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bandierarossa

Il razzismo oggi. Ologramma o minaccia concreta?

di Norberto Fragiacomo

Paperino razzista e Daffy duckCosa sta succedendo nell’Italia “gialloverde”?

A prestar fede ai notiziari si ha netta l’impressione che il neofascismo abbia rialzato la cresta e – complice la benevola protezione della Lega – facinorosi di destra imperversino nelle città, prendendo di mira gli immigrati e quel poco che residua della sinistra. Fascismo e razzismo ci vengono presentati come una coppia di fatto, dioscuri in rapida ascesa che s’infiltrano in tutti i ceti sociali dissodando il terreno a beneficio di forze autoritarie, nazionaliste, antioccidentali e (magari) guerrafondaie.

Questa narrazione prende spunto da episodi gravi[1] e meno gravi, che vengono “cuciti insieme” dai media in modo da alimentare un allarme che, entro certi limiti, appare giustificato. Che nel nostro Paese operino movimenti che s’ispirano scopertamente al fascismo (Casa Pound, Forza Nuova) è un dato di fatto, ma che questi partiti abbiano un seguito considerevole è contraddetto dall'evidenza degli esiti elettorali: anche sommando i loro voti a quelli di Fratelli d’Italia restiamo ben lontani dai “fasti” del MSI, che negli anni ’70-’80 veleggiava intorno al 7/8%. Chi fa professione d’antifascismo contesterebbe la nostra lettura “minimalista”: anche la Lega, persino il M5S sono sospettabili di fascismo!

Perché? Perché Salvini e i suoi sono (fino a prova incontestabile: sarebbero) razzisti, e dove allignano sentimenti razzisti si annida di necessità il fascismo.

Chiedersi se il fascismo italiano [2] sia stato o meno razzista equivale a formulare una domanda retorica: altroché se lo era – domandare conferma a etiopi, libici, sloveni, persino ai russi invasi. Il fascismo però non si risolve nel razzismo, per un motivo banale: a essere razzista, all'epoca, era il mondo intero, “democrazie” comprese.

I triestini, poi, non possono ignorare che il disprezzo venato d’odio nei confronti degli slavi non è fenomeno d’importazione né risale al ventennio: le frasi feroci di un Felice Venezian (ebreo e liberalnazionale) o di un Timeus precedono di molto la nascita dei Fasci, nel marzo del ’19.

E allora? Allora è d’uopo interrogarsi sulla natura del razzismo, definirlo, per approfondire – in un secondo momento – il suo legame con l’attualità.

Fascismo e nazionalsocialismo sono imbevuti di razzismo, ma non l’hanno inventato loro: siamo di fronte a un’ideologia tardo-moderna che postula un riparto dell’umanità in “razze” classificate in base ad una precisa gerarchia, al cui vertice sta quella nordeuropea. Questa suddivisione fra “superiori” e “inferiori” – avallata dalla scienza del tempo – giustifica la pretesa dei primi di disporre a piacimento dei secondi.

Partiamo da una constatazione: il razzismo non è affatto una costante della storia sociale dell’umanità. Gli antichi, ad esempio, ne erano immuni: i greci si reputavano migliori dei persiani, ma per ragioni politico-culturali, e comunque li tenevano in gran conto, mentre i romani festeggiarono il millenario dell’Urbe regnante l’arabo Filippo e videro salire al trono imperatori di origine africana, trace, gallica, illirica ecc. Si potrà obiettare che l’élite patrizia non assistette di buon occhio all'ingesso in Senato, voluto da Cesare, di alcuni maggiorenti di stirpe celtica, ma attenzione: lo stesso disdegno era riservato a neofiti di umili origini, quali ad esempio centurioni, soldati ecc. L’aristocrazia romana era classista, non razzista: prova ne siano i rapporti di stretta amicizia intrattenuti da molti suoi membri con nobili stranieri, mentre per il povero si avverte sprezzo e indifferenza. Il medioevo fu un’età buia, ma non infettata dalla patologia di cui trattiamo: i suoi primi sintomi si manifestano, a ben vedere, in concomitanza con le scoperte geografiche. La conquista delle Americhe pone l’europeo di fronte al “radicalmente altro”, all'alieno: la differenza di religione, cultura e tecnologia non basta a spiegare una politica genocida mai sperimentata prima da altri avversari [3](ad es. i mussulmani). Alcune voci critiche dell’epoca registrano un compiacimento sadico da parte degli invasori nell'uccidere, umiliare, torturare: questa prassi oggettivamente razzista non ha però una giustificazione teorica, se si escludono certi balbettii sugli indigeni sprovvisti di anima.

