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quieora

Il coronavirus e lo stato di eccezione individuale

di Fulvius Styx

Untitled 3 2000x1200a«Il potere è dominio: può solo vietare e imporre l’obbedienza.»

Michel Foucault

A chi crede ancora, lungo tutto lo spettro politico, che i nostri imperi si preoccupino realmente della loro popolazione — «stavolta vogliono davvero il nostro bene» — o, detta altrimenti, che i nostri imperi non nutrano alcun interesse in questa crisi sanitaria, ci permettiamo di rispondere aggiungendo qualche riga all’eccellente descrizione fornita da Agamben sul Manifesto qualche giorno fa.

Promemoria per gli studenti della prima fila: il modello di contratto sociale che ha maggiormente ispirato e tuttora ispira la rete di potere non è quello di Jean-Jacques Rousseau, ma quello del Leviatano di Thomas Hobbes. Un’opera che ha dato vita ad altre correnti, tra cui quella utilitarista — alla quale dobbiamo il Panopticon di Jeremy Bentham. Questo brillante trattato di urbanistica (Il Panopticon!), in mano ai nostri governanti, ha partorito la maggior parte dell’architettura carceraria, ma anche di quella scolastica. Ma forse siete poco interessati alla scienza politica e all’urbanismo carcerario, e vi starete chiedendo: «che rapporto ci sarà mai tra il contratto sociale e l’aspetto terrorizzante di questa nuova influenza?»

Promemoria per gli studenti dell’ultima fila: l’etimologia di «strategia» viene da «strategemma» («complottista!»), e dovrebbe portarci a considerare un’evidenza: che l’astuzia dell’avversario è sempre relativa, e si definisce sempre in rapporto alle nostre qualità percettive — alla nostra capacità cioè di leggere tra le righe nei discorsi dei governanti e dei loro galoppini senza qualità.

Ma ahimè, non è la relatività ciò che limita le nostre qualità percettive; e l’astuzia dei governanti opera unicamente per quelli che hanno fatto della loro stupidità uno sport da combattimento.

La strategia è la scienza (il cammino o il metodo: methodos) relativo ai mezzi che permettono a uno strategos (il capo dell’esercito!) di difendere il proprio paese e sconfiggere il nemico.

(Sulla strategia, Trattato anonimo bizantino)

A partire da qui, il problema più grande è che la rete di potere conduce la propria guerra, in maniera più o meno discreta e larvale («le nostre famose qualità percettive!»), non già contro altri stati o imperi (secondo la definizione classica di guerra) ma contro la sua propria popolazione.

Quando non ci sono nemici, bisogna inventarli: regola numero uno di ogni geopolitica. Ecco perché quando Giorgio Agamben dice che lo stato di eccezione è divenuto il paradigma normale di governo, ci invita ovviamente a pensare l’incessante rinnovamento della figura del nemico, oltre alle nuove leggi di stampo terrorista e alla militarizzazione (con polizia al seguito) delle nostre città.

Dalle flashball LBD al data mining passando per i droni e il 5G, non preoccupatevi: ci stiamo avvicinando a Gattaca «per il vostro bene». Come dice giustamente il filosofo italiano: «si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite». E quando leggiamo la lista di restrizioni previste dal decreto e riguardanti i comuni «colpiti» dall’influenza (per i quali invito alla lettura dell’articolo), possiamo stare certi che un domani sarà impossibile per un professore di filosofia o un cittadino militante descrivere qualcosa come una città ai suoi interlocutori.

«L’altro fattore, non meno inquietante, è lo stato di paura che in questi anni si è evidentemente diffuso nelle coscienze degli individui e che si traduce in un vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo, al quale l’epidemia offre ancora una volta il pretesto ideale. Così, in un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo».

Questo «vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo» è il nodo centrale del contratto sociale hobbesiano. Per passare dallo stato di natura (definito dalla guerra di tutti contro tutti) alla società civile (definita dal termine della guerra di tutti contro tutti), occorre accettare, sorretti dalla ragione, un contratto attraverso il quale tutti «possano guadagnarci» — dato che, sottomettendosi, i cittadini troverebbero sicurezza e libertà nel passaggio dal mito dello stato di natura all’artificio della società civile. Si tratta di rimpiazzare una finzione con un’altra: ma questi racconti producono evidentemente degli effetti reali. Al fine di assicurare la stabilità dello stato, il principe deve produrre e instillare la paura, assicurando al contempo la sicurezza dei suoi cittadini. In altre parole: la garanzia che non moriranno di morte violenta (la morta paradigmatica dello stato di natura hobbesiano).

