Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 1697
La sinistra oltre il referendum
di Alessandro Somma
Molti hanno ritenuto che, per le dimensioni della vittoria del no, l’esito del referendum sulla riforma costituzionale sia stato sorprendente. Hanno invece ricalcato un copione già visto gli avvenimenti che sono seguiti a questa vittoria e in particolare le reazioni dei partiti, di quelli risultati vincitori così come di quelli sconfitti. Ma sono soprattutto le dinamiche politiche disinnescate dall’esito referendario, ad essere avviate verso la riproduzione di uno schema oramai consolidato: quello per cui, dopo avere fatto il lavoro sporco, le formazioni progressiste si avviano verso un definitivo e meritato declino, inevitabilmente seguito dal successo delle destre.
I vinti insultano i vincitori
Incominciamo dalle reazioni dei vinti, del tutto simili a quelle che hanno accompagnato due momenti fondamentali di quanto è stata chiamata l’avanzata mondiale del populismo: prima la vittoria dei fautori di un’uscita del Regno Unito dall’Unione europea nel referendum sulla Brexit, e poi l’elezione di Donald Trump a nuovo Presidente degli Stati Uniti. In entrambi i casi i vinti hanno disegnato un identikit del vincitore che assomiglia a una sorta di troglodita: incapace di comprendere le virtù della globalizzazione, di cogliere i vantaggi portati dalla libera circolazione delle merci e dei capitali, di accettarli come fatti irreversibili.
- Details
- Hits: 5489
Gramsci e la Russia sovietica
Il materialismo storico e la critica del populismo
Domenico Losurdo
Pubblicato su "Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane”, E-ISSN 2531-9582, n° 1-2/2016, dal titolo "Questioni e metodo del Materialismo Storico" a cura di S.G. Azzarà, pp 18-41. Link all'articolo: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/600
Se non diversamente indicato, questi contenuti sono pubblicati sotto licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.
1. «Collettivismo della miseria, della sofferenza»
Com’è noto, la rivoluzione che tiene a battesimo la Russia sovietica e che, contro ogni aspettativa, si verifica in un paese non compreso tra quelli capitalistici più avanzati, è salutata da Gramsci come la «rivoluzione contro Il capitale». Nel farsi beffe del meccanicismo evoluzionistico della Seconda Internazionale, il testo pubblicato su «Avanti!» del 24 dicembre 1917 non esita a prendere le distanze dalle «incrostazioni positivistiche e naturalistiche» presenti anche «in Marx». Sì, «i fatti hanno superato le ideologie», e dunque non è la rivoluzione d’Ottobre che deve presentarsi dinanzi ai custodi del «marxismo» al fine di ottenere la legittimazione; è la teoria di Marx che dev’essere ripensata e approfondita alla luce della svolta storica verificatasi in Russia1. Non c’è dubbio, memorabile è l’inizio di questo articolo, ma ciò non è un motivo per perdere di vista il seguito, che non è meno significativo. Quali saranno le conseguenze della vittoria dei bolscevichi in un paese relativamente arretrato e per di più stremato dalla guerra?:
«Sarà in principio il collettivismo della miseria, della sofferenza. Ma le stesse condizioni di miseria e di sofferenza sarebbero ereditate da un regime borghese. Il capitalismo non potrebbe subito fare in Russia più di quanto potrà fare il collettivismo. Farebbe oggi molto meno, perché avrebbe subito di contro un proletariato scontento, frenetico, incapace ormai di sopportare per altri i dolori e le amarezze che il disagio economico porterebbe […]. La sofferenza che terrà dietro alla pace potrà essere solo sopportata in quanto i proletari sentiranno che sta nella loro volontà, nella loro tenacia al lavoro di sopprimerla nel minor tempo possibile».
- Details
- Hits: 2265
Blows against the Empire
Mark Tibaldi intervista Andrea Fumagalli
“Grateful dead economy. La psichedelia finanziaria” di Andrea Fumagalli (AgenziaX, pp. 190, € 15,00) analizza in maniera innovativa le tre parole-chiave al centro del dibattito politico del nuovo millennio: il concetto di comune, lo spirito open-source e il ruolo delle monete alternative. Il titolo e la copertina sono molto accattivanti e potrebbero far sembrare il libro una trovata da subvertising, ma non è così. Eccentrico, sì, è un libro eccentrico, nel senso migliore del termine, utilizza la metafora dei Grateful Dead, non solo per rendere omaggio a uno dei gruppi musicali che più ha inciso sulla cultura alternativa, ma per discutere criticamente l’evoluzione dello spirito libertario negli Usa, nato negli anni sessanta e riapparso nelle ultime due decadi nell’ideologia libertarian, fondata sull’antistatalismo e il primato dello spirito del self-made man. Per usare un termine della musica, possiamo dire che i sei capitoli son ben mixati, non c’è spaccatura ma conseguenzialità, e lo spirito del libro va oltre i suoi dichiarati intenti: infatti l’incontro di ambiti apparentemente lontani, l’immaginazione, la sperimentazionee l’innovazione, non possono che arricchire lo spirito critico e l’efficacia delle lotte. Un tempo la psichedelia era sinonimo di creatività e sovversione, ma ora regnano l’impotenza e la depressione sociale. Forse è perché la finanza e la mercificazione economica si sono appropriate non solo del corpo ma anche dei cervelli, dei sensi e dell’eros, costringendoli a vivere una vita di elemosina e precarietà? Lo abbiamo chiesto all’autore.
* * * *
Cos’è la psichedelia finanziaria e qual è la relazione tra i Grateful Dead e la proposta della moneta alternativa commoncoin?
