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marx xxi

La Rivoluzione d’Ottobre, oggi

di Salvatore Tinè

Ringraziamo Salvatore Tinè per questo importante scritto sull’ottobre ’17

Schermata del 2021 11 12 15 13 53La Rivoluzione d’Ottobre ha segnato certamente l’inizio di una nuova epoca della storia umana. Neanche più di trent’anni dopo la fine del primo stato socialista della storia sorto da essa possiamo dire che tale epoca si sia conclusa. La vittoria del potere sovietico nell’ottobre del 1917 in Russia e poi il conseguente gigantesco tentativo di costruzione di una nuova società ,fondata non più sui principi dell’anarchia del mercato e dello sfruttamento del lavoro salariato ma su quelli di una regolazione sociale, secondo un piano, dei processi collettivi di produzione e di riproduzione sociali, che avrebbe scandito il processo di costruzione del socialismo in URSS lungo l’intero arco del cosiddetto “secolo breve”, ha mostrato all’intera umanità, sul piano della storia reale, la possibilità oggettiva, concreta, di costruire una società radicalmente diversa e alternativa al sistema capitalistico, una volta distrutto il potere politico della borghesia e conquistata la direzione politica dello stato da parte della classe operaia e della sua avanguardia, il partito comunista. Soltanto dopo la vittoria dei bolscevichi le idee del socialismo e del comunismo si sono effettivamente trasformati, da prospettive lontane e indeterminate, in un possente movimento storico reale in una forza materiale destinata a segnare una svolta nella svolta nella storia del mondo e a mutarne per sempre natura e struttura.

Non a caso, la rivoluzione d’ottobre ha rappresentato un avvenimento di enorme importanza non solo nella storia del movimento operaio e rivoluzionario dell’Europa occidentale e orientale ma anche in quella della lotta di liberazione sociale e nazionale dei popoli oppressi contro il colonialismo e l’imperialismo che ha così radicalmente trasformato la struttura del mondo nel corso del secolo scorso e segnato di fatto alcune premesse fondamentale dell’odierna fase storica.

In una più ampia, meno “eurocentrica” prospettiva storico-temporale, possiamo, in tal senso, dire che è proprio tale dimensione mondiale e non soltanto europea a fare di essa l’inizio di una nuova epoca non solo nella storia del Novecento ma in quella di tutta l’umanità e a conferire ad essa una portata e un significato storico-universali. Non a caso la rivoluzione d’Ottobre avviene nel contesto della prima guerra mondiale, ovvero nel quadro di una delle crisi storiche più gravi e catastrofiche del capitalismo monopolistico nel periodo della sua piena espansione imperialista. Una crisi di tipo strutturale e generale, non più soltanto breve o puramente ciclica che rivelava insieme al carattere inconciliabile e antagonistico delle contraddizioni interne del sistema capitalistico mondiale e di quella di classe fondamentale tra borghesia e proletariato anche la natura barbara e disumana del capitalismo e dell’imperialismo, mai apparsa in tutta la sua tragica evidenza come nell’orrenda carneficina della prima guerra mondiale. L’analisi leniniana della nuova fase economica e politica dello sviluppo capitalistico, segnata dal dominio del grande capitale monopolistico e finanziario e dal suo carattere sempre più internazionale, aveva individuato insieme ai caratteri fondamentali dei nuovi potenti processi di integrazione e unificazione economica mondiali un nuovo ma anche più complesso e perfino eterogeno quadro di contraddizioni non soltanto economiche ma sociali e politiche, destinate ad esplodere non solo negli anelli più forti della catena imperialista, ovvero nei paesi capitalistici più progrediti, nelle più avanzate e consolidate democrazie borghesi, ma anche negli anelli più deboli, caratterizzati da un meno avanzato sviluppo capitalistico e da una conseguentemente minore capacità di dominio ed egemonia politica della borghesia. Se negli anelli forti, l’intreccio ormai strettissimo tra stato capitalistico e grande capitale finanziario in un meccanismo economico e politico di fatto unico rendeva sempre più pervasivo e opprimente ma anche sempre più parassitario il dominio capitalistico, creando nello stesso tempo le basi materiali per la conquista dello stato da parte della classe operaia e la sua messa al servizio del popolo attraverso l’instaurazione del socialismo, negli anelli deboli come la Russia, il dominio di una borghesia imperialista insieme debole e reazionaria, di fatto alleata alle vecchie classi feudali e subalterna ai settori più aggressivi e parassitari del grande capitale finanziario occidentale bloccava la possibilità di uno sviluppo democratico e nazionale, rendendo insopportabili non solo le condizioni di vita e di lavoro del proletariato industriale ma anche quelle di immense masse contadine, sottoposte simultaneamente sotto il giogo feudale dei grandi latifondisti e sotto quello del grande capitale. Ma alle contraddizioni interne ai paesi forti e deboli della catena imperialista si intrecciavano strettamente e indissolubilmente quelle tra le classi dominanti di questi paesi e i popoli coloniali e semicoloniali, economicamente e politicamente dipendenti da un pugno di potenze imperialiste. dei loro mercati e al saccheggio e alla rapina delle loro risorse. Nelle immense aree dei continenti extraeuropei conquistate e dominate dell’imperialismo occidentale la questione nazionale come questione coloniale si impone come un aspetto e un momento centrale della stessa lotta rivoluzionaria del proletariato nelle metropoli dell’imperialismo. Il leninismo è uno straordinario sviluppo teorico e pratico del marxismo proprio perché ha saputo individuare in un’analisi che intreccia dialetticamente l’economia con la politica, la dimensione nazionale e quella internazionale della lotta di classe, il nesso tra la questione dell’attualità della rivoluzione socialista e proletaria in Occidente con quella della maturità delle rivoluzioni democratiche e nazionali dei popoli coloniali e semi-coloniali in Oriente. L’esplodere proprio nella Russia zarista, in un paese capitalisticamente arretrato ma divenuto una immensa riserva dell’imperialismo occidentale assolutamente vitale per la sua espansione e dominio mondiali, di questo complesso groviglio di contraddizioni economiche e politiche, confermò in pieno la giustezza e la validità dell’analisi di Lenin. Data l’impossibilità di una rivoluzione democratica guidata dalla borghesia, la vittoria della rivoluzione proletaria si impone in Russia come l’unica condizione possibile sia per affrontare e risolvere la gigantesca questione contadina, sia per liberare i popoli e le nazionalità oppresse dal dominio dell’imperialismo zarista, grande-russo, nella prospettiva di una trasformazione in senso democratico e socialista della economia e della società russe. Opponendosi in modo conseguente all’ulteriore partecipazione della Russia alla guerra imperialista e coniugando strettamente la lotta per la pace a quella per la concessione della terra ai contadini poveri, i bolscevichi seppero conquistare anche le immense masse rurali alla causa della rivoluzione e del socialismo. Tale creativa applicazione della teoria dell’egemonia della classe operaia conferì così al potere dei Soviet durante la rivoluzione e ancora nei primi anni della dittatura proletaria sorta da essa un’ampia e solida di massa e una concreta forma nazionale. Ma i modi e le prospettive della costruzione del socialismo e lo stesso consolidamento della dittatura proletaria sulla base del blocco operaio-contadino in un paese economicamente e socialmente arretrato come la Russia non potevano non dipendere strettamente anche dall’evoluzione del processo rivoluzionario a scala mondiale innescato dalla rivoluzione d’Ottobre sia nell’Occidente capitalistico che nell’Oriente asiatico. Un processo che con la sconfitta della rivoluzione in Occidente già nei primissimi anni ’20 e poi con l’insorgere di una tremenda reazione capitalistica nel decennio successivo, pur non arrestandosi mai del tutto, si sarebbe tuttavia svolto secondo tempi e ritmi molto diversi, più lenti e contrastati di quelli previsti da Lenin e dai bolscevichi al momento dell’assalto al potere nel 1917. Posta in una drammatica condizione di “fortezza assediata” periodicamente minacciata dalle politiche aggressive e di guerra dell’imperialismo occidentale i comunisti sovietici dovettero mettere al centro dei loro obiettivi quello della costruzione delle basi tecniche e materiali del socialismo, come condizione non solo della transizione ad un modo di produzione non più fondato sulla sfruttamento del lavoro salariato e sulla divisione gerarchica del lavoro sociale, ma della stessa esistenza dello stato sovietico in quanto tale. Tuttavia, tale esistenza rappresentò lungo questa fase, destinata a concludersi solo con la partecipazione alla seconda guerra mondiale sia la principale contraddizione del mondo capitalistico, sia una fondamentale spinta propulsiva del processo rivoluzionario a scala mondiale. Subito dopo la fine della guerra civile, e in una situazione internazionale segnata da una “stabilizzazione relativa” del capitalismo, la svolta della NEP poneva fine al “comunismo di guerra” correggendo e superando gli errori anche teorici commessi dai bolscevichi nel periodo precedente. Ma al centro della svolta era pur sempre la questione della salvezza dello stato sovietico. Si trattava, nell’ottica di Lenin, di approfittare della “tregua” concessa dall’imperialismo occidente, avviando un più lento e graduale processo di transizione al socialismo capace di sviluppare le forze produttive e di consolidare così l’egemonia del proletariato sulle masse contadine. La sconfitta della rivoluzione in Occidente aveva impedito al potere rivoluzionario in Russia di dimostrare le potenzialità di sviluppo produttivo del socialismo, costringendo i bolscevichi ad una “ritirata”. Con una straordinaria lucidità, Lenin coglie tutta l’importanza dei sommovimenti rivoluzionari già in atto nell’Oriente asiatico, puntando su di essi come principale riserva della rivoluzione mondiale, ma sottolineando nello stesso tempo come per la Cina, per l’India e per tutti gli altri stati arretrati dell’Asia, lo sviluppo delle forze produttive, l’elevamento sul piano economico del loro grado di civiltà sia, non meno che per la Russia, una condizione fondamentale per un lotta vittoriosa contro le potenze imperialiste occidentali. In questo senso, la NEP contiene in sé una indicazione fondamentale sull’importanza cruciale del terreno economico, della lotta per lo sviluppo delle forze produttive, nella lotta di classe internazionale contro il capitalismo e contro l’imperialismo. Un’indicazione di cui i comunisti cinesi hanno saputo cogliere tutta l’importanza, soprattutto a partire dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso, con l’inizio della cosiddetta politica di “apertura e riforme”. “Quello che ci interessa- scrive Lenin in Meglio meno ma meglio, nel marzo del 1923- non è l’ineluttabilità della vittoria finale del socialismo. Ci interessa la tattica alla quale dobbiamo attenerci noi, partito comunista russo, noi, potere sovietico della Russia, per impedire agli Stati controrivoluzionari dell’Europa occidentale di schiacciarci. Affinchè ci si possibile resistere sino al prossimo conflitto armato con l’Occidente controrivoluzionario imperialistico e l’Oriente rivoluzionario e nazionalista, tra gli Stati più civili del mondo e gli Stati arretrati come quelli dell’Oriente, che peraltro costituiscono la maggioranza, è necessario che questa maggioranza faccia in tempo a diventare civile. Anche noi non abbiamo un grado sufficiente di civiltà per passare direttamente al socialismo, pur essendoci da noi le premesse politiche.” Appare evidente la riflessione di Lenin che sta alla base della svolta della NEP. In Russia a differenza che negli altri paesi dell’Oriente asiatico, vi sono le condizioni politiche ma non ancora quelle economiche per raggiungere un grado di civiltà più elevato, necessario per la stessa transizione al socialismo.