Un sacerdote triestino, di recente, ha ricondotto la genesi del fenomeno alla stagione illuminista: in effetti, i semi gettati dalla filosofia settecentesca sono innumerevoli e contraddittori, ma la mala pianta mette radici verso metà ottocento. Gobineau, Chamberlain e altri scrittori – tutti europei occidentali – sviluppano teorie coerenti e rivendicano per esse un fondamento scientifico. Queste tesi incontrano immediatamente vasta popolarità, e non per caso: spuntano per così dire “al momento giusto”. Nessun suggeritore, nessuna regia occulta: semplicemente rispondono alla perfezione alle esigenze dei ceti dominanti in un’età caratterizzata da espansione coloniale (il c.d. fardello dell’uomo bianco, pesante da portare ma… per gli altri!) e accese rivalità fra potenze vecchie e nuove. La falsa coscienza di appartenere a una “razza superiore”, diffusa ad arte fra gli appartenenti ai ceti bassi, compensa l’umiliazione quotidiana in patria e produce a ciclo continuo soldati senza scrupoli, disposti sul continente e altrove a macchiarsi delle peggiori nefandezze[4]. Chiunque abbia letto “Il supplizio del legno di sandalo” di Mo Yan resta scioccato di fronte alle gratuite, odiose brutalità commesse dai tedeschi dell’800 in un Paese di antichissima civiltà qual è la Cina: interiorizzare il razzismo “scientifico” conduce a considerare l’altro (sia esso un singolo o un popolo intero) una cosa priva di valore, di dignità e di diritti.

Tanto per essere chiari: il razzismo storico è sovrastruttura necessaria di un sistema che pratica l’imperialismo di rapina ed è al suo interno multipolare e in continuo fermento, vista la lotta serrata fra un pugno di nazioni (bianche e industrializzate) per la supremazia economico-militare globale. Preciso che esso non è appannaggio dei ceti umili, dal momento che la dignità (pseudo)scientifica cui è assurto seduce pure le élite, già educate a uno spietato classismo. Di quest’ultimo – “eterno”, e perciò destinato a sopravvivergli – il fenomeno razzista è un clone: vale comunque la pena lumeggiarne i connotati. Per prima cosa vanta una “base scientifica”, che lo rende socialmente rispettabile e fa sì che assurga a ideologia interclassista; in secondo luogo è uno strumento di aggressione/sopraffazione ai danni di genti dipinte come arretrate e perciò senza diritti; ancora, costituisce una sorta di premio di consolazione per plebi e proletariati europei, “riscattati” dalla loro appartenenza a quella che appare come la meglio umanità. La caratteristica più importante la cito per ultima: si confà perfettamente ai bisogni del sistema liberalcapitalista in una precisa fase storica di sviluppo.

L’impiego propagandistico da parte dei ceti egemoni dei concetti – di per sé neutri – di “razza” e “nazione” a fini di espansione territoriale e predominio econmico è denunciato a più riprese dal nascente movimento operaio, che ha in Marx ed Engels i suoi ispiratori. La guerra civile in Francia[5] reca testimonianza degli ammirevoli (ma vani) sforzi fatti dai lavoratori francesi e tedeschi per evitare il conflitto, ma anche dell’eccelsa abilità manipolativa esibita dalle classi dominanti dei due paesi. Nei suoi “indirizzi” Karl Marx sottolinea a più riprese il livello di consapevolezza raggiunto dalla classe operaia, ma sono le pessimistiche profezie di Engels ad attrarre l’attenzione:

