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Ma il M5s sta diventando un partito?

Analisi del nuovo regolamento

di Aldo Giannuli

No il M5s non sta diventando un partito. Il M5s è già un partito dal 2013 (ne scrissi tempo fa), quando decise di presentarsi alle elezioni. E, siccome ha avuto un successo lusinghiero, ora aspira a guidare il governo: più partito di così…

Poi ci sono molti modi diversi di essere partito: c’è il partito dei notabili e quello di apparato, c’è il partito centralizzato e quello federativo, il partito rigido e totalizzante e quello flessibile e parziale, c’è il partito del capo, quello democratico e quello elitario.

Anzi, tutti i partiti (o quasi) disegnano un proprio equilibrio fra principio democratico (in cui prevale la base), principio monocratico (in cui prevale il capo) e principio elitario o se preferite collegiale (in cui prevale il gruppo dirigente collegiale) ed ognuno ha un proprio modello. Il Pci era molto diverso dalla Dc ed il Pr era diversissimo da tutti due e non solo per ragioni culturali ed ideologiche, ma anche come modello organizzativo.

Come tutti i parti, il M5s ha avuto una sia fase costituente (statu nascenti, direbbe Alberoni) cui segue una fase di istituzionalizzazione in cui il partito dà forma al suo modello durevole, assumendo le caratteristiche organizzative, la collocazione nel continuum destra-sinistra, le modalità rituali, il costume che manterrà nel tempo, salvo lentissimi mutamenti successivi. Il Pci è partito da Bordiga e Lenin, per approdare ad Occhetto e Veltroni, ma ci ha messo 70 anni.

Il M5s è giunto alle soglie del suo processo di istituzionalizzazione che durerà ancora qualche anno prima di assestarsi definitivamente. Questo nuovo statuto (la parola può non piacere, ma la funzione è quella) dipinge un modello organizzativo da “Partito del Capo” (istituzione della carica di Capo politico, con durata predeterminata a 5 anni, rinnovabile per altri 5), temperata dalla presenza di un garante e di un comitato di garanzia (che per la verità, non si capisce se di natura politica o solo ordinamentale, come una sorta di corte costituzionale del movimento).

Tutte queste tre cariche (come quella dei Probiviri che mantengono poteri disciplinari) saranno elettive e questo allarga il principio democratico, anche se restano due vuoti molto importanti: l’assenza del momento assembleare (congressuale, a partecipazione diretta o come volete, ma comunque un momento di dibattito coordinato) e l’assenza di un organo dirigente collegiale ugualmente elettivo.

Pesantemente penalizzato è invece il principio collegiale che resta interpretato dal solo gruppo parlamentare vincolato da ben 27 obblighi, alcuni logici e condivisibili, altri giuridicamente improponibili ed altri ancora semplicemente comici.

Condivisibile è l’obbligo di votare la fiducia al proprio governo: cosa che, peraltro, è sempre stata l’obbligo disciplinare più indiscutibile per qualsiasi partito. Quando, nel 1963, la sinistra socialista uscì dall’aula per non votare la fiducia al primo governo di centro sinistra, i suoi parlamentari vennero immediatamente sospesi e deferiti ai probiviri, per cui uscirono dal partito fondando il Psiup; mentre nella Dc i 39 deputati scelbiani che non avrebbero voluto votare la fiducia furono subito ammoniti che sarebbero stati espulsi e rientrarono nei ranghi.

Per tutta la storia repubblicana, nessun partito ha mai tollerato la rottura del vincolo disciplinare sul voto di fiducia e trovatemi una eccezione. Peraltro, questo è in qualche modo connesso alla forma di governo costituzionale che, per effetto della legge proporzionale, esigeva il vincolo della disciplina di gruppo. Dunque, non capisco perché ci si debba scandalizzare dei 5 stelle se non per partito preso.

Ugualmente condivisibile e usatissima in passato è la tassazione dei parlamentari e, peraltro, ancora più legittima per un partito che rinuncia al finanziamento politico e quindi si sostiene con l’autofinanziamento fra cui le sottoscrizioni parlamentari sono sempre state la forma più usata.

