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cumpanis

Il ritorno della politica di classe

di Maxi Nieto

Da “El Viejo Topo”, 23 ottobre 2021. “Cumpanis”, nello spirito di collaborazione e scambio reciproco di articoli e saggi con la prestigiosa rivista spagnola “El Viejo Topo”, pubblica questo interessante Prologo di Maxi Nieto al libro di Jesús Rodríguez Rojo Las tareas pendientes de la clase trabajadora (I compiti futuri della classe operaia). A cura di Liliana Calabrese

piano economico e composizione di classeParlare oggi, a braccetto con Marx, di classi sociali, rivendicandone la centralità per l’analisi sociale contemporanea, costituisce una via privilegiata di accesso alla comprensione teorica del modo di produzione capitalistico come vera totalità strutturale – con una propria logica di funzionamento e leggi oggettive del movimento –, e con esso anche alla precisa conoscenza della sua manifestazione attuale, già pienamente globalizzata. E rappresenta quella via privilegiata di discernimento teorico perché, in tempi di regressione sociale globalizzata e di ricomposizione politica delle forze sociali in conflitto, l’analisi di classe ha oggi più che mai l’inestimabile virtù di delimitare con chiarezza e immediatezza i campi di confronto del mondo nel dibattito che attraversa tutte le scienze sociali interessate all’emancipazione umana, schematicamente, e in definitiva, tra marxismo e post-marxismo, rivela direttamente le implicazioni e le potenzialità politiche di ciascuno.

A differenza di quanto accade con gli approcci sociologici all’uso (a cui partecipano anche i molti vari rappresentanti del post-marxismo che egemonizza il pensiero di sinistra degli ultimi quattro decenni), le classi sociali nella ricerca di Marx non forniscono una mera rappresentazione tassonomica delle stratificazione nelle economie in cui dominano i rapporti di produzione capitalistici, una classificazione che coesisterebbe senza poter rivendicare alcuna preminenza teorico-politica con molte altre linee di frattura e di ordinamento sociale.

Al contrario, costituiscono una forma particolare di espressione dell’intero quadro strutturale dei rapporti e dei processi socio-economici in cui consiste il modo di produzione capitalistico nel suo insieme, un sistema sociale che acquisisce la sua specificità storica nella dissoluzione dei legami di dipendenza personale che caratterizzavano le società che lo hanno preceduto, sostituendo a tutti quei legami personali di dominio un’articolazione della società puramente mercantile (compreso il processo di estrazione del surplus dei produttori ), ma che per operare efficacemente richiede anche, come condizione propria, la sfera giuridico-politica del diritto e lo Stato. Analizzando le classi – dalle loro determinazioni formali più fondamentali al loro sviluppo storico e alle configurazioni attuali –, quindi, non si comprende altro che la natura stessa, l’articolazione interna e il funzionamento del sistema economico globalizzato in cui viviamo.

Si può poi dire, più concretamente, che nella misura in cui le classi sociali sono definite nella sfera della produzione, dal rapporto instaurato in essa da proprietari e non proprietari delle condizioni materiali di produzione, esse rimandano necessariamente anche alla nozione del lavoro sociale come fondamento del valore mercantile, e quindi consentire di dare conto dello specifico meccanismo di estrazione e appropriazione del surplus che caratterizza la società del capitale: sotto la copertura giuridica di un libero contratto tra pari, ciò che accade materialmente è che il lavoratore produce più valore dei suoi rigorosi costi di riproduzione sociale, un plusvalore di cui il proprietario capitalista si appropria senza dare nulla in cambio. Portare alla luce tutte le determinazioni formali di quella complessa articolazione economica della società, dove i rapporti sociali si manifestano quantitativamente nella sfera mercantile come rapporti di valore, ridotti a una grandezza comune, è il vero compito della teoria del valore-lavoro in Marx. Partire dalle classi sociali significa, pertanto, anche partire dal lavoro – inteso come attività umana centrale finalizzata al soddisfacimento dei propri bisogni di riproduzione sociale (e non meramente biologica) –, e conseguentemente avere come quadro di riferimento per la ricerca sociale la teoria del valore del lavoro.

