, nella storia repubblicana sino alla Bolognina, dai referendum sulla legge truffa agli eccidi nelle manifestazioni, dai tanti tentativi di golpe alle feste di Partito, dai contratti nazionali ai referendum sul divorzio e sull'aborto, in cui non si sia dimostrata la capacità mobilitante di quel Partito Comunista, in cui non se ne sia accertato il rilievo politico, il peso determinante che diveniva tutela essenziale.

PCI voleva dire che quando era il momento “fiumane di lavoratori scendevano per le strade”.

Quella tutela aveva trasformato il vivere in fabbrica, il dibattito culturale, la vita sociale.

Tutto questo, e valga per ogni tenore di considerazione in merito, era qualcosa di infinitamente diverso ed infinitamente di più della 'socialdemocrazia'. E' una distinzione, ci sentiamo di affermare, che accomuna tutti i Paesi comunisti, paesi dove il Partito è riuscito a essere riconosciuto come garanzia e tutela contro le sempiterne angherie del padronato, altrove incontrastate.

Prova indiretta ne sia la stagione di 'Mani Pulite', stagione in cui di fronte allo scempio del Paese, scempio acclarato e perpetrato dalle forze moderate, le piazze e le strade sono restate per la prima volta in cinquant'anni desolantemente vuote. E sarebbero finalmente arrivati la Seconda Repubblica, il maggioritario, Maastricht a definire, quest'ultimo trattato, un orizzonte politico europeo assai distante e opposto da quello verso cui si mosse Berlinguer .

Non avere avuto la lungimiranza o l'umiltà di comprendere la natura e il rilievo di quel ruolo di garanzia ha trascinato interi gruppi dirigenti nell'insignificanza e nel ridicolo, della serie 'ho avuto per vent'anni la tessera del Pci ma non sono mai stato comunista'. Come se si pensasse così di dare prova di profonda cultura democratica, mentre si dimostra solo di non aver capito nulla del PCI, della democrazia in Italia e di quella in generale. Costoro non avrebbero mai più tutelato nessun lavoratore.

Così come l'attribuire a quel Partito la cecità di 'non aver fatto la rivoluzione quando poteva farla' predisponendosi così, fatalmente, per accidia e tradimento, alla giusta ed inevitabile sconfitta ha avuto il significato indiretto di inserire milioni di lavoratori nella categoria dei babbei che si erano fatti abbindolare, ridicolizzandone il ruolo e l'intelligenza. Errore metodologico che un comunista non dovrebbe fare mai, non foss'altro che per un minimo rispetto per la 'classe guida', o magari perchè è comunque più indicato sbagliare con umiltà e in buona compagnia e, soprattutto, per non correre nel pericolo di essere conseguente e finire con lo sparare nella schiena, come accadde, ai suddetti babbei che magari gli avevano coperto le spalle sino a quel momento. Anche da questi nessuna tutela reale è mai giunta ai lavoratori.

Le coordinate di analisi che stiamo esprimendo, che individuano filoni opposti e convergenti di critica al PCI, ci sembrano essere state condivise, non nel merito ma negli obiettivi, soprattutto e non casualmente dalla destra nazionale e internazionale la quale dopo le sue magre figure sino al golpe Borghese, ha penato le proverbiali sette camicie non per 'fare cambiare nome al PCI', ma per fargli smantellare la sua organizzazione, per minarne la credibilità, per azzerarne tanto lo spazio di manovra quanto l'ascendente politico. L'operazione politico-militare che prese il nome di Strategia della Tensione ebbe successo e ne andrebbe studiata la strategia complessiva che, per inciso, portò Aldo Moro ad essere obiettivo tanto dello stragismo nero (Italicus) quanto delle Brigate Rosse. Unico esempio e non crediamo sia stato un caso.

Se parte della crisi in cui incorse il Pci potrebbe essere legata alla parabola discendente percorsa e fatta percorrere alla figura di Pietro Secchia al proprio interno, parte viene dalla mutazione in senso borghese di generazioni che ostentavano la non comprensione verso 'i grigi funzionari di Partito', disprezzo per l'ortodossia intesa come camicia di forza, il rifiuto verso la condizione operaia intesa come degradante. A ogni angolo di strada suonavano le sirene della liberazione individuale, magari espresse tramite l'amore per la 'bella frase rivoluzionaria' (Losurdo), dimentiche della grande contraddizione coloniale che ancora attanaglia il mondo e del concetto stesso di Partito. Di questo clima molti a sinistra furono compartecipi.

Se un vuoto esiste, e quello lasciato dal PCI è fragoroso, lo si potrà riempire ora che forse qualcosa in più abbiamo potuto capire, ora che le liberazioni individuali si sposano con la miseria collettiva e dimostrandosi pronti a onorare nella pratica certi esempi passati. Perchè l'impressione è che tra gli esegeti di Secchia ben pochi sarebbero da lui accolti nell'ambito di confronto fraterno.