Giuridicamente infondate e, dunque, destinate a cadere nel vuoto, sono le varie multe per i dissidenti e quelli che escono dal gruppo parlamentare (addirittura per quelli espulsi: il che, onestamente, fa ridere) e la rinuncia al vitalizio. Nel primo caso, saremmo di fatto in presenza di un contratto contra legem (articolo 67 della Costituzione che stabilisce che i parlamentari non hanno vincolo di mandato e non si capisce come questa cosa abbastanza semplice proprio non entri in testa ai 5 stelle) per cui non si troverà mai nessun magistrato disposto a dar ragione al M5s in un giudizio del genere. Peggio ancora se si decidesse di far firmare un assegno con data in bianco per la cifra in questione: ci sarebbero anche gli estremi di una azione penale contro i responsabili del movimento.

Per quanto attiene al vitalizio, il parlamentare potrebbe (forse, ma la cosa è discutibile) chiedere che non gli venga applicata la trattenuta sullo stipendio, ma se la trattenuta viene operata si tratterebbe di un trattamento se non di natura pensionistica, di natura semi pensionistica e, come tale di un diritto indisponibile, per cui anche qui la cosa, giuridicamente è improponibile.

Ma cari amici 5 stelle, chi sono i vostri giuristi e dove siete andati a beccarli? Soprattutto, non si può difendere la Costituzione nei giorni pari e disapplicarla in quelli dispari. A proposito, vi siete accorti di aver firmato un ricorso alla Corte costituzionale che presupponeva il divieto di vincolo di mandato per i parlamentari o firmate senza leggere?

Da ultimo, le cose da ridere: come l’obbligo di dimettersi in caso di espulsione o uscita dal gruppo: e se l’interessato non si dimette che gli facciamo? Lo aspettiamo sotto casa per gonfiarlo di botte? Per favore non facciamo ridere i polli.

Capisco e condivido la nausea per i cambi di casacca che sono arrivati ad oltre la metà dei parlamentari, però la sanzione deve essere politica, non può essere di questo tipo. Soprattutto, attenti a non celebrare il trionfo della partitocrazia per evitare i cambi di casacca (ma su questo torneremo a scrivere).

Ovviamente, ogni partito è libero –nei limiti della Costituzione- di darsi le regole che vuole e scegliere il modello organizzativo che preferisce, per cui riconosco il diritto al M5s di scegliere anche il modello del “Partito del Capo” (personalmente non mi convince), l’importante è essere coerenti e prendere atto di quello a cui si rinuncia. Ad esempio, un modello di partito del genere implica l’abbandono del principio “uno vale uno”: non è più così e non prendiamoci in giro.

Si fanno passi avanti sulla questione delle candidabilità in pendenza di giudizio (personalmente ho sempre scritto di ritenere una fesseria il dovere automatico di dimettersi per un avviso di garanzia), però questo vale per tutti, per cui non possiamo distinguere per i 5 stelle e reclamare le dimissioni per gli altri e, quindi, è necessario trovare una soluzione su un piano giuridico, perché non si tratta di un affare interno di partito. Inoltre la formulazione adottata mi pare assai vaga e bisognosa di precisazioni.

Anche sulla questione delle alleanze prendo atto che si fa un passo avanti (ho sempre sostenuto che in politica si fanno mediazioni ed alleanze e non mi sono mai piaciuti fondamentalismi e integralismi) ora però si tratta di chiarire i criteri con cui si procede a fare alleanze, le forme dei patti eventuali, la durata eccetera. Insomma, stiamo parlando di governi comuni o di appoggio esterno? Di patti di legislatura? Di accordi volta per volta? Di voti richiesti o al buio? E così via.

Discutiamone senza pregiudizi e con tranquillità, ma non diamo per scontate cose che non lo sono e non abbiamo fretta (alcune cose si possono decidere anche dopo il 4 marzo, per esempio).

Ultima cosa: cari amici 5 stelle vi voglio bene, sono disposto a seguirvi e votarvi, ma fatemi un piacere: ogni tanto studiate un po’ di diritto costituzionale.

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