Vediamo così che valore, lavoro e classe operaia rappresentano, da questa prospettiva teorica che stiamo riesaminando, gli elementi fondamentali che definiscono il processo economico capitalistico, processo che, nella misura in cui si articola sulla scala dell’intera società in termini mercantili, funziona spontaneamente secondo la logica cieca della massimizzazione del profitto. Per questo, parlare di classi sociali – e farlo nel senso preciso che indichiamo – è sempre, in definitiva, parlare di capitale: quel processo di auto-valorizzazione, automatico e impersonale, che si nutre della continua appropriazione del surplus estratto dai lavoratori e che impone alla società nel suo insieme i suoi bisogni interni di riproduzione su scala sempre crescente.

Ne consegue che assumere le classi sociali come asse analitico non è una semplice scelta o preferenza del ricercatore – studiare un aspetto più o meno “importante” della realtà sociale, che è sempre soggetto agli alti e bassi delle mode accademiche – ma qualcosa che impone allo stesso oggetto di studio (che altro non è che il modo di produzione capitalistico) di essere efficacemente compreso ed esposto categoricamente. Nella prospettiva teorica di Marx, né il fondamento lavorativo del valore né, di conseguenza, la centralità delle classi come spartiacque sociale, sono qualcosa come “ipotesi” o “tesi” da dimostrare mediante “verifica empirica” ​​(e che rivaleggerebbero con altre ipotesi e criteri di classificazione alternativi), che è il modo in cui la questione del valore e della stratificazione sociale viene solitamente posta nei domini accademici dell’economia e della sociologia mainstream, rispettivamente. Lontani da tutto ciò, nel progetto marxiano di “critica dell’economia politica” la categoria di valore-lavoro, e con essa necessariamente anche quella di classe sociale, sono presupposti costitutivi – coordinate di demarcazione teorica – dell’oggetto di studio stesso, un oggetto che ha natura strettamente sociale (e non psicologica, come risulterebbe dalla teoria soggettiva del valore, o tecnologico, se si parte dalla teoria “fisicalista”) e che, quindi, si occupa esclusivamente del tipo di distinzioni concettuali rilevanti per l’analisi dei processi che ordinano la vita delle persone.

Si potrà allora comprendere che il costo del lavoro della riproduzione economica della società, così come la forma sociale che questo processo riproduttivo assume nel modo di produzione capitalistico, rappresenta in Marx proprio il tema che intendiamo indagare. Vogliamo semplicemente calcolare quanto costa alle persone (e non alle macchine, agli animali o alla natura, il che ci porrebbe al di là del rigoroso regno delle scienze sociali) in termini di spesa per il loro lavoro (che non è altro che la spesa del loro tempo di vita) riprodurre periodicamente le loro condizioni materiali di esistenza. E legato a questa contabilità del lavoro, rappresenta anche un elemento costitutivo dell’oggetto di studio di Marx per indagare il rapporto preciso che si stabilisce tra lavoro e proprietà (sui prodotti di quel lavoro), che permetterà di scoprire l’esistenza di un rapporto di sfruttamento come base della società capitalista: il fatto che ci possano essere individui che, senza bisogno di lavorare essi stessi, riescono tuttavia ad appropriarsi sistematicamente dei frutti del lavoro altrui.

Insomma, solo se prendiamo come asse dell’analisi il lavoro umano (e lo distinguiamo nettamente dal funzionamento delle macchine o dal semplice impiego delle risorse naturali nella produzione) sarà possibile svelare il sistema di relazioni sociali in cui consiste il modo di produzione capitalista. Questa è la ragione di fondo per cui la nozione di valore-lavoro, così come quella di classe sociale ad essa inevitabilmente associata, costituiscono per Marx il punto di partenza imprescindibile di ogni ricerca scientifica nel campo dell’economia politica, e ciò che la contraddistingue dall’“economia volgare” (e anche della teoria sociale post-marxista) che domina ancora oggi.