Nelle condizioni politiche della Russia sovietica, lo sviluppo delle forze produttive richiedeva un nuovo equilibrio, basato non solo sulle indicazioni del piano ma anche su relazioni di scambio di tipo mercantile, tra il settore dell’industria di stato socialista e la piccola e piccolissima proprietà contadina che ancora caratterizzava l’agricoltura sovietica limitandone le possibilità di sviluppo in senso socialista, ovvero un nuovo rapporto tra il commercio privato e il controllo da parte dello stato proletario, quindi tra gli elementi di socialismo e gli elementi di capitalismo la cui coesistenza, insieme conflittuale e competitiva avrebbe segnato, nella visione di Lenin, ancora per un lungo periodo la prima fase della costruzione delle basi materiali del socialismo. Si delinea così l’idea di un capitalismo di stato di nuovo tipo, profondamente diverso dalle forme di regolazione statale dell’economia tipiche dei regimi borghesi, in quanto fondato sulla dittatura proletaria e quindi sul monopolio politico del potere da parte del partito comunista, come tappa primaria nel processo di transizione al socialismo. Ma il carattere di lunga durata di tale processo implicava anche una più complessa e dialettica articolazione tra la direzione generale del sistema economico e sociale da parte degli organi centrali del partito e dello Stato da un lato e dall’altro l’autonomia delle forme di gestione e di controllo sia sindacali che politiche della classe operaia. Non a caso il tema della lotta contro l’arretratezza della Russia si lega strettamente a quello della lotta contro i pericoli della burocratizzazione dello stato sovietico. Un tema centrale nella riflessione dell’ultimo Lenin: “ci dobbiamo sforzare di costruire uno Stato in cui gli operai mantengano la loro direzione sui contadini, godano della fiducia dei contadini e con la più grande economia eliminino dai rapporti sociali ogni traccia di sperpero. Dobbiamo ridurre il nostro apparato statale in modo da fare la massima economia. Dobbiamo eliminare ogni traccia di quello che la Russia zarista e il suo apparato burocratico e capitalistico ha lasciato in così larga misura in eredità al nostro apparato”.

