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Nuova destra e populismo: laboratorio Italia

di Matteo Luca Andriola

51fKclSXClLNessuno si sarebbe mai aspettato – almeno con certa repentinità e con certe dinamiche – la caduta del governo Conte che aveva unito in maniera ‘idilliaca’, o almeno era questa la narrazione corrente, la Lega di Matteo Salvini e il Movimento 5 stelle di Luigi Di Maio. Un governo controverso, che pareva unire istanze di una destra identitaria e conservatrice con quelle di un certo movimentismo dalle vaghe venature sociali, un’unione fortemente contrastata dal grosso dell’establishment politico e giornalistico (quello che veniva definito come la ‘casta’) e che sembrava andare – è questo il messaggio passato in certi ambienti intellettuali di destra – al di là della destra e della sinistra.

La nascita del governo giallo-verde aveva acceso le speranze di vasti settori dell’intellettualità ‘non-conforme’, dalla nouvelle droite francese ai settori dell’ambiente eurasiatista condizionati dalle riflessioni di Aleksandr Dugin. La motivazione era semplice: per la prima volta nella storia, un movimento esplicitamente di destra e su posizioni populiste e identitarie si alleava per governare un Paese assieme a una forza antisistema che raccoglieva senz’altro un elettorato misto, ma che si caratterizzava per temi come l’ecologia sostenibile, la democrazia diretta elettronica (o e-democracy), temi che possono avere una vaga connotazione di sinistra assieme alla critica a trattati come il TTIP – duramente contestato da Alain de Benoist in un libro edito in Italia da Arianna Editrice (1) – e il Ceta che, va detto, in Francia è stato votato da buona parte dell’esecutivo macroniano, a scapito dell’allevamento e dell’agricoltura locale (2). La convergenza di due forze così differenti è stata così salutata nell’area anticonformista europea ed eurasiatica, elevando l’Italia a laboratorio privilegiato per lo sviluppo di nuove sintesi, ora non più culturali e metapolitiche, ma addirittura politiche.

Ergo, il gramscismo di destra predicato fin dai tardi anni ’60 in Francia si era forse affermato nel nostro Paese? L’Italia stava divenendo neodestrista, comunitaria e trasversalista?

È quello che in maniera esplicita hanno detto i giornali di colore liberale davanti alla convergenza – tutt’altro che spontanea, dato che è nata dopo un lungo travaglio e il rifiuto del Partito democratico egemonizzato dai renziani di convergere col M5s – di due forze diversissime, che faranno un esecutivo descritto da molti come né di destra né di sinistra ma simultaneamente di ambo i colori, al punto che il quotidiano online Linkiesta.it, che da sempre ha avversato il governo Conte per le simpatie europeiste e liberaldemocratiche della direzione, l’ha definito “governo rossobruno”, fautore dell’incontro, dell’alleanza fra radicali di sinistra e di estrema destra. Un’idea di cui – anche se Di Maio e Salvini dicono di voler superare le vecchie categorie – George Sorel avrebbe parlato già cento anni fa e che il Carroccio farebbe sua non solo dalla ripresa delle tesi di Alain de Benoist ma anche di quelle di Aleksandr Dugin, descritto semplicisticamente come l’“ideologo di Putin, ex eminenza grigia sia per i nazionalisti di Žirinovskij che per i comunisti di Zjuganov”, e grazie al flirt di un giovane filosofo come Diego Fusaro “che si definisce marxista, [...] allievo di un altro marxista, Costanzo Preve, che negli anni ’70 sposò la necessità di questa ibridazione fra estreme. Insomma, Lega e M5s al popolo parlano la lingua del nuovismo e del superamento della destra e della sinistra, ma nascono, in realtà, nell’alveo di una elaborazione intellettuale chiara, precisa: il rossobrunismo. [...] L’Italia è, dunque, come altre volte nella sua storia, un laboratorio politico globale. Non sempre queste sperimentazioni hanno portato bene al Paese” (3).