- Details
- Hits: 2205
“L’intero segreto della concezione critica”
Sul lavoro in Lukács e Marx
di Matteo Gargani
I. Nel gennaio 1868, armato della consueta mordacità, Marx confessa al sodale di sempre Friedrich Engels come il «Kerl» di turno, Privatdozent di filosofia ed economia politica a Berlino Eugen Dühring, abbia mancato il senso del I libro de Il Capitale. L’«intero segreto della concezione critica» – scrive Marx riferendosi proprio alla sua «Critica dell’economia politica» – sta nel fatto che «se la merce ha il doppio carattere di valore d’uso e valore di scambio, allora anche il lavoro rappresentato nella merce deve avere carattere doppio». Centrale è quindi la distinzione tra «lavoro astratto» e «lavoro concreto», sfuggita non solo a Dühring, ma secondo Marx anche agli stessi fondatori dell’economia politica: «la semplice analisi fondata sul lavoro sans phrase come in Smith, Ricardo ecc. deve sempre andare a sbattere in questioni inesplicabili»1. Ricorrendo alla nota immagine della rivoluzione copernicana, possiamo dire che Marx individua quella da lui operata nel campo dell’economia politica nella fondamentale distinzione tra «lavoro astratto» e «lavoro concreto», pendant soggettivo della doppia natura del valore già incorporata nella merce. È proprio sul «concetto di lavoro» nell’intera opera di uno tra i più celebri filosofi del xx secolo che si concentra Individuo, lavoro, storia. Il concetto di lavoro in Lukács di Antonino Infranca.
Il testo in questione, tuttavia, si colloca su un terreno diverso rispetto al piano «critico» evocato da Marx nella lettera a Engels.
- Details
- Hits: 2931
Lotta di classe nella forma populista
di Carlo Formenti
Il fine settimana scorso si è svolto a Roma un seminario promosso dalla Rete dei Comunisti. Pubblichiamo quello che ci pare il contributo più importante, pienamente condivisibile, quello inviato da Carlo Formenti
Il documento preparatorio per il forum nazionale del 17/18 dicembre pone giustamente l’accento sulla necessità di un’approfondita riflessione sullo scenario geopolitico.
Si tratta di un tema che ha tradizionalmente ricevuto grande attenzione dai “classici” —Marx e Lenin su tutti—, mentre sembrava quasi sparito negli ultimi decenni, forse perché anche gli intellettuali marxisti, o supposti tali, dopo il crollo dei Paesi socialisti, hanno finito per accreditare la tesi di un mondo unificato dall’egemonia liberal liberista e sostanzialmente “pacificato” e integrato sotto il domino imperiale statunitense. A qualche anno dall’esplosione (non dall’inizio, perché quello risale agli anni 70 del 900) della più grave crisi capitalistica dopo la grande crisi del 29, e mentre la perdita di capacità egemonica degli Stati Uniti si fa sempre più evidente, di quella illusione non resta nulla.
I primi a riconoscerlo sono proprio gli intellettuali liberisti: vedi l’intervista al “Corriere della Sera” rilasciata in data 1 dicembre da Francis Fukuyama, il quale associa il declino dell’egemonia americana a una vera e propria disintegrazione dell’ordine postbellico che minaccia la stessa sopravvivenza della democrazia liberale; vedi anche un recente articolo dell’Economist intitolato “Economists cannot stop Trump, but perhaps they can understand it”, nel quale, da un lato, si ammette che il processo di globalizzazione è la causa fondamentale degli intollerabili livelli di disuguaglianza che hanno favorito la Brexit, il trionfo di Trump e quello del No in Italia, dall’altro si afferma che la risposta al “trumpismo” dev’essere cercata sul piano politico e non su quello economico.
- Details
- Hits: 3437
Quale “Illuminismo”?
Ragione, diritto d’esistenza e movimenti sociali
di Paolo Quintili
Di “illuminismo” si parla molto, ed è bene che sia così. Ma intorno al suo significato non vi è molta chiarezza. In questo articolo, Paolo Quintili spiega in che direzione bisogna andare se si vuole avere una cognizione più precisa dello stesso. Il testo è stato pubblicato in contemporanea qui
Il dibattito sollevato sulle pagine del quotidiano italiano «La Repubblica», nell’ormai lontano 2000 – dunque prima del 11/09/01 – sull’Illuminismo e la necessità di «nuovi Lumi» per il nostro tempo ha avuto una discreta risonanza non sui soli media, portando infine all’edizione del libretto a cura di E. Scalfari, Attualità dell’Illuminismo, Roma-Bari, Laterza, 2001. Dalla distanza di ciò che nel frattempo è storicamente accaduto – Le rivoluzioni arabe, le nuove guerre in medio oriente, Daech ecc. – il tono del dibattito, tuttavia, non sembra uscire dal terreno di vecchi luoghi comuni su un’Età dei Lumi come «Età della Ragione» a tutto tondo, la cui immagine non tiene presente, anzitutto, il retaggio del processo storico di formazione della ratio illuministica e del suo rapporto al concetto di diritto. E del diritto dei popoli, in particolare.
Avere comunque iniziato a discutere di questi temi è stato un bene e il sintomo di un bisogno, nella sinistra italiana (e oltre), di fare chiarezza sulla propria provenienza, non solo ideale. Si è parlato di Lumi che «non sono più di moda nel nostro secolo» (E. Scalfari, 8/12/2000) ma da riattivare, magari, chissà? con un’opera di marketing contro-contro-illuministica (eco della «critica della critica critica» di marxiana memoria?). Funzionerà? Ci manca, la bella «Ragione» del secolo decimottavo! da erigere contro integralismi, risorgenze superstiziose, nuovi assoggettamenti, particolarismi.
