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La brutta fine [provvisoria?] del progetto di Europa unita

Riccardo Petrella

parl.europeoNel Consiglio europeo di Lisbona i governi dei 27 stati dell’Unione hanno firmato il bollettino di morte dell’integrazione politica europea, confermando che le uniche «integrazioni» sono l’unione dei mercati e delle monete, cioé le «integrazioni» tipiche di un’economia capitalista di mercato.

I dirigenti europei hanno proclamato, a conclusione del recente Consiglio europeo di Lisbona, di aver rimesso in funzione l’Unione europea. A dir loro, l’Ue avrebbe cosi superato la crisi creata dal rigetto francese ed olandese, via referendum popolare, del Trattato costituzionale. Non c’é stata pero’ grande festa né gioia. In effetti, non c’era niente di grande da festeggiare. I capi di stato e di governo presenti a Lisbona si sono messi d’accordo su un nuovo Trattato Intergovernativo che mantiene in vita il Trattato di Roma 1957 e il Trattato di Amsterdam 1997, apportandovi una serie di emendamenti o di aggiunte, alcuni dei quali sono, certo, di rilievo. Penso, in particolare alla nomina di un Presidente dell’Unione per la durata di due anni [non più sei mesi, come è il caso dell’attuale presidenza rotatoria dell’Ue] e di un portavoce dell’Unione per la politica estera [con il rango di vice-presidente della Commissione ma non di ministro].

Al di là del valore [relativamente importante] di questi nuovi ruoli, l’accordo di Lisbona ha certificato la fine del progetto politico dell’integrazione europea. Per i prossimi 15-20 anni non sarà più possibile, salvo avvenimenti forti, imprevedibili, di rottura, pensare realisticamente a una integrazione politica federale dell’Europa. I dirigenti europei al potere negli ultimi venticinque anni hanno la grande responsabiità storica di aver realizzato l’affondamento del progetto dell’Europa politica.


Il nuovo Trattato non poteva essere più chiaro ed esplicito a questo riguardo :

– il Trattato elimina ogni riferimento ad una Costituzione europea. Il concetto di Costituzione europea non ha più diritto di esistenza. Nessun riferimetno nemmeno all’idea di « Comunità europea » che per quattro decenni ha fatto sperare nell’avvenimento di una «comunità politica europea»; Resta solo il concetto di Unione di stati nazionali che mantengono intatta la loro sovranità , salvo quella monetaria che il Trattato di Amsterdam ha ceduto ad un organismo non eletto, composto di banchieri, la Banca centrale europea [Bce].

– Sono stati altresì abbandonati i simboli unitari dell’Europa, la bandiera e l’inno. Gli Stati membri dell’Unione non ne vogliono più sapere. Quelli che erano tiepidamente favorevoli al loro mantenimento hanno ceduto, senza tanto resistere, alle richieste dei polacchi, degli olandesi e dei britannici pur di ottenere l’accordo sul nuovo Trattato. Bella vittoria della «realpolitik». E poi questi stessi dirigenti non fanno altro che parlare di etica della politica, di principi della politica.
– Il Trattato non parla più di «politiche comuni europee» [fino a poco tempo fa si discuteva di «politica agricola comune», di «politica commerciale comune», di «politica regionale comune»…]. Oramai il concetto politicamente corretto è «il coordinamento delle politiche nazionali».

– Non solo il Trattato ha cancellato ogni espressione precisa relativa ad una eventuale politica comune sociale ma ha confermato il diritto degli Stati membri che lo desiderano di non aderire al protocollo sociale.

– Il principio dell’Unione non si applica per tutti in tutti i campi. Quel che prevale, riconfermato dal Trattato, è il principio dell’Europa «à la carte». Cosi i britannici ed i danesi non aderiscono alla moneta unica, i polacchi, i britannici , i cechi sono fuori dal Patto sociale, l’Europa di Schengen vale solo per 10 stati….

– Peggio ancora, la cessione di sovranità operata a favore della Banca centrale europea nel campo monetario ha svuotato di potere reale la sovranità degli stati membri dell’Unione in campo finanziario, economico e sociale. La Bce è un’istituzione politicamente indipendente dal Consiglio dei ministri dell’Ur e dal Parlamento europeo. Nel mentre il Consiglio dei ministri e la Commissione europea devono rendere conto del loro operato al Parlamento europeo e sono, in certi campi, obbligati a codecidere con esso, la Bce non deve rispondere né al Consiglio dei ministri dell’Ue né al Parlamento europeo. In realtà poi, la sovranità della Bce è illusoria perché essa non fa altro che adattarsi alle evoluzioni dei mercati finanziari internazionali, riconsciuti da tutti come i veri sovrani in materia.

Detto in maniera molto semplice e concisa, il 19 ottobre 2007, i governi dei 27 Stati dell’Unione hanno firmato il bollettino di morte dell’integrazione politica europea, confermando che le uniche effettive «integrazioni» europee a oggi realizzate e sostenute per il futuro sono l’unione dei mercati e l’unione delle monete, cioé le «integrazioni» tipiche di un’economia capitalista di mercato.

Che fare? A mio parere, due sono le strade realistiche da prendere da parte della società italiana.

La prima, è battersi per rafforzare i poteri democratici reali del Parlamento europeo. Fra le istituzioni dell’Unione [Consiglio dei ministri, Commissione europea, Corte costituzionale, Parlamento europeo] il Parlamento è la sola istituzione che ha, per definizione, nel suo codice genetico, perché eletta, «l’Europa politica». Se nei prossimi 15-20 anni si potrà nuovamente parlare di Costituzione europea e di Costituente europea, quest’ultima non puo’ essere che il Parlamento europeo. Bisogna dunque lottare perché i nostri rappresentanti europei decidano di trasformarsi, il più presto possibile, in Costituente.

La seconda strada è altrettanto impegnativa. Si tratta della promozione di una «comunità mediterranea». Questo progetto è più che urgente e fondamentale alla luce dei cambiamenti climatici, demografici, economici e culturali in corso. Tutti i paesi del Mediterraneo sono minacciati dai processi di desertificazione crescente e rapida. In assenza di una politica comune mediterranea, la desertificazione e la crisi dell’acqua esploderanno ed avranno delle conseguenze drammatiche sui rapporti tra le popolazioni del Mediterraneo: migrazioni represse, conflitti sociali, esclusioni di ogni genere, e guerre saranno all’ordine del giorno soprattutto a partire dagli anni 2020-2030. Una «comunità mediterranea» a partire da un governo solidale e cooperativo di tre beni comuni [l’acqua, la terra e l’energia, in particolare solare] è una risposta saggia, concreta e fattibile.

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