Semplificazioni – con non poche inesattezze, come quella di vedere Preve attivo nella messa in discussione della diade dicotomica destra/sinistra fin dagli anni ’70, cosa da lui sostenuta negli ultimi anni di vita – unite alla già citata “psicosi rossobruna” atta a demonizzare chiunque metta in discussione il pensiero unico liberale a sinistra (4), che dimostra come i media italiani ed europei siano completamente disconnessi e scollegati col comune senso, al punto di non comprendere la fenomenologia del populismo. Ma se l’etichetta detta da un liberale è a fini denigratori, così non è stato per vasti settori della nouvelle droite d’Oltralpe, lì dove esistono ben due forze populiste anti-establishment in competizione, una di stampo socialista, La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, e una di destra identitaria come il Rassemblement national di Marine Le Pen, l’ex Front national, che ha però messo in soffitta – a differenza della Lega che ancora parla di flat tax – il neoliberismo reaganiano degli anni ’80 per un programma economico dal vago sapore keynesiano.

E infatti il n. 176 del febbraio-marzo 2019 del bimestrale Éléments, l’organo del Grece, l’associazione metapolitica che elabora in Francia le tesi filosofiche della nouvelle droite, consacra un dossier niente meno che all’Italia, dal titolo inequivocabile: “Italie: le laboratoire politique du populisme”, un dossier su un’Italia “vue de droite”, per citare un de Benoist d’annata, con un Paese visto come un creativo e inedito “laboratoire politique du populisme” trasversalista. Di un fenomeno, il populismo, attenzione, che, come si autodefinisce, guarda al di là della destra e della sinistra. Parliamo di intellettuali non conformi oggi tentati dal populismo i quali, in nome dell’ostilità nei confronti del ‘totalitarismo liberale’, attualizzano l’appello disperato dell’intellettuale collaborazionista Pierre Drieu La Rochelle, che pur di opporsi alla società liberale incarnata negli Alleati che sbarcavano in Normandia nel giugno 1944, da lui giudicata caricaturalmente come una costosa truffa criminale, si augurava che il comunismo sovietico, in altre parole lo strutturalismo marxista, vincesse la guerra, vedendo nel sovietismo e nei T34 russi la sola alternativa all’individualismo e alla democrazia prodotti della décadence occidentale: “Il mio odio per la democrazia mi fa desiderare il trionfo del comunismo. In mancanza del fascismo [...] solo il comunismo può mettere veramente l’uomo con le spalle al muro, costringendolo ad ammettere di nuovo, come non avveniva più dal Medioevo, che ha dei padroni. Stalin, più che Hitler, è l’espressione della legge suprema”, scriverà il 2 settembre 1943 nei suoi diari. Ora, probabilmente, mentre Drieu La Rochelle vede nella società-caserma e nel costruttivismo militarizzato la redenzione per l’Europa, oggi la ‘salvezza’ dal post-modernismo, dopo anni di riflessioni di matrice politeista filosofico, cognitivo e relativista, è scorta nientemeno da alcuni settori della nouvelle droite nel “costruttivismo populista”. Un salto avanti o indietro?

C’è senz’altro un senso di invidia verso l’Italia: lì in Francia il duo populista non ha mai tentato una convergenza, anche se Mélenchon ha fatto saltare quel fronte repubblicano in auge fin dal gennaio 1956, che vedeva convergere, prima contro i qualunquisti poujadisti poi contro i frontisti lepenisti, l’intero arco parlamentare per bloccare i populisti, più volte applicato al Front national al secondo turno delle presidenziali, ma non nel 2017, quando il leader gauchista decide di non far convergere i voti del suo elettorato a vantaggio di Macron, per il suo programma liberista, venendo accusato di rossobrunismo dai liberali perché “lo slogan elettorale della Le Pen è Au nom du Peuple, quello di Mélenchon La force du Peuple, dettagli che ci aiutano a capire perché la sinistra faccia fatica a schierarsi con Macron” dato che “la Le Pen piace [a sinistra] perché è nazionalista, proprio come Mélenchon, e per le sue posizioni critiche nei confronti dell’euro e dell’Unione europea. Insomma la logica è molto semplice: il nemico del mio nemico è mio amico. E così la Le Pen finisce per essere ‘il male minore’” (5).