E non si è verificata alla lettera la predizione [di Marx] che dopo l'annessione dell'Alsazia-Lorena (…) la Germania (…) avrebbe dovuto, dopo una breve tregua, armarsi per una nuova guerra e precisamente per "una guerra contro le razze alleate degli slavi e dei latini"? (…)E non pende forse quotidianamente sul nostro capo la spada di Damocle di una guerra, nel primo giorno della quale tutte le alleanze ufficiali fra i principi andranno disperse come polvere; di una guerra di cui nulla è certo eccetto l'assoluta incertezza del suo esito; di una guerra di razze, che sottoporrà la Europa intera alla devastazione da parte di quindici o venti milioni di uomini armati, e che se già non imperversa è solo perché persino il più forte dei grandi Stati militari è preoccupato per la totale impossibilità di calcolare il risultato finale?[6]

L’analisi è talmente corretta da rasentare la preveggenza, e spiega la radicale avversione manifestata dal movimento socialista - sin dai suoi esordi - nei confronti del razzismo e del nazionalismo, cui esso contrappone un internazionalismo proletario che, senza disconoscere le peculiarità etniche e culturali di ciascun popolo, promuove l’affermarsi dell’uguaglianza fra tutti gli esseri umani. Non è un caso, allora, che le uniche (e vibranti) voci di condanna del razzismo si odano “a sinistra” e che Lenin – nell'edificare l’Unione Sovietica – si opponga a qualsiasi velleità di supremazia dei “grandi russi” sulle altre popolazioni dell’URSS.

Il tramonto dell’ideologia razzista, tuttavia, non è causato da fattori esogeni, bensì endogeni. Il crollo del Reich decennale seppellisce anche il suo credo, e le atrocità commesse dai nazisti forniscono un alibi per la repentina inversione di rotta: abomini passati e ricerche dagli esiti fallimentari/grotteschi[7] convincono gli scienziati che la strada intrapresa un secolo prima è senza sbocco - e va pertanto abbandonata. La specie umana è una sola (lo si sapeva pure prima…): nel periodo postbellico assistiamo a uno schifato ripudio delle dottrine razziste[8], che conservano un certo vigore soltanto in aree periferiche (ad es. il Sud degli Stati Uniti, il Sudafrica ecc.) o in contesti marginali. Ciò che prima era la norma diventa intollerabile eccezione: piacerebbe pensare che ciò sia dovuto a un rinsavimento collettivo, ma la realtà è purtroppo diversa.

Il dopoguerra ci consegna un mondo bipolare, e un blocco occidentale che oltre ad essere predominante è coeso – per il semplice fatto che esso risulta egemonizzato dagli Stati Uniti d’America, cioè dalla sua aristocrazia economico-finanziaria. Non è più tempo (all’interno del c.d. mondo libero) di conflitti fra Stati e imperialismi contrapposti: se lo scopo è la globalizzazione dei mercati e la sostituzione del cittadino con il consumatore indifferenziato allora il razzismo diviene un ostacolo – e una sovrastruttura di cui sbarazzarsi – perché le idee (malsane) che ne stanno alla base mal si conciliano con il disegno di omogeneizzazione progressiva dell’umanità… un obiettivo che con la caduta del muro apparirà finalmente alla portata dell’èlite.

Il Capitale si rivela più antirazzista di Marx ed Engels… ma solo perché il vecchio arnese ne intralcia lo sviluppo!

Allora la domanda da porsi è questa: è possibile una recrudescenza oggidì dell’epidemia razzista? Se è vero che 1) quest’ideologia non gode più di alcun credito scientifico, 2) è socialmente inaccettabile, 3) non serve più a mobilitare e irreggimentare le masse per finalità di sopraffazione, 4) contrasta con le esigenze dell’economia dovremmo rispondere di no.

