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linterferenza

Dove sbaglia la “sinistra sovranista”

di Fabrizio Marchi

sinistra sovranistaHo letto questo articolo di Carlo Formenti https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/14088-carlo-formenti-l-ideologia-antistatalista-e-l-autodistruzione-delle-sinistre.html che è in buona parte condivisibile.

Tuttavia mi pare che nella sua posizione così come in quelle dei vari esponenti della neonata “sinistra sovranista” ci sia un eccesso di enfasi nei confronti dei concetti di nazione e di patria. Non è un caso che l’autore concluda l’articolo con una citazione del subcomandante Marcos che difende lo stato nazionale contro il tentativo di distruggerlo da parte del grande capitalismo transnazionale.

Ma è soltanto l’ultima in ordine di apparizione. Fino ad ora il più gettonato negli ambienti della suddetta sinistra sovranista è stato sicuramente Palmiro Togliatti, storico leader del PCI che – pur essendo “cosa” completamente altra rispetto a Marcos per cultura, formazione politica e contesto storico-politico – sosteneva la necessità di difendere e rafforzare lo stato nazionale che in Italia – è bene ricordarlo – scaturiva dalla guerra di liberazione contro il nazifascismo ed era il risultato di una gigantesca mediazione tra forze politiche nazionali e internazionali assai diverse che portò al “varo” della Costituzione Italiana.

Ora, la funzione delle citazioni è quella di individuare quei precedenti storici (autorevoli…) con i quali rafforzare e “giustificare” le proprie posizioni, specie quando queste sono tacciate dagli avversari di essere pericolose, ambigue o addirittura reazionarie. A mio parere è un atteggiamento di debolezza e non di forza, perché se si è veramente convinti delle proprie opinioni non c’è necessità di ricorrere ai suddetti “precedenti”, anche perché la storia e la politica non funzionano come la giurisprudenza e ciò che poteva essere valido per il passato potrebbe non esserlo più per l’oggi. Ma non è questo il punto che volevo ora trattare (e mi interessa anche poco).

Il punto, anzi, i punti sono altri. Prima però è bene chiarire alcune aspetti onde evitare equivoci e/o fraintendimenti.

Non ho un pregiudizio nei confronti dei concetti di patria e nazione (sarei anche un “cattivo” socialista e un “cattivo” comunista se li avessi…) che nella storia sono stati concepiti e interpretati in modi e forme estremamente differenti. Invito quindi a leggere (per non ripetermi) questi due articoli dove spiego la mia posizione che è tutt’altro che aprioristicamente contraria ai summenzionati concetti, che non considero affatto di destra o reazionari a prescindere come vorrebbe una certa vulgata di sinistra cosiddetta “radicale”:

http://www.linterferenza.info/editoriali/sul-concetto-patria/

http://www.linterferenza.info/editoriali/sul-concetto-identita/

Come prima cosa resta da chiarire se la posizione “nazionalista” di Togliatti fosse dovuta a ragioni ideologiche (come è per la “sinistra sovranista”) oppure semplicemente dettata dalla realpolitik, che finisce molto spesso se non quasi sempre a dettare le regole e a fare la politica. Ricordiamo che ci si trovava nel mondo diviso in blocchi; il PCI era ideologicamente e politicamente collocato all’interno del blocco sovietico ma geograficamente e concretamente collocato in quello occidentale. Il contesto internazionale, che vedeva una sorta di “pace armata” fra USA e URSS e l’impossibilità per le ben note ragioni di modificare quell’equilibrio, costrinse di fatto i comunisti (e non solo quelli italiani…), in totale accordo con Mosca, a percorrere la strada delle “vie nazionali al socialismo”. Questo per dire che, a mio parere, è ancora da stabilire – ammesso, sia chiaro, che abbia una sua importanza perché ciò che conta è sempre la effettiva e concreta determinazione delle cose – se la rivendicazione dei concetti di nazione e patria da parte dei comunisti italiani e di Togliatti fosse dettata da ragioni ideologiche o semplicemente da fatti contingenti (che sono sempre quelli che contano) che hanno concretamente portato ad una modificazione anche della strategia. Il dibattito, per quanto mi riguarda, è aperto. Resta il fatto che la stessa URSS era uno stato nazionale, anche se formata da tante diverse etnie e nazionalità, così come gli altri stati socialisti anche se di fatto e poi anche formalmente sottoposti a sovranità limitata (come, del resto i paesi europei occidentali aderenti alla NATO e non solo).

A mio parere questa questione è mal posta dagli stessi amici e compagni della “sinistra sovranista” che, in questo caso, così come sul modo di leggere e affrontare il nodo dell’immigrazione (ma su questo aspetto mi sono già pronunciato più volte e non voglio tornarci in questa sede per non ripetermi…), rischiano di essere contigui alla “destra (solo a parole) sovranista”.

Sembrerebbe quasi – per come la questione viene posta – che sia in atto uno scontro fra capitale transnazionale e liberista da una parte e stati sovrani e “statalisti” o comunque non liberisti dall’altra. Da una parte, quindi, il grande capitale che tutto vuole dissolvere, in primis gli stati nazionali, e dall’altra la resistenza di questi ultimi, come dei bastioni dell’anticapitalismo e dell’anti neoliberismo.