* CC del PCI

Comments

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Anna
Saturday, 13 February 2021 18:38
Però così non va bene. Credo che il PCI e di più la galassia di attivisti e intellettuali che gli gravitavano attorno abbiano svolto un ruolo insostituibile non solo nell’allargare la partecipazione di fatto, sociale e materiale, alla democrazia, ma anche e soprattutto nel costituirsi come differenza etica, come mondo morale, come Critica e abitudine alla Critica, senza le quali non esisterebbe emancipazione. Ora, per concludere quanto ho già accennato anche nei commenti precedenti, il fatto che il “partito nuovo” e la “democrazia progressiva” togliattiani fossero due strumenti del compromesso di classe non solo mi pare lapalissiano, ma è lo stesso Togliatti ad affermarlo ( cfr Togliatti - “Avanti verso la democrazia!”- settembre 1944). E, come ho già accennato, eviterei le categorie analitiche del “tradimento”, e anche dell’ “opportunismo”, perché non si tratta di questo, non spiegano nulla, semplificano una realtà invece complessa etc etc.. Però, premesso tutto questo, c’è un però, ed è il seguente. A meno che non si ragioni come tifosi o mossi da sentimenti (se pur comprensibili), una critica a Togliatti mi sembra doverosa, se non altro per comprendere. E ciò che imputerei maggiormente a Togliatti (oltre ovviamente l’appello ai “fratelli italiani in camicia nera” del ’36; o la sottomissione e liquidazione, con il grande contributo di Secchia, dei quadri comunisti formatisi durante la Resistenza; o l’amnistia per gli aguzzini fascisti; o la repressione dei moti contadini in Sicilia; o l’appoggio a Valletta e alla FIAT; etc.etc.etc.) è una sorta di “disonestà” intellettuale nel riverniciare e revisionare il suo apparato ideologico di riferimento: tra le altre cose, la strumentalizzazione di Gramsci per legittimare, e dare una parvenza di autonomia, alle mosse politiche decisive del suo PCI. Ossia la svolta di Salerno e quanto ne è coerentemente seguito: la costruzione, appunto, del “partito nuovo” e l’assegnazione al PCI e alla classe operaia di un ruolo nazionale e non settario. Il suo, è il “Gramsci di tutti gli italiani”, il Gramsci la cui unica prestazione era l’idea che la rivoluzione comunista in Italia fosse possibile non attraverso un’applicazione meccanica del marxismo ma solo attraverso le reinterpretazione della storia d’Italia (del Risorgimento, della questione meridionale, del ruolo degli intellettuali), un Gramsci per tutte le stagioni, il Gramsci di cui Croce scriveva che “come uomo di pensiero fu dei nostri” etc.etc. Sciocchezze. Grossolane strumentalizzazioni. Non c’era nessuna autonomia intellettuale in quelle scelte (e non si doveva piegare come il pongo nessun pensiero per legittimarle). Perché l’immagine della “Svolta” è solo una finzione storiografica. Le scelte del 1944 affondano le radici nella strategia dei fronti popolari, ufficializzata al VII Congresso dell’Internazionale Comunista nel 1935.
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Mario Galati
Sunday, 14 February 2021 14:04
Si, certo, Anna è convincente. In effetti, Togliatti ha avuto il merito involontario, solo involontario, di creare quel partito e quella comunità che Anna apprezza tanto (tutti bravi e buoni i dirigenti e i componenti la comunità comunista, tranne Togliatti e Secchia che ne erano i principali dirigenti).
Ma Togliatti era pure fascista e reazionario, repressore di lavoratori e dei loro slanci d'emancipazione (ecco da cosa deriva il suo revisionismo che ha solo involontariamente favorito il processo positivo del passaggio del comunismo italiano dal socialismo alla democrazia borghese).
Non parliamo poi della sua indegna strumentalizzazione di Gramsci (ecco perché ne ha diffuso ampiamente l'opera e il pensiero: per strumentalizzarlo. Tanto non c'era gente in grado di capire cosa scriveva Gramsci e si abbeverevava soltanto alle strumentalizzazioni del suo assassino [Togliatti, se non si è capito]. Per questo, invece di tenere i suoi scritti in qualche archivio o distruggerli, tanto erano opposti al suo pensiero, avviò l'"operazione Gramsci" per la loro ampia diffusione. Certo, manipolati e censurati, sperando scioccamente di farla franca. Ma Togliatti aveva sottovalutato il fior fiore di intellettuali in grado di prenderlo con le mani nel sacco e di capire il pensiero di Gramsci meglio di lui, che aveva un profilo intellettuale, se non basso, almeno compromesso dalla sua perfidia).
Dunque, questo Togliatti è stato stalinista e fascista, comunista e socialdemocratico, marxista e revisionista.
È la famosa doppiezza (ma per gli avversari e i liberali di ogni risma la doppiezza, e la malfidanza, è la caratteristica dei comunisti e del comunismo. Non a caso i comunisti predicano bene e poi sono peggio dei nazisti, come la profonda ed eccelsa teoria del totalitarismo svela inconfutabilmente. Dunque Togliatti è doppio e lo è in quanto comunista. Ma, in quanto comunista doppio, è anche fascista) In ogni caso, ha avuto torto. Da questa stringente conclusione non si scappa.
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Anna
Sunday, 14 February 2021 21:50
Quella del PCI di Togliatti non è stata una pubblicazione dell’opera di Gramsci; ma una pubblicazione ad hoc, piena di censure e omissioni. Togliatti ha pubblicato solo il Gramsci che gli serviva, e ha censurato il Gramsci che gli risultava scomodo (questo secondo Gramsci si inizia a conoscere dal ’65 in poi). C’è ormai una vasta bibliografia sul tema.
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Mario Galati
Monday, 15 February 2021 15:06