Ma non si spiega l’entusiasmo di alcuni redattori di Éléments per Matteo Salvini, all’epoca vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno e descritto come “nouvelle homme fort de l’Europe”, specie per il suo programma economico tutt’altro che keynesiano (e causa prima delle frazioni col M5s), mentre è la critica al liberismo in nome di un pro gramma di “economia mista” che potrebbe permettere in Francia la con vergenza fra populismo gauchista mélenchoniano e populismo identitario lepenista, anche se forse ciò è comprensibile dato che tutto nasce dal ritratto del politico lombardo fatto dall’italiano Antonio Rapisarda, giornalista de Il Tempo, di Libero e collaboratore del sito Barbadillo.it e de Il Primato Nazionale, tutti di destra, autore di un volume, All’armi siam leghisti, dove si analizza l’egemonia culturale e politica della destra postmissina, dell’area identitaria e di quella metapolitica nel Carroccio dopo la fine di Alleanza nazionale (6), un dossier con analisi su CasaPound, modello anche per la destra non conforme d’Oltralpe (si vedano gli articoli La CasaPound de l’intérieur: une Rome révolutionnaire e Rencontre avec Adriano Scianca: l’esprit corsaire) e sul sindacato di destra Ugl, erede della Cisnal missina, con un’intervista al suo segretario generale, Le syndicalisme italien: rencontre avec Paolo Capone, descritto come un sindacato vicino alla Lega, segnale di un’egemonia a destra a scapito degli eredi del Msi e di An, cioè Fratelli d’Italia.

Nel dossier, nella rubrica “Le pays du ‘populisme intégral’”, si darà voce a intellettuali militanti che, a loro modo, incarnano tutti la Weltanschauung populista, dagli entusiasti e giovanissimi Diego Fusaro (che loda l’esperimento giallo-verde contro le élite) e Sebastiano Caputo (de L’Intellettuale Dissidente, un laboratorio metapolitico che propone la concretizzazione politica di nuove sintesi culturali), ai maturi Gabriele Adinolfi (che cautamente teme il trasformismo dei ‘rivoluzionari’, che entrati nella stanza dei bottoni mutano da incendiari a pompieri) e Marco Tarchi.

Su quest’ultimo bisogna soffermarsi, sorvolando un attimo sul fatto che è la principale mente della Nuova destra metapolitica italiana, l’animatore di riviste come Diorama letterario, Trasgressioni e della cooperativa editoriale La Roccia di Erec e il divulgatore del pensiero debenoistiano dagli anni ’70, ma sul fatto che egli è uno dei più affermati politologi e storici italiani all’Università di Firenze, fra i primi a occuparsi in maniera accademica della fenomenologia populista in Italia. Se nell’intervista vengono fuori le contraddizioni che successivamente faranno saltare l’esecutivo, e cioè la compresenza di tesi decresciste in seno al grillismo assieme al produttivismo “da capannone” della Lega, forte soprattutto nel Nord-Est, è nelle sue opere che noi capiamo cos’è la fenomenologia del populismo, esposto nel libro L’Italia populista: “Si può concordare sul fatto che esso [il populismo] non corrisponde in alcun modo univoco a un particolare e ben definito tipo di regime politico, o che non ha presentato contenuti omogenei in tutte le sue manifestazioni empiriche e pertanto non può essere ricondotto né a una visione del mondo intesa secondo i canoni delle classiche Weltanschauung né a un programma politico fissato una volta per tutte e da tutti i suoi esponenti rispettato, ma ciò non autorizza a negare che sia possibile coglierne un’essenza”, che accomuna in Italia fenomeni differenti oltre al leghismo, fenomeni trasversali come il qualunquismo di Giannini negli anni ’40-50, il tele-populismo di Berlusconi (o telecrazia), il presidente picconatore Francesco Cossiga che agisce in una fase travagliata per la storia repubblicana, fenomeni che per comodità definiamo di sinistra come l’Italia dei valori dell’ex pm Antonio Di Pietro (nonostante il background moderato del magistrato), i radicali di Marco Pannella (liberali, liberisti e libertari), i Girotondi e i meetup attorno a Beppe Grillo da cui nasce il Movimento 5 stelle, senza dimenticare all’estero personalità come Peròn, la Thatcher, Reagan, Haider e Ross Perot, i classici Bossi e Le Pen (il padre), Chàvez, Alberto Fujimori, Saddam Hussein, Gamal Abd el-Nasser, Lec Walesa ecc., tutti diversi, alcuni situati a destra e altri a sinistra, a dimostrazione che il populismo è un metodo e non un’ideologia, che si espleta nella “sfiducia nei meccanismi della rappresentanza [...] [che] non si traduce necessariamente in rifiuto della democrazia. Anzi, per taluni versi dà adito a richieste di maggior democraticizzazione del rapporto fra la società e le istituzioni. A seconda delle circostanze, può alimentare la tentazione semplificatrice estrema dell’affidamento di ogni responsabilità di conduzione della collettività a un uomo forte oppure stimolare la ricerca di strumenti di controllo dal basso dell’azione di governo” (7).

