Dugin o non Dugin
di Michele Castaldo
Scrivo queste note prendendo spunto dalle polemiche di alcuni interventi su sinistrainrete.info circa l’utilità di leggere o meno Dugin. Dico subito che molte domande ed altrettante risposte sono mal poste. Chi mi conosce sa che non vado per il sottile e sono solito affrontare le cose di petto, come dovrebbe fare chiunque ama richiamarsi alle ragioni del comunismo.
Anche un uomo di destra può dire cose interessanti? Posta in astratto la domanda chiunque può dire delle cose interessanti, anzi Pirandello dice che per conoscere certe verità di un villaggio bisogna ascoltare il personaggio ritenuto « lo scemo del villaggio », ma Dugin non è « lo scemo del villaggio » e se si apre un dibattito sulle sue tesi vuol dire che le questioni che stanno a monte sono molto più complicate di come le vogliamo rappresentare. Non meniamo il can per l’aia e veniamo perciò alla questione teorica a monte. Prometto di non fare sconti e parto con un esempio.
Molti compagni della mia generazione (i canuti nei paraggi degli ottanta ormai) hanno letto La città del sole di Tommaso Campanella, il filosofo calabrese vissuto tra il ‘500 e il ‘600. Un filosofo apprezzato e stimato. Bene. Ne La città del sole quando parla della procreazione – cito a memoria – indica un criterio di selezione della specie umana, ovvero che i figli devono essere generati da coppie sane preventivamente accertate. Un criterio molto prossimo a Campanella lo esprimeva Hitler, o i filosofi di regime del nazionalsocialismo tedesco. Il nazionalismo tedesco è stato eletto a « male assoluto », mentre Tommaso Campanella continua a essere stimato nella sinistra come un grande filosofo idealista.
Perché ho citato Campanella? Perché i militanti comunisti, fin dal Manifesto, famosa la tesi di Marx l’XI tesi su Feuerbach : «I filosofi hanno finora interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo», antepongono un « che fare » o addirittura il « che fare » in termini di proposta su come organizzare nuovi rapporti sociali, piuttosto che cercare di capire – cioè di studiare in modo approfondito - cosa è esattamente il capitalismo. In questo modo si rincorrono proposte, e il campionario degli ultimi 180 anni è molto ampio, infinito ma si rifugge dal capire che il modo di produzione capitalistico non è un modello che si può sostituire con un altro modello di rapporti sociali, ma un movimento storico prodotto dallo scambio ed estesosi ormai in tutto il mondo.
Poteva essere fermato tale movimento negli ultimi secoli a partire del ‘500? Domanda oziosa e priva di senso, perché il comunismo non si pone questo tipo di domanda alla quale non c’è risposta. Poteva esserci una rivoluzione che ne inficiasse il cammino? Era perciò ineluttabile che si sviluppasse in tutte le sue massime espressioni fino a raggiungere gli attuali livelli? È ancora un modo per portare a spasso i « se », ovvero il paradiso degli idealisti dinanzi al caminetto.
Quando fu chiesto a Marx cosa intendesse per « dittatura del proletariato », lui non si avventurò per sentieri ideali, ma disse « il modo d’essere della Comune di Parigi », cioè l’espressione di « un movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti ». L’errore che abbiamo commesso nel corso di oltre un secolo e mezzo è quello di riprendere pedissequamente una circostanza determinata di allora ed assolutizzarla, ovvero elevarla a sistema fino ai giorni nostri. È successa la stessa cosa con i soviet o consigli che dir si voglia, senza conoscere per niente la rivoluzione russa e senza sapere che i Soviet si diedero in ben quattro circostanze diverse e proprio per questo erano espressione di fattori diversi: febbraio 1905 dopo “la domenica di sangue”, diretta espressione del proletariato metallurgico; nell’autunno-inverno si estese ad altre categorie; nel febbraio 1917 furono costituiti per lo più da personaggi politici dei partiti di sinistra, fra i quali spiccavano i menscevichi; mentre in autunno la gran parte erano composti da soldati-contadini e contadini soldati mentre era largamente minoritaria la presenza operaia. Ma i nostri militanti comunisti pensando di aver finalmente trovata la famosa « leva per sollevare il mondo » hanno brandito quell’arma pensando di sconfiggere così il capitalismo. Ed oggi ci troviamo in braghe di tela, perché chi avrebbe dovuto brandire quell’arma e organizzarsi, era il proletariato industriale che in Occidente, impattando con la nuova fase della crisi di accumulazione del capitale si è trovato di fronte un concorrente preso prigioniero dall’accumulazione in Cina e in tutta l’Asia e non sapendo cosa fare sta arretrando disordinatamente, non solo, ma comincia a guardare sempre di più il proprio capitalista, il proprio capitale e il proprio capitalismo come i girasoli guardano il sole. Semplice abc del materialismo.