C'è una vasta bibliografia su tutto. La bibliografia anticomunista è la più vasta.
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Anna
Monday, 15 February 2021 17:12
Sergio Caprioglio, Elsa Fubini, Paolo Spriano, Giuseppe Vacca o Aldo Natoli erano tutti comunisti e iscritti al PCI.
Ed è lo stesso Togliatti a spiegare in più occasioni (ad esempio in un lettera a Dimitrov dell’aprile del ’41) il perché del suo taglia e cuci sull’opera di Gramsci.
Tra l’altro, dalle tue “osservazioni” (uso un eufemismo ovviamente), è chiaro che non hai mai studiato Gramsci, non sai di cosa parli, e blateri a vanvera (non conoscendo nemmeno i concetti che utilizzi, e che usi come etichette). Sei mosso solo dal tifo sentimentale e dalla bava alla bocca.
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Ercoli
Tuesday, 16 February 2021 16:34
Consiglio la lettura "Operazione Gramsci" di F.Chiarotto. Si trovano le censure che Togliatti fece all'opera di Gramsci : dalle citazioni di Rosa Luxemburg a quelle di Trotsky e tanti altre. Interessante,
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Mario Galati
Monday, 15 February 2021 20:39
Dunque, vedo che la bava alla bocca comincia a fuoriuscire insieme all'arroganza e all'ignoranza di qualche maestrina liberale che si atteggia a comunista. Guido Liguori, che non è l'ultimo arrivato su Gramsci, tra i tanti, sostiene più o meno ciò che ho detto io sulla "operazione Gramsci" promossa da Togliatti, senza la quale Gramsci sarebbe rimasto una semplice vittima del fascismo, ma non il pensatore a disposizione di tutto il mondo. Poi, quanto alle "vaccate" (o alle "lopiperate") vi sono studi che le smentiscono (v. per es. Ruggero Giacomini. Ma è solo il nome che mi viene in mente immediatamente).
Quanto alle censure e manipolazioni, hanno forse deformato il pensiero di Gramsci? Non far trapelare le righe in cui Gramsci accennava ad un sospetto verso un dirigente vivente e di primo piano come Ruggero Grieco ha forse deformato il pensiero di Gramsci? È stato soppresso e censurato, per es., quel passo in cui Gramsci ("Esiste una realtà oggettiva?") sembrava avvicinarsi alla concezione idealistica, empiriocriticista, e, quindi ad una concezione antitetica alla concezione realistica materialistica di Lenin?
Invece di sparare citazioni e nomi di studiosi, "letteratura", non sarebbe il caso di abbassare la cresta e usare la testa per ragionare?
E non sarebbe il caso di leggerlo direttamente Gramsci, per rendersi conto delle affermazioni false e arbitrarie che fior di studiosi che tu citi fanno su di lui (per es., su di un fantomatico Gramsci antistalinista)?
Non ultimo, visto che vivi di elenchi di autori, ti cito Domenico Losurdo tra quelli che non leggono Gramsci sulla linea della vulgata comune e falsa che rappresenta il tuo unico orizzonte.
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Mario Galati
Sunday, 14 February 2021 14:39
Naturalmente, ho ritenuto del tutto superfluo informare che l'autore dell'appello ai fratelli in camicia nera non fu Togliatti, ma Ruggiero Grieco. Come è del tutto inutile soffermarsi sulla portata dell'appello e sulle reazioni, in primis di Togliatti, all'appello in questione.
Quando si parla di attacchi a Togliatti ed ai comunisti i fatti sono un dettaglio insignificante: è il livore di classe l'unico fattore agente.
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Moreno
Monday, 15 February 2021 19:54
Peccato che la tua ricostruzione (cioè la traballante tesi di Canfora) sia notoriamente una cazzata, che poggia solo sulla testimonianza di Giuseppe Berti, ma su nessuna prova d'archivio. Tutte le prove d'archivio (in primis le lettere di Togliatti) mostrano Togliatti (in sintonia con Manuilskij) tentare più volte, negli anni '30, l'alleanza con i "fascisti di sinistra".
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Mario Galati
Monday, 15 February 2021 20:16
Lo stesso Ruggero Grieco fece autocritica per questo appello e suo figlio, Bruno Grieco, ha scritto un libro su questo presupposto. Non sarà che una cazzata sarà la tua? Inoltre, ho invitato a valutare la portata di questo appello, che poteva avere una valenza tattica, giusta o sbagliata che fosse, ma non certo di connubio col fascismo. Non sarebbe ora di smetterla di utilizzare propagantisticamente dettagli che nessuno storico serio, tranne siti e scribacchini fascistoidi o trozkisti, prende in considerazione per dare giudizi trancianti e assurdi su Togliatti e sul PCI?
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Moreno
Monday, 15 February 2021 20:42
Ma certo che era "tattica". Nessuno parla di connubio col fascismo. Però anche se era solo tattica, qualcuno può non averla digerita.
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Fabio Rontini
Sunday, 14 February 2021 08:47
Sì, W Togliatti era un eccesso che serviva a spiegare il concetto "niente condanne morali".
L'odioso, oggettivo, revisionismo di Togliatti era appunto tale ed era il necessario correlato dell'opportunismo (sempre declinato in senso oggettivo).
Va detto che la maggioranza degli operai ha sempre appoggiato il moderatismo del Pci per cui nessun tradimento dei dirigenti.
E che i suddetti operai hanno ricevuto in cambio degli indubbi vantaggi tra i quali, non ultimo, vi è da annoverare il "ruolo insostituibile [degli intellettuali] non solo nell’allargare la partecipazione di fatto, sociale e materiale, alla democrazia, ma anche e soprattutto nel costituirsi come differenza etica, come mondo morale, come Critica e abitudine alla Critica, senza le quali non esisterebbe emancipazione" (accidenti, bello, complimenti).