Ma il mutare del quadro internazionale nel periodo successivo alla scomparsa di Lenin, segnato non solo dalla fine della “stabilizzazione relativa” del capitalismo ma anche dall’acutizzazione della sua crisi generale e conseguentemente dello stesso contrasto tra l’Urss e il campo imperialista nel suo complesso avrebbero presto imposto un drastico mutamento di indirizzo nella politica economica sovietica e quindi nella stessa concezione delle forme e dei tempi della transizione al socialismo. Si direbbe che l’evoluzione della crisi generale del capitalismo concesse meno tempo di quello su cui Lenin aveva puntato, al tempo del varo della Nuova politica Economica, al processo di sviluppo e di modernizzazione economica e civile costringendolo, per così dire, ad una improvvisa accelerazione Di qui il sostanziale abbandono dell’esperimento della NEP. Gli innegabili successi dell’industrializzazione accelerata e di una pure difficile collettivizzazione a tappe forzate dell’agricoltura avrebbero costituito la base tecnico-materiale per la successiva trasformazione dello stato proletario uscito dalla Rivoluzione d’ottobre, in una potenza mondiale. Fu quindi soprattutto la necessità di preparare rapidamente, sul piano della sua potenza industriale e quindi militare, il paese alla guerra imminente, ad imporre al partito sovietico l’adozione di un modello di organizzazione socialista dell’economia e della società basata su un’ampia statalizzazione dei mezzi di produzione e su una rigida pianificazione centralizzata di tipo autoritario, e tuttavia sorretta da una straordinaria capacità di mobilitazione di massa e di organizzazione non solo dei quadri dirigenti del partito e dello stato a tutti i livelli, ma dell’intera società sovietica, dagli operai ai contadini, dai tecnici agli intellettuali. Gli anni ’30 furono in questo senso tra i periodi della storia sovietica in cui si dispiegò maggiormente la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre, nonostante la terribile asprezza della lotta politica, ora occulta ora palese, tra la direzione staliniana e le opposizioni all’interno del partito, destinata a sfociare nella tragedia del “Grande Terrore” e dei processi di Mosca. Come ebbe a riconoscere lo stesso Trotski nel suo saggio sulla Rivoluzione tradita, gli immensi risultati della crescita industriale e agricola dell’Urss in ritmi e tempi senza precedenti nella storia umana insieme all’elevamento del livello di vita e di bisogni, alla rapidità dell’aumento del numero degli operai sia nelle vecchie ma enormemente accresciute città industriali che in quelle nuove potevano essere ottenuti nel volgere di due decenni in un paese arretrato come la Russia soltanto da una rivoluzione proletaria. In questo senso anche per Trotskij tali gigantesche realizzazioni del socialismo sovietico dovevano essere considerati “come dei risultati incontestabili della Rivoluzione d’Ottobre”. La Costituzione del ’36 riflettè il nuovo, più avanzato livello di unificazione sociale e politica della società sovietica che proprio questi risultati resero possibile. Essa rappresentò un primo, importante tentativo di definire almeno sul piano del diritto, una forma democratica della dittatura proletaria. Oggi possiamo dire che fu principalmente la creazione in tempi così brevi di una società socialista sulla base di un sistema economico pianificato, realizzata proprio mentre il sistema capitalistico mondiale conosceva la più catastrofica crisi di sovrapproduzione della sua storia e precipitava fatalmente verso un nuovo conflitto mondiale, a consentire all’Urss di sconfiggere la gigantesca macchina bellica della Germania nazista nella “Grande Guerra patriottica”. Sarebbe tuttavia sbagliato non valutare correttamente anche nella loro dinamica oggettiva i problemi e le contraddizioni che scandirono nel corso degli anni ’20 e ’30 il pur grandioso processo di costruzione del socialismo in Urss, limitandone, soprattutto sul terreno sociale e politico, le sue ulteriori potenzialità di avanzamento e sviluppo. La statalizzazione dei mezzi di produzione avvenne in forme e modi tali da rendere sempre più difficile, nel lungo periodo, il passaggio ad una effettiva socializzazione della produzione, sulla base di una diffusione di quell’autogoverno dei produttori associati nel quale, secondo la concezione di Marx, di Engels e di Lenin, consistono il socialismo come processo di transizione al comunismo. La trasformazione del potere sovietico in uno “stato di tutto il popolo”, formalizzata nella Costituzione del ’36, che pure fu un momento fondamentale nel processo di ridefinizione e insieme di consolidamento dell’alleanza tra classe operaia e contadini, il blocco sociale originario della rivoluzione d’ottobre e della dittatura proletaria sorta da essa, si realizzò attraverso una crescita e un rafforzamento degli apparati del partito e dello stato ma determinò anche una loro separazione burocratica dalla società sovietica. La stessa direzione politica del partito bolscevico, ormai trasformatosi in un partito sia di massa che di governo, vero nucleo dirigente e cuore pulsante dello stato e della società sovietici, fu spesso improntata ad una concezione puramente volontaristica e giacobina del ruolo dei quadri tecnici e politici e insieme ad un rigido centralismo di tipo puramente amministrativo.

Dopo la grandiosa vittoria del ’45, è la fine dell’isolamento dell’Urss e la sua trasformazione nel perno, nello stato-guida del sistema mondiale del socialismo che si costituisce con la nascita delle democrazie popolari nell’Est europeo e quindi con la vittoria dei comunisti in Cina e la fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949. E’ l’ulteriore, più evidente conferma del carattere di rottura storico-epocale della Rivoluzione d’ottobre e della sua dimensione mondiale e non solo europea. Come Lenin aveva previsto già agli inizi del Novecento nella sua analisi dell’imperialismo, i movimenti di liberazione nazionale dei popoli coloniali e dipendenti si imponevano accanto alla classe operaia dei paesi imperialisti come una forza motrice non meno importante e decisiva, non solo nella lotta per la pace e contro l’imperialismo ma anche nello stesso sviluppo della rivoluzione mondiale. In realtà, la lotta per la pace acquista adesso una diversa natura: essa non è più soltanto come negli anni ’30 un obiettivo funzionale alla difesa dell’Urss ma uno dei principali terreni di lotta dell’intero schieramento delle forze rivoluzionarie e anti-imperialiste a scala mondiale, la forma principale assunta dalla lotta di classe internazionale. Ma la generale avanzata di questo schieramento avviene tuttavia nel contesto di un aspro e difficile confronto, in una vera e propria guerra d’assedio col campo imperialista, non più perennemente diviso e lacerato dalle sue contraddizioni interne, come nella prima metà del secolo, ma reso più forte e agguerrito dalla sua parziale unificazione sul piano politico, ideologico e militare, intorno al disegno di egemonia e dominio mondiali degli USA.

Possiamo in questo senso dire che nel corso della guerra fredda, come già di fronte alla prospettiva di una vittoria della barbarie nazista, l’Urss ha salvato l’umanità e il suo stesso destino dall’incubo di una guerra atomica. La preoccupazione di rinsaldare l’unità del campo antimperialista e in particolare di quel suo settore rappresentato dal blocco orientale è stato uno dei perni della politica internazionale dell’Urss soprattutto nel suo rapporto coi paesi socialisti. Ma proprio in conseguenza della sua espansione il campo socialista avrebbe di fatto acquisito aveva di fatto acquisito un carattere sempre più differenziato e policentrico, quindi sempre meno suscettibile di una unificazione attorno un unico partito e stato-guida. La tragica rottura all’inizio degli anni ’60 tra l’Urss e la Cina sarà la prima manifestazione della crisi del campo socialista, del movimento comunista internazionale e della necessità obiettiva di porre su basi politiche e organizzative radicalmente diverse la sua stessa fisionomia e unità, a partire da una più articolato rapporto tra l’autonomia nazionale dei xsingoli paesi socialisti e dei diversi partiti comunisti e la prospettiva internazionalista della lotta per il socialismo nel mondo.

Nella contrapposizione all’imperialismo americano e alla terribile minaccia alla pace nel mondo che esso ha rappresentato per buona parte del secolo scorso, l’Urss ha messo in campo tutte le sue energie e le sue risorse sia sul terreno della competizione economica con l’Occidente imperialista in un quadro di “coesistenza pacifica” sia su quello destinato alla lunga a rivelarsi sempre più difficile e perfino rovinoso sul piano economico, della contrapposizione politico-militare e della corsa agli armamenti. E’ in questo contesto internazionale che occorre inquadrare anche la continuazione del processo di ulteriore sviluppo del socialismo in Urss come negli altri paesi da essa egemonizzati dell’Europa orientale, i momenti di progresso e avanzamento economico e sociali da esso attraversati ancora nel corso degli anni ’50 e ‘60 ma anche quelli di difficoltà e poi di arresto e di crisi lungo i due cruciali decenni successivi.

