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trad.marxiste

‘Tutto il potere ai soviet’, una storia in sette parti

di Lars T. Lih

Il seguente articolo è il primo di una serie di sette. Un’appendice a questo stesso articolo, “Mandato per le elezioni al soviet”, pubblicata separatamente nel caso dell’originale inglese, viene qui pubblicata in calce

all power to the soviets“Tutto il potere ai soviet!”, senza alcun dubbio uno dei più celebri slogan nella storia delle rivoluzioni. A giusto titolo a fianco di “Liberté, égalité, fraternité” quale simbolo di un’intera epoca rivoluzionaria. Nel presente saggio, e in altri che seguiranno, prenderò in esame la genesi di questo slogan nel suo contesto originario, quello della Russia del 1917.

Il nostro slogan consiste di tre parole: вся власть советам, vsya vlast’ sovetam. “Vsya” = “tutto”, “vlast’ = “potere” e “sovetam” = “ai soviet”. La parola russa sovet significa semplicemente “consiglio” (anche nel senso di suggerimento) e, da questo, “consiglio” (nel senso di assemblea). Oramai siamo ben abituati a questo termine russo, poiché evoca tutta una serie di significati specifici derivanti dall’esperienza rivoluzionaria del 1917.

In questa serie di articoli, ricorrerò spesso all’originale russo di una delle parole presenti nello slogan in questione, vlast’ (che d’ora in poi verrà traslitterata senza segnalare il cosiddetto jer molle [Ь] con l’apostrofo). “Potere” non ne dà una traduzione del tutto adeguata; difatti, nel tentativo di coglierne le sfumature, vlast viene spesso tradotto con la locuzione “il potere” (ad esempio da John Reed in I dieci giorni che sconvolsero il mondo). Il russo vlast riguarda un ambito più specifico rispetto al termine “potere”, ovvero quello dell’autorità sovrana di un particolare paese. Perché un soggetto sia ritenuto in possesso del vlast, deve avere il diritto di assumere decisioni definitive, essere dunque in grado di prenderle e vederle eseguite. Il vlast, per essere effettivo, richiede un fermo controllo delle forze armate, un forte senso della legittimità e missione assunte, nonché una base sociale. L’espressione di Max Weber sul “monopolio della violenza legittima” va dritto al cuore della questione.

Quando, perché e come i bolscevichi giunsero ad adottare tale slogan nella primavera del 1917? La consueta risposta a questi interrogativi è quella secondo cui il partito, per approdare a questa parola d’ordine, doveva procedere al proprio riarmo tramite le Tesi di aprile di Lenin. La metafora del riarmo venne utilizzata per la prima volta da Lev Trotsky nei primi anni Venti, ma oggi è tutt’altro che confinata a chi si richiama alla tradizione trotskista. In effetti, la narrazione del riarmo costituisce il cuore di un ampio consenso circa i bolscevichi nel 1917, consenso dovuto tanto ad attivisti quanto a storici accademici.

Alcune argomentazioni di base della narrazione sul riarmo sono le seguenti:

  • Le Tesi di aprile di Lenin contenevano una radicale innovazione politica e ideologica. L’esatta natura di quest’ultima rimane vaga, con scarso accordo tra i vari autori, ma di norma ha qualcosa a che fare con la rivoluzione sociale in Russia.
  • Le Tesi di aprile, di fatto, rappresentavano l’accettazione da parte di Lenin del punto di vista della “rivoluzione permanente” di Trotsky.
  • Le Tesi di aprile ebbero “l’effetto dell’esplosione di una bomba” tra i bolscevichi; questo ultimi ne rimasero scioccati e scandalizzati, a causa del rigetto del vecchio bolscevismo, quando non addirittura dei principi basilari del marxismo.
  • Le Tesi di aprile costituivano un netto cambiamento di linea politica rispetto all’operato “semi-menscevico” sino ad allora perseguito dai bolscevichi di Pietrogrado, i quali, in precedenza, avevano mostrato la propria confusione e sgomento censurando le Lettere da lontano di Lenin.
  • Lenin conquistò il partito ai sui punti di vista nel corso di una dura lotta, sebbene una parte significativa dello stesso, nonché dei suoi vertici, non ne rimasero convinti.
  • Le Tesi di aprile furono una condizione necessaria alla vittoria bolscevica dell’ottobre.

Ritengo tutte queste proposizioni inesatte o, nel migliore dei casi, gravemente fuorvianti. Come sfida rispetto ad esse, sostengo quella che potrei definire un’interpretazione “pienamente armata” della politica bolscevica nella primavera del 1917. In contrasto con la narrazione del riarmo, che separa il bolscevismo dal suo passato, sottolineo la continuità col vecchio bolscevismo. I bolscevichi non rimasero sconcertati dalla Rivoluzione di febbraio; essi fronteggiarono la situazione post-febbraio con una strategia vincente, saldamente fondata sullo scenario di classe prefigurato dal vecchio bolscevismo. Il ritorno di Lenin e altri leader emigrati, agli inizi di aprile, segnò un mutamento nella tattica – ma tale mutamento non fu dovuto alle controverse Tesi di aprile. I praktiki bolscevichi che espressero timori circa quest’ultimo testo lo fecero perché condividevano l’obiettivo del potere ai soviet. Il canonico slogan in tre parole, “Tutto il potere ai soviet!”, non venne adottato quale parola d’ordine del partito sino ai primi di maggio – dopo che il dibattito sulle Tesi di aprile era stato impostato nelle conferenze del partito bolscevico.

La mia contro-narrazione ha incontrato non poca resistenza e, senza dubbio, continuerà a farlo. Una delle cause principali è che sembrerebbe volare al di sopra di fatti ben acclarati. Che dire a proposito del “sostegno critico” al Governo provvisorio borghese espresso da bolscevichi come Lev Kamenev e Stalin? Che dire della famigerata censura sulle Lettere da lontano di Lenin da parte dei redattori della Pravda? Le Tesi di aprile non suscitarono forse enorme scandalo tra i bolscevichi? – Per esempio, una votazione nel comitato del partito di Pietrogrado respinse in toto le Tesi con uno sbilanciato esito contrario di tredici a due. Gli scritti di Trotsky del 1917 non illustrano la narrazione del riarmo? E così via.