Eppure ci assicurano che le cose stanno all'opposto… che il razzismo si sta risvegliando. Sottolineo a scanso di equivoci: la vulgata non sostiene che esistono piccoli nuclei razzisti in seno ai popoli (cosa verissima), ma che popoli interi sono oramai proclivi al razzismo. Oltre a dircelo lo provano anche? Vediamo: due anni fa provai ad esaminare il caso Brexit, cioè – ad essere preciso – la reazione dell'establishment politico-culturale dell’Occidente alla vittoria del Leave. Fu una reazione scomposta: giornalisti e intellettuali noti per il loro aplomb rovesciarono sui leavers fiumi di fango[9]. Vecchi, ignoranti, ingrati… pure “razzisti”, perché la vecchietta inglese il cui figlio non trova lavoro avrebbe votato contro la UE in odio agli immigrati. Dalla Gran Bretagna il contagio si sarebbe diffuso ovunque, anche in Italia: non sarebbero forse manifestazioni di razzismo l’avversione nei confronti dei rom e il sospetto covato verso i migranti di pelle scura che giungono da oltremare?

La faccio breve e rispondo: no. Non lo sono perché quello descritto è un atteggiamento non offensivo ma difensivo, che nulla ha a che vedere con una pretesa di superiorità (razziale o d’altro genere)[10]. La citata vecchina inglese non vede nel nero un inferiore, ma colui che “ruba” il lavoro al figlio, dopo essersi sistemato in casa d’altri[11]. Analisi semplicistica la sua? Assolutamente sì, addirittura primitiva… ma le masse non sono composte da filosofi, e comunque – come ripetono i polacchi - głodnemu chleb na myśli[12].

Piuttosto, come sottolineavo all’epoca, dovrebbe spaventarci il livore mostrato verso i poveracci dagli opinion makers: potrei definirlo razzismo di classe, mancasse una parola più adatta – che invece c’è, ed è classismo.

Tralasciando il razzismo contro le presunte masse razziste, resta sullo sfondo una questione: può rinascere questa dottrina – novella araba fenice - dalle sue ceneri? Non mi sento di escluderlo del tutto: un neo-isolazionismo americano (che l'élite USA però non tollera: pensiamo alla quotidiana guerra dei media a Trump) scompaginerebbe le carte sul tavolo e – anche senza ipotizzare un tanto – i finanzieri occidentali potrebbero avere interesse sostenere qua e là, per motivi tattici, singoli regimi di ispirazione nazionalista.

Anche un nuovo fascismo è dunque astrattamente configurabile – ma sempre col beneplacito del Capitale, s’intende.

Quello che mi sento di affermare è che scendere in piazza contro due “ipotesi di lavoro” non denota da parte di chi lo fa una particolare saggezza, specie ove si consideri che il nostro mondo geme sotto il tallone di un totalitarismo “ammodo” ma spietato (il capitalismo nella versione 2.0) e che l’odio di classe ostentato dai dominanti nei nostri confronti nulla ha da invidiare al più becero razzismo ottocentesco.

I Nemici ci sono, e sono in campo da un pezzo: basterebbe saperli individuare.