"Le scelte del 1944 affondano le radici nella strategia dei fronti popolari, ufficializzata al VII Congresso dell’Internazionale Comunista nel 1935"
qui confesso la mia ignoranza ma sospetto che questa lettura finisca per imputare a Stalin, piuttosto che a Krusciev, la paternità della degenerazione revisionista del comunismo post-45. Se così fosse mi dissocio.

Ma ora il quesito importante è questo: come facciamo a prendere le distanze da una storia così "pesante", da una pratica così radicata, ma che, in tutta evidenza non funziona più?
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Anna
Sunday, 14 February 2021 15:50
Con “le scelte del ‘44” mi riferisco alla cosiddetta Svolta di Salerno, al partito nuovo a cui corrispondeva appunto il progetto della democrazia progressiva. Nel ’35, al VII Congresso dell’Internazionale, il Comintern abbandona la teoria del “socialfascismo” e afferma la necessità di costruire alleanze di governo con le altre forze antifasciste.
Devo dire (forse mi sono espressa male) che non è che io consideri le decisioni del VII Congresso dell’IC una “degenerazione revisionista del comunismo”. La costituzione dei Fronti popolari antifascisti in sé mi è anzi sembrata una scelta giusta (poi all’interno di quella storia posso tuttavia condannare singole condotte, come ad esempio in Spagna).
Ma è proprio l’espressione “degenerazione revisionista del comunismo” che è priva di senso, perché è priva di senso un’ortodossia del comunismo.
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Mario Galati
Friday, 12 February 2021 18:35
La virgola dopo Andreotti è sparita, non so perché. Sarà stato il nome.
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Mario Galati
Friday, 12 February 2021 18:19
Ferma restando la mia posizione sulla funzione storica progressiva della Cina e della cosiddetta Grande Convergenza che pone fine all'epoca coloniale e all'era colombiana (condizione anche per una eventuale ripresa di un movimento rivoluzionario al posto di quello opportunista tra i lavoratori occidentali), trovo quantomeno singolare che Rontini pensi che la Cina sia impegnata a "cercare ... una interazione con un partito "rivoluzionario" come quello di Rizzo" ( e questo non è affatto uno sfottó nei confronti del partito di Rizzo, che rispetto).
Quanto all'argomento che le posizioni di Mattei e di Andreotti sostenute da motivazioni tattiche specifiche, dimostrerebbero che l'atteggiamento internazionalista e anticolonialista del PCI potrebbe benissimo essere stato dettato da qualunque altra cosa ma non dal suo comunismo (qualunque altra cosa, certo: meno che la più ovvia, ossia che si trattava di un partito comunista e parte di un campo mondiale che aveva preso l'avvio dalla Rivoluzione d'Ottobre), la lascio giudicare alla stessa intelligenza di Rontini, che di solito non è abituato a ragionare con sofisticherie da azzeccagarbugli.
L'osservazione di Anna, invece, è tesa più a capire che a condannare gli "opportunisti" e i "traditori" della rivoluzione in testa alle (o alla coda delle) masse corrotte.
E infine, perché Rontini polemizza contro un'affermazione che non ho fatto ("Perchè si nega che furono i sovrapprofitti imperialistici a rendere possibile la politica di difesa dei salari attuata dal PCI nel dopoguerra?"). Legga bene e meno precipitosamente ciò che ho scritto realmente.
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Fabio Rontini
Friday, 12 February 2021 19:03
Proviamo a chiarire: io ritengo che il PCI, finchè è esistito, abbia fatto la politica migliore possibile per la classe operaia in quel contesto storico.