Sono tutti validi interrogativi, e l’obiettivo della presente serie di testi consiste nel rispondervi dettagliatamente. Entro la fine della serie prevista, il tavolo risulterà ribaltato, e i difensori della narrazione dl riarmo avranno una montagna di nuove prove da considerare. Nel frattempo, sono rincuorato da fatto che studiosi impegnati in ricerche empiriche su questi temi, dopo la prima esposizione della mia ipotesi ormai un certo numero di anni fa, hanno convalidato parti essenziali della mia argomentazione, come illustrato dai recenti post di Eric Blanc.

Il saggio che apre la serie, “Biografia di uno slogan”, esporrà la mia interpretazione “pienamente armata” riducendo la polemica al minimo. Un ringraziamento di cuore per l’incoraggiamento e il supporto va a John Riddell, il quale ha generosamente fornito uno spazio a questa ampia serie di testi.

 

Biografia di uno slogan

Sin dall’epoca di Lassalle, la socialdemocrazia ha sempre prestato grande attenzione agli slogan – alle parole d’ordine – quali strumenti per concentrare le campagne politiche e imporre l’unità sull’azione di massa. Una storia della socialdemocrazia, nelle sue varie manifestazioni nazionali, potrebbe essere scritta sulla base degli slogan adottati nel corso degli anni. “Tutto il potere ai soviet!” è sicuramente fra i migliori: abbastanza breve da rientrare in uno striscione, sufficientemente ampio da fornire una risposta a quasi ogni questione. In aprile, Grigory Zinoviev rispondeva ad alcune domande poste in forma scritta dagli operai delle fabbriche, e una di queste era: quando avremo un servizio di caffetteria decente in questa fabbrica? La risposta di Zinoviev: quando l’intero vlast verrà dato ai soviet.

La strategia politica dietro lo slogan “Tutto il potere ai soviet!” si fonda saldamente sull’applicazione del vecchio bolscevismo alle circostanze prevalenti in Russia dopo la Rivoluzione di febbraio. Al cuore del vecchio bolscevismo vi era una lettura della costellazione di forze di classe in Russia all’indomani della Rivoluzione del 1905 – le cosiddette “forze motrici della rivoluzione”. Tale lettura diede origine a duna strategia politica definita dai bolscevichi “egemonia” (in un’accezione da non confondersi con i successivi usi di questa proteiforme parola). Esamineremo questa strategia in dettaglio nel prosieguo di questa serie, ma possiamo già sintetizzarla come segue: i bolscevichi devono battersi per un vlast basato sugli operai e i contadini, i quali conducano “a termine” la rivoluzione (raggiungimento del massimo di trasformazione politica e sociale ottenibile in quel momento) in opposizione alla spinta, da parte dei liberali anti-zaristi, a porvi fine quanto prima.

Non appena posatasi la polvere dopo il collasso della dinastia dei Romanov all’inizio del 1917, i bolscevichi non ebbero difficoltà ad inquadrare la strategia dell’egemonia nelle realtà politiche di base della nuova situazione creatasi. Veicolo del vlast degli operai/contadini avrebbero dovuto essere ovviamente i soviet, innanzitutto a Pietrogrado e in seguito a livello nazionale. A differenza del prototipo di soviet del 1905, quello di Pietrogrado, nel 1917, rappresentava anche i soldati della guarnigione della città e quindi, indirettamente i contadini. I liberali anti-zaristi si erano adagiati nel Governo provvisorio e, come previsto, cercavano di prendere il comando della rivoluzione e porre fine ai cambiamenti rivoluzionari il prima possibile. Le implicazioni della strategia dell’egemonia ai fini della strategia politica, nelle suddette circostanze, apparivano in tutta la loro evidenza: i soviet operai/contadini dovevano impossessarsi dell’intero vlast, e portare a compimento il programma rivoluzionario qualunque cosa fosse accaduta.

Nel marzo 1917 si diede concreta applicazione a questa strategia ad opera dei bolscevichi di Pietrogrado, tra i quali Kamenev e Stalin. A fronte di un soviet che da un lato era riconosciuto come autorità da operai e soldati ma che, da parte sua, aveva ceduto l’autorità statale al Governo provvisorio, i leader bolscevichi puntarono su un inevitabile confronto tra quest’ultimo e il soviet con tutto ciò che esso rappresentava, nella convinzione che gli eventi avrebbero rivelato la totale incapacità da parte del Governo provvisorio a soddisfarne le rivendicazioni, nonché l’ostile e controrivoluzionaria volontà di eliminarne l’influenza. Non appena colte tali realtà (così come interpretate dai bolscevichi) , i soviet e la loro base di massa avrebbero preso il “pieno ed intero vlast [vsia polnota vlasti] nelle proprie mani. Nella misura in cui la rivoluzione si sta sviluppando e approfondendo, si giungerà a questo, la dittatura del proletariato e dei contadini” (Lev Kamenev, editoriale apparso sulla Pravda del 14 marzo 1917) [1].

Sebbene i bolscevichi di Pietrogrado ponessero saldamente all’ordine del giorno la questione del potere al soviet, si astenevano dal dargli forma di slogan. Prudenza dovuta a due precisi dilemmi tattici. Innanzitutto, un simile appello avrebbe potuto essere percepito come ostile al soviet, considerando i vertici il punto di vista maggioritario da questo espressi in quel momento. In secondo luogo, una prematura chiamata al rovesciamento del Governo provvisorio, prima di acquisire il necessario consenso tra i sostenitori del soviet, si sarebbe potuto rivelare estremamente deleterio dal punto di vista organizzativo. Come rimarcato da Kamenev in Marzo, “Nevazhno–vziat’ vlast, vazhno–uderzhat” (“Non ci vuole gran che a prendere il potere – ma mantenerlo, quella e tutta un’altra cosa”) [2].