Una descrizione che include ovviamente quel populismo di sinistra che guarda a movimenti come il citato socialista Mélenchon, Podemos in Spagna, il democratico Bernie Sanders, il laburista Jeremy Corbyn e le riflessioni di filosofi socialisti e marxisti come il gramsciano Ernesto Laclau, Jean-Claude Michéa, Carlo Formenti ne La variante populista (Derive Approdi, 2016), tutti critici verso gli squilibri della globalizzazione neoliberista e a favore del ripristino della sovranità popolare entro gli Stati nazione. Analisi accademiche – ma che traspaiono anche nelle riflessioni sulle varie riviste dirette dal prof. Tarchi – che vengono esposte a sua volta da Alain de Benoist in Droite-gauche, c’est fini! Le moment populiste, edito in Italia da Arianna Editrice, che vede nel trionfo del populismo e della sua forma mentis nella crisi del sistema liberale con la conclusione della stagione prospera dei Trenta Gloriosi (1945-1975) e l’affermazione di una mentalità mercatista e liberale in seno alla sinistra, sia socialista che comunista, entrambe non più interessante a raggiungere una società socialista senza classi dove la ricchezza viene equamente ridistribuita, ma gradualmente sempre più proni al mercato, cosa evidente se si analizzano i programmi dei partiti più radicali, con piattaforme identiche a quelle dei riformisti degli anni ’60-70.

La tesi di de Benoist è che il populismo è l’emergere di una nuova opposizione politica, con diversi protagonisti, neutralizzando la vecchia destra/sinistra, borghesia/proletariato espletate da Erich Hobsbawm durante Il secolo breve, gradualmente neutralizzata, politicamente depotenziata con l’emergere della nuova dominati/dominanti, e “si conferma dappertutto l’ampiezza del fossato che separa il popolo dalla classe politica al potere. Ovunque emergono nuove divisioni, che rendono obsoleta la vecchia divisione destra-sinistra”. In pochi decenni i sistemi politici, basati da molti decenni sugli stessi partiti sono stati completamente scon volti: “In Italia la Democrazia cristiana e il Partito comunista sono praticamente spariti. Lo stesso dicasi dei vecchi partiti di governo greci. In Spagna, negli ultimi anni, il Psoe e Alleanza popolare si sono continuamente indeboliti a vantaggio di Podemos e Ciudadanos. In Austria, i due partiti di governo – socialdemocratico e cristiano-sociale – hanno raccolto solo il 22 per cento dei voti all’elezione presidenziale del 2016”. Gli operai e il “popolo minuto”, un tempo schierato a sinistra, concede la maggioranza dei suffragi ai populisti e “il comportamento dei partiti, ne trae le conseguenze. A questa apparente destrutturazione dell’elettorato corrisponde, al livello degli Stati maggiori politici e delle squadre di governo, un prodigioso spostamento verso il centro, cui per natura spinge il bipartitismo”. Alla ricerca di un consenso decrescente e, talvolta, definitivamente perduto.

Ma il consenso, in democrazia non è tutto, “in primo luogo perché la democrazia non è l’estinzione del conflitto, ma il conflitto padroneggiato. Affinché una società politica funzioni normalmente, ci dev’essere evidentemente un consenso sul quadro e sulle modalità del dibattito [...] Ma se il consenso fa sparire il dibattito stesso, allora allo stesso tempo sparisce la democrazia perché, per definizione, essa implica, se non la pluralità dei partiti, almeno la diversità delle opinioni e delle scelte, insieme con il riconoscimento della legittimità di un conflitto tra queste opinioni e queste scelte [...] Ciò significa che, contrariamente a quanto credono i fautori di una democrazia non partigiana o di buona governance, la democrazia non è solubile nel procedurale, perché ha una forma inevitabilmente agonistica. Il prezzo del consenso è la diserzione civica. Il rischio che ne consegue è che la democrazia muoia di sbadigli: cioè nell’anomia sociale. Crescerà allora il rischio di vedere realizzare non una società pacificata dal consenso, ma al contrario una società pericolosa e belligena (e infatti sono poi sorti i gilet gialli, una rivolta violenta), in cui non ci si dovrà sorprendere di vedere un ritorno vigoroso, in forme talvolta patologiche, di altre modalità di affermazione identitaria (religiosa, etnica, nazionale ecc.), che non deriveranno da chissà quale desiderio di ‘pericolosa purezza’, ma saranno la conseguenza logica del fatto che ormai non è più possibile affermarsi come cittadini”. “Settori sempre più grandi del popolo si sentono esclusi, incompresi, disprezzati, dimenticati. Hanno l’impressione di essere divenuti inesistenti, di essere superflui, di essere di troppo. Non sopportano più le formule rituali e i mantra del politicamente corretto, strumento delle leghe neopuritane e dello Stato interventista, igienico e punitivo”.

