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lacausadellecose

Morti di pomodoro: Ecce homo! 

di Michele Castaldo

Sedici morti in tre giorni nella calura agostana, impolverati e fradici di sudore, stracchi di fatica per la raccolta dell’oro rosso. Stipati in furgoni di fortuna alla mercé di caporali al servizio di sua maestà invisibile: il dio Capitale, un sistema sociale sviluppato dall’uomo quale risultato della sua arroganza, della sua brutalità, della sua prepotenza, della sua voglia di prevalere, di dominare, in una parola della sua bestialità. Ecce homo! Altro che chiacchiere! Ecco l’uomo.

Marx ipotizzava il passaggio di proprietà dei mezzi di produzione dagli sfruttatori agli sfruttati per estirpare le cause dello sfruttamento, dovette poi ricredersi quando nel Capitale analizzò in profondità il modo di produzione capitalistico e capire che le questioni si presentavano molto più complicate di come lui e Engels avevano ipotizzato nel Manifesto.

Da parte nostra, comuni mortali, nani al cospetto di giganti dello spessore di Marx e Engels, vorremmo invitare a ragionare di più , ponendoci alcune domande piuttosto che legarci a semplicistici slogan , espressioni più della nostra impotenza che della nostra comprensione del modo di produzione capitalistico. E’ difficile e complicato, si, ma si tratta di un tentativo obbligato per non continuare a ululare alla luna la nostra insipienza.

  1. Di chi è la colpa degli incidenti che hanno causato la morte dei giovani addetti alla raccolta dei pomodori? Dei caporali (di colore ovviamente)?

  2. Chi recluta i caporali? I sensali, quelli cioè che fanno da tramite tra il contadino e i caporali.

  3. Chi sono i sensali? Personaggi bianchi molto spesso espressione della malavita locale che tengono sotto ricatto sia i contadini che il restante della bassa filiera.

  4. Dove finiscono i pomodori raccolti dai giovani di colore a due euro l’ora? Nelle industrie conserviere.

  5. Nelle industrie conserviere lavorano proletari stagionali bianchi in condizioni inumane.

  6. Dove finiscono i prodotti lavorati dalle industrie conserviere? Nelle catene di distribuzione di grandi marchi che si fanno la guerra commerciale per stare “sul mercato”.

  7. In che modo? Con il massimo della precarietà dei dipendenti.

Abbiamo solo accennato ad alcuni aspetti dell’immensa filiera per un prodotto che per essere seminato, piantato, coltivato, raccolto, lavorato e venduto marcia sui morti “legali” e “illegali”. Impossibile una vera e propria stima dei morti per tutta la filiera, perché essa è impersonale , seppure fatta da persone fisiche. Come facciamo per individuare le responsabilità, per intervenire e rimuovere le distorsioni di un meccanismo tanto perverso quanto infernale?

I responsabili governativi – in questo momento gialloverdi – propongono di aumentare i controlli. Poveracci, non sanno di che parlano, e pur concedendo loro il beneficio della buona volontà e la totale buona fede sono impotenti di fronte a un mostro pervasivo e sfuggente proprio perché è impersonale. Se proviamo a scendere dalla cima della montagna, cioè dal consumatore finale, giù giù fino a valle, cioè al contadino (piccolo, medio o grande che sia), ci accorgiamo che è impossibile mettere ordine in un percorso obbligato della concorrenza “leale” e “sleale”.

Facciamo un semplice conto della serva: un giovane riesce a raccogliere al massimo 4 quintali di pomodori al giorno, se dovesse essere pagato – a nero ovviamente – 5 euro all’ora per 8 ore, i pomodori costerebbero 40 euro a quintale solo come costo di raccolta. Nei supermercati vengono venduti a 1,50 € al kg. Peggio andrebbe per quelli destinati alla conservazione attraverso l’imbottigliamento. Resterebbero invenduti, data l’alta incidenza del costo per raccoglierli. Ecco spiegata la ragione per cui tenere bassissimo il costo orario per la raccolta. Figurarsi poi se un giovane di colore dovesse essere inquadrato regolarmente, nessuno pianterebbe più i pomodori.

E la Cina …sta a guardare. E’ del tutto evidente che se arrivano i pelati – dunque i pomodori raccolti, lavorati e scatolati – da 12/13/15 mila chilometri di distanza a un certo prezzo, per vendere i propri bisogna stare perlomeno con lo stesso prezzo finale al pubblico. E’ dunque colpa dei cinesi? No, non lo possiamo dire, perché i cinesi fanno il loro mestiere come lo hanno fatto prima gli europei. E se gli asiatici sanno tener testa agli europei non si può far loro torto: è la legge del mercato, oggi sempre più globalizzato.