Simili considerazioni non erano frutto di una stucchevole mancanza di fervore rivoluzionario, quanto di veri e propri dilemmi tattici – dilemmi che causarono problemi ai bolscevichi nel corso di tutto quell’anno (si considerino, ad esempio, le giornate di luglio). Nel frattempo, i vertici bolscevichi erano impegnati a sollecitare il grande giorno tramite il moto “organizzazione, organizzazione e ancora organizzazione” (così la Pravda in marzo), oltreché dispiegando la tecnica socialdemocratica standard della campagna di denuncia. Una tipica campagna di questo genere poneva rivendicazioni concrete alle élite governanti, con l’obiettivo di persuadere le masse che non vi sarebbe stata risposta a tali richieste fintanto che il governo “borghese” fosse rimasto al potere. Un esempio paradigmatico nel 1917 fu la richiesta di rendere pubblici i trattati segreti. Una campagna, quest’ultima, lanciata in marzo prima del ritorno di Lenin, e protrattasi sino al momento in cui Trotsky fece il suo ingresso nella sede del ministero degli esteri.

Un appello esplicito per il conferimento del pieno potere al soviet diventava parte del messaggio bolscevico in aprile, parallelamente alla convinzione che persuadere la sua base di sostegno fosse prerequisito fondamentale. Questo mutamento (e non inversione di tendenza) nella tattica può ascriversi al ritorno dei leader emigrati, Lenin e Zinoviev (un esame della Pravda in aprile rivelerà subito il ruolo fondamentale di quest’ultimo), nonché all’accelerazione della crisi politica che (come previsto dai bolscevichi di Pietrogrado in marzo) stava approfondendo la spaccatura tra Governo provvisorio e sostenitori del soviet.

L’impatto di questi vari fattori non andrebbe attribuito automaticamente alle Tesi di aprile in sé e per sé. Diamo uno sguardo alla Pravda dell’8 aprile, apparsa poco dopo il ritorno di Lenin e la pubblicazione delle sue Tesi. A pagina quattro si può trovare un breve articolo di Kamenev intitolato “Le nostre divergenze”, contenente una critica delle Tesi di Lenin, segnale del disaccordo tra le fila bolsceviche e dell’inizio di un dibattito interno al partito. Sulla prima pagina dello stesso numero un ampio articolo di Zinoviev in grande rilievo, il che suggerisce una dichiarazione semi-ufficiale riflettente un qualche consenso del partito. Questo testo è una chiara, succinta e autorevole esposizione del pensiero alla base di “Tutto il potere ai soviet!” – con particolare enfasi su “tutto” – senza tuttavia niente che somigli allo slogan stesso.

Come afferma accuratamente Zinoviev nell’articolo citato, “la socialdemocrazia rivoluzionaria in Russia” (ovvero, i bolscevichi) ha tradizionalmente visto una rivoluzione russa vittoriosa quale “preludio, introduzione, alla rivoluzione socialista in occidente”. Questa prospettiva imponeva ai rivoluzionari russi un compito da Zinoviev riassunto con la veneranda formula “portare a termine (do kontsa) la Rivoluzione russa”. Come raggiungere tale obiettivo?

Dalle fila dei Cadetti sentiamo emergere proteste sempre più velenose contro il dualismo di potere [dvoevlastie] al momento esistente in Russia. “Protestiamo contro il fatto che affianco al governo Lvov/Guchkov/Miliukov esiste un altro vlast, il vlast del Soviet dei deputati degli operai e dei soldati”. Così dicono i Cadetti.

Anche noi non vogliamo un dualismo di potere: questa la nostra risposta in quanto socialdemocratici rivoluzionari. Anche noi desideriamo che nel nostro paese vi sia un solo e unico vlast. E questo vlast dovrebbe esse quello del Soviet dei deputati degli operai e dei soldati.

L’articolo di Zinoviev, dunque, ci fornisce un profilo del discorso bolscevico così come dispiegatosi durante tutto quell’anno: si prenda un obiettivo rivoluzionario ampiamente accettato, quindi si faccia notare come esso non potrà essere conseguito sinché i soviet, autentici rappresentanti di operai e contadini, non avranno tutto il vlast.

 

Le tesi di aprile: storia di una ricezione

In data 8 aprile, quindi, troviamo sulla Pravda una chiara ed inequivocabile esposizione degli obiettivi bolscevichi, secondo modalità che suggeriscono l’unità del partito e, al contempo, il primo round della disputa di partito circa le Tesi di Lenin. Per tanto, al fine di valutare l’impatto delle celebri Tesi è necessario gettare un attento sguardo alla loro ricezione. Poiché tale documento non presenta un messaggio unificato, ma piuttosto enuncia una serie di proposizioni disparate, non è d’aiuto parlare di una reazione alle Tesi considerate come un tutt’uno. È necessario dunque smontare le Tesi in un modo utile a distinguere differenti reazioni a differenti punti.

La ricezione riservata alle Tesi di aprile da parte degli attivisti del partito può essere suddivisa in tre categorie. Per prime le posizioni non controverse, in quanto espressione di consenso tra i bolscevichi. L’obiettivo del potere al soviet era sicuramente una di queste, così come l’indicazione della natura imperialista della guerra, la sfiducia nei confronti del Governo provvisorio e il rigetto del “difensivismo rivoluzionario”. Queste posizioni – di gran lunga le più importanti – non suscitavano alcuna resistenza. Semmai il contrario. Queste, per esempio, le parole di Sergei Bagdatev, autore della critica più articolata alle Tesi di Lenin: “Ovunque e in ogni momento, quotidianamente, abbiamo dimostrato alle masse che sin quando il vlast non sarà trasferito nelle mani del Soviet dei deputati degli operai e dei soldati, non vi sarà speranza di una conclusione a breve della guerra, né possibilità alcuna per la realizzazione del loro programma” [3]. Bagdatev si serviva di queste parole in aprile, proprio al fine di spiegare perché nutrisse dei dubbi riguardo alcune proposizioni di Lenin.

Le osservazioni di Bagdatev ci portano alla successiva categoria in cui si collocano le diverse ricezioni delle tesi di Lenin: i dubbi sulle possibili implicazioni pratiche di questa o quella specifica proposizione. Dubbi non derivanti dall’obiettivo del potere al soviet, bensì dai disaccordi sul modo più adeguato per raggiungerlo. Queste riserve emergevano perché Lenin era lungi dall’essere chiaro, tanto nelle sue ellittiche Tesi quanto in altri commenti rilasciati dopo il suo ritorno. Secondo notizie recenti, un gruppo di cardinali hanno sottoposto a Papa Francesco una serie di dubia, o richieste di chiarimento, circa le implicazioni di alcuni dei suoi pronunciamenti. Questi dubia rappresentano un eccellente modello di quest’ultima categoria di ricezione delle Tesi.