- Details
- Hits: 2924
L’ambivalenza della «Gewalt» in Marx ed Engels
A partire dall’interpretazione di Balibar
Luca Basso
In der wirklichen Geschichte spielen bekanntlich
Eroberung, Unterjochung, Raubmord, kurz
Gewalt die große Rolle. In der sanften
politischen Ökonomie herrschte von jeder
die Idylle.
K. Marx, Das Kapital
Das Recht auf Arbeit ist im bürgerlichen Sinn ein
Widersinn, ein elender, frommer Wunsch,
aber hinter dem Rechte auf Arbeit steht die Gewalt
über das Kapital […], also die Aufhebung der
Lohnarbeit, des Kapitals und ihres
Wechselverhältnisses.
K. Marx, Die Klassenkämpfe in Frankreich 1848 bis 1850
La riflessione intorno alla struttura e alla valutazione della Gewalt ha sempre costituito una questione controversa all’interno del marxismo, a causa delle (apparenti o reali) ambiguità esistenti all’interno del percorso teorico di Marx ed Engels, e a causa della rilevanza delle conseguenze politiche insite in una determinata scelta di campo al riguardo. La trattazione del concetto indicato, da parte di Marx e Engels, si contraddistingue per una sostanziale ambivalenza, presentando quindi una caratterizzazione complessa e articolata, che sembra irriducibile sia alla sua esaltazione in quanto “levatrice della storia”, sia, di converso, alla sua eliminazione sulla base di una conciliazione “irenica” fra marxismo e pacifismo.
- Details
- Hits: 16680
L'esaurimento dell'attuale fase storica del capitalismo
di Guglielmo Carchedi
Una tesi fondamentale per la teoria della storia e della rivoluzione di Marx è che “Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso” (Per la Critica dell’economia politica, prefazione). Ora, se il marxismo è una scienza, ciò deve essere verificato empiricamente. Ma questa verifica è importante anche per un altro motivo. Come dice Gramsci, “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. (Quaderni del carcere , «Ondata di materialismo» e «crisi di autorità», volume I, quaderno 3, p. 311, scritto intorno al 1930). La verifica empirica ci permette anche di capire perché e soprattutto come il vecchio muore.
Nella fase storica attuale – e cioè dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi – il capitalismo incontra un limite sempre più insormontabile a causa della contraddizione tra la crescita della forza produttiva del lavoro da una parte e il rapporto di produzione, quello tra lavoro e capitale, dall’altra. Questa contraddizione si sta facendo sempre più dirompete e il capitalismo sta esaurendo le sue capacità di svilupparsi nel contesto di questa fase storica. La forma concreta presa da questa contraddizione, da questa sua crescente incapacità di svilupparsi, sono le crisi sempre più violente.
- Details
- Hits: 3103
L’“impazzimento” della politica come riflesso della crisi di egemonia del capitale
di Mauro Casadio*
Relazione introduttiva al Forum "Il vecchio muore ma il nuovo non può nascere" organizzato dalla Rete dei Comunisti a Roma il 17 e 18 dicembre
Nell’introduzione al forum di oggi invece di partire dall’alto dell’analisi teorica scegliamo, diversamente che in altre occasioni, di partire dal “basso” dei fenomeni politici. La crisi sistemica, che da tempo come Rete dei Comunisti stiamo cercando di analizzare, si manifesta come competizione tra paesi imperialisti e con le altre potenze economiche, tramite conflitti militari ed enormi trasformazioni sociali ed oggi sta sfociando nella dimensione politico istituzionale nelle “cittadelle” imperialiste”.
I sintomi ormai sono conclamati; sia nei paesi dell’Unione Europea che negli USA è in atto uno inaspettato e sincronizzato scombussolamento politico che porta inevitabilmente a ragionare sui motivi strutturali che hanno portato a questo punto. Certamente l’esempio più eclatante è quello Statunitense dove un outsider come Trump sembra aver trionfato sulla stantia e familista classe dirigente democratica ma anche repubblicana, in quanto parte di questa a cominciare dai Bush si è subito schierata contro la candidatura di Trump.
Associata a questi eventi dai commentatori politici è la Brexit dove l’insubordinazione della vecchia e “diligente” classe operaia laburista al proprio storico partito ha avviato un incerto percorso esterno all’Unione Europea sovraesponendo, nel contempo, le acrobazie tattiche fatte dal partito conservatore e da Camerun. Certamente quello che sta emergendo è l’emergere della “faglia atlantica” tra il mondo anglosassone e l’Europa che manifesta, però, gli stessi acciacchi politici.
- Details
- Hits: 3552
Tutta la post-verità sulla post-verità
di Enrico Gullo
D'accordo, bufale e balle imperversano ovunque: ma quale nucleo di verità nascondono? E a questo punto, non sarà il caso di cominciare a prenderle sul serio?
Oh, ma la sapete quella del Prete Gianni? Ve la racconto velocemente. Tra il 1143 e il 1146 il vescovo Ottone di Frisinga scrisse una Chronica nella quale – tra un pistolotto sulla Babele terrena e qualche borbottio sulla condizione umana – tenta di tracciare una storia dell’umanità che include la narrazione della storia a lui contemporanea. Tra le notizie fornite dalla Chronica c’è questa curiosa storiella, di cui Ottone viene a conoscenza a Viterbo tramite intrallazzi papali: racconta che esiste un Principe e Prete cristiano, tale Prete Gianni (o Preteianni o Presbyter Johannes), che vive da qualche parte di là dal Mediterraneo – forse in Africa o in Asia – e che, pur essendo nestoriano, desidera avvicinare se stesso e il suo popolo alla Cattolica Dottrina di Santa Romana Chiesa, anche in virtù della sua inimicizia coi limitrofi domini musulmani. Neanche a dirlo, è pure ricco da far schifo e il suo regno è pieno di meraviglie. Fin qui tutto bene, sembra. A parte il dettaglio che il fatterello è una colossale balla, certo. E che viene raccontato in una delle più influenti cronache medievali.