Ovviamente, se così stessero le cose, non resterebbe che schierarci dalla parte degli stati nazionali per contrastare la furia dissolutrice dell’ ”impero” capitalista sovra e transnazionale. Non sono uno sprovveduto e capisco che forse la posizione degli amici sovranisti sia diversa da questa semplificazione (in tal caso, si spiegassero meglio perché se non l’ha capita il sottoscritto è probabile che anche tanti altri siano nella mia stessa situazione…). E tuttavia, stando alla loro rappresentazione, sembrerebbe essere proprio questo lo scenario.

Ora, un conto è la critica (che condivido) all’antistatalismo anarcoide di una certa sinistra, ormai peraltro ridotta ai minimi termini, che individua nello stato solo e soltanto una istituzione repressiva e totalitaria sempre e comunque, e un altro è considerare lo stato stesso e gli stati come i bastioni, per definizione, della resistenza al capitalismo e all’imperialismo. Possono esserlo (e lo sono stati, a volte, nella storia), ma possono, ovviamente, anche non esserlo, come il più delle volte è invece accaduto.

E’ senz’altro vero che il capitalismo, specie in questa fase storica, tende a spogliare di autonomia e sovranità, spesso a sottomettere e talvolta a distruggere (con la guerra e/o processi di destabilizzazione violenta) gli stati nazionali, ma questo avviene solo in determinati casi, e comunque nella “periferia” (più o meno vicina o lontana) dell’ “impero”. Perché è proprio attraverso gli stati (naturalmente quelli dominanti) e i loro apparati militari, burocratici, mediatici e repressivi che il capitale afferma e consolida il suo dominio. A meno di non pensare che il capitalismo sia una sorta di entità astratta che vive e prolifera in una dimensione altra.

Forse pensiamo che il capitale abbia intenzione di dissolvere gli USA, la Gran Bretagna o Israele? Ma non scherziamo neanche. Questi tre stati (ma anche altri, ovviamente, seppur con funzioni talvolta relativamente minori) costituiscono la cabina di regia del capitalismo e dell’imperialismo mondiale e sono del tutto sovrapposti e identificati con il capitalismo stesso di cui sono lo strumento principale. La funzione degli stati resta, dunque, fondamentale, sia per quanto riguarda il mantenimento dell’ordine sociale (capitalistico) all’ interno agli stati stessi, sia per quanto riguarda il controllo, la “prevenzione” e la eventuale repressione (guerra imperialista, colpi di stato, destabilizzazione ecc.) di guerriglie, movimenti di liberazione nazionali o semplici rivolte sociali, in tutto il mondo. Insomma, non credo di dire chissà quale novità se dico che lo stato è sempre stato lo strumento e l’espressione del potere delle classi dominanti. Il punto non è la sua dissoluzione (utopisticamente auspicabile, in linea molto teorica, in un ipotetico futuro remoto che, personalmente, non riesco neanche a concepire con la mia mente…) ma il suo controllo. O meglio, di chi lo controlla e lo rende strumento del proprio dominio.

Chi scrive è convinto altresì che il capitale (e quindi gli stati capitalisti e imperialisti), tende, soprattutto in questa fase (ma è accaduto anche nel XVIII, XIX e XX secolo, solo con strumenti e modalità meno sofisticate) a distruggere o comunque indebolire ogni forma di identità, a partire da quella di classe, naturalmente (quella che il capitale stesso teme di più), ma anche quelle culturali (e, oggi, addirittura sessuali…). E’ normale che sia così. Un popolo privato della sua storia, della sua cultura, dei suoi usi e costumi e, quindi, della sua identità, è più facile da sottomettere. Ma questo vale, appunto, per i popoli, i paesi e gli stati che devono essere posti in una condizione di sottomissione, non per gli stati dominanti. Pensiamo, ad esempio, agli USA e ad Israele. La forza di questi stati è data, oltre che dalla potenza economica e militare, dalla sovrastruttura ideologica che costituisce il collante con la “società civile”. La forza di questi stati – pensiamo soprattutto ad Israele (ma anche agli USA) – affonda le radici proprio nella loro identità culturale e religiosa, alla quale non potranno mai rinunciare, pena la loro scomparsa.

Sembrerebbe una contraddizione ma non lo è affatto. Se la storia, infatti, ci ha dimostrato una cosa, è che il capitalismo è un sistema (un modo di produzione ma non solo, perché provvisto di una fortissima capacità di penetrazione ideologica e di costruzione del consenso…) estremamente flessibile in grado di incistarsi e convivere con pressochè qualsiasi contesto culturale purchè questo non costituisca una fattore di disturbo o di ostacolo alla sua in linea teorica illimitata riproduzione (in tal caso lo si distrugge con la guerra o lo si sottomette con la forza). Ecco dunque, che abbiamo visto e continuiamo a vedere il capitalismo sposarsi e convivere serenamente con sistemi liberali così come con orrende dittature, con società fortemente laicizzate così come con contesti religiosi ultra fondamentalisti.