È oggetto di discussione una cosa del genere? Macché, si continua come prima e peggio di prima a ripetere stantii concetti e parole d’ordine lontani anni luce dalla realtà sociale, si continua a costituire sindacatini alternativi e micro-formazioni “rivoluzionarie” per lanciare appelli su cosa “si dovrebbe fare”, sempre nella speranza che ad essi vadano le masse, e puntualmente vengono smentiti dalla realtà. Si continua insomma a ritenere le masse rivoluzionarie in quanto tali, che vengono imprigionate dai dirigenti riformisti.
Se poi capita una pandemia, piuttosto che denunciare le cause che l’hanno prodotta e organizzare un minimo di mobilitazione sul problema, si preferisce rifugiarsi nella lotta di individui contro il green pass, dando così mano libera all’establishment – che difende ovviamente il modo di produzione - di gestire la crisi della pandemia come causa naturale. Insomma il libero arbitrio liberista e occidentalista contro il determinismo storico del modo di produzione.
Perché tutta questa premessa? Per criticare un metodo che pone la proposta politica come fattore risolutore dell’azione di massa. Così facendo ci comportiamo da dilettanti allo sbaraglio mentre la storia, quella vera, fatta di necessità che divengono forza in movimento ci passa sotto il naso. Ed è proprio la nuova fase che drammaticamente ci sta passando sotto il naso, proprio quando tutti i nodi del moto storico del modo di produzione capitalistico stanno venendo al pettine. Non è una mia considerazione, è solo l’osservazione dei fatti e chi non li vede è perché cerca di non vederli, ma soprattutto perché immagina una realtà storica che proceda secondo i suoi canoni ideologici.
Perché alcuni militanti nel leggere di Dugin su sinistrainrete.info si indignano? Perché è un filosofo di destra? Ma perché è di sinistra il vescovo Viganò che si è ritrovato in piazza San Giovanni a Roma con militanti di sinistra, anche di “estrema” sinistra, contro il green pass?
Non conosco Nicola Licciardello ma sto – come sempre – ai fatti e da subito dico che con un certo Viganò penso di non aver niente in comune. Neanche la protesta contro il green pass? No, neanche quella.
Perché si discute di Dugin? Per un corso di filosofia all’università? Non ci prendiamo per i fondelli, si discute di questo filosofo perché ha una precisa attinenza con l’azione della Federazione russa in Ucraina e le sue prospettive, in Ucraina e non solo, e per meglio ancora dire si discute del ruolo della Federazione russa e della Cina rispetto all’insieme dell’Occidente e alle sue varie articolazioni nei nuovi scenari mondiali del modo di produzione capitalistico. Pertanto o parliamo di questo o della futura formazione dell’Italia ai futuri campionati mondiali di calcio.
Avendo esposto in più articoli, e a chiare lettere, la mia posizione sull’Ucraina, sull’ autodeterminazione, sull’internazionalismo proletario, e sull’imperialismo, non nella loro espressione ideologica ma nella dinamica della fase, cerco di esporre il mio punto di vista su quello che Nicola Licciardello chiama a discutere con riferimenti a Dugin, non in modo ideologico, ancora una volta, insisto, ma riferendoci alla fase, allo scontro tra l’imperialismo occidentale e il resto del mondo che imperialista non è pur se facente parte dell’insieme dei rapporti capitalistici, ma a gradazioni diverse rispetto, tanto per essere chiari, a Usa, Europa e Giappone.
La questione sul piano della prospettiva del modo di produzione da qui in avanti si pone nei seguenti termini: finita l’epoca di dominio assoluto dell’Occidente che partito dall’Europa si era esteso in Nord America e in Giappone, si prospetta un assetto multipolare? È questa la questione di fondo. A questa domanda dovremmo tentare di rispondere non con nostre proposte, ma cercando di analizzare le tendenze in base alle leggi che (s)regolano l’attuale modo di produzione.