Perchè la migliore politica possibile in quel contesto storico era "opportunista" (nel senso leniniano di accettare vantaggi di breve periodo al posto della rivoluzione) e "riformista" (nel senso di collaborazione con la propria borghesia nazionale e spinta graduale del contesto politico in senso progressivo).

La borghesia italiana, d'altra parte, aveva un interesse oggettivo a sostenere i movimenti anticoloniali del medio-oriente (per strappare quote di mercato alle 7 sorelle compagnie petrolifere anglosassoni), e a giostrarsi tra Urss e Usa, ovvero paventare una possibile uscita dalla Nato, per ritagliarsi degli spazi di manovra all'interno della sua sovranità limitata.

Ciò non toglie che quella stagione è finita da un pezzo e qualunque tentativo di riproporre quel tipo di politica oggi è destinato a fallire.
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Fabio Rontini
Friday, 12 February 2021 22:09
E allora mi chiedo: perché l’autore dell’articolo (e Galati) accusano coloro (come me) che usano le categorie analitiche di opportunismo, aristocrazia operaia, revisionismo di dare di babbei agli operai, e di traditori ai dirigenti del Pci? Perché introdurre nella spiegazione dei fatti, concetti così poco scientifici come il “tradimento” e la “babbeitudine” degli operai?

Risposta: si tratta di un artificio retorico per negare l’oggettivo opportunismo del Pci nel dopoguerra, basato su seguente sillogismo:

SE la politica del Pci nel dopoguerra fosse stata opportunista ALLORA i dirigenti sarebbero stati dei traditori e gli operai dei babbei.
MA, come si può facilmente mostrare, i dirigenti fecero al meglio che era possibile gli interessi degli operai e questi ultimi ne ricevettero dei grandissimi benefici.
DUNQUE la politica del Pci nel dopoguerra non era opportunista.

Io sarei per togliere dal discorso le categorie morali di tradimento e di dabbenaggine, come ho cercato di fare fin dall’inizio dei miei commenti, senza, peraltro, riuscirci: non credo che gli operai abbiano il dovere di fare la rivoluzione ogni volta che se ne presenti l’occasione né che essa vada necessariamente a loro vantaggio: gli operai bulgari o rumeni di oggi non sono certo più emancipati di quegli italiani.

Per cui lo ripeto: W Togliatti e W il Pci.

Però quella politica fu oggettivamente opportunista, e lo fu perché gli operai italiani potettero conquistare con le loro lotte parte dei sovrapprofitti imperialistici divenendo di fatto una aristocrazia operaia (rispetto ai lavoratori dei paesi del terzo mondo).

Conclusione: non c’è più nessun “rapporto di forza” da ribaltare, quella politica era giusta allora, ma oggi non è più riproponibile.
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Mario Galati
Saturday, 13 February 2021 12:48
Prendo atto delle precisazioni di Rontini e preciso che alcuni miei commenti, pur essendo repliche alle sue affermazioni, hanno tenuto conto non solo dei suoi interventi. E comunque, il suo primo commento non lasciava trapelare il suo atteggiamento "oggettivistico": troppo laconico. Di questi tempi, accennare all'opportunismo di Togliatti e del PCI va inevitabilmente a parare nella insensata demolizione di quella storia. Mi associo al W il PCI e W Togliatti (con qualche sfumatura più convinta anche sul piano oggettivo).
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Fabio Rontini
Saturday, 13 February 2021 16:57
Sì è vero, troppo laconico. Non mi ero accorto di aver toccato un argomento su cui c'è già in corso un dibattito molto accanito. Felice di aver trovato una sintesi soddisfacente per entrambi.
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Anna
Saturday, 13 February 2021 02:02
"W Togliatti" non riuscirei ad affermarlo (pur capendo il contesto in cui agì, innestato su un crinale politico sicuramente stretto e difficile..) ma sono d'accordo con te: le categorie morali di tradimento e dabbenaggine non hanno senso; e non avrebbe certamente senso ragionare sull'attualità con le categorie sociali e politiche di allora.
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Fabio Rontini
Friday, 12 February 2021 10:26
Perchè si nega che furono i sovrapprofitti imperialistici a rendere possibile la politica di difesa dei salari attuata dal PCI nel dopoguerra?

Perchè si vuole dare a intendere che sarebbe possibile riproporre quella stessa politica OGGI, in un contesto nel quale questi sovrapprofitti non ci sono più o sono in via di esaurimento.

E sono in via di esaurimento proprio grazie al successo della Cina nel fronteggiare l'imperialismo.

Contrariamente a quanto si vorrebbe far credere, infatti, la Cina non si presta a nessuna collaborazione con i comunisti nostrani sul fronte della difesa dei salari degli operai italiani.