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Il lavoro di ricerca e la discussione pubblica che Jesús Rodríguez Rojo, ricercatore presso l’Università Pablo de Olavide ha sviluppato negli ultimi anni, fa esattamente parte di questa fertile tradizione di pensiero sulla società del capitale a partire dalla teoria del valore-lavoro di Marx. Una prospettiva teorica classica che dopo alcuni decenni di ostracismo, messa alle strette in campo accademico dalla moda dei “cultural studies” e delle “politiche identitarie” che le potenti piattaforme ideologiche del “liberalismo progressista” sono riuscite a imporre, sta di nuovo iniziando a fare progressi grazie a una nuova generazione di giovani ricercatori che annovera Rodríguez Rojo, nel nostro paese, come uno dei suoi rappresentanti più importanti.

Come avverte lo stesso autore nella prefazione, questo libro completa un intero ciclo di ricerca teorica sulle classi sociali che è stato innescato dalla necessità di comprendere e riorientare la militanza rivoluzionaria nel quadro degli sconvolgimenti sociali e politici che hanno accompagnato l’ultima grande crisi del mondo capitalismo, un lungo decennio fa. Tale necessità pratica ha portato ad un ritorno al Marx maturo de Il Capitale e al suo progetto teorico di “critica dell’economia politica”, che continua a fornire i migliori strumenti concettuali per comprendere la logica strutturale del capitale e le sue leggi oggettive di movimento. Una logica economica attraverso la quale la lotta di classe si dispiega, imponendo le le sue condizioni e mostrando le sue vere potenzialità, e che rivela anche i limiti strutturali dell’azione dello Stato borghese per la trasformazione sociale emancipatrice. L’indagine di tutte queste determinazioni fondamentali della dinamica economica capitalista e della lotta di classe che l’accompagna era proprio l’oggetto del suo libro precedente, La revolución en El capital, un contributo fondamentale alla ripresa del nostro Paese dal punto di vista dell’analisi di classe della società odierna (Jesús Rodríguez Rojo, La rivoluzione nel Capitale. Significati e potenzialità della lotta di classe, Madrid: Garage, 2019). L’applicazione di questo schema teorico generale allo studio delle manifestazioni più concrete e specifiche della lotta dei lavoratori, come il suo rapporto con la questione di genere o l’azione politica rivoluzionaria nei paesi capitalistici sviluppati, focalizza il contenuto di questo testo.

È proprio questo orientamento «applicato» che rende il nuovo libro di Rojo un contributo eccezionale all’urgente compito di stabilire una agenda di ricerca e di dibattito per la nostra tradizione teorico-politica, un programma di intervento teorico che possa liberarsi definitivamente dalle mode intellettuali e delle servitù imposte dall’attuale lavoro accademico. La comprensione del capitale come “soggetto regolatore” della stragrande maggioranza dei processi sociali che modellano il nostro sviluppo vitale è, ovviamente, il punto di partenza di Rojo. Sono le esigenze interne di questo processo economico automatico che si impongono necessariamente all’intero corpo sociale, compreso in particolare il suo metabolismo predatorio con l’ambiente naturale. E di fronte ai molteplici dissolutori di identità che si radicano e proliferano – in un processo di frammentazione senza fine – nel pensiero e nell’azione della sinistra odierna, uno dei punti di forza della prospettiva che l’autore delinea in questo libro è la ferma rivendicazione dell’universalismo razionalizzante della tradizione illuminista, tradizione di cui il comunismo marxista rappresenterebbe il conseguente sviluppo.