Cosa dice Dugin al riguardo? Così va posto il problema, altrimenti parliamo di aria fritta. Leggiamo: « “contrastare tutte le provocazioni volte a incastrare la Russia nella sua fase di potenza pre-liberale. Dobbiamo impedire ai liberali di sottrarsi alla loro fine imminente. Piuttosto che aiutarli a temporeggiare, dobbiamo accelerarne il declino. Per farlo, dobbiamo presentare la Russia come una forza rivoluzionaria post-liberale che combatte per un futuro diverso per tutti i popoli del pianeta. La guerra russa non sarà solo a vantaggio degli interessi nazionali russi, ma sarà per la causa di un mondo multipolare più equo, per la dignità e la vera libertà – quella positiva, creativa (la libertà di-) non quella nichilista (libertà da-). In questa guerra la Russia darà l’esempio come tutrice della Tradizione, dei valori conservatori connaturati ai popoli, e rappresenterà la vera liberazione dalla società aperta e da chi ne beneficia, l’oligarchia finanziaria globale. Questa guerra non è contro l’Ukraina e nemmeno contro una parte della sua popolazione e nemmeno contro l’Europa. E’ una guerra contro il (dis)ordine del mondo liberale. […] Per coloro che sono nella fazione della verità eterna e della Tradizione, della fede, e della natura umana spirituale ed immortale, questo sarà un nuovo inizio, l’Inizio Assoluto. La più importante delle battaglie, al momento, è quella per la Quarta Teoria Politica. E’ la nostra arma, con la quale impediremo ai liberali di incasellare Putin e la Russia nei loro piani, e facendolo riaffermeremo lo status della Russia quale prima potenza ideologica post-liberale, in lotta contro il liberalismo nichilista, per il bene di un luminoso futuro, multipolare e veramente libero” ».
Mettiamo allora le carte in tavola dicendo che l’Occidente ha alle spalle 500 anni di criminalità nei confronti del resto del mondo, e che attualmente è un puttanaio, dunque non appare più agli occhi del mondo come il faro che illuminava, con le cannoniere, l’umanità.
Ma come guardiamo al declino dell’Occidente? Declino vero, e non perché lo dica Putin, ma perché ha saturato la produzione di valore e vorrebbe continuare a imporsi come strozzino armi in pugno al resto del mondo. Una verità nuda e cruda. Ma ad un vero e proprio puttanaio non possiamo contrapporre « dio, patria e famiglia » non in versione cattolica, né in versione ortodossa.
Allora, per essere ancora una volta molto chiari dico: al diritto individuale degli omosessuali ad avere figli attraverso l’utero in affitto, cioè barbarie, non possiamo cancellare l’omosessualità definendola una malattia. Sto estremizzando? No. E per non « parlare d’altro » dico che il futuro dell’umanità vedrà la deprivatizzazione della procreazione, nel senso che i figli saranno figli della comunità piuttosto che di proprietà dei genitori che li generano. In che modo, lo si studierà a tempo debito, ma di certo non potremo negare da un lato la omosessualità e di contro assegnare il diritto privato della proprietà dei figli a coppie omosessuali attraverso l’utero in affitto.
E, visto che ci siamo, è di questi giorni la decisione della Corte suprema di abrogare la legge sul divorzio istituita 50 anni fa negli Usa. Immediatamente si scatena la bagarre ideologica e culturale dai santoni della democrazia costituzionale senza affrontare alla radice la questione. Premesso che la questione merita uno scritto specifico, qui ne faccio solo un accenno.
Perché viene cancellata a distanza di 50 anni una legge costituzionale? Per un fatto culturale, ideologico e religioso? Ma andate a lavorare! cari signori. È in questione una crisi demografica in Occidente come in Oriente che aumenta la crisi economica perché riduce il consumo delle merci. Altrimenti detto: nel modo di produzione capitalistico le femmine divengono mezzi di produzione di merci, per la riproduzione della specie; le quali merci animate, cioè le persone, devono consumare altre merci. Insomma il capitale – sempre più impersonale - le utilizza per produrre consumatori di merci e la disputa sull’aborto – stupidamente trattata come diritto di libertà individuale dal progressismo di sinistra – diviene centrale per la crisi demografica che sta investendo l’Occidente e l’Oriente, chiedere per conferma non solo a Trump, ma anche al “comunista” Xi Jnping, più che allo smidollato Macron che gira su sè stesso come una trottola. E le femministe, tanto a Ovest quanto a Est non possono storcere la bocca pensando di essere fuori dal modo di produzione e di usare il proprio utero a proprio piacimento, perché in questione non è il diritto individuale, no, ma un modo di produzione in crisi contro cui non possiamo opporre il diritto individuale. E ci sarà anche un problema di classe, perché mentre le femmine delle classi medie potranno permettersi di abortire privatamente, il dramma si scaricherà ancora una volta sulle femmine proletarie. Si pone perciò il problema per le femmine di diventare donne, e i maschi di divenire uomini, e insieme affrontare tutti i nodi che il modo di produzione sta portando al pettine.