Il risultato è che una bufala di proporzioni bibliche (è il caso di dirlo) conosce una larghissima fortuna nel corso del basso Medioevo: lettere false, tentativi di corrispondenza da parte dei sovrani occidentali, mercanti che identificano il Prete Gianni in tale o talaltro sovrano incrociato lungo la via della seta… Sarà forse Gengis Khan? Oppure un suo avversario?
- Details
- Hits: 5253
Capitalismo 2016. L’anno più nero dal 20091
di Antonio Carlo
1) Tutto peggiora: a) PIL inadeguato; b) disoccupazione incurabile; c) banche sull’orlo del baratro; d) diseguaglianze ingovernabili; e) mercato e commercio mondiale in crisi; 2) Segue: f) gli scandali fiscali; g) la guerra dei tassi bancari; h) l’emigrazione; i) il fallimento del G20 cinese e la debolezza dei poteri forti (e occulti); 3) Gli USA verso la stagnazione; 4) Cina e Giappone: declino senza ritorno; 5) L’Europa e la Brexit. L’inizio della fine; 6) Italia: finisce la farsa del governo Renzi; 7) Crisi economica e crisi politica. Impotenza e dissoluzione delle democrazie occidentali. USA verso un’esplosione socio-politica?
1) Tutto peggiora: a) PIL inadeguato; b) disoccupazione incurabile; c) banche sull’orlo del baratro; d) diseguaglianze ingovernabili; e) mercato e commercio mondiale in crisi.
A) PIL inadeguato. L’anno scorso la signora Lagarde in un’intervista affermò che la crescita del PIL mondiale era mediocre e tale sarebbe rimasta fino al 2020, dopo non era dato sapere cosa sarebbe accaduto2. Quest’anno l’elegantissima signora ha espresso posizioni analoghe3, di rincalzo la capo economista dell’OCSE, signora Mann, ha detto che siamo prigionieri di una crescita bassa e per il 2016 la previsione è ridotta al 2,9% (precedente 3,1%)4. Non ci si azzarda a parlare di stagnazione secolare come fa Larry Summers (e non solo lui), ma il concetto è sostanzialmente simile, si cresce poco e male: la tabella che segue basata sui dati del FMI, evidenzia come i sette grandi (G7), che hanno nelle loro mani il grosso della produzione mondiale con una frazione modesta della popolazione, siano sostanzialmente al ristagno.
- Details
- Hits: 2928
Più flessibilità del lavoro crea davvero più occupazione?
Ecco cosa dicono i dati
di Emiliano Brancaccio, Nadia Garbellini e Raffaele Giammetti *
Studi pubblicati dalle principali istituzioni internazionali smentiscono l’idea che le deregolamentazioni del lavoro aiutino a creare occupazione e a ridurre la disoccupazione. La letteratura empirica in materia rivela che la riduzione delle tutele dei lavoratori risulta statisticamente associata non alla crescita degli occupati ma all’aumento delle disuguaglianze
La libertà di licenziamento e le altre forme di deregolamentazione del lavoro favoriscono le assunzioni? Svariati esponenti di governo e del mondo dei media hanno sostenuto che l’aumento dell’occupazione che si è registrato negli ultimi mesi in Italia sarebbe frutto della ulteriore flessibilità dei contratti sancita dal Jobs Act. Questa tesi, come vedremo, non trova riscontri nella ricerca prevalente in materia. Un primo dubbio sulla supposta relazione tra riforma del lavoro e occupazione sorge mettendo semplicemente a confronto i dati ufficiali sull’Italia con quelli relativi agli altri paesi europei. Dall’entrata in vigore del Jobs Act, la crescita dell’occupazione dipendente nel nostro paese è stata molto più modesta rispetto all’aumento medio degli occupati che si è registrato nell’eurozona; nello stesso arco di tempo, inoltre, non si rilevano significativi avvicinamenti dell’Italia alla media europea (dati Ameco Eurostat). In altre parole, paesi in cui negli ultimi due anni non si sono registrati cambiamenti nella legislazione del lavoro, hanno visto crescere l’occupazione decisamente più che in Italia.
L’esito di questa banale comparazione non è casuale. Dopo un ventennio di ricerche dedicate all’argomento, la più influente analisi economica ha escluso l’esistenza di relazioni statistiche significative tra precarizzazione del lavoro e occupazione.
- Details
- Hits: 2413
Referendum: l’avvento di TINA Trump
Tomaso Montanari
Non si deve a un costituzionalista, ma a don Luigi Ciotti, la migliore tra le analisi della riforma costituzionale su cui gli italiani voteranno il 4 dicembre 2016:
La democrazia, con il suo sistema di pesi e contrappesi, di divisione e di controllo dei poteri, rappresenta un ostacolo per il pragmatismo esibito da certa politica come segno di forza. Le richieste di delega, la sollecitazione a fidarsi delle promesse e degli annunci, l’ottimismo programmatico, così come l’accusa di disfattismo o di malaugurio (il “partito dei gufi”) verso chi critica o solo esprime perplessità, rivelano una concezione paternalistica e decisionista del potere, dove lo Stato rischia di ridursi a una multinazionale gestita da super manager e il bene comune a una faccenda in cui il popolo non deve immischiarsi. Tentazione anche questa non nuova ma a cui la globalizzazione ha offerto inedite opportunità, visto l’asservimento, salvo eccezioni, delle istituzioni politiche alla logica esclusiva del “mercato”, cioè di quel sistema che proprio la politica dovrebbe regolamentare. (L. Ciotti, Dal “no” a un impegno collettivo, in Io dico no, Gruppo Abele, pp. 75-76)
La democrazia come ostacolo. È in fondo questo ciò che dovrebbe essere scritto sulle schede del 4 dicembre: “Siete voi convinti che la democrazia sia un ostacolo al governo?”
