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micromega

Una su cento ce la fa (a schiacciare le altre 99)

Francesca De Benedetti intervista Nancy Fraser

Il femminismo che oggi piace tanto alle donne in carriera è funzionale al capitalismo più becero. Lo sostiene la filosofa americana – autrice con Cinzia Arruzza e Tithi Bhattacharya del libro “Femminismo per il 99%” (Laterza) – che invita tutti gli sfruttati a unirsi.

Avete mai pensato al femminismo come a una lotta per la vita? Per la sopravvivenza delle donne, certo, ma pure della società e del pianeta. La filosofa Nancy Fraser ne ha fatto un manifesto: vuole un femminismo «del 99 per cento», invoca una Internazionale di prevaricati e sfruttati. “Donne di tutto il mondo unitevi”. Ma non solo fra voi:

«Unitevi agli anti razzisti, a chi lotta per il pianeta, ai radicali che mettono in discussione il sistema. La crisi non è mai stata così seria: siamo nelle mani di un capitalismo cannibale. Pur di accumulare, spolpa fino all’osso le nostre risorse, senza però rigenerarle».

* * * *

Il sistema raccoglie, ma non semina. Da quando per lei il femminismo è questione di vita o di morte?

«Negli ultimi dieci anni ho speso libri e parole per avvertire che il femminismo è stato “corrotto” dal neoliberismo. Dicevo: non date retta alle varie Sheryl Sandberg (la direttrice di Facebook, ndr).

Vi incitano a far carriera e a “farvi avanti” (“lean-in”, è lo slogan di Sandberg), ma sulle spalle di altre donne, sottopagate, spesso migranti, alle quali subappaltate i lavori di cura (e su quel 99 per cento di sfruttate voi vi appoggiate, “lean-on”). È un “femminismo elitario”, individualista e funzionale al sistema: l’1 per cento rompe “il soffitto di cristallo”, le altre rimangono indietro».

 

Questo è da tempo ciò che pensa. Di recente però c’è stata una svolta, anche nella sua vita.

«Fino a ieri avevo fatto teoria: a parte il mio impegno con la New Left negli anni 60 e 70, ho sempre insegnato all’università, a NewYork. Ora ho deciso di scendere dalla torre d’avorio e di indossare i panni dell’attivista, perché siamo in una crisi paragonabile a quella degli anni 30. La vittoria dei vari Trump, Salvini, Bolsonaro mi ha dato la sveglia: con Occupy Wall Street sembrava che la gente stesse iniziando a capire quanto sia distruttivo il capitalismo. Ma ora il pericolo è doppio: da una parte il femminismo delle élite e dall’altra il populismo reazionario. Ed entrambi si appropriano delle energie ribelli e fagocitano la spinta al cambiamento. A momento cruciale serve risposta radicale. Non basta più la teoria. Perciò ho firmato con Cinzia Arruzza e Tithi Bhattacharya il manifesto “Femminismo per il 99%”».

 

In Polonia, negli Usa, in Italia assistiamo a un assalto di quello che lei chiama “populismo reazionario” al diritto all’aborto: sotto attacco ci sono tutte le donne, no?

«C’è un tentativo violento della destra di cancellare il diritto delle donne di autodeterminare la propria fertilità. Ma il conservatorismo è l’altra faccia del progressismo liberista: né l’uno né l’altro mettono in discussione il sistema capitalista. Esempio: la Facebook di Sandberg offre alle dipendenti il congelamento degli ovuli. L’idea è:“Dateci i vostri anni migliori, dedicate i 30, 40, 50 a far carriera; quando sarete meno produttive, fate figli”. Il diritto all’aborto da solo non garantisce emancipazione e giustizia riproduttiva: servono equità, welfare. Il tema della riproduzione biologica è solo un aspetto di quello che chiamo “assalto alla riproduzione sociale”, che è un assalto a tenaglia. Da una parte, le istituzioni finanziarie spingono per un disinvestimento nella spesa social, dall’altra il sistema spinge perché sempre più donne lavorino, ma mal pagate e insicure. In questo modo, come si foraggiano le attività necessarie a rigenerare una società? Allevare, accudire, educare, rifocillarsi; restituire vita, energie e risorse ai lavoratori e a un pianeta sempre più depredati ed esausti. Il femminismo del 99 per cento rivendica il pane e le rose».

 

Lei dice che il capitalismo, pur di fare ancora profitti nel breve termine, sta decretando il suicidio suo, della società e del pianeta. Qual è la logica, ammesso che ce ne sia una?

«Il sistema capitalista ha contraddizioni intrinseche che in tempi di crisi esplodono. Una è la tendenza al free riding, l’atteggiamento opportunista: il capitalismo “sfrutta” le attività di riproduzione sociale, che gli sono indispensabili poiché nessuna produzione, scambio o profitto è possibile senza che qualcuno svolga il lavoro sociale di far nascere nuove generazioni, educarle, prendersene cura. Allo stesso tempo però liquida queste attività come questioni di famiglia, private: le pretende, ma non vuole assumersene i costi. Si comporta così pure con la Terra: estrae materiali ed energia ma non spende per rigenerare risorse e ambiente. O con la politica: spolpa i beni pubblici, genera complessità ma non sostiene forme di governance adeguate. Oggi il capitalismo pur di rincorrere profitto e accumulazione, si sta “cannibalizzando”: la crisi non è sociale, economica o ambientale, ma generale, dell’ordine sociale».

 

La proposta di un “universal basic income” o il dilagare dell’automazione lasciano intendere che la Silicon Valley voglia “riplasmare” il sistema. Con quali effetti?

«L’intreccio tra SiliconValley e Wall Street cambia faccia al capitalismo, ma non ne allevia affatto le contraddizioni. Altro che capitalismo “immateriale”: dietro l’impalpabilità degli algoritmi o la facciata progressista di Cupertino, c’è la brutale estrazione di materiali e lo sfruttamento del lavoro (il litio del Congo, i turni massacranti dei cinesi di Foxconn che fanno i telefonini). Le nuove piattaforme di distribuzione si basano su lavoratori non tutelati e malpagati (i rider ad esempio). E internet stessa è testimone del free riding capitalista: la rete nasce pubblica ma è stata sempre più privatizzata, finché ogni nostro dato oggi è depredato per profitto. Lo scandalo Cambridge Analytica è solo la punta dell’iceberg di forme di controllo politico e sociale. Il fatto che il settore hi-tech sia declinato soprattutto al maschile non è che la ciliegina di questa indigeribile torta».

 

Nuovi poteri, vecchie maniere, dice lei. Ma ci sarà pure un’alternativa. Quale? Con chi?

«Io credo nelle ragazze che stanno dando vita a movimenti radicali di sinistra. Credo nel fare rete. La sinistra europea non ha saputo opporsi alla “internazionale delle destre” e le donne sono le prime a risentire della crisi di sistema. Facciano tutte le lotte insieme: femminista, ecosocialista, anti razzista, anti imperialista, anti omofoba. Il capitale punta a dividere i fronti: identità, classe, razza, genere. È dal capitale stesso che dobbiamo emanciparci».


Da il Venerdì di Repubblica, 30 agosto 2019

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