Non è un caso allora che Hobbes sia stato uno dei primi a considerare il corpo come metafora dello stato, o che sia ancor oggi il filosofo più studiato nelle facoltà di scienze politiche da Parigi a Melbourne.

Dal corpo politico al corpo individuale, la Neolingua ci vende l’idea che dobbiamo prenderci cura di noi stessi — quando invece è evidente, almeno a partire dalle ricerche di Canguilhem e di Foucault, che il corpo è l’obiettivo per eccellenza del potere sovrano:

«Il momento storico delle discipline è il momento in cui nasce un’arte del corpo umano che non mira solamente all’accrescersi delle sue abilità, e neppure all’appesantirsi della sua soggezione, ma alla formazione di un rapporto che, nello stesso meccanismo, lo rende tanto più obbediente quanto più è utile, e viceversa»

(Michel Foucault, Sorvegliare e punire)

Lo dimostrano le centinaia di migliaia di cinesi in autoquarantena senza l’intervento della polizia, il ritorno di fiamma della delazione, il «lato pratico» di due miliardi di videocamere «pubbliche».

Il biopotere che ci riguarda qui e ora rappresenta un approfondimento del potere disciplinare e della società di controllo, dal momento che viene esercitato sia sull’individuo che sulla popolazione, modificando radicalmente i termini del contratto: lo scambio di diritti e di doveri tra stato e cittadini subisce un’integrazione di doveri da parte dello stato in ciascuno di noi; e la maggior parte dei cittadini agisce inconsciamente contro ciò che le resta della città e dei diritti.

Chiudere il proprio quartiere contro «un’influenza terrorizzante» in maniera «autonoma», «organizzandosi solo tra vicini»: sostanzialmente il servizio militare volontario. Se va bene. Ma se va male… è l’estensione del concetto di campo di concentramento al pianeta intero. O, perlomeno, ciò che mi sono permesso di chiamare — in termini più penali e, beninteso, riallacciandomi ai lavori di Agamben — lo stato di eccezione individuale.

Un’influenza come causa di uno stato di eccezione planetario, come arma di distruzione di massa della paura: nessun complottista di professione (dal basso!) avrebbe osato immaginare un pitch del genere. Da Euronews all’Università cattolica di Lovanio, nessuno smette di ripeterci in continuazione una lista di semplici precauzioni, neanche fossimo dei bimbi di diciotto mesi. Eppure, malgrado tutto, bisognerebbe considerare con un po’ di serietà il terzo consiglio fornito ai cittadini dell’impero (dopo 1. Lavarsi le mani, e 2. Evitare di tossire o starnutire vicino ad altre persone). Un corollario imagologico del secondo punto che ci permette di percepire come la rete di potere desideri aggravare la psicosi diffusa: «3. Evitare i contatti con persone manifestanti sintomi respiratori». Traduzione: «Prestate ancora attenzione ai sunniti e agli sciiti barbuti, sono e restano terroristi non solo tra le rovine siriane ma anche in Iran. Ma, a dispetto di questo pericolo, cari concittadini, vogliate inaugurare questo anno 2020 sotto il segno del sospetto per chi tossisce».

Non dobbiamo andare in panico perché ce lo chiedono. La seconda legge della termodinamica ha certamente subito un’accelerazione a causa di questo sistema mondo, ma è ancora ben lontana dal terminare l’opera.

PS. Non prendere posizione, è prendere posizione per il disordine costituito.

PPS. Il disastro è prima di tutto il carattere durevole della catastrofe; durevole perché da rinnovare incessantemente; da rinnovare incessantemente perché profittevole.

PPPS. «La sicurezza è libertà». Questa frase, beninteso, viene dalla più celebre distopia orwelliana, quella plagiata da Marco Minniti, e rappresenta soprattutto la direttrice delle politiche economiche cinesi, europee e americane.