Quindi, anche in questo caso, sbaglia chi dice che il capitalismo ha nel suo DNA la distruzione delle identità a prescindere (così come chi pensa che capitalismo e libertà e democrazia siano indissolubilmente legati), perché così non è. Il capitalismo distrugge quelle forme identitarie che ostacolano, per varie ragioni, il suo dominio, ma ne preserva gelosamente altre. La realtà va sempre osservata e analizzata nella sua complessità; molto spesso, però, per ragioni fondamentalmente ideologiche, non lo si fa. Ma è un grave errore.

Anche per queste ragioni, mi sembra che l’eccesso di enfasi attribuito dai “sovranisti di sinistra” (li definisco tali, anche se impropriamente, per distinguerli da quelli di destra di cui non me ne importa assolutamente nulla perché li considero degli avversari diretti…) ai concetti di patria e di nazione sia decisamente fuori luogo. Mi pare che siamo di fronte ad un (maldestro, se devo essere sincero) tentativo di rincorrere la destra sul suo stesso terreno cercando di ricostruire un proprio profilo ideologico su presupposti, peraltro, anche molto datati. Il tentativo è ancora più maldestro se pensiamo che quella parte maggioritaria dei ceti popolari che ha votato sia per il M5S che per la Lega, non lo ha fatto certo per difendere gli ideali di patria e nazione, ma per cercare di trovare qualcuno che rappresentasse in qualche modo i loro bisogni e interessi sociali. Questa strategia assume contorni addirittura grotteschi se pensiamo che la Lega, che secondo i sondaggi ha già scavalcato il suo partner di governo (ancora per quanto?…) è un partito che per anni ha sputato sulla patria e sulla nazione italiana sostenendo (e continuando a sostenere) il secessionismo delle regioni ricche del paese all’insegna dell’egoismo sociale, del particolarismo localistico e degli attacchi costanti e continui alla Costituzione (che, oggi ipocritamente, sostengono di voler difendere…).

Se i sovranisti di sinistra credono quindi di poter ricostruire un dialogo con le masse popolari parlando di patria e nazione sono veramente fuori strada.

La vera questione che una nuova forza socialista dovrebbe porre al centro della sua analisi e della sua prassi politica, è quella di classe, naturalmente con la capacità e l’intelligenza di riproporla nelle forme nuove e adeguate che la realtà (cioè le trasformazioni del sistema capitalista, sia dal punto di vista economico e sociale che da quello ideologico e culturale) impone. Ed è proprio l’aver abbandonato questa questione – con la conseguente adesione al paradigma ideologico neoliberale – che ha portato la Sinistra (quella con la S maiuscola e senza virgolette) ad autodistruggersi ed a lasciare inevitabilmente campo libero alle forze populiste (che, ovviamente, non sono omogenee ma non posso entrare ora nel merito altrimenti dovrei scrivere un altro articolo ad hoc) nei confronti delle quali la neonata “sinistra sovranista” ha un atteggiamento fin troppo debole.

Mi pare, quindi, che in questo sforzo di ridefinirsi e di prendere le (doverose) distanze dall’attuale “sinistra”, sia nella versione liberal che in quella radical, questa area politica stia commettendo degli errori decisamente gravi, sia di ordine politico che analitico, interpretativo e ideologico.

L’ultima – ma non certo secondaria (direi anzi, clamorosa) – contraddizione degli esponenti (o di gran parte di essi) di questa area politica è la posizione nei confronti dell’ideologia politicamente corretta che in linea teorica sostengono di voler combattere in quanto funzionale e organica al sistema capitalista ma alla quale restano intimamente e indissolubilmente legati. Accettano di buon grado di essere tacciati di “rossobrunismo” per le loro posizioni sull’immigrazione o sul “sovranismo” ma non hanno il coraggio di mettere in discussione il femminismo che di quell’ideologia è uno dei mattoni fondamentali, a parte qualche tiepidissima e compatibilissima critica che lo stesso Formenti ha formulato in un suo libro nei confronti del neo femminismo attualmente dominante, mantenendo però intatta e anzi riconfermando la narrazione femminista in tutto e per tutto (fa eccezione l’amico e compagno Alessandro Visalli, dirigente di Patria e Costituzione, che ha recensito il mio libro e lo ha anche presentato a Roma insieme agli amici Pierluigi Fagan e Antonio Martone: http://tempofertile.blogspot.com/2018/11/fabrizio-marchi-contromano.html ). Se lo facciano per convinzione, opportunismo o codardia o per tutte e tre le cose insieme è del tutto irrilevante dal punto di vista politico e rimanda soltanto all’opinione personale che ciascuno di noi si fa degli altri.