Sicché il liberismo occidentale ha seminato vento e raccoglie tempesta, ha seminato la libertà dell’individuo femminile – durante la fase di straordinaria accumulazione – di poter concedere “una conquista storica”, come quella di abortire? Ed ora che l’accumulazione rallenta e si avvia verso una crisi senza precedenti nella storia, chiede alle donne di tornare ad essere femmine, cioè mezzi di produzione per la riproduzione. Stesso dica in estremo oriente dove il Partito “comunista” di quell’immenso paese dovette frenare le nascite fino a imporre il figlio unico per coppia, e oggi liberalizza la possibilità di più figli perché si pone lo stesso problema degli Usa. La cultura, la religione e la pietà cristiana fanno da corollario alla questione sostanziale che sta a fondo del problema: la necessità di una crescita demografica per aumentare il consumo di merci.
Pertanto, l’impostazione di un Dugin - ha fatto bene Nicola Licciardello a pubblicarlo - è la classica visione all’indietro della storia, conservatrice e ultrareazionaria, nonché illusoria: primo, perché presuppone un nuovo ordine mondiale mentre il mondo viaggia precipitosamente verso il caos; secondo, perché un nuovo ordine, ammesso e non concesso che fosse possibile senza una generale deflagrazione, non potrebbe nascere sulle basi che indica lui. In questo senso questo signore è cieco e sordo, ma molto ciarliero e parla a vanvera, perché vorrebbe far girare in senso antiorario le lancette della storia, dunque è anche cretino. Peggio ancora chi in Occidente lo prende sul serio, come una certa “compagneria” o ex tale.
Diciamo allora le cose come stanno: la Federazione russa si sta difendendo contro la Nato e l’Occidente per divenire un paese industrializzato a tutti gli effetti e non essere soltanto fruitore di materie prime. Giustamente dice Putin: « Fosse per loro, produrremmo soltanto petrolio, gas, corda e selleria ». È un paese aggredito dall’imperialismo occidentale attraverso le leggi che (s)regolano il mercato e il rapporto di forza fra le nazioni. Va difeso senza condizioni sol perché la sua azione – a differenza che in Iraq dove si schierò al seguito dell’Onu e dunque dell’Occidente pro doma sua nella speranza, cioè, di dividere il mercato petrolifero contro una certa invadenza irakena - significa rimandare un aggravamento della crisi in Occidente e una possibile rimessa in moto delle masse proletarie che non potrebbero sopportare all’infinito l’impoverimento cui sono sottoposte.
Ripeto: da ciò non ne facciamo risultare in nessun modo che sposiamo i valori proposti da Dugin in Russia o da Viganò in Italia
È da ritenere altresì velleitaria e priva di senso l’ipotesi di Hudson, esposta in un lunghissimo articolo su sinistrainrete.info, che definisce il liberalismo occidentale un sistema in via di assoluta finanziarizzazione contro un altro sistema, quello dei paesi asiatici che invece sarebbero industriali e centralizzati. Non si tratta di due sistemi, ma di un unico modo di produzione, dunque di un unico sistema, dove i rapporti si intersecano e si fondono; basta guardare alla Cina ed ai suoi rapporti con alcuni paesi africani. Si tratta di una vecchia polemica che ha permeato tutto il movimento comunista e incredibilmente la si ripropone ancora oggi assegnando a paesi come Russia e Cina nientedimeno che la patente di paesi socialisti sol perché sistemi centralizzati.
Per concludere noi non facciamo come Korsh che proiettava nel futuro il presente attraverso ridicoli geroglifici su categorie e consigli operai. Tantomeno disegniamo la futura società sui valori precedenti al modo di produzione capitalistico. No e poi no. Noi teniamo fermo l’assunto marxiano fondamentale « da ciascuno secondo le sue possibilità-capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni ».
Perciò, bando alle chiacchiere: se non abbiamo la capacità, la forza e il coraggio di una critica radicale al modo di produzione capitalistico, proprio quando questo ha cominciato a incrinarsi in modo definitivo, parliamo d’altro!
Cordiali Saluti