Anzi attua una concorrenza spietata che rende praticamente impossibile questo tipo di politica.

Non è possibile che la Cina svolga lo stesso ruolo che svolgeva l'Urss nel dopoguerra.

E infatti, nonostante venga osannata dai riformisti di Marx XXI, Marxismo Oggi ecc., essa sembra cercare piuttosto una interazione con un partito "rivoluzionario" come quello di Rizzo.
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Anna
Thursday, 11 February 2021 22:45
Più che socialdemocrazia, direi un progetto di socialdemocrazia transitoria, di universalità democratica finalizzata ad un superamento delle forme economiche e politiche del mondo liberale e borghese, verso una democrazia socialista, e poi comunista, che restava sullo sfondo (secondo la linea togliattiana della “democrazia progressiva”). Ma ciò che mi pare opportuno sottolineare è che mentre il pensiero dialettico è costruito sul movimento logico e storico di una Parte che si apre al Tutto come alla propria negazione determinata, il PCI si è proposto fin da subito come asse portante del Tutto (dello Stato democratico), come cardine della democrazia repubblicana, e al tempo stesso ha scommesso sulla propria capacità di essere, rispetto al Tutto, anche la Parte capace di spostare avanti l’orizzonte della democrazia verso l’orizzonte del socialismo, pur accettando la democrazia come lo spazio che per intanto determina l’azione politica reale. Quindi non è stata, quella del PCI, una politica moderata o traditrice del socialismo, ma è stata una politica responsabile verso la democrazia e le sue istituzioni politiche (per esempio attenta al rifiuto della violenza), anche nei durissimi e accesissimi scontri sociali e ideologici della guerra fredda: perché (secondo il PCI) al socialismo (e poi al comunismo), si va non come classe, ma come Intero, come democrazia italiana (anche se non si sa bene quanto questa debba cambiare per essere socialista). Era, appunto, “la via italiana al socialismo”. Che consentiva al PCI di esse come la Chiesa per Sant’Agostino, cioè di stare nel mondo (in questo caso, borghese e liberale) senza essere del mondo.
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Fabio Rontini
Thursday, 11 February 2021 12:48
L'ENI di Enrico Mattei appoggiava attivamente i movimenti anticoloniali del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale.

In questo modo svolgeva oggettivamente un ruolo anticolonialista molto più forte e concreto dello stesso PCI.

Significa forse che Mattei e la parte di Democrazia Cristiana che lo appoggiava erano dei comunisti?

Evidentemente no!

E allora se persino la borghesia monopolistica di un paese sub-imperialista può essere anticolonialista significa che l'anticolonialismo non è una prova di comunismo.

Giulio Andreotti espresse preoccupazione e disappunto all'epoca della caduta del muro e della riunificazione della Germania ("vorrei tanto che le Germanie rimanessero due").