Comments

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clau
Saturday, 19 January 2019 19:49
Confesso di aver letto poche righe dello scritto in quanto mi è parso che non ne valesse la pena, che sia soltanto tempo sprecato, ma ho letto con qualche interesse parte dei commenti, e quello di Marku mi è sembrato il più centrato. Cosa possiamo dire se non che l’imperialismo è organizzatissimo a livello economico, finanziario e politico, nonostante le sue contraddizioni che lo portano a sanguinosissimi scontri e a guerre, e una cosiddetta sinistra si professa invece sostenitrice del sovranismo, una teoria in voga nella classe borghese nel 1700/1800, e tra quella dei popoli coloniali anche nel 1900.
In altre parole, pretendiamo di poterci opporre, o difenderci, dalla globalizzazione economico/finanziaria, nonché politica e sociale –dal momento che la globalizzazione, come ha dimostrato, ha una sua specifica politica sociale, che è quella di far diventare i ricchi sempre più ricchi e i poveri ancor più disperatamente poveri- e voi volete cercar di risolvere questo piccolissimo problema, tornando indietro di secoli …! Siete proprio bravi, delle vere avanguardie, non c’è che dire. Karl Marx e Friedrich Engels, quasi due secoli fa lanciarono la parola d’ordine:” Proletari di tutti i paesi unitevi”! Contro la borghesia e il suo stato nazionale, concepito come sacra unione dei capitalisti in funzione antiproletaria ed anti classi subordinate, e non il suo contrario, come volete voi, cani da guardia del capitalismo. Abbasso questi traditori camuffati, come ne abbiamo visti tanti altri all’opera negli ultimi cent’anni, e non è che hanno servito a difendere i nostri interessi, ma soltanto ad aiutare i capitalisti a sottometterci sempre più ai voleri delle classi dominanti di ogni singolo periodo.
Se i gilet gialli, dopo avere votato in gran parte Macron, ora vi si ribellano contro, in quanto lo considerano giustamente governo dei padroni, non possono però organizzarsi in partito, ne fare alleanze con qualche altra frangia che come loro cercano di lottare disordinatamente contro i rappresentanti del potere costituito, è perché sono componenti di molteplici classi, borghesia compresa, in profondo contrasto tra loro, e rappresentano quindi un’ala arretrata della piccola e media borghesia, sempre più subordinata al grande capitale economico/finanziario, dominante a scala globale. E’ questa la lotta d’avanguardia da organizzare, per non morire.
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marku
Saturday, 19 January 2019 12:27
Gent.le Ivan,
andiamo per ordine
1) ritieni che un paese (una comunità, una nazione, chiamala come vuoi) possa esercitare una propria autonomia politica senza controllare le leve fiscali, finanziarie e monetarie?
Certo che no, non contesto questa lapalissiana definizione di economia politica, ma l'uso sovranista che se ne fà soprattutto da quella parte de sinistra che partendo da un concetto di riappropiazione delle leve statuali, sta già scivolando verso il maledetto (caro a tutte le dx del globo terracqueo) appellativo di patria unito furbescamente ad un richiamo alla costituzione da personaggi appartenenti o provenienti all'area del pupazzo fiorentino e della bancaria costituente, che della costituzione volevano farne strame liberiste e da cui ci siamo salvati per un soffio al referendum.
Non mi dilungo troppo potrei farti cento esempi di uso distorto di tale simbologia oserei dire fallica, te ne voglio rappresentare uno solo, passeremo miseramente da un ce lo chiede l'europa ad un ce lo chiede la patria (l'oro i cannoni, il nemico alle porte etc etc.)

2) ritieni che tali politiche economiche controllate da uno paese sovrano, siano più soggette a scontro dialettico (lotta di classe, antagonismo, etc....) se sono legate ad un contesto nazionale o a una serie di interessi sovra-nazionali e come tali difficilmente identificabili come contro-reazione da parte di chi si vuole opporre?