NOTE:
[1] Comunque non paragonabili a quelli che, quasi regolarmente, accadevano 40 anni fa: allora gli estremisti non si facevano scrupoli a scendere in strada armati e a sparare.
[2] Oltre che razzista, il fascismo mussoliniano fu tante altre cose, quasi tutte negative: alcune lodevoli realizzazioni (dalle bonifiche alla previdenza sociale) non controbilanciano i crimini commessi. Rifiuto però la definizione di “male assoluto”: anzitutto perché non risponde al vero, in secondo luogo perché quest’enfatica e vacua etichetta pare coniata da un “marchettaro” neoliberista.
[3] L’unico parallelismo che mi viene in mento è la cruenta, bestiale repressione dei contadini tedeschi dopo la Bauernkrieg d’inizio ‘500 (rimando alla lettura del mio testo L’ultima Carta contro la barbarie, 2016).
[4] All’occorrenza rispunta però uno schietto classismo: alludo alle decimazioni indiscriminate della Grande Guerra, al diverso trattamento di ufficiali e soldati prigionieri ecc.
[5] Opera che raccoglie vari indirizzi e scritti di K. Marx, introdotti da una prefazione di F. Engels del 1891.
[6] K. MARX, La guerra civile in Francia, ed. Lotta Comunista, pag. 12.
[7] Si pensi a quelle effettuate dalla spedizione Schäfer-Beger in Tibet, nell’immediato anteguerra.
[8] La damnatio memoriae colpisce non solamente le idee, ma anche le parole: sui motivi della messa al bando del termine “razza”, che ha valenza descrittiva, ho scritto in passato e perciò non mi dilungo.
[9] Rimando al già citato L’ultima Carta contro la barbarie.
[10] Per tornare “a bomba” ai famigerati gialloverdi: specula Salvini su questi confusi sentimenti? Assolutamente sì! Cerca lo stesso ministro-capopopolo di inculcare nei cittadini la convinzione di un’italica superiorità spendibile in campagne d’oltremare? Non mi risulta proprio…
[11] In sintesi, come ho detto più volte: quello che viene spacciato per razzismo è xenofobia, letteralmente “paura dello straniero”.
[12] Lett.: chi ha fame pensa al pane (cioè: chi ha una preoccupazione in testa non ha tempo per altre questioni).

Comments

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Mario Galati
Saturday, 06 October 2018 19:06
A mio avviso, pur all'interno di un impianto storico di analisi apprezzabile, nell'articolo ci sono sottovalutazioni ed omissioni. Non si può ricondurre sempre a semplice xenofobia il sentimento di disprezzo verso neri, zingari, slavi, poveri, ovviamente, ecc., su cui agisce certamente il retaggio del razzismo passato.
Che il capitale sia il più conseguente antirazzista per la necessità di uniformare il consumatore globale non racconta l'altro aspetto del capitale: la necessità di giustificare il suo imperialismo, le sue guerre, il suo colonialismo, neo o vetero, con la necessità e la missione di esportare la sua superiore civiltà ai popoli barbari riluttanti. Qui si ripropone sotto una veste culturalista, apparentemente antitetica a quella biologica (quando si cristallizzano le culture e le civiltà, in pratica si biologizzano), la discriminazione tra popoli (sotto questo aspetto, l'aggressività imperialista della sinistra liberal dirittumanista è l'altra faccia del razzismo, complementare a quella piccolo borghese della Lega che si diffonde tra i ceti popolari in difficoltà, sicuramente non sgradito al grande capitale che fa finta di combatterlo. Altrimenti perché tutta quella visibilità mediatica di un personaggio come Salvini?). La quale discriminazione è funzionale al dominio e alla rapina mondiale, ma anche, sul piano interno, alla classica divisione e manipolazione dei lavoratori descritta da Fragiacomo ed allo sfruttamento degli immigrati posti in condizione di clandestinità o di difficoltà. In definitiva, se Fragiacomo ritiene che capitale significhi ormai soltanto espansione del modello di consumo e non più anche imperialismo, colonialismo, divisione e sfruttamento dei lavoratori, che tutto ciò appartenga soltanto al passato perché il capitale attuale non ne ha bisogno o non se ne serve, allora la sua conclusione e la sua sottovalutazione regge.
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Marco Costanzo
Friday, 05 October 2018 18:23
Sarò ignorante io ma dire che Salvini fino a prova contraria "sarebbe" razzista mi pare una boiata. Ma di quali prove abbiamo ancora bisogno scusate? Il sig. Salvini è un razzista e lo fa perché le sue intemerate gli portano voti. Ciò succederà finché i suoi elettori non si accorgeranno di essere presi per i fondelli. Fino ad allora, cari compagni, stiamo pure qui ad arrovellarci su questioni inutili come se Salvini ed il suo governo siano o meno razzisti. Tanto politicamente non contiamo più niente
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G. N. De Martini
Thursday, 04 October 2018 07:43
Finalmente un ragionamento sobrio e pacato, un'analisi ineccepibile sotto il profilo storico
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