Perché la diagnosi cui fa seguito la terapia della riforma è proprio questa: l’Italia sarebbe malata di troppa democrazia. Votiamo troppo, protestiamo troppo, siamo troppo rappresentati e troppo garantiti: i cittadini hanno troppa voce in capitolo, e se vogliamo che il governo decida, è necessario ridurre gli spazi di democrazia.
Tuttavia, un certo numero di intellettuali di sinistra si è schierato per il Sì, pur dichiarando di ritenere la riforma, nel merito, “una schifezza” (così, letteralmente, Massimo Cacciari). Perché lo ha fatto?
- Details
- Hits: 4065
Krisis. Il rifiuto da destra che interroga la sinistra
di Giovanna Cracco
Alla fine, le persone hanno iniziato a dire basta. Lo hanno fatto prima gli inglesi con la Brexit e poi gli statunitensi con l’elezione di Trump. Un rifiuto che ha spaccato come una me-la entrambi i Paesi: 51,9% Leave contro 48,1% Remain in Gran Bretagna, con un’affluenza del 72,2%; 46,4% Trump e 47,9% Clinton per il voto popolare negli Usa, con il 53,9% dei votanti (il meccanismo dei ‘grandi elettori’ ha poi portato la vittoria al candidato Repubblicano). Colpisce la forza del No: 17,4 milioni di inglesi e 62,2 milioni di americani lo hanno espresso resistendo alla battente campagna mediatica degli organi di informazione mainstream, schierati in blocco per il Sì.
In Gran Bretagna, un’analisi disaggregata del voto pubblicata dal Telegraph (1) mostra come abbiano votato in maggioranza per il Remain solo la Scozia, Londra e l’Irlanda del Nord; nel resto del Paese ha vinto il Leave, con le ex zone manifatturiere Midlands, Yorkshire e Nord-Est, oggi impoverite e disoccupate dopo deindustrializzazioni e delocalizzazioni, che hanno visto le percentuali più alte di rifiuto.
- Details
- Hits: 3973
La nuova ragione del mondo, di Pierre Dardot e Christian Laval
Consigli (o sconsigli) per gli acquisti
di Militant
E’ un libro importante e contraddittorio questo opus magnum uscito nel 2009 in Francia e nel 2013 in Italia, tanto da diventare – come si legge nella quarta di copertina – “opera di riferimento nel dibattito internazionale” sul neoliberismo. E in effetti il corposo libro (500 pagine) si presenta come indagine sulla genealogia, le forme e i contenuti del liberismo dal XVIII secolo ad oggi, attraverso una vasta ricognizione delle principali linee teoriche che hanno ispirato l’attuale “ragione del mondo”, quella razionalità governamentale liberista (per usare il tipico lessico foucaultiano) che oggi dispone non solo i rapporti di produzione, ma la politica e la stessa antropologia dell’uomo contemporaneo. Nonostante gli autori scelgano un’impostazione rigidamente foucaultiana, l’opera riesce a far luce e a smascherare una serie di confusi cliché ideologici che ancora trovano spazio nel dibattito politico sulla natura del liberismo attuale. Primo e più deviante dei quali, quello sul ruolo dello Stato. Vulgata vuole che il liberismo, in una sorta di continuum storico-politico che va dall’800 ad oggi, miri costantemente al ridimensionamento delle funzioni dello Stato, riducendone gli spazi di manovra, puntando a quello Stato minimo di smithiana memoria oggi apparentemente imperante. Niente di più sbagliato, eppure in molti ancora credono alla favoletta dello Stato nazionale che scompare abbattuto dalla marea montante liberista. In realtà, e forse questo è lo specifico più rilevante dell’intera opera di Dardot e Laval:
- Details
- Hits: 3988
Storia naturale della post-verità
Mario Pireddu
“Le verità vere sono quelle che si possono inventare”, scriveva Karl Kraus circa un secolo fa. Lo scrittore e polemista austriaco, celebre anche per i suoi aforismi, amava dire che chi esagera ha buone probabilità di venir sospettato di dire la verità, e chi inventa addirittura di passare per ben informato. Più o meno nello stesso periodo, lo scrittore anarchico statunitense Ambrose Bierce definiva così il termine verità nel suo splendido Dizionario del diavolo: “ingegnoso miscuglio di apparenze e utopia”. Veritiero nel libro di Bierce equivale così a “ottuso, stolto, analfabeta”. Con tutt’altro approccio, nel 1967 Guy Debord scriveva che “nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso”. Il filosofo Baudrillard, riprendendo il Qōhelet, ci ha informati invece della scomparsa della realtà, sostituita dalla realtà dei simulacri.