La caratteristica essenziale dei dubia bolscevichi nell’aprile del 1917 consisteva nel fatto che erano ardentemente pro-potere al soviet. Nei prossimi testi di questa serie esamineremo le due critiche più ampie, ovvero quelle di Sergei Bagdatev e Lev Kamenev. Sebbene il primo venga solitamente collocato all’estrema sinistra del partito, e il secondo all’estrema destra, le loro critiche sono sostanzialmente sovrapponibili, anzi, Bagdatev citava Kamenev e solidarizzava con lui. Non vi possibile fraintendimento circa il fervore col quale i due bolscevichi mettevano in guardia su quelli che ritenevano passi falsi nel raggiungere l’obiettivo del potere al soviet.

Il processo di chiarimento dei malintesi ebbe iniziò quasi immediatamente, dato che Lenin dovette provvedere a fornire delle glosse difensive così da prevenire fraintendimenti, e ciò proprio nell’articolo contenente il testo canonico delle Tesi. Dopo aver ripetuto quanto già reso pubblico in discorsi tenuti dopo il suo rientro, Lenin aggiungeva: alcuni deducono dalle mie Tesi che io non sostengo l’Assemblea costituente – che sciocchezza infamante!

Nel 1926, il pioniere della storiografia del partito, Vladimir Nevsky, pubblicava il primo considerevole resoconto della storia del bolscevismo basato sulle fonti. Il suo volume apparve in un breve intervallo successivo alla raccolta delle fonti primarie, e prima che l’ortodossia stalinista ponesse fine ad un autentico dibattito storico. Lo stesso Nevsky era stato attivo nell’organizzazione bolscevica di Pietrogrado, quindi parlava con l’autorità del testimone oculare, oltreché di uno storico ancor’oggi assai apprezzato. Suoi i seguenti commenti, estremamente rivelatori, riguardo la ricezione delle Tesi di aprile:

È tuttavia necessario sottolineare che una parte dei militanti del nostro partito all’inizio recepì in modo sbagliato queste tesi, intendendole, nonostante precisi chiarimenti, come un appello all’immediata realizzazione del socialismo.

La posizione sulla dittatura democratica del proletariato e dei contadini costituiva lo sviluppo naturale dell’elaborazione strategica di Lenin, che aveva le proprie fondamenta nell’analisi scientifica della Russia che egli aveva sviluppato da tempo, fin da prima della rivoluzione del 1905; questa elaborazione comportava delle scelte conseguenti che il partito, ben presto convinto della necessità e dell’inevitabilità della dittatura del proletariato e dei contadini, non mancò di fare [4]

Più avanti, nel corso della nostra serie, vedremo la risposta sia di Lenin che di Trotsky circa tali equivoci sul socialismo. Al momento, è necessario sottolineare due implicazioni cruciali delle autorevoli osservazioni di Nevsky. Innanzitutto, i fraintendimenti erano di fatto decisivi nella ricezione delle Tesi di aprile. Ovviamente, Nevsky allontana da Lenin qualsiasi responsabilità per l’aver provocato simili incomprensioni, e non vi è menzione alcuna alla possibilità che Lenin stesso potesse aver frainteso il punto di vista dei bolscevichi di Pietrogrado come Kamenev.

Ancor più rivelatrice la ferma asserzione da parte di Nevsky della fondamentale continuità tra vecchio bolscevismo e Tesi di aprile: “La posizione sulla dittatura democratica del proletariato e dei contadini costituiva lo sviluppo naturale dell’elaborazione strategica di Lenin, che aveva le proprie fondamenta nell’analisi scientifica della Russia che egli aveva sviluppato da tempo”. Continuità riassunta da Nevsky citando la nota formula di Lenin sulla “dittatura del proletariato e dei contadini”, la quale, una volta smontata, equivale alla strategia dell’egemonia: un vlast basato sugli operai e i contadini al fine di “portare a termine” la rivoluzione (raggiungere il massimo della trasformazione politica e sociale ottenibile in quel momento) in contrapposizione all’orientamento dei liberali anti-zaristi, consistente nel porre termine alla rivoluzione il prima possibile. Nevsky conosceva la storia del partito bolscevico meglio di chiunque altro oggi vivente, alla sua testimonianza su questo punto, per tanto, si dovrebbe dare il giusto peso.

Il processo di chiarimento dei malintesi operava in entrambe le direzioni: essendo appena giunto in Russia, Lenin stesso nutriva pregiudizi in merito alle posizioni dei bolscevichi di Pietrogrado. Come vedremo nei prossimi testi di questa serie, probabilmente il più rilevante di questi pregiudizi concerneva la capacità di avanzare “rivendicazioni” presso il Governo provvisorio. A causa della sua appassionata polemica contro Kautsky ed il “centro” socialdemocratico, Lenin arrivò in Russia intenzionato a fare fuoco e fiamme contro l’idea stessa di porre “rivendicazioni” – ai suoi occhi ciò avrebbe significato solo diffondere illusioni circa la possibilità di riforme. Ma come?! (domandavano i critici) – si vorrebbe forse sostenere che dovremmo rinunciare alla nostra campagna di denuncia, la quale avanza rivendicazioni come la “pubblicazione dei trattati segreti”?

Una questione molto simile era quella del kontrol, che si potrebbe tradurre meglio con “supervisione” anziché “controllo: nel contesto dei dibattiti svoltisi in aprile, kontrol significava tenere sott’occhio il governo per assicurarsi portasse avanti le rivendicazioni del soviet. Lenin respingeva qualsiasi discorso sul kontrol per la stessa ragione alla base della sua ostilità ad avanzare “rivendicazioni”: qualsiasi discussione di tal genere sembrava implicare, infatti, la convinzione che il Governo provvisorio avrebbe effettivamente implementato il programma e le rivendicazioni del soviet. Ma Kamenev, così come altri bolscevichi, intendeva utilizzare il kontrol da parte del soviet proprio al fine di denunciare il fallimento del governo – al pari di Lenin, dunque, essi ritenevano non vi fosse possibilità alcuna che il governo applicasse le politiche richieste dal soviet.

