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Global Dialectic Warming

di Pierluigi Fagan

Dopo che i primi filosofi si misero a pensare a come pensiamo, Platone pretese di arrivare a stabilire con la dovuta chiarezza cos’era vero e cosa no. Il vero senza eccezioni lo disse episteme, l’apparente ma infondato vero lo disse doxa. Aristotele venne dopo Platone ed un po’ per il continuo corpo a corpo con la dottrina del maestro che fa da molla a molti avanzamenti del pensiero, un po’ forse condizionato dall’evoluzione della società ateniese che era diventata indubbiamente più complessa rispetto a quella dei tempi di Platone (e dei tempi precedenti a Platone a cui Platone guardava con afflato idealizzante), introdusse un terzo livello della questione. Conformemente alla sua convinzione sul “giusto mezzo”, ovvero -nel caso- su quel territorio a metà tra le polarizzazioni tipiche di ogni dialettica (discorso tra due), pose questo concetto semi-sfocato in mezzo ai due poli più tersi e gli mise nome endoxa. Con endoxa, Aristotele intendeva questi principi “dati per veri” ovvero : "principi fondati sull'opinione [..,] che appaiono accettabili a tutti, oppure alla grande maggioranza, oppure ai sapienti, e tra questi o a tutti o alla grande maggioranza, o a quelli oltremodo noti o illustri" (Topici, I, 100b.). Potremmo dire i “verosimili” estendendo i principi alle idee.

In questi giorni s’è sprigionato un Global Dialectic Warming su quanto obiettivi siano una serie di temi concatenanti tra loro nella teoria del riscaldamento globale.

Tale teoria dice che: a) si registra nelle misurazioni traccia di un recente aumento indicativo delle temperature medie; b) tale aumento nel rapporto entità/tempo in cui s’è prodotto tenderebbe ad escludere cause naturali che nella storia planetaria hanno fatto oscillare la temperatura media di qui e di là (queste pare impieghino molto ma molto più tempo a dare risultati percepibili); c) relativizzate anche se non sempre escluse del tutto cause naturali (solari, planetarie, magnetiche, altro), rimane un grosso buco esplicativo che si pensa di riempire con la teoria della causa antropogenica. Genica sta per generatrice, antropo sta per uomo, generata dal’uomo. Ma come? In vari modi tra cui un eccesso di emissioni di alcuni gas non sempre nocivi in sé per sé ma la cui quantità sembrerebbe portare ad una chiusura parziale dell’atmosfera ovvero della capacità di disperdere il calore riflesso dal livello di superficie (terra e mare) colpito dai raggi del Sole. Tale fenomeno è detto “effetto serra” poiché produce quell’effetto noto ai contadini per il quale impacchettando con qualcosa di trasparente delle culture, dentro questo involucro, la temperatura rimane calda ed il calore non si disperde. Più avanti chiameremo questo l’”argomento”. La natura dell’argomento, pare, non permetta certezze di tipo episteme per cui cerchiamo di trovare una endoxa che restringa il campo della doxa, opinioni fondate che espellano quelle infondate che fanno confusione. Inutili a noi opinione pubblica anche se forse utili a chi la vuole portare di qui o di là.

Ora, su questa teoria, ci sono le opinioni dei sapienti. Ma quali “sapienti"? Trattandosi di faccenda che mette in campo fisica, chimica, matematica, astrofisica, ecologia, geologia, geofisica, glaciologia, idrologia, oceanografia, vulcanologia, topografia ma anche biologia soprattutto vegetale ma non solo, i “sapienti” sono un particolare gruppo di scienziati detti “climatologi”. Evidentemente, costoro debbono studiare prima un sacco di discipline, non tutte con storie di lungo corso (molte hanno solo qualche decennio di evoluzione), poi applicare il loro sapere a dati ed anche i dati non hanno questa gran storia alle spalle. Ci sono modi di ricostruire i dati dei tempi in cui non c’erano i rilevatori di dati, ma ovviamente, più indietro si va nel tempo, più vanno presi con più o meno ampie bande di oscillazione. Questo è lo statuto dei “sapienti” in tema. Ripeto, non importa quanto scienziato siete in senso generale, non si demanda ad un biologo molecolare il controllo di una reazione atomica, il “sapiente” sull’argomento è il climatologo. Altri possono discutere lo statuto epistemologico della sua scienza particolare ma non il suo argomento, o almeno non con lo statuto di “sapiente”. Sarà magari sapiente in altro ma di “altro” discuteremo altrove.