Insomma esiste o no una razza padrona? No, non esiste una razza padrona, ma leggi di un sistema, sviluppato dall’uomo, all’interno del quale “tutti” possono aspirare a diventare padroni e padroncini in una guerra senza esclusione di colpi, anche se non tutti possono diventare padroni e padroncini. Ma proprio per questo aumenta la concorrenza e a farne le spese sono gli ultimi, cioè gli immigrati fatti arrivare in Europa con una nuova tratta dei neri come quella che caratterizzò la prima fase del colonialismo inglese verso i futuri Stati Uniti per farli lavorare nelle varie piantagioni. L’uomo si ripete nella sua infame storia, altro che essere generosi e caritatevoli nei confronti di chi scappa dalle guerre; un argomento valido per il popolino tanto ignorante quanto opportunista, perché se è vero che le multinazionali stanno saccheggiando l’Africa di ogni ben di dio, è altrettanto vero che i popoli delle nazioni di quelle multinazionali reggono il sacco e usufruiscono ancora dei benefici di quella rapina.

Contro chi devono lottare i giovani di colore impegnati in agricoltura? Contro un sistema che è un mostro a mille teste dove è più facile veder volare un asino che acchiappare l’insieme dei responsabili dello sfruttamento bestiale nei confronti degli immigrati.

Alcuni sprovveduti, alla scuola di qualche ingenuo filosofo, propongono la decrescita felice. Parole prive di senso perché il capitalismo come movimento storico dell’uomo con i mezzi di produzione fonda la sua ragion d’essere sulla crescita dell’accumulazione. Dunque o c’è capitalismo e quindicrescita o non c’è capitalismo.

Chi invece sa di cosa viviamo in quest’epoca dice in modo sfrontato: «[…] i grandi centri della produzione sono dimagriti e si sono allungati. Il numero dei partner che lavora per una grande /media azienda si è moltiplicato e per ogni stazione della filiera l’azienda-madre non sceglie più in base alla prossimità, ma alla qualità della fornitura (dove per qualità vuol dire prezzo, ovviamente. n. r.). Ciò vuol dire che gli stessi distretti hanno cambiato pelle e che il volume delle merci e le distanze coperte sono aumentati di qualche taglia» scrive Dario Di Vico sul Corriere della sera di martedì 7 agosto 2018, a proposito delle grandi opere e dei contrasti all’interno della coalizione governativa.

Dunque il capitale deve accelerare sempre di più il processo di produzione e velocizzare al massimo grado la distribuzione e la vendita delle merci. All’interno di questo meccanismo vi troviamo anche ex operai, ex sindacalisti, ex comunisti nei ruoli di padroncini proprio lì, nella logistica, cioè nel processo di velocizzazione delle merci dalla produzione alla distribuzione.

Pane al pane vino al vino

Inutile illudersi e illudere: non c’è nessuna possibilità di integrare gli immigrati che vengono occupati nei lavori stagionali (a meno di una rivoluzione con moltissimi morti e feriti, al momento non all’ordine del giorno). Chi lo fa mente a sé stesso e contribuisce a illudere ulteriormente gli immigrati. Il passato non può tornare, dunque quelle che furono le leghe bracciantili che strapparono importanti conquiste agli agrari del tempo che fu non si potranno ripetere semplicemente perché il capitalismo italiano dell’immediato dopo guerra si inquadrava in una fase di espansione dell’accumulazione: cresceva l’economia nel suo insieme e miglioravano – con le lotte – le condizioni di tutto il proletariato, compreso quello bracciantile. Oggi che tutto il proletariato, in modo particolare quello occidentale, di tutti i settori, addirittura quelli un tempo trainanti, è impaurito e disgregato e si consegna armi e bagagli al proprio capitalismo nazionale, a pagarne le conseguenze maggiori sono gli ultimi, i neri fatti arrivare per renderli schiavi nella guerra di concorrenza sempre più esasperata. Questa la verità, amara quanto si vuole, ma verità.

Certamente sono encomiabili quelle iniziative di militanti di sinistra o comunisti che si danno da fare per una ripresa delle mobilitazioni dei proletari e degli immigrati in modo particolare. Dobbiamo sapere che abbiamo il “popolo” contro, si, lo dobbiamo dire senza riserva, la prova la possiamo riscontrare nei fattacci individuali di caccia al nero, con i mezzi di informazione a fare da cassa di risonanza con lo scopo di impaurire ulteriormente gli immigrati e obbligarli a lavorare a costi sempre minori, mentre il “popolo” tace e vota Salvini e Di Maio, secondo la legge: mors tua vita mea.

Noi non fidiamo sulla presa di coscienza dell’uomo, perché questi è misero e meschino e si lascia cullare dalle leggi capitalistiche, che sono materiali, ma non garantiscono l’eternità a questo sistema. Fidiamo sugli effetti di quelle leggi destinate a comprimere sempre di più le condizioni di vita dei proletari e questi – causa forza maggiore – a un certo punto saranno costretti a rompere col proprio opportunismo e reagire. E’ nella natura del modo di produzione capitalistico: la concorrenza è una spirale inarrestabile. Quanto durerà questo purgatorio, questa mefitica stasi sociale? Nessuno è in grado di saperlo, di sicuro non potrà durare molto a lungo, visti i livelli di accumulazione raggiunti. Proprio per questo dobbiamo stare con l’occhio sveglio perché potremmo essere sorpresi da improvvise, esasperate e violente mobilitazioni proletarie. E’ la legge della storia: i rivoluzionari vengono sempre sorpresi dalla rivoluzione. E la coscienza rivoluzionaria dei proletari? Quella arriverà dopo.

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