I seguenti tre commenti riguardo la questione delle “rivendicazioni”, dalla conferenza del partito tenutasi in aprile, contengono in miniatura il paradigma del processo, talvolta caotico, di chiarimento dei malintesi. Secondo Lenin:

La nostra linea politica non deve consistere qui nel dire che esigiamo dal governo la pubblicazione dei trattati. Sarebbe un’illusione. Esigere questo da un governo di capitalisti sarebbe come rivendicare la divulgazione delle tariffe commerciali. Se diciamo che bisogna rinunciare alle annessioni e agli indennizzi, dobbiamo indicare anche il modo di farlo, e, se ci si domanda chi lo farà, risponderemo che si tratta, in sostanza, di un atto rivoluzionario, che potrà essere compiuto soltanto dal proletariato rivoluzionario.

Kamenve così rispondeva:

Come partito politico, dovremmo noi fare nostra la rivendicazione della pubblicazione dei trattati segreti, ovvero, annunciarla come nostra rivendicazione politica? Mi si dirà: con tutto il rispetto, stai chiedendo qualcosa di impossibile. Ma le rivendicazioni che io avanzo non sono basate sull’aspettativa che Miliukov mi dia risposta, e dunque pubblichi i trattati. La politica consistente nel porre rivendicazioni, da me sostenuta, è uno strumento di agitazione per lo sviluppo delle masse, un metodo di denuncia del fatto che Guchkov e Miliukov non possono agire in tal senso, non vogliono la pubblicazione dei trattati e sono contro una politica di pace. Si tratta di uno strumento utile a mostrare alle masse che, se vogliono realmente creare una politica rivoluzionaria a livello internazionale, ebbene, allora il vlast deve essere trasferito nelle mani del soviet.

Dopo questo scambio, Kamenev e Lenin si forzavano di minimizzare le proprie divergenze. Il primo affermava che la sua insoddisfazione circa il rapporto del secondo era dovuta “principalmente a ragioni tecniche”. A detta di Lenin, “Siamo d’accordo con il compagno Kamenev in tutto, tranne che nella questione del kontrol. […] soggettivamente, intende questa parola meglio di Chkheidze e degli altri”. Chkheidze era un menscevico, leader del soviet, il quale sperava, in tutta sincerità, che il Governo provvisorio ne avrebbe davvero applicato il programma.

Uno degli obiettivi della presente serie di testi è rendere ciò che era evidente a Lenin, alla fine dell’aprile 1917, altrettanto palese al lettore del 2017 – ossia, che Kamenev e altri erano sulla stessa lunghezza d’onda di Lenin e non di leader menscevichi come Chkheidze. Per il momento, limitiamoci a notare come i bolscevichi ritenessero del tutto possibile condurre campagne di agitazione, riguardo i trattati segreti, compatibili tanto coi criteri di Lenin che di Kamenev. Proprio nel momento in cui scrivo, ho sotto gli occhi una fotografia che mostra dei soldati durante le giornate di aprile, radunati in piedi, sotto uno striscione che reca la scritta “Trebuyem [sic] Nemedlennogo Vskrytiia Soiuznykh Dogovorov” – Esigiamo l’immediata pubblicazione dei trattati di alleanza (enfasi aggiunta).

I dubbi circa le “rivendicazioni”, il kontrol e un’altra serie di argomenti non vennero confutati – bensì chiariti. Il consenso sulle Tesi di aprile non venne raggiunto perché Lenin fece mutare avviso ai praktiki – semmai, egli chiarì loro che non dovevano cambiare idea al fine di accettarle.

Infine, l’ultima categoria in cui è possibile classificare la ricezione delle Tesi di aprile si potrebbe etichettare come “entusiasmi di Lenin”: quelle parti delle Tesi estranee al nocciolo del consenso, ma non percepite dai suoi sodali bolscevichi come ad esso antitetiche. Rientravano in tale categoria la nazionalizzazione delle banche, il cambiamento del nome del partito e i soviet come forma più elevata di democrazia (in contrasto coi soviet come veicolo per il vlast di operai e contadini). Queste proposte non erano scioccanti o controverse in quanto tali, tuttavia, in molti si interrogavano circa la loro rilevanza e utilità ai fini di modellare il messaggio del partito, un messaggio che fosse dinamico nel contesto della rivoluzione in corso. In definitiva, questi punti non furono respinti, lasciando che si depositassero nelle note a margine del messaggio bolscevico – anche se esposti negli scritti di Lenin indirizzati alla base del soviet nel 1917 (non si tiene qui conto di Stato e rivoluzione, in quanto pubblicato nel 1918).

Tutte è tre le categorie di ricezione delle Tesi sono esemplificate da alcune osservazioni fatte dell’attivista bolscevico Mikhail Kalinin alla conferenza del partito di aprile. Come già detto, la prima categoria consiste di punti fondamentali non oggetto di controversie. Ad esempio, Kalinin si pronunciava esplicitamente a favore della politica agraria di Lenin, facendo riferimento ad un proprio articolo comparso sulla Pravda il 17 marzo. Il messaggio alla base di questo articolo può essere riassunto con la formula “tutto il potere ai comitati dei contadini!”. Fatto di estrema rilevanza, nei suoi commenti indirizzati alla conferenza, Kalinin sosteneva specificamente l’obiettivo del potere al soviet: “il Soviet dei deputati degli operai e dei soldati è al momento il solo possibile vlast“.

A seguito della sua condivisione di tali fondamentali prese di posizione, Kalinin insisteva sul fatto che le Tesi di aprile non costituivano una radicale rottura rispetto alle prospettive, ormai da lungo tempo acquisite, del partito: “il metodo di pensiero rimane quello del vecchio bolscevico, uno in grado di gestire le particolarità di questa rivoluzione”. Né costituivano una rottura con le tattiche bolsceviche di recente adottate in marzo: “Tutto ciò che dovete fare è leggere il nostro primo documento emesso durante la rivoluzione – il manifesto del nostro partito, e vi persuaderete che il quadro della rivoluzione e la tattica, da noi tracciati, in alcun modo differiscono dalle tesi del compagno Lenin”.