Nel 2016, viene pubblicato questo studio che non si occupa dell’argomento in sé ma degli studi che l’hanno studiato. O meglio, ci sono migliaia di studi che hanno studiato l’argomento, poi ci sono sette studi che hanno fatto statistiche su ciò che hanno detto le migliaia di studi e poi c’è questo studio che analizza i sette che hanno analizzato le migliaia. Il tutto è peer-reviewed. Lo studio affermerebbe che il 97% circa degli scienziati sul clima che si esprime sul punto è concorde su quanto abbiamo sintetizzato come “argomento”. La percentuale scende al 90% se si prendono studi i cui autori non sono soltanto scienziati del clima. Non mi è stato possibile trovare su Internet confutazioni di questo studio, ma magari alcuni di voi sono più segugi per cui vi invito a pubblicare qui le confutazioni totali o parziali che troverete. Confutazioni di questo studio non di altro, non punti di vista diversi sull’argomento, strettamente confutazioni di questo specifico studio, peer-reviewed anch’esse, per esigenze di simmetria epistemica. Tale studio pare svolgere una funzione centrale nel dibattito sul'argomento, per questo ci fissiamo su esso.

Nel citato Global Dialectic Warming sull’argomento che s’è scatenato negli ultimi giorni, alcuni hanno pubblicato molti appelli, dichiarazioni, articoli, a volte anche singoli studi alternativi (peer-reviewed) che cercano altre cause che non quelle umane. Però tutto ciò che non attiene ad articoli scientifici peer-reviewed, è doxa. Ci può interessare ed anzi come sociologia della comunicazione ci deve interessare, ma questa è un’altra questione, non è l’argomento e il rapporto tra opinione e verità sull’argomento ovvero il suo statuto di endoxa. Se ci sono articoli scientifici che propongono altri meccanismi di causa possono ben appartenere a quel 3% o portarlo (dal 2016 ad oggi magari sono cresciuti molto, non lo sappiamo) al 5% o forse anche di più, teniamone conto. Ad occhio però e stante che alcuni climatologi non sarebbero d’accordo con questa mia generosità epistemica, non si va oltre il 10% di apertamente contrari e credo di star esagerando e non di poco. Ripeto, un 90% di consensus non è episteme, episteme sull’argomento non pare ottenibile, siamo nel campo endossale e 90%-97% fonda decisamente una opinione. E sull'argomento l'endossale pare il massimo si possa ottenere.

Da ciò il quesito che vi pongo: stante che sembrerebbe esserci un consenso ampiamente maggioritario su un argomento che di sua natura non può produrre certezze del tipo “episteme” ma al massimo endoxa, e stante che tale consenso riguarda migliaia e migliaia di climatologi sparsi in tutto il mondo (i “sapienti”) che si sono pronunciati negli ultimi venticinque anni (a partire cioè dal 1991 tempi in cui l’argomento non era sotto alcun riflettore) e stante che questi non dicono sempre che quella umana è l’unica causa (solo la sensibilmente prevalente), né si esprimono precisamente in predizioni (“se si continua a non fare niente nel giro di “x” anni succede “y”) o su disposizioni operative (“per cui si deve fare a, b, c,”) che è poi quello che fa l’IPCC, scrittori, giornalisti, opinionisti doxatici e successivamente il mondo politico che con questo ambito del discorso qui fatto non hanno nulla a che fare; che problema vedete di assumere questo “argomento” come base di un’endoxa? Un’opinione fondata che almeno elimini quelle infondate?