Scrive il pensatore francese che “la caratteristica fondamentale del populismo è questa: è strutturato intorno a un’opposizione non più orizzontale (destra-sinistra), ma verticale: il popolo contro le élite, le persone comuni ‘in basso’ contro i privilegiati ‘in alto’. Questa opposizione non è riducibile a un riciclaggio del vecchio rancore poujadista dei ‘piccoli’ contro i ‘grossi’, ma si basa sulla convinzione che una élite tecnocratica e finanziaria, insediata nei mezzi d’informazione come nei corridoi del potere e fondata sulla connivenza incestuosa, quando non sulla corruzione, ha deliberatamente deciso di spossessare gli elettori del loro potere per sottrarre i suoi maneggi a ogni controllo”. Non un malessere passeggero ma il frutto di una lenta e lunga depoliticizzazione della politica figlia dello strapotere dell’economia e della tecnocrazia – incontrollabile nella logica liberista da parte della politica – che ha svuotato le democra zie rendendole oligarchie.

Ma nonostante queste analisi, de Benoist – alla pari di Tarchi – si era mostrato cauto, a differenza del grosso dei redattori di Éléments verso il governo giallo-verde: “Come sempre – spiegava de Benoist – da voi [in Italia] la situazione politica si è evoluta a una velocità straordinaria. La formazione del governo populista è stata avvertita ovunque come un evento storico. Chi con simpatia, chi con paura, ma tutti oggi guardano all’Italia come al ‘laboratorio del populismo’”. Il teorico francese però esprimeva seri dubbi e forti perplessità sulla tenuta del governo gialloverde: “Una rottura tra Lega e 5 stelle è una possibilità concreta: sia per via di differenze programmatiche, sia per via di questioni personali, sia, ancora, per via di possibili difficoltà a governare” (8).

Insomma, gli interessi di classe hanno comunque sempre la meglio: fra una Lega votata soprattutto al Nord (nonostante l’evidente evoluzione nazionale) dal ceto medio imprenditoriale (nonostante la presenza nelle periferie e fra i ceti popolari) e un M5s forte nel Sud depresso e votato soprattutto dai ceti popolari, è normale che l’idillio fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio si sia concluso, anche davanti all’aumento del primo nei sondaggi e le differenze sostanziali su questioni non secondarie come la politica estera (con un Carroccio fortemente atlantista nonostante un’area filorussa, debole nei gruppi parlamentari e un M5s che parlava di multipolarismo) e il rapporto con le infrastrutture e l’economia.


Note
1 Cfr. A. de Benoist, Il Trattato Transatlantico: l’accordo commerciale Usa-Ue che condizionerà le nostre vite, Arianna Editrice, 2015
2 Anche nel partito del presidente Emmanuel Macron, tuttavia, 52 deputati hanno preferito astenersi. E 9 hanno votato No. Tutto il centrosinistra (Ps, Verdi e altri) e la sinistra radicale (La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, Pcf e altri) si sono schierati contro. Cfr. Le CETA, controversé accord de libre-échange avec le Canada, approuvé à l’Assemblée, LeMonde.fr, 23 luglio 2019, https://www.lemonde.fr/politique/article/2019/07/23/l-assemblee-nationale-vote-la-ratification-du-ceta-controversetraite-de-libre-echange-entre-l-ue-et-le-canada_5492576_823448.html
3 Altro che gialloverde, il governo Lega-5Stelle è rossobruno, n. f., Linkiesta.it, 26 maggio 2018, https://www.linkiesta.it/it/article/2018/05/26/altro-che-gialloverde-ilgoverno-lega-5stelle-e-rossobruno/38226/
4 Cfr. M. L. Andriola, Psicosi rossobruna, Paginauno n. 61/2019
5 G. Drogo, Il rossobrunismo che vota Marine Le Pen, NextQuotidiano.it, 27 aprile 2017, https://www.nextquotidiano.it/rossobruni-marine-le-pen/
6 Cfr. A. Rapisarda, All’armi siam leghisti. Come e perché Matteo Salvini ha conquistato la Destra, Wingsbert House, 2015
7 M. Tarchi, L’Italia populista, Il Mulino, 2003, pp. 15, 13 e 31
8 Cit. in V. Benedetti, De Benoist: “Italia laboratorio del populismo. Ma governo Lega-M5S non durerà”, ilprimatonazionale.it, 7 gennaio 2019, https://www.ilprimatonazionale.it/politica/de-benoist-italia-populismo-governo-lega-m5s-100263/