La seconda categoria di ricezione è costituita da dubbi di natura pratica: ha Lenin considerato tutte le implicazioni di questo o quell’altro determinato punto – implicazioni che noi praktiki riteniamo ostacoleranno la via verso il potere al soviet? Per esempio, Kalinin non aveva obiezioni in merito a cambiamenti nella denominazione del partito, ma reputava che, “in base a considerazioni pratiche”, l’implementazione della modifica necessitasse di tempi più lunghi. Consapevole che la fonte di alcune delle preoccupazioni di Lenin risiedeva nelle polemiche degli ambienti dell’emigrazione, così si esprimeva Kalinin: “Comprendo i compagni rientrati dall’estero, dove la parola ‘socialdemocratico’ è stata insudiciata. Ma non è così qui da noi”.

L’ultima categoria di ricezione consiste nell’accettazione degli entusiasmi personali di Lenin, senza con ciò renderli in alcun modo parte centrale dell’effettivo messaggio bolscevico. Ad esempio, una delle tesi di Lenin insisteva sulla nazionalizzazione delle banche. Kalinin non aveva obiezioni sostanziali riguardo a simile provvedimento ma, commentava, “il punto sulle banche non ha molto significato pratico propagandistico”. Come abbiamo già visto, Kalinin sosteneva i soviet come strumento del vlast degli operai e dei contadini, alla maniera del vecchio bolscevismo. Ciò nonostante, non condivideva l’entusiasmo di Lenin circa i soviet, intesi quale tipologia più elevata di democrazia:

La sola novità nelle Tesi del compagno Lenin è l’asserzione secondo la quale il Soviet dei deputati degli operai è la sola [accettabile] forma di governo. Ciò non è vero, ma è vero invece che il Soviet dei deputati degli operai e dei soldati, al momento, costituisce l’unico possibile vlast. Dunque, è necessaria qui una correzione.

Nel caso specifico, la logica di Lenin sui soviet come tipologia superiore di democrazia non venne certo respinta ma, allo stesso tempo, non le venne concesso uno status più che marginale nel messaggio bolscevico del 1917. Tale questione, quindi, ben illustra il modo in cui gli entusiasmi personali di Lenin non divennero più che note a margine nel messaggio bolscevico.

Di quest’ultimo, tutto sommato, otteniamo un quadro più accurato, per quanto riguarda quell’anno, leggendo le osservazioni di Kalinin anziché le Tesi di aprile. Il cuore di tale messaggio si basava su quanto Lenin e Kalinin avevano in comune: gli obiettivi gemelli del potere ai soviet e della terra ai contadini. Ma, come prefigurato correttamente da Kalinin, la nazionalizzazione delle banche, i soviet quali tipologia superiore di democrazia ed il cambiamento del nome del partito restarono tutti fattori marginali.

 

I grandi slogan non si creano, si trovano

In definitiva, la storia di “Tutto il potere ai soviet!” può essere raccontata senza menzionare le Tesi di aprile – niente di essenziale andrebbe perso. Per tanto, riprendiamo il filo della nostra narrazione sullo slogan bolscevico. Il pensiero alla sua base derivava dal vecchio bolscevismo e non fu mai realmente messo in dubbio. Come abbiamo già avuto modo di vedere, l’appello esplicito per il potere al soviet, come obiettivo immediato, era stato lanciato ai primi di aprile, quando il dibattito intorno alle Tesi di aprile era appena iniziato. Ma lo slogan canonico – Vsia vlast sovetam! – non era ancora in evidenza in alcuna sede. Di certo non compare nelle Tesi di aprile. Ho esaminato le risoluzioni e i proclami dei comitati locali del partito, relative ad aprile, reperite in svariate raccolte di documenti. Sulla base di queste evidenze, né lo slogan a noi ormai familiare, né alcuna sua riconoscibile variante, vennero utilizzati nel corso di quel mese. L’assenza della concisa formulazione di una rivendicazione fondamentale si fa notare, già di per sé, nei vari appelli alla mobilitazione emessi dai bolscevichi locali.

Nella risoluzione della Conferenza panrussa del partito, conclusasi il 29 aprile, l’appello per il “pieno vlast statale” agli operai e ai contadini è un leitmotiv insistente lungo tutto il testo. Eppure, la formulazione non è solo maldestra, rispetto all’incisività dello slogan canonico, ma anche nebulosa. L’enunciazione più ricorrente è “trasferimento di tutto il vlast nelle mani del/i”, con significative variazioni quanto ai soggetti destinatari. Talvolta, il vlast è posto nelle mani dei soviet, ma in altri passaggi viene trasferito direttamente in quelle delle classi sociali, come “il proletariato”. Altri “organi di autogoverno democratico” – persino l’Assemblea costituente – trovano menzione quali possibili stumenti del vlast.

Chi, per primo, si è servito dell’esatta formulazione dello slogan canonico? Sulla base delle prove attualmente disponibili, un qualche bolscevico pietrogradese di medio livello, coinvolto nell’organizzazione delle manifestazioni durante la crisi di aprile. La prima apparizione che ho rintracciato è in uno striscione comparso sulle strade il 21 aprile (come riportato dalla Pravda il giorno successivo). L’attivista in questione, senza dubbio, stava sintetizzando ciò che leggeva sulle pagine della Pravda. Lo striscione attirò l’attenzione di Lenin, o per osservazione diretta o tramite i resoconti della stampa, il quale lo menzionò nella sua descrizione degli eventi [5]. Lo slogan gli piacque a tal punto da spingerlo ad usarlo poco dopo in un articolo sulla Prvda del 2 maggio.

Lenin viene solitamente, ed erroneamente, associato allo slogan canonico tramite le sue Tesi sin dall’inizio di aprile. E tuttavia, gli va giustamente riconosciuto il merito della sua adozione. Nel corso delle manifestazioni in aprile, sul finire del mese, Lenin fu tanto perspicace da notare lo slogan e percepirne le potenzialità. In base alle evidenze attuali, Lenin fu il leader che, sottraendolo all’anonimato, lo rese un punto centrale dell’agitazione bolscevica.

La prima apparizione dello slogan che sono stato in grado di rintracciare in una autorevole documento del partito – dunque non solo in uno striscione anonimo o in un articolo a firma di un singolo – risale al 7 maggio, sulla prima pagina della Pravda nel Progetto di mandato per le elezioni al Soviet degli operai e dei soldati. L’obiettivo del mandato era quello di aiutare la base del soviet a distinguere un autentico bolscevico da uno solo di nome. Come tale, un simile documento costituisce un ottima guida al significato dello slogan nel contesto del 1917 [si veda, in calce al presente saggio, “Mandato per le elezioni al soviet“]. Il mandato si conclude con queste fragorose parole:

Vsia vlast Sovetam Rabochikh i Soldatskikh Deputatov! [Tutto il potere ai soviet dei deputati degli operai e dei soldati!] Tutto il mondo vi crederà. Solo allora potremo mettere fine alla guerra e portare la Russia alla felicità.