Nel corso della nostra lunga storia europea siamo stati messi in guardia più volte sui pericoli della manipolazione del senso comune, delle verità e delle informazioni di qualsiasi tipo. La notizia più recente riguarda però l’elezione di “post-truth” a parola dell’anno per l’Oxford Dictionary: dopo un lungo dibattito la scelta è caduta su post-verità come termine che definisce le circostanze in cui, per la formazione dell’opinione pubblica, i fatti oggettivi sono meno influenti degli appelli all’emozione e alle convinzioni personali. Tra le motivazioni della scelta vi è l’elevata frequenza d’uso del termine nell’ultimo anno, con particolare riferimento al referendum britannico sulla Brexit e alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
- Details
- Hits: 2130
Alzando gli occhi sul campo: una analisi di fase
Un ’93 al quadrato?
di Aldo Giannuli
1) La lezione non è stata capita
A distanza di una settimana dal voto referendario, credo sia il caso di distogliere l’attenzione dalle cronache della crisi, per fare una valutazione più ampia e di lungo periodo.
Partecipando a diversi dibattiti televisivi, mi sono spesso trovato di fronte a interlocutori che ipotizzavano, chi augurandoselo chi per scongiurarlo, un governo Pd-Forza Italia come esito fatale della vittoria del No, unito alla conformazione tripolare del sistema ed all’indisponibilità del M5s ad alleanze.
Ho risposto che questo presupponeva il mantenimento dell’attuale quadro politico con questi partiti con il peso elettorale attuale (Pd e M5s intorno al 30% e Lega e Fi al 10-15% ciascuno) ma che questo non mi sembra affatto scontato. Infatti, sono convinto che la situazione attuale può riassumersi in una frase: “è un 1993 al quadrato”.
Vorrei motivare questa mia affermazione ed approfondirla meglio di quanto non possa fare nei tempi ristretti del salotto televisivo.
2) Il crollo del sistema del 1992-93
Nel 1992-93, sia per l’emergere della Lega che per l’ondata di scandali tangentizi e per il profilarsi di una notevole perturbazione monetaria, iniziò il crollo della prima repubblica, poi conclamato con il referendum sulla legge proporzionale, che spalancava la porta all’epoca del maggioritario.
- Details
- Hits: 3152
Marx, il marxismo e gli storici della Rivoluzione francese nel XX secolo(1)
di Julien Louvrier
L’autore del saggio che segue adotta un approccio rigorosamente diacronico. Partendo dalle analisi di Marx sulla Rivoluzione francese, egli dimostra come gli scritti di quest’ultimo, spesso associato a Engels riguardo a tale soggetto, siano sempre precisamente contestualizzati e legati al tentativo di comprendere il presente. È Jean Jaures, con la sua Storia socialista della Rivoluzione francese, a fornire per primo una lettura globale degli eventi rivoluzionari basata sulla griglia interpretativa proposta da Marx. Una forma di banalizzazione di questa lettura si produce in seguito, attraverso lo sviluppo della storia economica e sociale, ad opera di storici che, senza aver letto troppo Marx, conservano del suo pensiero l’idea dell’importanza determinante della realtà economica. Nel contesto della Guerra fredda, tale interpretazione «sociale» della Rivoluzione è oggetto di vigorosi attacchi e condanne, in quanto espressione di un marxismo riduttivistico. Una rimessa in causa che prende le mosse da letture privilegianti il fattore politico, le quali, tuttavia, si aprono nuovamente, dopo alcuni anni, a ricerche che ripropongono la questione delle appartenenze sociali.
* * * *
Pensare il rapporto tra il marxismo e la storiografia della Rivoluzione francese comporta l’affermazione di un’ovvietà e di un paradosso. Lo storico della rivoluzione francese, che sia marxista o meno, non può fare a meno di Marx. Per descrivere le lotte sociali caratteristiche della società di Ancien Régime, comparare l’economia francese della fine del XVIII secolo con quella di altre potenze europee, formulare delle ipotesi circa le origini della Rivoluzione, appare difficile sottrarsi al lessico e alle analisi sviluppati dal filosofo di Treviri in tutta la sua opera.
- Details
- Hits: 9228
La dittatura degli intelligenti
di Il Pedante
Con questa pedanteria mi piace sviluppare una riflessione già avviata ne Lo schiavismo dei buoni, sui modi in cui concetti verbalmente consegnati a un passato da deplorare - lo schiavismo e il colonialismo nell'articolo citato, il totalitarismo e l'eugenetica nel caso qui rappresentato - ritornano a sedurre la coscienza delle masse e, in particolare, di coloro che se ne reputano i nemici culturalmente ed eticamente più attrezzati.
L'occasione è offerta dalle note reazioni al voto del 23 giugno sull'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea. Una valutazione degli effetti geopolitici dell'evento eccede le competenze di chi scrive, né in fondo è rilevante. La narrazione politico-mediatica che ne è scaturita indica infatti una ben più urgente, tangibile e immediata intolleranza alla democrazia come norma costituente del pensiero e dell'azione in politica che, come si è già scritto su questo blog, si manifesta nella normalizzazione culturale della critica non già alle decisioni (ad rem), ma al metodo democratico (ad medium) e a chi vi partecipa (ad personas).
Complice anche la mancanza pressoché totale di argomenti razionali, all'indomani del voto coloro che speravano nella permanenza degli inglesi nell'Unione si sono esibiti, con la certezza dell'impunità e dell'autogiustificazione che solo il branco sa dare, in un'esercizio di delegittimazione non solo della volontà popolare ma anche del popolo stesso, disprezzato nella sua maggioranza democratica in quanto vecchio, pavido, ignorante e protervo.