E’ infatti soprattutto negli ’70 e ’80 che una gestione sempre più burocratica e inefficiente del sistema della pianificazione centralizzata in Urss come che negli altri paesi socialisti rivela le sue maggiori difficoltò sia sotto il profilo della produttività del lavoro che su quello della qualità dei prodotti e quindi dei consumi. Proprio mentre il capitalismo e l’imperialismo occidentali avviavano un processo di profonda ristrutturazione dei loro sistemi economici e produttivi, nel segno di una nuova “rivoluzione scientifica e tecnologica” realizzando nello stesso tempo sul terreno sociale e politico una violenta controffensiva di classe destinata a riportare indietro di decenni i rapporti di forza tra il capitale e il lavoro, i gruppi dirigenti del partito e dello stato sovietici non riuscirono ad avviare un processo di innovazione e di riforme in senso socialista del sistema sovietico in grado di rilanciare anche sul cruciale terreno della competizione economica con il mondo capitalistico il socialismo in Urss. La sfida della globalizzazione neo-liberista lanciata all’Urss e al campo socialista dall’Occidente capitalistico con le politiche di Reagan e della Thachter insieme all’emergere, con la segreteria di Gorbacev, ai vertici del partito comunista di orientamenti sostanzialmente antisocialisti e antisovietici avrebbero finito per creare le condizioni del crollo dell’Urss. In particolare la scelta di Gorbacev di “riformare” lo stato e il sistema politico sovietico cancellando la funzione dirigente del partito comunista avrebbe presto rivelato la sua natura antisovietica e controrivoluzionaria, conducendo il paese alla disgregazione economica e alla sua trasformazione in una colonia dell’Occidente imperialista.

Ma neanche la tragedia della fine dell’Urss, ha posto fine alla spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre. La vittoria dell’imperialismo USA nella guerra fredda non ne ha arrestato il processo di declino e l’ascesa della Cina popolare nell’arena mondiale ha segnato un’altra tappa fondamentale di quel risveglio dell’Asia in cui come abbiamo visto Lenin seppe vedere agli inizi del secolo scorso uno dei fattori principali del processo di avanzata del socialismo a scala mondiale innescato dalla Rivoluzione d’ottobre. L’impetuoso sviluppo delle forze produttive avviato in Cina con la politica di riforme e apertura dei comunisti cinesi a partire dalla metà degli anni ’80 del Novecento, sulla base di un nuovo rapporto tra stato e mercato, in grado di coniugare il permanente controllo statale dei settori economici strategici e lo sviluppo di un’economia di mercato di tipo non capitalista, dimostra non solo le enormi potenzialità di sviluppo del socialismo ma anche la concreta possibilità di una unificazione economica e sociale del mondo diversa e alternativa alle forme di globalizzazione imposte dal grande capitale finanziario monopolistico nazionale e internazionale. Il tema già al centro della riflessione dell’ultimo Lenin dello sviluppo delle forze produttive come premessa di una transizione di lunga durata al socialismo è stato ripreso e insieme sviluppato in modo originale e creativo dal Partito Comunista Cinese. Quest’ultimo ha saputo, a differenza dei gruppi dirigenti del PCUS nell’ultimo periodo della sua esistenza, avviare un processo di radicale riforma del sistema economico fino alla metà degli anni ’80 fondato soltanto sul modello della pianificazione, mantenendo ben fermo con la direzione politica da parte del partito comunista dello stato e della società cinesi, il loro carattere socialista. Non è chi non veda la portata storico-epocale dello sviluppo cinese e le nuove prospettive che esso apre anche per una ripresa dell’intero movimento comunista internazionale. E’ di fatto un nuovo campo anti-imperialista quello che si delinea attorno all’emergere della potenza economica cinese e alla sua ascesa pacifica. Lo stesso sviluppo interno di una economia socialista di mercato in Cina si lega organicamente alle dinamiche della competizione economica internazionale diventata nell’epoca della globalizzazione ancor più di quanto non lo sia stata in quella della guerra fredda per l’Urss e i paesi del campo socialista, un terreno fondamentale della stessa lotta di classe internazionale. L’idea al centro del pensiero di Xi Jinping di una “nuova comunità umana con un futuro condiviso” è di fatto la ripresa e lo sviluppo di quella prospettiva universalista di una nuova unità del mondo e del genere umano già delineata nel pensiero del giovane Marx e nella sua prima concettualizzazione del comunismo, ma che è diventata realtà attuale del mondo contemporaneo solo con la rottura rivoluzionaria dell’Ottobre sovietico. Lo sviluppo del socialismo con caratteristiche cinesi e l’ascesa pacifica della Cina nel contesto della cosiddetta “globalizzazione”, sono in questo sen da considerarsi la continuazione, sia pure in forme nuove e perfino inedite, del processo di unificazione mondiale iniziato con la vittoria dei bolscevichi nel 1917 e insieme come l’ennesima conferma della idea che ispirò la loro scelta della rivoluzione e la loro rottura storica con l’imbelle gradualismo della socialdemocrazia occidentale, quella secondo cui la conquista del potere politico da parte delle classe operaie e delle masse popolari unificate e dirette dalla loro avanguardia, il partito comunista, nell’epoca dell’imperialismo è la principale condizione per avanzare sulla lunga e tormentata strada del progresso economico e sociale e del socialismo, sia sul terreno nazionale che internazionale.

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Pantaléone
Wednesday, 17 November 2021 21:32 Like Like Reply | Reply with quote | Quote
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Jean Paul Sartre
Wednesday, 17 November 2021 19:18
Mah... quali sono il metro e il metodo del confronto? E' chiaro che se le parole socialismo e comunismo diventano dei significanti vuoti da riempire a piacimento (e si nega anche la realtà dei rapporti di produzione vigenti, oltre che dichiaratamente perseguiti), si può sostenere qualsiasi cosa. Anche che la Cina è socialista e i suoi dirigenti comunisti. Anche che D.Trump, Matteo Renzi o Bolsonaro sono comunisti. E che io sono Jean Paul Sartre.
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Fabio Rontini
Monday, 15 November 2021 18:41
Rispondo a Vittorio e con questo cerco di chiarire la mia posizione sul socialismo, cinese e non solo. Lo faccio qui perchè a forza di risponderci le colonne stavano diventando talmente strette che quasi non ci si legge.

Non ho affatto detto che "lo stato sarebbe una caratteristica comunista e la società civile sarebbe una caratteristica capitalista"

Ho detto che la conquista dello stato da parte del proletariato è la condizione sine qua non per poter definire che un certo paese è uscito dal capitalismo ed è entrato nel socialismo, inteso come formazione sociale complessiva in transizione verso (ma ancora lontana) dal comunismo.

Faccio propria la molto utile distinzione previana tra "modo di produzione capitalistico" e "capitalismo". Il Modo di produzione capitalistico è contraddistinto dall'estrazione di plusvalore dal lavoro umano, perciò dallo sfruttamento e quindi dalla polarizzazione della popolazione tra Borghesia (sfruttatori) e Proletariato (sfruttati). Il Capitalismo è, invece, una formazione sociale completamente egemonizzata, ovvero dominata, dalla Borghesia. Si tratta di due concetti molto diversi che si tendono a confondere tra loro. Il Modo di produzione capitalistico finisce solo con con il Modo di produzione comunistico, che però si può realizzare solo gradualmente e riguarda tutta l'umanità (da qui l'internazionalismo proletario e la prospettiva dell'estinzione dello/degli stato/i). Il Capitalismo finisce invece con l'entrata di una certa nazione nel Socialismo, quando il Proletariato, attraverso una rivoluzione (che può assumere varie forme ma è pur sempre un mutamento repentino dell'ordine costituzionale), conquista il potere dello stato, e diventa perciò la classe politicamente egemone.

Tuttavia nel socialismo, in quanto formazione sociale di transizione, Proletariato e Borghesia non scompaiono, e ciò vuol dire che non scompare lo sfruttamento a livello economico. Il Proletariato rimane classe sottomessa a livello economico ma diventa dominante a livello politico. Questo concetto, che è chiarissimo in Lenin, e che fa da base teorica per la sua NEP, si è poi confuso (revisionismo), nel marxismo occidentale, a causa di diversi fattori.