Giulio Andreotti era un comunista?
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Mario Galati
Wednesday, 10 February 2021 14:45
Se si è coerenti con il ragionamento di Nap e di Rontini (la causa oggettiva dell'appartenere di un certo paese alla catena imperialista farebbe della classe lavoratrice di quel paese automaticamente una collaboratrice socialdemocratica dell'imperialismo. Specifico che ritengo ciò vero, come tendenza. Ma come tendenza, non come conseguenza automatica e meccanica), si deve concludere che in un nessun paese imperialista potrebbe esistere movimenti o organizzazioni rivoluzionari o antimperialisti (le due cose in un paese imperialista sarebbero coincidenti). Ma ciò che io ho obiettato è che il PCI aveva questa posizione anticoloniale e antimperialista e che proprio questa sua posizione ha contenuto la tendenza e la pulsione da aristocrazia operaia oggettiva, propria di tutte le masse lavoratrici di un paese imperialista, e l'ha indirizzata su di un piano di solidarietà internazionalista. Si può pure ignorare tranquillamente tutto ciò, sbarazzersene o darne spiegazioni che aiutano a rimuovere il fatto e mantenersi coerenti col proprio granitico e immutabile giudizio. Ma in tal caso il giudizio scade a pregiudizio (e a velata ostilità verso l'unica organizzazione comunista di massa esistita in Italia).
L'altra mia obiezione (è da socialdemocratici l'adesione al campo socialista e la linea anticolonialista e antimperialista?) non viene nemmeno colta: si preferisce sorvolare o rimuovere per non dover dare spiegazioni improbabili che cozzerebbero con i fatti.
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Nap
Wednesday, 10 February 2021 16:29
Chiaramente, per evitare un dialogo tra sordi, bisognerebbe prima di tutto intendersi su quale internazionalismo si discute : quello teorizzato da Marx e poi da Lenin, o quello di Stalin ( il "campo socialista") ?
Ma in ogni caso, l'internazionalismo inevitabilmente espresso nei documenti di un partito che dichiarava la propria adesione al marxismo-leninismo ha cozzato con la pratica politica dello stesso partito. Nei fatti il PCI, nel nome della Patria e della Nazione, ha sostenuto politiche social nazionaliste ( termine più adatto, a mio avviso, di social democratiche), a sostegno della crescita del cosiddetto "ceto medio" nazionale. Questi sono i fatti; se pur a parole molti intellettuali e dirigenti del PCI esprimessero appunto parole d'ordine internazionaliste (internazionalismo marxista che non è esattamente, o comunque sempre, da confondere confondere con il concetto di "anticolonialismo" : parola molto scivolosa, che può essere, ed è stata spesso, utilizzata in chiave nazionalista).
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Nap
Wednesday, 10 February 2021 16:39
E questo non perchè il PCI (anche qui, di PCI ce ne sono stati diversi, ma facciamo un discorso inevitabilmente generalizzato) fosse "cattivo". Ma per cause "oggettive". E' già tanto quello che ha fatto. Senza dubbio poteva far meglio ed essere più coerente con i propri valori : ma la difficoltà è sempre quella di riuscire a far politica, a "ottenere qualcosa" come si dice, in un contesto dove i rapporti di forza sono sfavorevoli.
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Mario Galati
Thursday, 11 February 2021 09:24
Appunto. Il PCI ha operato in condizioni determinate e oggettive, ma non per conservarle. La lotta per il salario e la crescita del ceto medio non è automaticamente adesione e collaborazione, o stimolo, dei lavoratori alla creazione e alla crescita dei superprofitti colonial-imperialistici: se i lavoratori non avessero reclamato la crescita del salario, i'imperialismo non avrebbe rinunciato allo sfruttamento imperialistico e avrebbe trattenuto anche la quota salari non reclamata. Il PCI ha reclamato la quota salari, non ha mai appoggiato la politica imperialistica. Un modo di ragionare meccanico deforma la realtà. Questo tipo di ragionamento ribalta la realtà, addossando le cause dell'imperialismo sui lavoratori dei paesi imperialistici ben aldilà della loro collaborazione subalterna al sistema, quasi che il capitalismo si fa imperialistico per soddisfare le pretese dei lavoratori. Infine, il campo socialista staliniano era l'unico, reale ed effettivo, campo antimperialista esistente. Scambiare desideri con la realtà è molto poco materialistico. Quelle erano le condizioni della lotta e il modo in cui gli avversari si erano storicamente venuti formandosi e plasmandosi sulla base delle condizioni effettive, non degli schemi semplici, astratti e libreschi.
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Caddeo Sandro
Tuesday, 09 February 2021 19:16
Ciao Lamberto Lombardi, non ti conosco personalmente, ma anche se avevo chiuso anch’io, come tanti altri compagni e compagne, la vita del Partito Comunista Italiano, con la morte di Berlinguer, dopo la chiusura del ciclo di quello che io dicevo, questo è il mio partito, dopo la sua scomparsa, moltissimi hanno avuto problemi per scriversi i altri partiti che dicevano di essere di sinistra, ma come dimostra la situazione da molti anni dopo gli anni della sconfitta della classe operaia della Fiat, io stesso non mi ero accorto che quella sconfitta non era per niente soltanto la sconfitta di quei lavoratori, ma era la sconfitta di tutta la classe operaia italiana. E dopo quella sconfitta determinata da un padrone che ormai era deciso di riprendere il potere come padrone, al di là di quella sconfitta, sono stati eliminati sempre di più quei diritti scritti nella nostra Carta Costituzionale, che la generazione precedente alla mia ci aveva permesso di trasformare quei diritti scritti nella Costituzione in grandi Riforme, da quelle del lavoro, con la Legge 300, e al suo interno il famoso ARTICOLO 18, la grande Riforma della famiglia, che metteva finalmente la moglie a parità del marito padrone, non solo della moglie, ma anche del figlio, e quella grande riforma ha finalmente messo nero su bianco una delle questioni fondamentali della nostra Carta