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Sandro Caddeo
Tuesday, 29 October 2019 12:49
Ho letto attentamente l'articolo di Matteo Luca Andriola, e ho letto anche ilm commento di Michele Castaldo. Lo so che stiamo discutendo di questioni complesse, e la complessità, che lo si voglia o no, è il contrario della semplicità. E questo purtroppo, nessuno può pensare diversamente. Io non sono un filosofo, e non sono nemmeno un grande studioso, ma nonostante i miei 69 anni, continuo a studiare e capisco che pèiù studiamo e sempre di più vai a cozzare contro la compelssità di ogmni questione che noi cerchiamo di comprendere. Allora io faccio un semplice ragionamento che, essendo semplice, significa che non lo rendo complesso. Quando si studia il passato, abbiamo la voglia di cercare di comprendere il prresente, e una volta che finalmente dopo decenni, incomiciamo a capire il rpesente, allora si fa una cosa ancora complessa, ma nello tesso modo, anche più semplice, e posaimo incominciare a studiare il futuro. In tutta la storia che abbiamo studiato, tutti hanno capito che così come le eprsone bascono, vivono, crescono diventano da bambini ragazzi, e da ragazzi adulti e da audlti arrivano al loro massimo di capacità di crfescere, e poi arrivato a questo massimo incominciano ad invecchiare, prima lentamente, e poi sempre più rapidamente, ma alla fine muoino. Ed è così anche per le società di esseri umani, che nascono, che crescono raggiungono la loro massima espansione, oltre la quale non è possibile continuare a crescere ( in matmatica la studiamo nella matematica differenziale che in algebra possaimo vederla come un linea parallela all'asse delle x e tale linea POI DIMINUISCE FINO A DIVENTARE ZERO. Quella società non esiste più. Quanto tempo ci può essere per arrivare a questo fenomeno. Noi non lo sapiiamo, ma che le società che sono nate sono anche morte e altre società sono nate al loro posto non ci sono dubbi. Anzi, a differenza delle società preedeenti, possiamo dir ùe che la società nata dalla rivoluzione industriale, almeno da 40 anni ha incominciato a ridurre le sue capacità. Man mano che passa il tempo, sempre di più vi sono crisi a livello globale. Questa società ha tutti i sintomi della sua caduta irreversibile. E allora il problema, qui si che dobbiamo utilizzare la complessità. Che cosa abbiamo imparato dal momento in cui abbiamo studiato il pasato per comprendere il presente e vedere finalmente come progettare il futuro. E' qui che caschiamo sulle nostre contraddizioni. Non è per caso che la lotta di classe è brutta e invece il capitalismo, ovevro la nsotra società di oggi, è la più bella socieà che possa esistere. Dai nostri dati, ne abbiamo talmente tanti che possiamo anche studiarle in tutti i modi possibili e immaginabili, stabiliscono che la società occidentale, nata dalla seconda guerra mondiale, dal 1970 circa in poi sta perdendo la sua capacità di espansione. Dai dati mondiali, posaimo anche dire che La pèotenza degli stati Uniti d'America che nel 1950 aveva il 50% del Pil Mondiale, oggi ne ha soltanto il 25%, anche se il Pil europeo che dopo la seconda guerra mondiale che ha distrutto l'Europa, ha aumentato il suo Pil intorno anch'esso al 25%. Bene le ricerche stanno verificando che il resto del mondo sorpasserà nei prossimo 30-40 anni i Pil del mondo occidentale. E noi ogni volta che discutiamo di quello che accade nel mondo pensiamo che il nostro problema sia soltanto ed esclusivamente quello dei nostri confini. Non volglio riprendere questo problema che mi semmbra veramente ridicolo. Ma una
cosa è certa. Il nostro paese, all'inetrno dell'Europa ha dimostrato la sua incapacità di governo nelel questioni di antura economica e di natura sociale. Abbiamo fatti passi indietro enorm,i, ma soprattutto questa questie è stata determinata dai governi di estra ed in modo particolare dal Governo Berlusconi. Abbiamo tuti i dati per dimostrarlo. Ma nessuno può poensare che saremo nelle condizioni di uscire da questa crisi. Sol Dio saprà quando. Ma questa società sta morendo.