Mii spiace ripetermi e sembrare un facilone, ma ti confermo quanto già detto, a me del recinto ideologico delle frontiere nazionali importa niente, parto dalla situazione attuale cioè dall'europa delle banche, lorsignori hanno voluto un'unione transnazionale con un'unica moneta per ampliare ed esportare i vari monopoli, per competere con il blocco statunitense e quello russo/asiatico?
Quale migliore occasione per cercare un'unione di popoli e genti transnazionali inserendosi nelle contraddizioni esplosive interne ed esterne all'eurocrazia, gli stati uniti del miliardario campione di stappare bottiglie di champagne se non sbaglio da poco ha rilanciato il concetto di stato nazione con risvolti autarchici quale salvezza dello status quo imperialista e pare pronto a dichiarare guerra, per ora economica, ai poli economici nemici, e poi ieri la grecia piccola realtà spremuta come un limone, oggi la francia agitata da un malcontento partito dall'elezione di colui che spacciandosi per un eliminatore di sprechi ha dato vita alla marcia dei lemmings che non vogliono suicidarsi ma all'occorenza preferiscono decapitare il re.
Non ti parlo poi ancora dei rischi incalcolabili che corre la sinistra scegliendosi come compagni di strada elementi che possono andare dai malfamati di patria e costituzione ai sovranisti alla matriciana dei 5 stelle cadenti, ai marciatori su roma del poliziotto di complemento voltagabbana.
Concludo scrivendo che mi pare abbastanza semplice sia al di quà che al di là del confine patrio distinguere quali sono gli interessi delle elites e quali sono gli inderogabili interessi e fini delle genti, basta guardare il mondo con le lenti (filosofiche sociali e politiche) inventate dai comunisti
PROLETARI DI TUTTO IL MONDO. U N I O N E!
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Francesco Cimino
Friday, 18 January 2019 14:51
Per Matteo8: non è che chi rivendica una maggiore capacità di decidere per gli Stati propugni l'autarchia o la chiusura culturale, sai? Quoting Ivan:
Il problema sta proprio nella conclusione dell'articolo:una teoria e una prassi politica che abbia il conflitto di classe come elemento centrale. Ma questo obiettivo oggi manca completamente a sinistra per un doppio "motivo". Uno è interno alle stesse forze di sinistra che hanno perso il carattere di antagonismo e di rivendicazioni di istanze sociali, annebbiate dalle chimere del pensiero dominante che ha sostituito alla lotta di classe le battaglie individuali e civili (omosessualità, parità uomo donna, migranti, etc..) - questioni importanti ma subordinate alla struttura economica e ai rapporti sociali che le sottendono.
L'altro motivo è legato proprio al movimento reale di ristrutturazione del capitale che ha spostato la competizione e gli interessi delle classi "dominanti" ad un livello sovra-statale, proprio per trascendere i limiti che lo "stato" presentava alle logico di profitto e alle possibili rivendicazioni che le classi dei lavoratori potevano contrapporre a quel livello.
Il ritorno alla centralità dello "stato nazionale" è ragione necessaria, ma certamente non sufficiente per fare ripartire le istanze di lotta e di classe, ma obiettivamente una sovranità nazionale presente da molti punti di vista vantaggi politici, economici e sociali maggiori rispetto all'attuale situazione dove a comandare sono gli interessi della Germania e le logiche finanziarie dei grossi gruppi europei.
Per queste motivazioni suggerirei a chi è interessato a queste analisi di leggere i lavori di Carlo Formenti, di Domenico Moro e Luciano Gallino (ma ci sono anche tanti altri autori sull'argomento - si veda l'ultimo libro di Fazi-Mitchell) perché hanno il pregio di stimolare riflessioni molto importanti sull'attuale disastro in cui ci troviamo. E mi riferisco alla situazione reale, concreta, quella che tutti i giorni è sotto i nostri occhi, non tanto alla sfera teorica... ... ....