[Massima libertà nei commenti ma dato che l’argomento è molto complicato siate sicuri di aver ben capito il perimetro delle discussione. Non stiamo discutendo di Greta o del neo-liberismo o di Zichichi o dell’IPCC o delle lobby anarco-capitaliste americane, né di FFF, né del’opinione di vostro cugino.] + [Il post è un tentativo di chiarirci le idee assieme, a seconda dell’accettazione fondativa potrà dar luogo a meno ad altri post successivi]


Lo studio > https://iopscience.iop.org/artic…/10.1088/1748-9326/…/048002

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Luciano Aguzzi
Monday, 15 June 2020 00:47
Tra le maglie dell'articolo si nascondono alcuni equivoci. La variazione di temperatura, in aumento, è ammessa da praticamente il 100% degli esperti, veri o falsi, che si sono pronunciati sul problema. Questa è una opinione ("endoxa") difficile da negare. Ma la divergenza nasce nel tentativo di quantificare in che misura si tratti di una variazione naturale, indipendente ed indifferente all'attività umana, e in che misura invece dipenda dall'attività umana. Cioè in che misura il cosiddetto riscaldamento globale è un effetto naturale e in che misura è un effetto artificiale? Posto questo problema, vedremo che non esiste una risposta uniforme del 90% degli esperti.
L'articolo dice: «Ripeto, un 90% di consensus non è episteme, episteme sull’argomento non pare ottenibile, siamo nel campo endossale e 90%-97% fonda decisamente una opinione. E sull'argomento l'endossale pare il massimo si possa ottenere».
Bene, ma questo massimo si suddivide in tante opinioni che si distribuiscono su un valutazione dell'effetto umano che va da un minimo (0,7%) a un massimo (30%). Così almeno, a me inesperto, risulta dalle mie letture e dalla conferma avuta da un esperto a cui ho posto la domanda nel dibattito seguito a una conferenza sul tema.
Ma se anche il 90% fosse d'accordo su una incidenza del 30%, ci sarebbe da spiegare il restante 70% e soprattutto ci sarebbe da spiegare perché, quanto il tema del riscaldamento globale è trattato come tema politico, si tende a dimenticare questa distinzione fra aumento naturale e aumento artificiale e dalla "endoxa" scivolare alla "doxa" ideologica che occulta e rimuove ciò che non le garba discutere.
Un altro elemento che incide sulle variazioni climatiche, che è effetto dell'attività umana ma che ha poco o nulla a che fare con l'emissione di gas serra, è l'aumento rapido della popolazione in alcuni paesi e lo sfruttamento irrazionale di terreni agricoli che ha contribuito alla desertificazione, nell'arco di pochi decenni, di vasti territori dell'Africa centrale. Altro aspetto assai complesso e problematico che si tende a sottovalutare. Eppure, se guardiamo alla storia nell'arco degli ultimi diecimila anni, un tempo apparentemente lunghissimo ma brevissimo dal punto di viste geologico, registriamo forti cambiamenti climatici e cambiamenti nella natura dei terreni che nulla hanno a che fare con i gas serra, ma molto con le variabili naturali e con tecniche agricole di sfruttamento irrazionale dei terreni. Si tratta sempre di attività umana, ma di tipo ben diverso. Fino a qualche migliaio di anni fa gran parte del deserto del Sahara era terreno coltivabile e in una certa misura tale rimase fino agli inizi del Medioevo, cioè fino all'epoca romana e immediatamente successiva. Poi, quando con la conquista araba si sostituirono le tradizionali coltivazioni con l'allevamento di bestiame, pecore e capre in particolare, quel terreno si trasformò rapidamente in deserto.
Quindi, la mia domanda è: ipotizzando che si arrivi a una industria a emissione zero di gas serra, il problema sarà risolto o solo rallentato un poco?
E le domande collaterali sono: l'aumento della popolazione e soprattutto dei consumi pro-capite non annullerà qualsiasi progresso verso un'industria meno inquinante? Non aumenterà l'impatto ambientale e quindi la drastica diminuzione di terreni agricoli (per la cementificazione, per la desertificazione e altro ancora)? E ciò non causerà delle conseguenze geopolitiche tali da far tremare vene e polsi?
E infine: la vera soluzione del problema non sta forse nel diminuire in numeri assoluti la popolazione umana vivente nel pianeta Terra? Nel riportarla a un equilibrio più compatibile con le possibilità di sostenibilità del pianeta?
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