Innanzitutto nel primo Marx politico, quello del Manifesto, scritto a ridosso dei moti del 1848, quando si poteva realisticamente sperare in una rivoluzione che si propagava simultaneamente in tutti i paesi (europei), il periodo di transizione del Socialismo veniva ipotizzato come molto breve; presa del potere da parte del Proletariato e riforme economiche potevano avvenire simultaneamente. Solo in un momento successivo, nel suo commento alla Comune di Parigi, Marx si cimenta con il problema di un paese, o città, in cui il proletariato conquista il potere ma rimane isolato, circondato da paesi capitalisti; e conclude, difatti, che il proletariato dove aspettare ad attuare le riforme economiche più avanzate, e concentrarsi in modo prevalente, se non esclusivo, ad organizzare la propria difesa dall'ostilità dei paesi circostanti.
Secondariamente l'esperienza sovietica della NEP (economia di mercato in un paese socialista) venne bruscamente interrotta da Stalin, con la collettivizzazione forzata di tutte le terre e di tutte le industrie; ma questo solo perchè era necessario attuare uno sviluppo a tappe forzate in previsione della guerra. Dopo la fine della guerra la NEP non venne più ripresa, e questo era uno dei fattori che, come ipotizzavo nel primo mio intervento, potrebbero aver bloccato lo sviluppo dell'URSS decretandone la decadenza.
In terzo luogo, nei paesi capitalisti occidentali, nel dopoguerra, sono state attuate delle politiche di forte redistribuzione del reddito, e di estensione universale dello stato sociale (le famose politiche keynesiane), che hanno portato alcuni partiti comunisti (tra cui quello italiano) a credere che si potesse arrivare al comunismo senza la presa rivoluzionaria del potere dello stato.

Si è visto poi che si trattava di un abbaglio/inganno, ma è rimasta forte, nei comunisti occidentali, la convinzione che un paese sia socialista se in esso la società civile si trova a metà strada tra lo sfruttamento barbaro del modo di produzione capitalistico e l'assenza di sfruttamento del modo di produzione comunistico. Non è così: nella diade Capitalismo/Socialismo è in questione CHI decide la politica non CHE COSA viene deciso, e l'obiettivo principale del paese è resistere all'aggressione ed, infine, sconfiggere o disarmare, l'aggressione costante dell'imperialismo (e su questo fronte mi sembra che i Cinesi se la stiano cavando piuttosto bene, meglio dei Russi). Qualsiasi provvedimento, che pur migliorando le condizioni di vita del popolo, rischia di indebolire o di far soccombere il paese nella lotta contro il nemico, va posticipata a quando sarà possibile attuarlo senza danno.

Per questo, anche se, ad esempio, le condizioni di vita del popolo, la protezione sociale, e la redistribuzione della ricchezza, dell'Italia degli anni '70 (ma anche, ancora per un pò, di oggi) sono superiori a quelli attuali della Cina, purtuttavia, l'Italia non è mai stata, né allora né ora, un paese socialista, e la Cina invece sì. Senza contare poi, che, nonostante tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare, come paese socialista, la Cina detiene, rispetto ad esempio all'India, che è un paese comparabile sia come popolazione che come data di liberazione dal colonialismo, un indice di sviluppo umano complessivo e di ricchezza pro-capite notevolmente superiore.
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AlsOb
Monday, 15 November 2021 18:00
Le domande un poco sconclusionate e incongruenti, nonostante il carattere distrattivo, possono risultare efficamente rivelative e istruttive nell'esplicitare situazioni confusionarie.
Marx fa un elogio tout court del capitalismo e ne da la più completa rappresentazione in termini monetari e creditizi, senza manifestare una diretta esigenza di voler insegnare ai capitalisti le migliori tecniche di gestione del capitalismo stesso, anche se riconosce che un teorico borghese minimamente astuto può imparare (da lui) e comprendere utilmente come funzioni il capitalismo e le sue contraddizioni.
Critica apertamente e scientificamente l'economia volgare, sia per essere una costruzione sovrastrutturale apologetica priva di valore conoscitivo e sia per contribuire a causare crisi e renderle incomprensibili, quando applicata nella realtà al di fuori del circoscritto ambito ideologico propagandistico.
Al contrario, invece, Hilferding, per esempio, partendo dal Capitale e dalla comprensione del momento centrale della accumulazione e del ruolo del credito, delinea una rappresentazione del capitalismo funzionale allo sviluppo di un sistema economico più arretrato, che non può permetteri il lusso di affidarsi a anarchie e fantasie liberistiche volgari.
Non sono tutti uguali e non producono.identici sbocchi differenti metodi politici e tecnici di gestione del capitalismo, alcuni più rapidamente portano a una sua stagnazione e crisi irreversibile, altri lo tengono meglio in vita e garantiscono accumulazione più robusta e estesa.

Il capitalismo della completa autonomia del capitale fittizio e della moneta fittizia a cui si è giunti, costitusce la realizzazions compiuta e moderna della sua traiettoria, secondo l'intuizione di Marx, per la quale il capitale nella società borghese capitalistica si rende sempre più indipendente e individuo autonomo, mentre i soggetti reali in carne e ossa, racchiusi nel mondo fantasmagorico del feticismo della merce, sono sempre più dipendenti e meno dotati di individualismo, di autonomia individuale.
Il problema di Marx, se si vuole, non è tanto dello scienziato del capitale, ma del Marx teologo, teologo non inferiore a Hegel come si era formato prima di diventare il maggiore studioso del capitalismo. Infatti spiega perfettamente come nella società borghese avanzata sia comparsa una nuova tipologia di crisi, per la quale gli stock di merci sono visibili e apparentemente afferrabili, ma assolutamente irraggiungibili dalla maggioranza della popolazione in miseria. Perciò, siccome la società borghese si mostra inadeguata a usufruire integralmente della ricchezza in grado di produrre, essa preferisce annientarla e distruggere una porzione delle forze produttive, per poi far ripartire un ciclo accumulativo a più intenso tasso di sfruttamento dei lavoratori, nella prospettiva però di generare ricorsive maggiori crisi. È evidente che Marx propone o si affida a una teologia e cristologia della incarnazione e resurrezione ottimistiche, nell'ottica o convinzione che lo spirito non può soccombere davanti alle configurazioni più perverse e degeneranti.

Per quanto riguarda gli approssimativi riferimenti alla Cina la notte è anche più profonda. Credito e finanza sono parte costitutiva del capitalismo, ma non è che se un paese ricicla il suo surplus in dollari (perché obbligato dall'imperialismo del dollaro [che per inciso è il problema vero dell'Africa e dei paesi in via di sviluppo, se non del mondo intero, e non il colonialismo cinese!] definisca automaticamente un regime finanziario e neoliberale. Di fatto se vi è una più accentuata finanziarizzazione della Cina, secondo le coordinate imposte dall'imperialismo del dollaro e dalla Germania, essa è avvenuta negli ultimi sette, otto anni, durante i quali la Cina è diventata il terzo mercato mondiale di repo.
Meno ancora le zone ecomiche speciali create qualificano la Cina come neoliberale, esse sono rientrate nel progetto di ampliare investimenti e settori e comportamenti privatistici per incentivare lo sviluppo delle forze produttive. Ma contro ogni pressione da consenso di Washington e neoliberale (che significherebbe adottare fideisticamente e ciecamente a livello di banca centrale e di politica monetaria, di ruolo dello stato [nullo o minimale a garantire solo i capitalisti] e di politica fiscale le prescrizioni più idiote, antiscientifiche e anticapitaliste dell'economia volgare) la Cina ha rigorosamente mantenuto l'impronta di economia pianificata con al centro il ruolo dello stato e delle imprese pubbliche, ruolo che negli ultimi anni il partito comunista, dopo qualche sbandamento e sottomissione alle sirene dell'economia volgare, ha percepito come prerogativa essenziale, soprattutto dinnanzi al precipitare dell'occidente nel capitalismo dell'autonomizzazione del capitale fittizio e della moneta fittizia, gradativamente sempre più oligarchico e fascista e imperialisticamente aggressivo e guerrafondaio.
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Pantaléone
Tuesday, 16 November 2021 14:58
Ai salvatori del capitale eterno.