Costituzionale, e poi abbiamo c ambiato completamente la Scuola che da privata diventava per tutti i cittadini pubblica, con la possibilità che non solo i ricchi potevano studiare, ma anche i miserabili, i quali come i ricchi dovevano andare nelle scuole pubblica, non solo nelle sciole elementari, ma anche nelle scuole superiori fino a laurearsi, con la possibilità di avere un sostegno da parte dello Stato. E non voglio nemmeno dimenticare la grande Riforma della Sanità che è passata da quella fascista a quella pubblica, che ormai ci siamo dimenticati, visto che dal periodo di cui parlavo della sconfitta da parte della Fiat, è accaduto un percorso completamente contrario che soprattutto ai governi Berlusconi, ma che lo si voglia o no, anche d parte del PD, ed i modo particolare del Presidente di quel partito Matteo Renzi, uomo che veniva dalla Democrazia Cristiana sotto l’ombrello della parte più retriva di quel partito, il cui principale elemento si chiamava Andreotti, che tutti noi dovremmo avere i ricordi più brutti del nostro Paese. Come sia possibile che noi cittadini italiani ci siamo dimenticati completamente della nostra storia. Io da alcuni mesi ho scoperto che esiste il Partito Comunista Italiano, e non lo sapevo. L’ho saputo perché alcuni compagni della Cgil erano già scritti a quel Partito. Il fatto che quel partito esista e la televisione sia di Stato sia del privato, e i giornali non ne parlino per niente dimostra una delle questioni fondamentali che tu scrivi nel tuo articolo e che riprendo velocemente per la sua importanza:
“Non vi è passaggio, piccolo o grande, nella storia repubblicana fino alla Bolognina, dai referendum sulla legge truffa agli eccidi nelle manifestazioni, dai tanti tentativi di golpe alle feste di Partito, dai contratti nazionali ai referendum sul divorzio e sull'aborto, in cui non si sia dimostrata la capacità mobilitante di quel Partito Comunista, in cui non se ne sia accertato il rilievo politico, il peso determinante che diveniva tutela essenziale. PCI voleva dire che quando era il momento “fiumane di lavoratori scendevano per le strade. “Quella tutela aveva trasformato il vivere in fabbrica, il dibattito culturale, la vita sociale.
Adesso dobbiamo fare un’altra cosa importante. La sinistra c’è, esiste, e oltre a noi comunisti, ci sono altri che non fanno parte del PCI, ma di altri partiti di sinistra. Il nostro ruolo deve essere prima di tutto quello di riunificare tutta la sinistra. Senza l’unità di tutte le forze che ci sono nel nostro Paese, senza contare le forze che dicono di essere di sinistra come il PD, ma che sono ormai pienamente conservatori, noi non riusciremo da soli a vincere questa partita. Credo che tu sia perfettamente d’accordo con me. Ti ringrazio ancora per il tuo articolo che condivido pienamente. Ciao. Sandro Caddeo.
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Mario Galati
Tuesday, 09 February 2021 15:46
Si chiede Rontini se i milioni di persone organizzati dal PCI non fossero le aristocrazie operaie. Credo che la risposta la conosca lui stesso e non è quella suggerita espressamente. Se il tema delle aristocrazie operaie nella linea del PCI è sicuramente presente, vi sono alcune cose che non si devono omettere. 1- Si parla di milioni di persone, di un fenomeno di massa: tutta aristocrazia operaia? Anche i braccianti senza terra del sud? 2- Il PCI ha mantenuto queste masse in una prospettiva internazionalista anticoloniale e nel campo socialista: è stato questo il ruolo dei partiti socialdemocratici delle aristocrazie operaie? 3- Il PCI ha percorso varie fasi. Non è dialettico stabilire una unitarietà che escluda anche le discontinuità. La composizione di classe del partito non è stata sempre la stessa.
Concordo col giudizio di lorenzoP, anche se trovo un po' marginale nell'articolo il tema della riorganizzazione produttiva capitalistica (decentramento della produzione, polverizzazione e disgregazione della concentrazione operaia) tra le cause della sconfitta e della fine del PCI (e del movimento dei lavoratori in genere, giacché le due cose vanno insieme e questo ci dirà pure qualcosa).
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Fabio Rontini
Wednesday, 10 February 2021 11:01
Nap ha espresso la mia posizione meglio di quanto sapessi fare io stesso.
L'articolo è interessante e pregevole, ma sostenere che criticare il PCI per non aver fatto la rivoluzione quando era possibile equivalga a dare di stupidi agli operai è scorretto.
Chi avanza quella critica, in genere, intende che gli operai, in definitiva si sono lasciati guidare dal PCI perchè giudicavano, non a torto, di avere molto da guadagnare da una prospettiva riformista e molto da perdere da una prospettiva rivoluzionaria.
Altro che babbei.
Ovviamente sul lungo periodo le conseguenze di quelle scelte sono state negative e le vediamo oggi.
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Nap
Tuesday, 09 February 2021 19:24
1) Tutti no (i braccianti del Sud no), ma la maggioranza si. E per cause oggettive: L'Italia, nella catena della divisione internazionale del lavoro, occupava una posizione imperialista. 2) Dalla svolta di Salerno in poi è difficile distinguere le posizioni socialdemocratiche da quelle del PCI
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lorenzoP
Tuesday, 09 February 2021 13:55
Apprezzabile articolo che riequilibria un poco i tantissimi che ho letto su questo bel sito, a mio avviso eccessivamente ostili al ruolo e alla storia del Pci.
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Fabio Rontini
Monday, 08 February 2021 17:20
"attribuire a quel Partito la cecità di 'non aver fatto la rivoluzione quando poteva farla' predisponendosi così, fatalmente, per accidia e tradimento, alla giusta ed inevitabile sconfitta ha avuto il significato indiretto di inserire milioni di lavoratori nella categoria dei babbei che si erano fatti abbindolare, ridicolizzandone il ruolo e l'intelligenza"

Ma... il concetto di "aristocrazia operaia" (Lenin) c'entra qualcosa?
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