- Details
- Hits: 3619
Gli errori di Tsipras, M5S e sinistra sull'euro
Come sganciarsi dalla moneta unica senza uscire dall'eurozona
di Enrico Grazzini
L'opposizione democratica – quella dei 5 Stelle e della Sinistra – dovrebbe preparare urgentemente un piano chiaro sull'euro e sull'Europa. La situazione italiana è infatti molto più preoccupante di quanto ci fanno apparire. È più che grave: è disastrosa (anche se al peggio purtroppo non c'è fine). La crisi bancaria è serissima, e quella dell'intero Paese prelude a probabili rotture con l'Unione Europea e con i mercati finanziari. In effetti l'Italia è sull'orlo del baratro: l’esito è incerto, ma senza svolte sicuramente avanziamo verso la catastrofe. Il contesto è pessimo: l’euro è una moneta strutturalmente fragile e perennemente a rischio di sopravvivenza, l’eurozona è già in coma, e l'Italia è il punto debole di questa eurozona malata.
Pochi dati sintetici (fonte: Istat) illustrano la drammatica condizione a cui è giunto il nostro Paese. Dal 2007 al 2015 l'Italia dell'euro ha perso quasi 10 punti di PIL (circa 140 miliardi in meno) e un quarto della produzione industriale. I disoccupati sono passati da un milione e 150 mila unità a quasi tre milioni. Il reddito medio è sceso fino al livello pre-euro (primi anni '90) e 4,6 milioni di famiglie sono ormai entrate in condizione di povertà assoluta. Gli investimenti sono caduti del 30% circa. Con i famigerati tagli alla spesa pubblica, i servizi per i cittadini (sanità, istruzione, trasporti) sono in condizioni di degrado. Al sud l'unico business fiorente e liquido è quello delle mafie. I giovani più bravi vanno all'estero. Paghiamo più tasse di quanto lo stato spende per i servizi pubblici, ma lo stato è ugualmente in deficit perché paga circa 70-80 miliardi all'anno di interessi sul debito agli investitori finanziari.
- Details
- Hits: 2806
Economia malata, teoria convalescente
M. Palazzotto intervista Giorgio Gattei
Abbiamo assistito al fallimento del movimento per Tsipras in Europa e il governo greco oggi non fa che perpetrare una politica di austerità in continuità con i precedenti governi (in teoria) più a destra. Podemos sembra non riuscire a superare l’impronta populista dell’anti-casta in salsa grillina. Idem in Italia in cui il M5S si accinge, probabilmente, ad accrescere il proprio potere, soprattutto se il governo Renzi non riuscirà a superare il voto referendario. Alcuni segnali positivi arrivano dall’Inghilterra, che almeno vede ricompattare una sinistra attorno a Corbyn. Che percorsi occorre intraprendere in Italia e in Europa, secondo te, per costruire un movimento di massa che faccia da contraltare alle politiche di austerità e che tenti di superare il potere dei grandi comitati d’affari europei rappresentati dalle istituzioni UE e dal blocco franco-tedesco?
Sullo stato attuale di ciò che avrebbe dovuto essere una “sinistra eterna” e di cui ha parlato da qualche parte François Furet (ma che adesso proprio ‘eterna’ non può dirsi), al momento la vedo andare alla deriva per la perdita del doppio ancoraggio alla marxiana critica dell’economia politica e alla pratica della lotta di classe che è stata sostituita da una accozzaglia di “scontri di civiltà”, guerre di religione, conflitti geopolitici e quant’altro. Va però detto che questo fallimento della “sinistra” non è proprio tutto colpa sua, perché come si poteva mantenere “marxista” e “classista” dopo lo squagliamento vergognoso (perché senza nemmeno un gemito) dell’URSS e dopo la dimostrazione logica dell’erroneità di quella “trasformazione dei valori in prezzi di produzione” che avrebbe dovuto confermare che il profitto non è altro che sfruttamento del lavoro altrui?
- Details
- Hits: 3063
Un «Testamento» senza eredi. Lukács e lo stalinismo
di Matteo Gargani
In margine a una raccolta di scritti di Lukács contro lo stalinismo, che prende nome da una importante intervista del 1971, inedita in italiano. Dal 1930 in poi è presente nella produzione del filosofo ungherese la lotta per la «democratizzazione». Il tema della «trasformazione del lavoro in lavoro socialista». La radicale alterità di Lukács allo stalinismo
Il 28 giugno 1956 le maestranze degli stabilimenti Zispo di Poznań sono riunite per discutere il contenuto degli accordi raggiunti tra la propria delegazione di ritorno da Varsavia e il governo centrale. Dall’assemblea si stacca un corteo spontaneo, raggiunge il centro della città ingrossandosi, i principali edifici della città sono assaltati. Il bilancio della giornata sarà drammatico: 38 morti e 270 feriti. La lettura degli eventi di Poznań costituisce per la sinistra italiana un primo banco di prova rispetto a un fenomeno molto complesso, che nell’imminente autunno ungherese assumerà dimensioni ben più drammatiche. Al comunicato pubblicato su l’Unità del 2 luglio in cui Di Vittorio invita a interrogarsi non solo sui provocatori, ma anche sulle ragioni del «profondo malcontento» serpeggiante tra gli operai polacchi, Togliatti risponderà l’indomani con una dura spalla intitolata La presenza del nemico. Lo stesso 28 giugno, a Budapest, Lukács tiene presso l’Accademia politica del Partito dei lavoratori la conferenza La lotta tra progresso e reazione nella cultura d’oggi. Siamo appena agli inizi di quel lungo periodo di conseguenze innescato dal XX congresso del Pcus di febbraio.
Nella sua relazione all’Accademia politica, Lukács espone senza infingimenti la complicata situazione presente, gli errori del passato, le difficili sfide future. Egli presagisce che dal XX Congresso potrebbe benissimo scaturire – come effettivamente sarà – un terremoto che, alla prova dei fatti, non cambierà nulla. La strada che quindi Lukács indica nel giugno 1956 al movimento socialista mondiale è quella di un’uscita culturale e politica da sinistra alla problematica istanza di rinnovamento apertasi con l’ultimo congresso del Pcus. L’uditorio è sollecitato, sopra ogni altra cosa, a scansare la schematica immagine di socialismo e capitalismo quali indistinto campo del progresso il primo e della reazione il secondo. Lukács esorta in tal senso a riprendere lo spirito del VII Congresso del Comintern del 1935, ossia a tradurre la linea dei Fronti popolari nell’odierna lotta politica tra capitalismo e socialismo.