Il mandato passava in rassegna tutte le sfide che il paese si trovava a dover fronteggiare, sostenendo in ogni caso il potere al soviet come prerequisito ad una risposta efficace. “A meno che il vlast non passi nelle mani di operai, soldati e contadini poveri – coloro che si rifiutano realmente di essere predoni – continueremo a versare il nostro sangue solo per servire gli interessi di un pugno di capitalisti e grandi proprietari terrieri”.

Nel mandato si fa appello al kontrol dello stato sulla produzione e distribuzione, ma si chiarisce anche che si tratta di un qualcosa di cui lo stato si occuperebbe comunque – l’unica questione è chi deterrà il vlast, chi avrà l’ultima parola sulle politiche reali. Dunque, l’altra faccia di tutto il potere ai soviet è la condanna di qualsiasi “accordo” con i capitalisti: “Tutto il vlast [vsia vlast] nel paese deve appartenere esclusivamente ai soviet dei deputati degli operai, dei contadini e altri (dovremmo includere i soviet dei lavoratori delle ferrovie e altri funzionari pubblici). Gli accordi [soglashenie] con i capitalisti, lasciando il vlast nelle mani di questi ultimi, prolungano la guerra e aggravano la situazione all’interno del paese”.

Il tema del socialismo brilla per la sua assenza, così come gli entusiasmi personali di Lenin contenuti nelle Tesi di aprile: i soviet come forma superiore di democrazia, lo spostamento dell’attenzione verso i batrak [braccianti, n.d.t.], le aziende modello sulle grandi proprietà fondiarie confiscate e la regolamentazione delle banche. D’altra parte, le politiche sostenute nel mandato provenivano dal “programma minimo” socialdemocratico, nonché dalla comune piattaforma “democratica” dei partiti socialisti: una pace giusta, la terra ai contadini, la giornata lavorativa di otto ore e la milizia generale. La campagna contro i trattati segreti non veniva tralasciata. Persino il vecchio slogan del Partito socialdemocratico tedesco – “non un centesimo!” – trovava spazio. Riassumendo, il mandato costituisce una concreta applicazione di un consenso bolscevico di lungo corso: un vlast basato sugli operai e contadini impegnati a portare a termine la rivoluzione, attuando un’ampia trasformazione “democratica” della società russa.

Concludiamo la nostra breve biografia di uno slogan con un’eccellente rievocazione del significato di “Tutto il potere ai soviet!”, così come recepito dalla base stessa del soviet. Nella sua descrizione di un raduno in una fabbrica, nella Mosca del maggio 1917, uno degli operai, Eduard Dune, respinge con una certa impazienza il doto discorso marxista sulle tipologie di rivoluzione:

Come sapere se la rivoluzione borghese era terminata o se la Russia era matura per quella socialista? I bolscevichi parlavano in un modo più comprensibile. Dobbiamo preservare e rafforzare il potere che abbiamo ottenuto durante la rivoluzione, non concedendone la minima parte alla borghesia. Non dobbiamo liquidare i soviet in quanto organi di potere, bensì trasferire loro potere, così che non vi sia più un dualismo, ma un unico governo rivoluzionario.

Per i sociologi la questione della dittatura del proletariato era più complicata di quanto non lo fosse per noi. Volevamo un sola cosa: l’istituzione di un governo rivoluzionario degno di fiducia e il rafforzamento di quelle pratiche sperimentate e collaudate dall’esperienza della rivoluzione. Eravamo per la terra ai contadini, per la fine della sanguinosa guerra, per tutto ciò che i lavoratori in altri paesi volevano. Non vi era ancora nessuna rivoluzione altrove, ma ci sarebbe stata. I soldati stranieri, al pari di noi, si fidavano dei propri ufficiali così poco che ben presto avrebbero seguito il nostro esempio. Tutti coloro che si pronunciavano contro il potere ai soviet erano nemici della rivoluzione, occultando essi il fatto che al momento opportuno avrebbero agito contro i risultati che aveva prodotto [6].

Potremmo probabilmente continuare la storia del nostro slogan come se fosse la biografia di una star del cinema: un iniziale successo nelle manifestazioni del 18 giugno, un periodo di rifiuto, confusione e insicurezza dopo le giornate di luglio e, infine, un ritorno trionfale tra le stelle in settembre, chiudendo con una storica performance alla fine di ottobre. Ma per il momento, concludiamo qui il primo capitolo della biografia di “Tutto il potere ai soviet!”.


Note
  1. Per il testo integrale e il commento dell’editoriale di Kamenev, si veda https://weeklyworker.co.uk/worker/1047/bolshevism-was-fully-armed/.
  2. Pervyi legal’nyi PK Bol’shevikov v 1917 g. (Leningrado, 1927: Gosizdat), pp. 49-50.
  3. Questo passo e gli altri materiali della conferenza del partito di aprile sono tratti da Sed’maia (aprel’skaia) vserossiiskaia konferentsiia RSDRP (bol’shevikov); Petrogradskaia obshchegorodskaia konferentsiia RSDRP (bol’shevikov) (Mosca: Gosizdat, 1958).
  4. Nevsky, Storia del partito bolscevico. Dalle origini al 1917, Pantarei, 2008, p. 464.
  5. Lenin, “Gli insegnamenti della crisi”, in Opere complete, vol. XXIV, Editori Riuniti, 1966, p. 213.
  6. Eduard M. Dune, Notes of a Red Guard, a cura di Diane P. Koenker e S. A. Smith (University of Illinois Press: 1993), 49-50 (questa memoria non è stata scritta sotto la censura sovietica).

Link al post originale in inglese John Riddell

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Appendice

Pravda: ‘Mandato per le elezioni al soviet’

Per un eventuale utilizzo nell’elezione dei delegati al Soviet dei deputati degli operai e dei soldati.