PPPPS. Non si sa mai «tutta la verità» su niente. Nel mondo spettacolarmente capovolto, vero e falso sono intercambiabili. Guy-Ernest Debord esclamava: «la vita concreta di tutti si è degradata in universo speculativo». Siamo tutti filosofi per contingenza: impariamo a divenirlo per necessità, e cominciamo a rimettere in questione automaticamente tutto ciò che portiamo, tutto ciò che trasmettiamo, tutto ciò che vendiamo.

PPPPPS. Quando Agamben dice che lo stato di eccezione è divenuto il paradigma normale di governo, bisogna intendere che la rete di potere governa tramite la crisi. In altre parole, che coltiva un immaginario della catastrofe le cui problematiche ci riguardano, senza dubbio, ma sulle quali non abbiamo alcuna presa. Che sia ambientale, sanitaria, terroristica o finanziaria, noi — popolo dal basso — non abbiamo alcuna presa sui processi decisionali. «Tu parli tanto del cittadino, ma resta tutto molto astratto». Il cittadino è prima di tutto una finzione giuridica, politica ed economica ereditata dal contratto sociale e dall’illuminismo, e concretizzata (o, per meglio dire, riconcretizzata) dalla rivoluzione francese e dai moderni stati-nazione. Un mito, prima di tutto, quello dell’individuo, dell’essere integrato, intero, non separato, preso entro un rapporto di assoggettamento allo stato — un rapporto almeno apparentemente retto dal dare-avere (il contratto) fatto di diritti e di doveri. Questa sottomissione consensuale definisce la figura del soggetto — quantomeno da un punto di vista di grammatica istituzionale e di storia della lingua della rete di potere.

Le arti della guerra e del governo si sono sviluppate a tal punto negli ultimi millenni che abbiamo finito per crederci a questa finzione, a questo mito, a questa figura. Sono state a tal punto naturalizzate da noi occidentali che non ne mettiamo più in discussione né la positività né il luogo del loro esercizio.

Il cittadino è prima di tutto quell’essere che riceve il proprio nome e il proprio statuto attraverso la propria natività. La nascita, e il luogo della nascita, diviene da quel momento in avanti il marcatore, la cifra, la traccia della sovranità. Detta altrimenti, il primo respiro come persistenza della legge. Il suo gesto ultimo, prima della crisi ambientale, era il voto. Oggi fa la differenziata e, quando il portafogli lo permette, prova a mangiare bio. Altro di legale? Nulla. Ogni cittadino, in quanto tale, è illegale e rivoluzionario poiché deve prima di tutto reinventare una qualche forma alternativa di città, che è come dire che deve lottare contro la figura attuale della cittadinanza.

In quell’altrove che è qui, invece, lo straniero, il migrante, il deportato, il sans-papier senza nome mettono in crisi questa costruzione giuridico-politico-economica. La eludono in quanto residuo dei colonialismi di ieri e di oggi, con in quali l’occidente capitalista deve fare sempre i conti. E anche se nessuno di noi sa dire con precisione perché parte della rete di potere si è affrettata a esclamare «level-five-epidemic is a good option», «l’evento coronavirus» è destinato a incrementare a dismisura i controlli alle frontiere, rendendo ancora più difficili gli spostamenti e l’accoglienza dei migranti. L’eccezionale figura del deportato necessita di un immediato quadro di riferimento e di misure assolutamente eccezionali — anche se gradualmente integrata dal diritto nazionale e internazionale, dagli studi accademici e dai giornalismi al fine di canalizzare «il problema», di limitarlo proprio ingigantendolo nel linguaggio e nell’immaginario sociale dominante.

Lo stesso processo si manifesta per quanto riguarda la figura del manifestante-rivoltoso a livello nazionale come quella del terrorista a livello internazionale. Viene delineato il profilo della minaccia per diffonderlo all’estremo, instupidire l’immaginario dei più e soprattutto per distrarre dalla minaccia ultima: noi stessi.

PPPPPPPS: «Noi come minaccia ultima?» La diminuizione del plusvalore porta la rete di potere a reinventare incessantemente forme minori di insostenibilità affinché ci si dimentichi della sua.

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