Quoting Ivan:
Gentile Marku,
colgo il tuo commento per farti due semplici domande.
1) ritieni che un paese (una comunità, una nazione, chiamala come vuoi) possa esercitare una propria autonomia politica senza controllare le leve fiscali, finanziarie e monetarie?
2) ritieni che tali politiche economiche controllate da uno paese sovrano, siano più soggette a scontro dialettico (lotta di classe, antagonismo, etc....) se sono legate ad un contesto nazionale o a una serie di interessi sovra-nazionali e come tali difficilmente identificabili come contro-reazione da parte di chi si vuole opporre?
Il ritorno alla sovranità lo intendo in questo modo, non certo come totem identitario o come "prima gli italiani".
L'euro è una gabbia a tutti gli effetti, che colpisce soprattutto i ceti medio-bassi. La costruzione di questa gabbia è iniziata alla fine degli anni 80 e uno dei suoi presupposti è stata la riduzione del ruolo dello stato e la sua dissoluzione nei termini di ciò che ha rappresentato nel bene e nel male nei decenni post 2° guerra mondiale.
Che quel tipo di "Stato" abbia avuto anche un ruolo repressivo e funzionale agli imperialismi (preferisco dire al Capitale) sono d'accordo con te, ma nell'attuale contesto è molto peggio: se prima era una lotta diffciie e impari (perché lo Stato ha sempre difeso gli interessi delle classi dominanti), adesso è invece una non-lotta. Dove, come e con quali soggetti pensi di organizzare una resistenza alle storpiature attuali? Dove manifestiamo per farci sentire: a Bruxelles o a Roma? Gli operai tedeschi hanno le stesse rivendicazioni del proletariato romeno? Le condizioni materiali e sociali dei greci sono le stesse dei francesi? Quali temi di lotta CONCRETI condividere?
Credi che il Web possa essere il "luogo" dove la "gente" possa organizzarsi, fare collettività e cambiare le cose?
Mah?!?
Riflettiamo su queste cose, non vorrei che il cosmopolitismo a cui tu tendi sia più funzionale agli interessi forti di quanto una nazionalismo popolare possa essere utile alla riconquista di diritti sociali ormai persi... ... ...
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Francesco Cimino
Friday, 18 January 2019 14:39
Per chi chiama in causa l'Unione europea come contraltare del "sovranismo": se l'Unione fosse una federazione e agisse in modo, ad esempi, di porre vincoli alla mobilità dei capitali in uscita e in entrata( come fa la Cina ), agirebbe come un super - Stato "sovranista", né più né meno.
Ma l'unione non è una federazione. La sua massima fonte di diritto non sono le decisioni di un'Assemblea Costituente o di un parlamento: sono i trattati tra gli Stati membri, stipulati e modificabili sono con l'unanime consenso dei Paesi contraenti, uno per uno. Tali trattati contengono norme relative all'economia che diventano, di fatto, più difficili da modificare di una Costituzione politica - perché, date le differenze tra gli Stati contraenti, una concorde modifica sarebbe davvero ardua.
Se al libertà politica include la possibilità di accorgersi di eventuali errori, di adattarsi ai mutamenti, di cambiare idea, questo modo di procedere è stato un attacco alla libertà politica, in nome di concezioni economiche dichiarate incontestabili. E non si tratta di concezioni "di sinistra", ma di quelle opposte.
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Francesco Cimino
Friday, 18 January 2019 14:19
Eppure il discorso del "sovranismo di sinistra" è semplice e chiaro, su un punto: una maggiore capacità di decidere da parte degli Stati è condizione non sufficiente, ma necessaria all'attuazione di politiche di sinistra. Questo perché tali politiche richiedono l'intervento pubblico sull'economia e uno Stato mondiale non esiste.
Prendiamo ad esempio la "libera mobilità dei capitali" che il trattato di Maastricht ha sancito tra i membri dell'Ue e tra essi e il mondo esterno: consente a chi gestisce capitali di spostare senza limiti posti di lavoro e introiti fiscali dove lavoratori e governi sono più arrendevoli, quindi di porre le proprie condizioni.
Se questo non piace, che alternative ci sono all'abolire tale "libera mobilità" a vantaggio degli Stati? Una è stipulare trattati internazionali che stabiliscano comuni livelli di tassazione e di condizioni dei lavoratori dipendenti, comuni e accettabili da una prospettiva di sinistra. Da 20 o 30 anni non accade, perché i dislivelli e le differenze tra i vari Paesi sono troppo forti. L'altro è aspettare la rivoluzione proletaria internazionale.
Tutto questo non vuol dire che si debba puntare all'autarchia o rinunciare ai trattati internazionali. Vuol dire, credo, semplicemente essere realisti.
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Francesco Cimino
Friday, 18 January 2019 14:19
Eppure il discorso del "sovranismo di sinistra" è semplice e chiaro, su un punto: una maggiore capacità di decidere da parte degli Stati è condizione non sufficiente, ma necessaria all'attuazione di politiche di sinistra. Questo perché tali politiche richiedono l'intervento pubblico sull'economia e uno Stato mondiale non esiste.
Prendiamo ad esempio la "libera mobilità dei capitali" che il trattato di Maastricht ha sancito tra i membri dell'Ue e tra essi e il mondo esterno: consente a chi gestisce capitali di spostare senza limiti posti di lavoro e introiti fiscali dove lavoratori e governi sono più arrendevoli, quindi di porre le proprie condizioni.
Se questo non piace, che alternative ci sono all'abolire tale "libera mobilità" a vantaggio degli Stati? Una è stipulare trattati internazionali che stabiliscano comuni livelli di tassazione e di condizioni dei lavoratori dipendenti, comuni e accettabili da una prospettiva di sinistra. Da 20 o 30 anni non accade, perché i dislivelli e le differenze tra i vari Paesi sono troppo forti. L'altro è aspettare la rivoluzione proletaria internazionale.
Tutto questo non vuol dire che si debba puntare all'autarchia o rinunciare ai trattati internazionali. Vuol dire, credo, semplicemente essere realisti.
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Graziano09
Thursday, 17 January 2019 15:59