- Details
- Hits: 6758
La variante Formenti: un congedo dalla sinistra globalista
Mimmo Porcaro
L’ultimo lavoro di Carlo Formenti (La variante populista, Derive e approdi, Roma, 2016) è talmente denso di riferimenti e attraversato da così tante tensioni concettuali – effetto del passaggio dell’autore da un paradigma teorico ad un altro – da costringere chi voglia abbozzarne una recensione ad una drastica semplificazione che punti direttamente all’essenza del testo. E l’essenza si può riassumere in tre tesi.
1) La cultura egemone nella sinistra (e nella stessa sinistra radicale) è ormai parte organica dell’ ideologia delle classi dominanti ed ha la funzione di legittimare la globalizzazione, l’Unione europea ed il nuovo capitalismo esaltandone le presunte potenzialità democratiche e libertarie, e salutando l’indebolimento degli stati come un rafforzamento dell’autorganizzazione sociale. Punta di lancia di questa mutazione della sinistra è la cultura postoperaista che si presenta ormai come autoglorificazione di uno strato superiore del lavoro sociale (il lavoro ad alta qualificazione intellettuale) che ha rotto ormai ogni legame con gli strati inferiori.
2) Il soggetto della trasformazione sociale non deve essere cercato nei punti alti dell’organizzazione capitalistica del lavoro, come suggerisce di fare il postoperaismo, ma piuttosto nei punti più bassi o comunque nei luoghi tendenzialmente esterni alla logica della modernizzazione capitalistica: in ogni caso il soggetto non deve essere dedotto da categorie sociologiche, ma deve essere reperito nel corso di un’analisi concreta di ogni fase storicamente determinata della lotta di classe in una fase determinata;
- Details
- Hits: 3774
Pour en finir avec la souveraineté?
di Toni Negri
Il testo qui pubblicato è quello pronunciato da Toni Negri al festival di DeriveApprodi, a Roma il 25 novembre scorso. Questo testo riprende parzialmente un paio di paragrafi di un nuovo libro, Assembly, di Michael Hardt e Toni Negri, che sarà presto pubblicato da Oxford University Press.
Dunque, se non fosse stato montato e detto da uno solo, dovrebbe esser firmato da tutti e due
Comincerò dalla critica dell’autonomia del politico (nazionale) sotto la cui bandiera si muovono varie posizioni, tutte nostalgiche della sovranità.
“L’autonomia del politico” è infatti oggi da molti concepita come una forza di redenzione per la sinistra – di fatto la ritengo una maledizione dalla quale rifuggire. Uso la frase “autonomia del politico” per designare argomenti che pretendono che il processo decisionale in politica possa e debba essere tenuto al riparo dalle pressioni della vita economica e sociale, dalla realtà dei bisogni sociali
Alcune delle figure contemporanee più intelligenti che propongono l’autonomia del politico lo concepiscono come un mezzo per restaurare il pensiero politico liberal (di sinistra) strappandolo al dominio ideologico del neoliberismo, come antidoto non solo e non tanto alle politiche economiche distruttive del neoliberalismo, ivi comprese privatizzazione e deregulation, ma piuttosto ai modi nei quali il neoliberalismo trasforma e domina il discorso pubblico e politico: il modo nel quale esso impone una razionalità economica sopra il discorso politico e mina ogni ragionamento politico che non obbedisca alla logica di mercato. Laddove la “democrazia liberal” – ci spiega Wendy Brown – mantiene “una modesta separazione etica fra economia e politica”, la razionalità politica neoliberale chiude questa separazione e “sottomette ogni aspetto della vita sociale e politica al calcolo economico”. Secondo questo punto di vista, il neoliberalismo è la faccia discorsiva ed ideologica della “sussunzione reale” della società sotto il capitale ovvero, come si esprime Wendy Brown, “la saturazione delle realtà politiche e sociali da parte del capitale”.
- Details
- Hits: 1461
Cosa fare dopo il NO?
Note dall'assemblea sul potere popolare
Ex OPG Je so' Pazzo
Ripubblichiamo alcune riflessioni sul potere popolare dei compagni napoletani del "Ex OPG Je so' Pazzo". Il NO al referendum è stata una grande e fondamentale vittoria sia per inceppare l'avanzata del progetto autoritario dei padroni, sia per dimostrare a noi stessi che quando ci mettiamo all'altezza della sfida, quando siamo capaci di entrare nelle corde dei nostri nessuna vittoria ci è preclusa.
Ma il difficile viene ora, perché i loro si riorganizzaranno, tenteranno di trovare un nuovo Renzi (o di rimettere in sella il vecchio Renzi), cercheranno altre vie per imporre il loro modello di governo che significa più sfruttamento per tutti noi. Per questo non possiamo perdere tempo, non possiamo disperdere l'accumulazione di forze che abbiamo raccolto in questa campagna referendaria: dobbiamo trovare metodi di lotta e di autogoverno che ci diano in reale efficacia di intervento. Qui i compagni, a seguito di una partecipata assemblea, ci danno alcuni spunti: mutualismo, controllo popolare e battaglie nazionali su temi centrali come lavoro, formazione, sanità [ccw].
* * * *
Sabato scorso a Napoli è successo qualcosa di davvero importante.
Page 379 of 616