La seguente dichiarazione apparve il 7 maggio 1917 sulla prima pagina del giornale bolscevico Pravda, sotto il titolo Progetto di mandato per le elezioni dei delegati al soviet dei deputati degli operai e dei soldati. Tale mandato segnava la prima apparizione dello slogan “Tutto il potere ai soviet” in una dichiarazione ufficiale del partito. Il suo scopo consisteva nell’aiutare la base del soviet a distinguere tra gli autentici candidati rivoluzionari da quelli solo di nome.

La dichiarazione è stata tradotta e presentata da Lars Lih come appendice al suo contributo “‘Tutto il potere ai soviet!’, parte prima: biografia di uno slogan”, e quale guida al significato di questo slogan nel 1917. – JR


Nel momento in cui eleggiamo i nostri rappresentanti al Soviet dei deputati degli operai e dei soldati, diamo loro il compito di difendere i seguenti punti:

 

1. La guerra

L’attuale guerra è stata iniziata dagli zar, da re coronati e rapinatori capitalisti senza corona; è una guerra predatoria, la quale porta solo morte e distruzione a tutti i popoli del mondo, ma milioni in profitti ad un pugno di capitalisti. I trattati segreti, firmati da Nicola il sanguinario con i capitalisti inglesi e francesi, non sono stati a tutt’oggi pubblicati. Eppure, il sangue scorre tutt’ora a causa di questi oscuri e turpi trattati.

A meno che il vlast non passi nelle mani di operai, soldati e contadini poveri – coloro che si rifiutano realmente di essere predoni – continueremo a versare il nostro sangue solo per servire gli interessi di un pugno di capitalisti e grandi proprietari terrieri.

Porre fine all’attuale guerra predatoria con una pace giusta è possibile solo contro la volontà dei governi al momento in carica, solo cacciando i capitalisti e i grandi proprietari terrieri in tutti i paesi. I socialisti di ogni paese devono seguire l’esempio di Karl Liebknecht, il quale è stato condannato ai lavori forzati perché ha condotto la giusta lotta contro “il proprio” Wilhelm e “i propri” capitalisti.

 

2. La terra

Tutta la terra – non solo quella zarista, statale e dei monasteri, ma anche quella dei grandi proprietari terrieri – deve essere trasferita ai contadini e senza indennizzi.

I contadini devono prendere queste terre immediatamente e dare subito inizio alla semina. Non dobbiamo aspettare l’Assemblea costituente, la quale non è stata ancora neanche convocata. Qualsiasi rinvio metterà a repentaglio l’intera iniziativa. Aspettare sarebbe disastroso! Il piano dei grandi proprietari terrieri consiste nel tirare le cose per le lunghe e, se ciò riuscisse, interrompere l’intero trasferimento della terra ai contadini.

La terra, insieme alle scorte vive e morte dei fondi dei grandi proprietari terrieri, devono essere rilevate in modo organizzato, sotto la supervisione [kontrol] dei soviet dei deputati dei contadini e da quelli dei deputati degli operai agricoli. Nessun disordine deve essere permesso. La disciplina rivoluzionaria è necessaria. I soldati al fronte dovrebbero inviare i loro delegati ai soviet e ai comitati, i quali avranno il kontrol sulla confisca della terra.

 

3. Il lavoro

La giornata lavorativa di otto ore deve essere introdotta per tutti, lavoratori e lavoratrici, nelle città e nei villaggi, con incrementi dei salari da lavoro che saranno quantomeno in grado di mantenere il passo col costo della vita. Dobbiamo stabilire il kontrol dei soviet dei deputati degli operai e dei soldati sulla produzione e la distribuzione dei beni. In assenza di ciò, il paese è minacciato dalla carestia. Non il kontrol dei capitalisti, ma solo il kontrol del Soviet dei deputati degli operai e dei soldati può garantire il pane alle città, nonché articoli industriali meno costosi ai villaggi.

 

4. Il vlast [il potere]

Tutto il vlast [vsia vlast] nel paese deve appartenere esclusivamente ai soviet dei deputati degli operai, dei contadini e altri (dovremmo includere i soviet dei lavoratori delle ferrovie e altri funzionari pubblici). Gli accordi [soglashenie] con i capitalisti, lasciando il vlast nelle mani di questi ultimi, prolungano la guerra e aggravano la situazione all’interno del paese”.

Nessuna fiducia nei confronti del “nuovo” governo [la coalizione, recentemente formatasi, di socialisti e liberali], poiché rimane un governo di capitalisti – nessun sostegno ad esso, non un solo centesimo. Nessuna fiducia ai partiti “difensivisti”, i quali predicano per un accordo coi capitalisti e per la partecipazione ad un governo di capitalisti!

 

5. La polizia

In nessuna circostanza dovremmo permettere il ripristino della polizia. Invece della polizia, e dell’esercito permanente, abbiamo necessità di una milizia, dell’armamento generale di tutti i cittadini di entrambi i sessi.

 

6. Il collasso economico e il costo della vita

Una lotta efficace contro il collasso economico e la mancanza di pane richiede (1) che si ponga fine alla guerra il più presto possibile, (2) che si trasferisca il più presto possibile l’intero vlast nelle mani dei soviet dei deputati degli operai e dei soldati. Un Governo provvisorio che consiste ancora in una maggioranza di capitalisti non può lottare efficacemente contro il collasso economico. Esso preserva i profitti dei capitalisti e il tornaconto dei grandi proprietari terrieri. Non vuole permettere ai lavoratori di detenere il kontrol sulla produzione e distribuzione dei beni – il kontrol che solo può attenuare il collasso. Il Governo provvisorio non è in grado di assumere quelle misure rivoluzionarie che sole possono salvare il paese dalla carestia.

Tutto il potere ai soviet dei deputati degli operai e dei soldati! [Vsia vlast Sovetam Rabochikh i Soldatskikh Deputatov!] Tutto il mondo vi crederà. Solo allora potremo mettere fine alla guerra e portare la Russia alla felicità.

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Il nostro delegato è obbligato ad agire nel Soviet sulla base di questo mandato. Chiunque devierà da questo percorso sarà da noi revocato e, al suo posto, eleggeremo un altro delegato che sostenga i nostri punti di vista.

Se il nostro attuale delegato non condivide i punti di vista qui esposti, esigiamo che rinunci alla sua carica e procederemo all’elezione di un altro compagno.

Pravda, 7 Maggio 1917

Link al post originale in inglese John Riddell

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