Pienamente d'accordo con @Matteo8 . E ( premettendo che ovviamente questa Europa è da cambiare , democratizzare ecc. ecc..) aggiungo che chi dice di volere l'autonomia nazionale per controllare le leve monetarie e fiscali , fa un discorso nella migliore delle ipotesi ingenuo , sprovveduto e a-storico : nel 2019 , data l'interdipendenza planetaria raggiunta dalla produzione alla finanza ( passando dalla cultura e tutto il resto ) , l'unico controllo che puoi avere su moneta , economia e finanza , è il controllo condiviso con altri paesi . L'altra soluzione , e nel 2019 a maggior ragione , è imparare il passo dell'oca e invadere la Polonia .
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Matteo8
Thursday, 17 January 2019 15:13
Che tristezza!Si e' reduci da una sconfitta dopo l'altra,non si sa che pesci pigliare,come succedeva anche in momenti migliori si e' divisi in mille gruppi anche per rivalita personali,e che si fa?si va sul mercato,anzi al supermercato e si prende quello che si trova.Le sinistre che si rifanno al concetto di sovranismo,anzi diciamola tutta al nazionalismo,sono la prova piu evidente che nell'attuale momento storico non si conta nulla anche dal punto di vista dell'intelligenza comune prima che politica.
Ma perche' io dovrei seguire la sinistra che starnazza di nazione,patria,identita ecc.,quando piu coerentemente e in modo piu efficace lo fa la destra da sempre?Come si e'sempre detto tra la copia e l'originale....e infatti la gente
sceglie l'originale.Tra l'altro nel propagandare quello che e' obiettivamente piu vicino si e' piu bravi e Salvini e' piu bravo di Formenti.Tra l'altro si sostiene questo concetto di sovranismo partendo da una poco convincente critica dell'economia.Le burocrazie,le elites,le finanze europee ecc.ecc.,come se a livello di singole nazioni fosse invertito un rapporto di forze cosi consolidato.Affermando la necessita di un sovranismo della nazione non si puo che rafforzare concetti come la xenofobia se non il razzismo vero e proprio,le frontiere da sorvegliare,i migranti da respingere,la cultura da circoscrivere,le scienze,la medicina,l'arte da limitare alla patria.
Il problema e' che quando si instaura in tutto il mondo una egemonia cosi' evidente,si trascina anche chi da queste posizioni dovrebbe essere lontano.E' successo all'inverso negli anni 60-70,quando nelle universita come la Bocconi non si poteva prescindere dallo studiare almeno Keynes,
Non ho le capacita e la preparazione per consigliare alternative,ma certamente me la sento di definire una buffonata teorie che accoppiano patria e costituzione
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Ivan
Thursday, 17 January 2019 15:13
Gentile Marku,
colgo il tuo commento per farti due semplici domande.
1) ritieni che un paese (una comunità, una nazione, chiamala come vuoi) possa esercitare una propria autonomia politica senza controllare le leve fiscali, finanziarie e monetarie?
2) ritieni che tali politiche economiche controllate da uno paese sovrano, siano più soggette a scontro dialettico (lotta di classe, antagonismo, etc....) se sono legate ad un contesto nazionale o a una serie di interessi sovra-nazionali e come tali difficilmente identificabili come contro-reazione da parte di chi si vuole opporre?
Il ritorno alla sovranità lo intendo in questo modo, non certo come totem identitario o come "prima gli italiani".
L'euro è una gabbia a tutti gli effetti, che colpisce soprattutto i ceti medio-bassi. La costruzione di questa gabbia è iniziata alla fine degli anni 80 e uno dei suoi presupposti è stata la riduzione del ruolo dello stato e la sua dissoluzione nei termini di ciò che ha rappresentato nel bene e nel male nei decenni post 2° guerra mondiale.
Che quel tipo di "Stato" abbia avuto anche un ruolo repressivo e funzionale agli imperialismi (preferisco dire al Capitale) sono d'accordo con te, ma nell'attuale contesto è molto peggio: se prima era una lotta diffciie e impari (perché lo Stato ha sempre difeso gli interessi delle classi dominanti), adesso è invece una non-lotta. Dove, come e con quali soggetti pensi di organizzare una resistenza alle storpiature attuali? Dove manifestiamo per farci sentire: a Bruxelles o a Roma? Gli operai tedeschi hanno le stesse rivendicazioni del proletariato romeno? Le condizioni materiali e sociali dei greci sono le stesse dei francesi? Quali temi di lotta CONCRETI condividere?
Credi che il Web possa essere il "luogo" dove la "gente" possa organizzarsi, fare collettività e cambiare le cose?
Mah?!?
Riflettiamo su queste cose, non vorrei che il cosmopolitismo a cui tu tendi sia più funzionale agli interessi forti di quanto una nazionalismo popolare possa essere utile alla riconquista di diritti sociali ormai persi... ... ...
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MD
Thursday, 17 January 2019 13:16
Sinceramente faccio una fatica boia a distinguere la sinistra sovranista dalla destra sovranista . A parte la forma del linguaggio ( più sfumato e ambiguo da una parte , più diretto e senza tentennamenti dall'altra ) i contenuti alla fine sono gli stessi , che sono inevitabilmente quelli di destra perché è impossibile mascherare le ideologie centrate sulla nazione con parole che dicono di riferirsi alla classe e agli esclusi : alla fine il discorso centrato sulla nazione si mangia sempre il discorso centrato su questi ultimi . Ed è d'altronde una storia nota e vecchia quella di nazionalsocialisti ( che sappiano o meno di esserlo ) che provano a mascherarsi da socialisti .
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marku
Thursday, 17 January 2019 12:57
Caro Ivan
in poche righe mi scuso se parlo per slogan
NO LO STATO NAZIONE NOOOOOO.....
"Il ritorno alla centralità dello "stato nazionale" è ragione necessaria, ma certamente non sufficiente"
è a mio parere il suicidio di ogni istanza di cambiamento, un illusione ideologica, un miraggio nel deserto della sinistra italiota, l'adorazione di un totem identitario che non esiste più ne ha ragione di esistere più, una trincea della storia, il buco nero che inghiotte un'intero sistema solare di istanze di rinnovamento e cambiamento da parte di un globo che si avvia verso gli otto miliardi di genti sempre più istruite e connesse.