Il capitale finanziario non è una dinamica autonoma che si innesta sulla produzione in modo singolare.

Con la prima guerra mondiale, a seguito della gigantesca saturazione dei mercati, il capitale fa un salto di qualità; un vero e proprio dominio.
Dal 1914 in poi, il tasso di profitto scende vertiginosamente, in modo quasi andemico.

Il che richiede masse di profitti compensativi, sempre più cronici.
K Marx libro III libro IV, sull'anticipazione del plusvalore.

Il capitale crea valore e plusvalore per uno scopo specifico: la vendita!
Il capitale non mette questo plusvalore in una banca o sotto un acero in Canada.
Il capitalismo è una sostanza viva e dinamica, che deve riprodursi in modo vivo per una riproduzione estesa, dalla vendita.

Il plusvalore prodotto che si incarna nelle merci deve essere venduto.
Ma più il dominio reale del capitale accelera, più il tasso di profitto scende, più la massa di profitto che pone problemi, pone problemi di saturazione, sempre più massicci.

Il credito, che in origine era una leva per accompagnare la crescita industriale nel dominio formale, nel suo sviluppo reale e compiuto, assume una forma allegorica, chimerica; il credito diventa un mago.

Diventa ANTICIPAZIONE FORZATA. (I mercati sono saturi, la vendita è anticipata).
Certamente la vendita è fatta, ma è fatta in forme formali, metaforiche e chimeriche.

Il capitale anticipa una vendita che non ha avuto luogo, come se avesse...
Nel dominio reale, dunque, si verifica un'inversione dialettica, il dinamismo industriale non è il fondamento del credito che lo accompagna nella sua dinamica.

Ma è il capitale finanziario che sovradetermina il capitale industriale.
La dialettica della composizione organica, la caduta del tasso di profitto, del plusvalore relativo.

Possiamo riassumere rapidamente, senza entrare troppo nei dettagli, che la finanza è la produzione metastatica del capitalismo in dominazione reale, quando l'anticamera del plusvalore rispetto alla saturazione dei mercati diventa una patologia forzata, consustanziale all'aumento della composizione organica e alla caduta del tasso di profitto.

E non allucinati dal fondo della loro proiezione impotente.

Tradotto con www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)
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Pantaléone
Tuesday, 16 November 2021 15:04
LA DEPRESSIONE È UNA DISPOSIZIONE GENERALE...

CI SONO DUE CATEGORIE DI ESSERI UMANI NELLA SOCIETÀ CAPITALISTA
-QUELLI CHE NON STANNO BENE (E SUPPONGONO QUESTO FATTO).
QUELLI CHE CREDONO DI STARE BENE (E NON PRESUMONO IL LORO MALESSERE).
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AlsOb
Sunday, 14 November 2021 21:13
È eclatante l'incapacità intellettuale e politica a partire da Khrushchov della classe dirigente sovietica, fino a scivolare in forme demenziali e autodistruttive, ma nessun appartenente alla classe politica si arricchí e perpetuò nel potere, a differenza di famiglie e boiardi in regimi neoliberali.
Gli oligarchi furono uno dei vari perversi fenomeni prodotti dalla perestroika e suoi suggeritori, non a caso sfociò nella demenzialità pura e massacro economico e sociale dello shock dei cento giorni.

Quanto alla Cina è tutto sommato legittimo criticarla o contestarla sulla base di un canone idealistico socialista che uno ha in testa, ma è solo patetico e antiscientifico affastellare confuse accuse sulla base del pregiudizio e sentimentalismo.
Sulle speculazioni del settore privato, dalla piccola borsa o bisca a certi istituti finanziari e società immobiliari si potrebbe scrivere un libro.
Ma è un fatto che il partito comunista cinese è sempre più intervenuto nel bloccare e regolamentare giganti tecnologici e finanziari, che hanno tentato di riprodurre un noto modello speculativo monopolistico americano, e la bolla immobiliare, con tutti i patemi, viene sgonfiata per cercare di ridurre i prezzi e sottrarre il settore delle costruzioni alla sola speculazione. Anche in una ottica di persecuzione di una maggiore equità come dichiarato programmaticamente dal presidente Xi Jinping
E è soprattutto un fatto invontrovertibile che la Cina è l'unico paese che non si è piegato a applicare il devastante modello neoliberale.
Il capitalismo del capitale fittizio e moneta fittizia trionfante in occidente per sua natura porta inesorabilmente i paesi occidentali verso regimi neofeudali fascisti, con i politici figure da operetta al servizio dei pochissimi potentati.
In Italia, nel suo piccolo, come disse Craxi i poteri irresponsabili organizzarono con la magistratura una sorta di colpo di stato e annichilirono due partiti popolari.
I partiti liquidi che sono sorti sono più qualificabili come servitori della classe superiore e attori teatrali.
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Majakovskij
Monday, 15 November 2021 01:39
Fammi capire. La China Securities Regulatory Commission (La Commissione di controllo e gestione del mercato finanziario cinese) quando controlla la borsa di Shanghai, non controlla quello che tu chiami "capitale finanziario" e "moneta fittizia"? Gli attuali 1,2 trilioni di dollari in obbligazioni statunitensi in mano cinese, non sarebbe "capitale finanziario" e "moneta fittizia"? in che senso, nelle zone economiche speciali cinesi, non ci sarebbe una pratica economica neoliberista? Ma soprattutto, en passant: in quale pagina marxiana si fa un elogio al capitale "reale" distinguendolo dal capitale "fittizio" o si fa un elogio del capitalismo dirigista distinguendolo dal cattivo capitalismo da lassaiz faire?.
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Mario Galati
Sunday, 14 November 2021 20:50
Ma che bravi questi compagni favolisti, quasi quanto l'Orwell de " La fattoria degli animali". E altrettanto reazionari.
Dopo la scoperta dell'acqua calda (in Cina ci sono capitalisti e rapporti capitalistici con ciò che comportano in termini di sfruttamento e di modelli di comportamento), si sbarazzano della broda noncuranti di altre cose che ci sono dentro (800 milioni di persone tratte fuori dalla povertà come fosse un'inezia; la vita media notevolmente aumentata; recupero dello scarto tecnologico con l'occidente capitalista, imperialista e colonialista; contributo alla decolonizzazione e realizzazione della Grande Convergenza e fine dell'era colombiana). Ma forse è proprio ciò che c'è nella broda che dispiace a tanto pseudomarxismo, puntello della propaganda capital-coloniale occidentale. È la tara colonialista, bellezza! Si accodano volentieri alla propaganda anticinese, come quella del colonialismo cinese in Africa (a proposito, su questo c'è un favolista che la racconta meglio. In questi giorni Berlusconi ha messo in guardia contro l'espansionismo della Cina, pronta a occupare l'Africa con trecento milioni di cinesi. Vedo già le file agli aeroporti per le partenze).
Riducono il marxismo all'economismo meccanicistico. Puntano l'occhio su molti particolari, trascurandone altri, e non vedono il quadro complessivo e il processo storico generale, con tutte le contraddizioni inevitabili.
Che l'esito del processo in atto in Cina non sia scontato, lo credo anch'io. Ma certo disfattismo ha la funzione di impedire un esito socialista. Di impedirlo in Cina e, conseguentemente, nel mondo. Ma da un secolo a questa parte è proprio questa la funzione di tanti "giornali e siti di sinistra e comunisti indipendenti di tutto il mondo", visto il loro atteggiamento dinanzi al concreto movimento comunista ed alle sue esperienze reali di potere: "diversamente comunisti", con il significato attribuito a questa espressione dal compagno Gianni Agnelli (bravo, compagno Agnelli, hai azzeccato l'autoanalisi).
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Vittorio
Sunday, 14 November 2021 23:46
Pare che Marx ed Engels, dopo averti letto, abbiano iniziato a dare delle testate al fondo della bara.
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Mario Galati
Monday, 15 November 2021 08:01
Pare che Marx ed Engels non avrebbero perso tempo a leggere me o te, ma avrebbero seguito il processo storico, le esperienze reali e fatto l'analisi concreta della situazione concreta. Non avrebbero neppure perso tempo a compiacersi per quanto hanno scritto loro stessi.
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Vittorio
Monday, 15 November 2021 15:43
Tombola! anche Lenin stai facendo rivoltare. Una strage. Sai almeno cosa vuol dire, leninianamente, "analisi concreta della situazione concreta" ?!
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Mario Galati
Tuesday, 16 November 2021 09:24
Lo sai solo tu. Ed è eloquente anche la chiarezza che hai dello stesso concetto di concreto, vista la tua nulla considerazione della totalità storica. Illuminaci.
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Jean Paul Sartre
Saturday, 13 November 2021 14:26
stavo rispondendo a Fabio Rontini
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Jean Paul Sartre
Saturday, 13 November 2021 14:24
Trovo discutibile la tesi che vuole la borghesia cinese "senza potere politico". Potrei essere d'accordo sul piano formale. Ma formalmente anche le borghesie europea, russa e statunitense sono "senza potere politico". In breve: non capisco perché la formula "comitato d'affari della borghesia" si addice al Congresso degli Stati Uniti, all'Unione Europea o al parlamento sudafricano, ma non agli organi politici del governo cinese. Tra l'altro nel caso degli organi politici cinesi la formula marx-engelsiana "comitato d'affari della borghesia" è anche plasticamente visibile. La stupefacente concentrazione di multimiliardari nel Congresso Nazionale del Popolo e nel Congresso Consultivo Politico del Popolo Cinese è indicativa di come il potere politico del capitale sia stato formalizzato: nel 2018, i 153 membri più ricchi di questi due organi del governo centrale avevano una ricchezza complessiva stimata pari a 650 miliardi di dollari. Gli organi legislativi hanno puntato a integrare nelle loro fila persone che hanno accumulato miliardi nel settore privato, come Pony Ma, che guida Tencent, il gigante di internet. Ma l’intercambiabilità tra potere economico e politico funziona anche nell’altra direzione: la famiglia di Wen Jiabao (l’ex premier) ha fatto leva sui propri agganci politici per accumulare una ricchezza personale stimata in 2,7 miliardi di dollari. Nella Repubblica Popolare Cinese del 21° secolo il capitale genera potere politico così come il potere politico genera capitale.
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Fabio Rontini
Saturday, 13 November 2021 16:23
Gli elementi che mi portano a ritenere che la RPC sia un paese socialista, ossia che in quel paese sussista una vera, e non solo apparente, dittatura del proletariato, sono tre:

- il sistema politico è organizzato secondo il sistema delle assemblee popolari (che in Russia si chiamavano Soviet) anzichè secondo un sistema parlamentare borghese: per quanto mi riguarda la Russia è rimasta un paese socialista fino a quando Eltsin non ha preso a cannonate il Soviet Supremo, da quel momento in poi è divenuto capitalista (anche se il gruppo dirigente del partito era andato incontro ad un processo di revisionismo ideologico fin da metà degli anni '50).

- sistema politico governa davvero cioè implementa i piani quinquennali, di conseguenza

- in Cina non c'è nessuna vera libertà di impresa

Mi pare evidente che se la borghesia cinese potesse farlo porrebbe fine immediatamente a tutte e tre queste caratteristiche, per cui, se non lo fa, si vede che non lo può fare.

Ma questo dipende anche da come uno interpreta il marxismo e il leninismo.
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Jean Paul Sartre
Saturday, 13 November 2021 18:32
il dirigismo non è una novità per il capitalismo, essendosi manifestato non solo nella sua nativa Francia, ma anche in una nutrita serie di paesi fascisti, nell’India post-indipendenza e persino a Taiwan, controllata dal Guomindang, dove già negli anni ‘80 le imprese statali generavano quasi un quarto del PIL del paese. Gli interventi statali orientati a migliorare l’efficienza, la redditività e il grado di affidabilità non sono antitetici al capitalismo, bensì una sua componente necessaria.
Da McDonald’s a Ferrari a Gucci, tutte le grandi multinazionali sono ben in vista in tutti i principali nuclei urbani cinesi. La Cina aderisce alla WTO; il governo cinese dichiara ad ogni occasione che quella cinese è un’economia di mercato. Il consumismo sfacciato o l’adulazione per i “geniali capitani d’impresa”, da Steve Jobs a Jack Ma, sono espressioni culturali ormai conclamate in Cina.
Lo sfruttamento dei lavoratori cinesi in fabbriche che producono di tutto, dai telefoni cellulari e dalle automobili fino alle attrezzature mediche, agli indumenti e ai mobili, ha arricchito le aziende sia nazionali che estere, determinando un boom delle esportazioni che non ha precedenti. Giganti della tecnologia cinese come Tencent, Alibaba, Baidu e ByteDance mercificano le informazioni come Facebook o Twitter. Le ricorrenti bolle immobiliari e gli straordinari profitti realizzati dalle società di costruzione sono un segno del fatto che l’edilizia abitativa viene prodotta in funzione del mercato. In tutta una serie di settori risulta evidente che la produzione è orientata in primo luogo a generare profitti piuttosto che a soddisfare i bisogni umani. La categoria del lavoratore migrante è composta in Cina da quasi trecento milioni di persone che vivono al di fuori del luogo di registrazione ufficiale della propria residenza (hukou); rappresenta una forza lavoro gigantesca ed è la spina dorsale della trasformazione industriale della Cina. Una volta che un lavoratore migrante lascia il luogo di registrazione della propria residenza rinuncia a qualsiasi diritto di riproduzione sovvenzionato dallo Stato, diventando di fatto un cittadino di seconda classe all’interno del proprio paese. È evidente che l’unica ragione per cui centinaia di milioni di persone fanno questa scelta è che non sono in grado di sopravvivere nelle aree rurali impoverite da cui provengono, e per questo vengono spinte dalle forze di mercato a cercare lavoro nei centri urbani. I lavoratori senza contratto non godono di tutele legali e ciò rende estremamente difficile contrastare le violazioni dei diritti dei lavoratori. Inoltre, la previdenza sociale, che comprende l’assicurazione sanitaria, le pensioni, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, la disoccupazione e l’”assegno di nascita “, dipende dal datore di lavoro. Essere relegati al lavoro informale produce altre forme di esclusione e di dipendenza dal mercato per le persone che vivono al di fuori della loro area di registrazione hukou. La situazione per i proletari urbani che lavorano nello stesso luogo della loro registrazione hukou è un po’ diversa, e certamente migliore dal punto di vista materiale. Riusciranno a ottenere l’accesso alla scuola pubblica, forse anche a qualche sussidio per l’alloggio, ed è molto più probabile che ottengano un contratto di lavoro vincolante dal punto di vista legale. Le prestazioni sociali in Cina non sono generose, e la spesa sociale come quota del PIL è molto al di sotto della media dell’OCSE, ma i residenti urbani hanno maggiori possibilità di accedervi. Il sistema è caratterizzato da profonde disuguaglianze di classe e regionali, nonché da problemi fiscali. Di conseguenza, non vi è dubbio che anche questi gruppi relativamente privilegiati debbano rendersi utili al capitale per garantirsi un’adeguata assistenza sanitaria, un alloggio decente o una pensione sicura. Il programma di sussistenza denominato Dibao non è sufficiente, né mira a sostenere la riproduzione a un livello socialmente accettabile.
Non mi dilungo sul neocolonialismo cinese nei paesi limitrofi e in Africa, perchè dovrei scrivere troppo, ma chiunque può informarsi (soprattutto sui giornali e siti di sinistra e comunisti indipendenti di tutto il mondo)
La tesi del partito al potere secondo cui la Cina sarebbe socialista è semplicemente confutata dalla realtà.
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Fabio Rontini
Saturday, 13 November 2021 19:08
Allora, siccome mi dici che la dittatura può esserci anche nei paesi capitalistici, e io non ho difficoltà a crederlo, dal momento che, ad esempio, i paesi fascisti sono certamente anche capitalisti, e siccome io ti ho scritto che in Cina ci sarebbe non una semplice dittatura, ma una dittatura del proletariato, e ti ho aggiunto anche altre due condizioni oltre all'assenza di libertà di impresa, che erano la presenza delle assemblee popolari, e il fatto che fossero loro e non altri ad implementare i piani quinquennali, allora ti chiedo: in quale altro paese (sicuramente) capitalista ci sono, o ci sono stati, i Soviet?
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Milo Cotogno
Sunday, 14 November 2021 09:36
Ciao amico di Cittàlaggiù!