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michele castaldo
Monday, 28 October 2019 20:01
Mentre leggevo questo articolo, mi è venuta in mente quell'espressione di Totò «[...] io volevo capire questo fesso dove voleva arrivare». Ho completato la lettura e non l'ho capito.
Quasi certamente, mi son detto, è per mia incapacità, L'ho riletto e lo stesso non ho capito dove «vuole arrivare il fesso ».E allora mi son detto: forse l'autore non sa dove andare a parare.
Proviamo allora a volgarizzare - rendere il concetto chiaro per il volgo - una cosa molto semplice: ogni espressione politica è frutto di un contesto e più espressioni politiche sono i frutti di varie istanze del complesso economico della fase. Una fase di espansione economica fa nascere e crescere partiti come la Democrazia Cristiana per un verso e il Partito Comunista per l'altro verso. La Democrazia Cristiana rappresentava la grande borghesia, settori produttivi del ceto medio, settori importanti del mondo agricolo, oltre a una quota maggioritaria del Clero. Mentre il Partito Comunista rappresentava il grosso del proletariato dell'industria e settori del Pubblico Impiego. Gli altri partiti minori rappresentavano professionisti e ceto medio variamente articolato.
Se scompaiono partiti con 11-12 milioni di elettori le ragioni fondamentali vanno ricercate nella crisi dei rappresentati che si manifesta nella crisi dei rappresentanti. Non che ci voglia una particolare laurea per capirlo. Eppure studiosi di sociologia politica e filosofi riescono a dire milioni di parole proprio perché non riescono a cogliere il nocciolo del problema.
Democrazia Cristiana e Partito Comunista erano l'espressione di una stabilità economica che è andata in frantumi perché è intervenuta una crisi economica senza precedenti nella storia del modo di produzione capitalistico. E' subentrata - di riflesso - una fase fluida, ovvero una borghesia spaventata che non sa dove sbattere la testa e sbanda paurosamente, un ceto medio produttivo e non che è diventato una variabile impazzita, non solo in Italia, e un proletariato che avendo perso tutte le certezze della fase precedente è smarrito e buona parte di esso guarda al capitale, al capitalista e al capitalismo come i girasoli guardano il sole.
Dal momento che viviamo una fase di incertezza tutto è fluido e nascono nuovi movimenti tutti con le stesse caratteristiche: dell'apprendista stregone e del dilettante allo sbaraglio, ovvero il populismo, altrimenti detto: nuovi rappresentati che non si affidano ai vecchi rappresentanti e cercano una via nuova per risolvere i propri problemi. Nel farlo - proprio perché hanno le caratteristiche appena menzionate - si esercitano in salti pindarici e proposte stravaganti. E proprio perché la fase è fluida e loro sono apprendisti stregoni e dilettanti allo sbaraglio durano il volgere di un mattino senza cioè trovare stabilità sociale e politica. Basta guardare al M5S passato in pochi anni da una ascesa trionfante a una caduta libera.
Chi si dovesse illudere che un personaggio come Salvini potesse portare l'Italia fuori dalla sua alleanza storica con gli Usa e la Nato e allacciare rapporti molto solidi con la Russia, sogna ad occhi aperti. Allo stesso modo di chi pensa che il M5S possa durare chissà quanti anni non ha capito in che mondo viviamo. Basta guardare il movimento dei Gilet gialli, si sono liquefatti, come Podemos ecc.
Il mondo è in subbuglio, si procede a passo spedito verso un generale caos destinato a consegnarci scenari mai visti prima nella storia del capitalismo. Mentre i fessi stanno a guardare senza capire cosa sta realmente succedendo.
Michele Castaldo
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