ultimo slogan
Lo stato nazione e la sua declinazione di patria sempre più agitata sinistramente in chiave nazional popolare
è l'ultima frontiera della canaglia imperialista
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Ivan
Thursday, 17 January 2019 11:51
Il problema sta proprio nella conclusione dell'articolo:una teoria e una prassi politica che abbia il conflitto di classe come elemento centrale. Ma questo obiettivo oggi manca completamente a sinistra per un doppio "motivo". Uno è interno alle stesse forze di sinistra che hanno perso il carattere di antagonismo e di rivendicazioni di istanze sociali, annebbiate dalle chimere del pensiero dominante che ha sostituito alla lotta di classe le battaglie individuali e civili (omosessualità, parità uomo donna, migranti, etc..) - questioni importanti ma subordinate alla struttura economica e ai rapporti sociali che le sottendono.
L'altro motivo è legato proprio al movimento reale di ristrutturazione del capitale che ha spostato la competizione e gli interessi delle classi "dominanti" ad un livello sovra-statale, proprio per trascendere i limiti che lo "stato" presentava alle logico di profitto e alle possibili rivendicazioni che le classi dei lavoratori potevano contrapporre a quel livello.
Il ritorno alla centralità dello "stato nazionale" è ragione necessaria, ma certamente non sufficiente per fare ripartire le istanze di lotta e di classe, ma obiettivamente una sovranità nazionale presente da molti punti di vista vantaggi politici, economici e sociali maggiori rispetto all'attuale situazione dove a comandare sono gli interessi della Germania e le logiche finanziarie dei grossi gruppi europei.
Per queste motivazioni suggerirei a chi è interessato a queste analisi di leggere i lavori di Carlo Formenti, di Domenico Moro e Luciano Gallino (ma ci sono anche tanti altri autori sull'argomento - si veda l'ultimo libro di Fazi-Mitchell) perché hanno il pregio di stimolare riflessioni molto importanti sull'attuale disastro in cui ci troviamo. E mi riferisco alla situazione reale, concreta, quella che tutti i giorni è sotto i nostri occhi, non tanto alla sfera teorica... ... ....
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lorenzo
Thursday, 17 January 2019 11:15
Condivido, oltretutto mi pare che il problema piu' stringente della sinistra sia proprio quello di rinnovare nelle masse le motivazioni profonde per combattere il capitalismo o quanto meno di porsi in modo fortemente critico prima che cercare soluzioni tecniche di difesa. Il sovranismo o populismo di oggi partw da un disagio concreto che pero' mi pare non pienamente cosciente. Senza condivisione di una meta, questo disagio sara' probabilmente destinato solo ad alimentare una certa destra e finira' essere, come sempre, congeniale o comunque non veramente pericoloso per il sistema di sopraffazione organizzato quale e' adesso il governo del mondo.
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marku
Thursday, 17 January 2019 09:23
Premetto senza indugi di essere un anarcoide/transnazionalista/mondialista/internazionalista
negro ebreo & comunista.
Che Formenti in ottima compagnia del compagno Moreno Pasquinelli aspirino inconsapevolmente a divenire il Bannon di sinistra?
Questo il dilemma che mi affligge ogni qualvolta leggo i loro interessanti articoli.
Continuerò a ripetere indefessamente che i miei avversari sovranisti aspirano al massimo ad una cambio di classe dirigente nulla di più.
Essi mi ricordano "sinistramente" i socialisti interventisti stranamente dalla stessa parte dei padroni italioti, nel declamare i disvalori di patria per scatenare e partecipare alla prima macelleria mondiale e prodromico del ventennio.
Se ben vedete basta guardarsi intorno senza il paraocchi sovranista di patria & costituzione per capire che i compagni di viaggio sono a partire da bersani in su, residui di una sinistra statalista figlia appunto dei cascami ideologici togliattiani.
Per quanto riguarda i nemici sovranisti di dx che dire?
il poliziotto di complemento salvini come bombacci, in sedicesimo però perche il primo è proprio un burattino voltagabbana che farà la fine di tutti i voltagabbana.
Occhio quindi ai compagni di strada amici sovranisti
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gianmarco martignoni
Wednesday, 16 January 2019 21:56
Ho seguito Costanzo Preve costantemente sul piano teoretico, ma disponendo di una autonomia di giudizio non ho condiviso più volte i suoi giudizi politici.Nel deserto attuale Carlo Formenti è una boccata d’ossigeno, soprattutto quando demolisce il paradigma post-operaista e affronta seriamente le nuove forme di sfruttamento del mondo del digitale ( e non solo ).Ma vale per lui lo stesso ragionamento che ho sintetizzato per Preve. Provenendo da una cultura che non ha mai separato la questione nazionale da quella internazionale, credo che il giudizio di Fabrizio sia largamente condivisibile.Tra l’altro, riprendendo un intervento di Walden Bello : ” Comprendere l’ascesa globale dell’Estrema destra “, appare chiaro come il controllo del cyberspazio, la diffusione delle false notizie e lo scatenamento dell’odio contro il ” nemico ” non sono fatti, assolutamente, casuali per quanto concerne il modo di operare delle deste.Insomma, che ci sia un regista, tal Steve Bannon,
e che i sovranisti mirino a costituire una loro internazionale di destra,la dice lunga sul loro approccio tutt'altro che approssimativo alle questioni politiche.Che dopo l'appassimento dei Social Forum non sussista un'internazionale della sinistra - non arresasi alla logica pervasiva , annichilente e distruttiva del capitale - mi pare il punto su cui riflettere.Dopodichè, le lotte storicamente si sono sviluppate e si sviluppano, quando si sviluppano, in una cornice nazionale.Ma l'azione del movimento operaio e delle sue organizzazioni ha sempre considerato e fatto i conti con il capitale a livello globale.
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