Accipigna, voglio raccontarti una cosa che è successa proprio ieri nel Fantabosco.

Gente che veniva da fuori, che poi si è scoperto essere mandata da Grifo Malvento, ha chiesto udienza a Re Quercia, proponendogli un vestito bellissimo. Lui ha accettato e, siccome non capisce nulla di vestiti, si è fatto ingannare. Pensa, ieri andava in giro nudo per il Fantabosco pensando di avere indosso il più bel vestito del mondo! C'è voluta tutta la forza di Orco Rubio per fermarlo e fargli mettere indosso una coperta! Come si è arrabbiato quando ha scoperto di essere ingannato! Ora Baia Bea gli ha promesso che sarà sempre presente alle udienze della gente che viene da fuori.

Forse anche da te succedono cose così. L'altro giorno mi ha scritto un bambino di un posto di Cittàlaggiù che si chiama Grecia. Il suo papà sta protestando da inizio anno contro quelli che tu dici essere dalla sua parte!
https://www.resistenze.org/sito/te/po/gr/pogrlm02-024472.htm
E proprio in questi giorni il suo papà insieme ai suoi compagni hanno ottenuto, contro quelli che invece loro chiamano "padroni" (accipigna!) la loro prima importante vittoria!
https://www.resistenze.org/sito/te/po/gr/pogrlm08-024492.htm

E siccome noi folletti siamo dalla parte dei bambini, anch'io con Lupo Lucio e Orco Rubio abbiamo bevuto alla loro salute! E cantato una bella canzoncina di Cittàlaggiù, che un giorno un viandante che veniva proprio da dove abiti tu ci ha insegnato.

Forse anche da voi ogni tanto qualcuno vi dice una cosa e invece è un altra... o forse quella cosa che i vostri grandi "dittatura del proletariato" (accipigna!) in quel posto di Cittàlaggiù che si chiama Cina non c'è mai stata, neppure in quell'anno speciale per quel posto che voi chiamate 1949. Radio Gufo mi ha appena sussurrato in un orecchio:

Allora (1949) Nuova democrazia, "dittatura democratica del popolo" = operai + contadini + borghesia;
Oggi: Teoria delle Tre rappresentanze -> il Partito Comunista Cinese rappresenta: - Le direzioni e le richieste di sviluppo delle forze produttive avanzate; Gli orientamenti di una cultura avanzata; Gli interessi fondamentali della maggior parte del popolo cinese. Della "dittatura del proletariato", nessuna traccia.

Forse anche da voi girano persone che han bisogno di una coperta... Lupo Lucio, cosa stai facendo? Giù le zampe da quei salami!

Ora devo andare amico di Cittàlaggiù, ciao e a presto!

Milo Cotogno
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Fabio Rontini
Sunday, 14 November 2021 12:29
Se uno utilizza la nota tecnica dialettica della presa per il culo, dev'essere perchè non ha argomenti per controbattere alle tesi avversarie.
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Milo Cotogno
Sunday, 14 November 2021 19:45
Accipigna, no, caro amico di Cittàlaggiù... è perché le nostre sono molto meno favole di quelle in cui tu vuoi credere... nei nostri racconti, nelle nostre filastrocche, nelle nostre canzoncine, con cui sono cresciuti per oltre quindici anni milioni di bambini di Cittàlaggiù, c'è la vita di tutti i giorni.

Quella che nelle tue favole, purtroppo, manca.

Larga la foglia, stretta la via.
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Fabio Rontini
Sunday, 14 November 2021 21:02
Ma codesta osservazione può applicarsi anche all'essere comunista in quanto tale: la vita di tutti i giorni non fa altro che dire che il comunismo è una favola (c'è tutta una corrente filosofica detta post-modernismo, che non fa altro che ripetere che il comunismo è una "grande narrazione")

E' chiaro, dunque, che per tematizzare il concetto stesso di comunismo dobbiamo elevarci oltre le apparenze della vita di tutti i giorni.

Le apparenze ci dicono che il delfino è un pesce, ma la ragione ci fa capire che, in realtà, si tratta di un mammifero.

La Cina è una bestia strana che ha certe caratteristiche capitaliste (il mercato e la società civile) e certe altre comuniste (il partito e lo stato).

Si tratta di stabilire quali sono decisive e quali no. In polemica con Togliatti, Mao Zedong sostenne che l'elemento decisivo è lo stato.

I successori di Togliatti hanno tutti rinnegato il comunismo, quelli di Mao si dichiarano ancora impegnati nell'impresa, che reputano, condivisibilmente, molto difficile e piena di contraddizioni.
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Vittorio
Sunday, 14 November 2021 23:31
lo stato sarebbe una caratteristica comunista e la società civile sarebbe una caratteristica capitalista? Sei sicuro?
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Gianni Agnelli
Saturday, 13 November 2021 18:18
Complimenti! Anch'io mi sento divevsamente comunista... L'ho detto anche all'uscieve kvi con la bavba
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Fabio Rontini
Friday, 12 November 2021 19:16
L'autore di questo notevole articolo ripropone la tesi trotskista della burocratizzazione del partito comunista, con conseguente suo distacco dalla classe operaia, per spiegare il ritorno del capitalismo in Russia. In questo modo, si oppone, non menzionandola, alla tesi alternativa di stampo maoista della formazione della borghesia all'interno del partito comunista, con conseguente sua mutazione qualitativa, anche a livello ideologico. Infatti nella sua ricostruzione della storia sovietica non menziona la svolta revisionista Krushoviana con relativa demonizzazione di Stalin inclusa.

Si può salvare in altro modo la tesi della decisività dello sviluppo delle forze produttive nel processo di costruzione del socialismo, dicendo che fu proprio la mancata ripresa della NEP dopo la fine della guerra, e quindi l'impossibilità per la borghesia russa di prosperare fuori dal partito, a far sì che essa crescesse e si riproducesse come borghesia monopolistica di stato all'interno del partito. Tesi avvalorata dalla circostanza che gli oligarchi russi di oggi non sono altro che ex dirigenti delle industrie di stato sovietiche che se ne sono, in seguito, appropriati privatamente.

In questo senso Deng Xiaoping, consentendo alla borghesia cinese di prosperare nella società civile (ma senza potere politico), e mettendo i dirigenti delle industrie di stato in concorrenza con essa, avrebbe prevenuto, (e non favorito, come pensava Mao) l'imborghesimento del partito comunista cinese.
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