Tale prospettiva analitica, che mira a recuperare i migliori contributi del pensiero marxista classico, è ciò che consente a Rojo di delineare con precisione alcuni dei fondamentali problemi teorico-politici che la ricostruzione del progetto di emancipazione comunista dovrà affrontare nei prossimi anni. Tra di essi, e seguendo il filo degli sviluppi contenuti in questo libro, si possono segnalare, logicamente collegati tra loro, i seguenti punti: i) come politicizzare in senso rivoluzionario una classe che è, nella sua esistenza immediata e spontanea, un “attributo del capitale”; ii) come la tendenza strutturale del modo di produzione capitalistico verso il lavoro salariato dell’intera popolazione incide sulla problematica di genere – qui intesa principalmente come rapporto storico tra lavoro domestico e riproduzione della forza lavoro – che può anche essere posta dalla questione se il rapporto del patriarcato con il capitale sia solo storico (cioè contingente) e non strutturale; iii) quale concreta materializzazione deve avere la forma-partito, una volta ammessa la sua esigenza di entità politica che unifica e orienta consapevolmente la lotta degli operai verso la loro emancipazione; iv) come si articolano nella lotta operaia il programma minimo (la lotta per le riforme all’interno dello stesso regime capitalista) e il programma massimo (che cerca di superarlo e pretende la fine del potere politico borghese) senza cadere nel tipico gradualismo di transizione di «natura» movimentista» – che crede che ogni riforma compiuta porti sempre a una più alta, in un processo cumulativo – e che finisce sempre per richiedere allo stesso Stato borghese riforme impossibili (reddito minimo, lavoro garantito, controllo dei prezzi, ecc.); v) qual è il vero rapporto tra “democrazia” ed “economia” nella società moderna; è forse quello che esiste tra una procedura di partecipazione popolare che già opera (sebbene imperfettamente, come suol dirsi) negli attuali regimi borghesi e che si cercherebbe di estendere alla sfera economica (per conquistare, in questo modo, come si dice spesso, “democrazia economica”, con “autogestione operaia”)? O, piuttosto, il rapporto tra democrazia ed economia è quello che si instaura – a seguito del repubblicanesimo filosofico – tra un progetto politico teoricamente ben definito di potere civile (diritto, libertà individuale, garanzie, eguale potere decisionale, ecc.) e le sue condizioni materiali (socio-economiche) di possibilità, da cui deriverebbe che l’autogoverno cittadino – al di là di certi diritti e libertà precariamente stabiliti oggi – non può in alcun modo essere regolato nelle condizioni di produzione capitalistiche?; vi) come si materializza istituzionalmente il superamento del mercato come principio di articolazione economica per la costruzione del socialismo; vii) e, infine, qual è la forma giuridico-politica che corrisponde, a pieno titolo, al potere dei lavoratori, come quella che può garantire sia la transizione socialista (l’esercizio della “dittatura del proletariato”) sia il controllo cosciente e razionale del processo economico da parte dei produttori?

Come risposta globale a tutte queste domande, Rojo propone un programma teorico-politico che si articola intorno a tre elementi fondamentali: i) basato sull’analisi delle tendenze strutturali del modo di produzione capitalistico (socializzazione della produzione, lavoro salariale, ecc. ), ripristina la centralità della classe operaia come soggetto realmente capace di lottare per il suo superamento, consentendo anche un coerente percorso di relazione con la lotta femminista; ii) definisce l’orizzonte comunista (o almeno il lungo cammino verso di esso) come articolazione necessaria della pianificazione economica e “repubblica democratica evoluta”; e iii) comprendendo lo Stato come forma politica specifica in cui il capitale globale si esprime unitariamente, ne deriva la necessità di una strategia rivoluzionaria per il superamento dell’ordine sociale capitalista.

Naturalmente, la realizzazione di tutto questo programma generale è ciò che resta aperto al dibattito. Ma quello che sembra indiscutibile, almeno se si vuole uscire dall’impasse a cui ha portato il post-marxismo negli ultimi decenni, è il suo punto di partenza, e che il libro di Rojo ha il grande merito di salvare: la necessità di ripensare la politica con le classi

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