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La grande strategia di Xi dopo la pandemia: tutte le strade portano a Pechino?

di Simone Galli

Se prima dell’avvento del Covid-19 la forma affermativa poteva tralasciare ridotti spazi ai dubbi, oggi, nel pieno della pandemia, l’interrogativo, se non obbligatorio, diviene almeno lecito.

Davanti all’incalzare della peggiore crisi dalla Grande Depressione, oggi la vera sfida di Pechino di allungare in occidente i suoi tentacoli con il titanico progetto Belt and Road Initiative (BRI) potrebbe infatti cedere il passo a impreviste priorità.

Quando in aprile l’aggiornamento del World Economic Outlook sullo stato di salute dell’economia del pianeta fotografava una contrazione del Pil globale nel 2020 del 3%, con perdite complessive pari quasi a 9 mila miliardi di dollari fra il 2020 e il 2021[1], Xi Jinping leggeva nella Nuova Via della Seta la risposta alla crisi globale.

Il presidente cinese, intervenendo il 18 giugno in video conferenza all’incontro sulla cooperazione internazionale della Nuova Via della Seta, insiste sulla collaborazione di Pechino con i suoi partner per sviluppare la BRI in un esempio di cooperazione per affrontare le sfide attraverso l’unità. “La BRI sarà anche un modello per proteggere la sicurezza e il benessere delle persone, un modello per ripristinare l’attività economica e sociale e un modello di crescita per sbloccare il potenziale di sviluppo[2], ha detto Xi.

Davanti al direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, a Achim Steiner, responsabile del programma di sviluppo delle Nazioni Unite e ai ministri e funzionari stranieri a livello ministeriale di 25 Paesi, arrivava quindi un messaggio chiaro al mondo sulle ambizioni cinesi.

Pechino non nutre dubbi sul fatto che l’approccio giusto per affrontare le crisi globali e realizzare lo sviluppo a lungo termine sia attraverso una maggiore connettività, apertura e inclusione. È qui che la cooperazione internazionale nell’ambito della BRI può fare una grande differenza.

Le certezze di Xi Jinping rischiano però di doversi scontrare con la massiccia quanto gravosa onda d’urto della pandemia di Covid-19.

Mentre la Cina interpreta minino l’impatto di Coronavirus sulla BRI, il primo trimestre del 2020 vede infatti un notevole rallentamento dei nuovi progetti, cosicché l’incalzare incerto della ripresa dell’economia cinese potrebbe far sospettare un ridimensionamento dei cantieri BRI nel prossimo futuro.

Le “Due sessioni” tenutesi il 20 e il 21 maggio sembrano però confermare solo in parte tale suggestione. Se davanti a una sfida senza precedenti il premier Li Keqiang, non comunica alcun obiettivo annuale di crescita dell’economia, con il paese che guarda a uno stimolo della ripresa nazionale con piani per rendere l’economia sempre meno incentrata sulle esportazioni e più sui consumi interni, gli investimenti, comunque, continueranno a dare priorità alle “nuove infrastrutture”, come le reti 5G, il rinnovamento di quasi 40.000 comunità residenziali sparse in tutto il paese e lo sviluppo di nuovi sistemi di trasporto e conservazione dell’acqua[3].

Il progetto della costruzione di gigantesche reti infrastrutturali che colleghino la Cina al mondo intero non esce quindi ridimensionato dall’agenda di Pechino; solo la forma muta per lasciare campo alla sostanza.

Il piano “Una cintura, una strada” vale ormai quasi 4.000 miliardi di dollari, di cui 137,43 annunciati su 184 progetti approvati nel primo trimestre del 2020. In termini di valore, i trasporti rappresentano il 47% di tutti i progetti BRI, pari a 1.880 miliardi di dollari, seguiti dal settore dell’energia e dell’acqua al 23% (926 miliardi di dollari)[4].

A cambiare è oggi la classifica dei paese destinatari dei prestiti cinesi. Il rischio di una crisi del debito, notevolmente aumentato con la pandemia nei paesi più poveri, costringe infatti Pechino, almeno nel breve periodo, a spostare l’attenzione verso le capitali già avanzate.

La Russia, anche per effetto dell’intesa strategica fra Xi e Putin, diventa un partner sempre più importante; alla fine del primo trimestre Mosca mantiene il suo posto come maggior beneficiario di BRI, con 126 progetti del valore totale di 296 miliardi di dollari[5]. Il progetto Power of Siberia Gas Pipeline dal valore di 55 miliardi di dollari, è tra i più grandi del BRI e rappresenta il più chiaro esempio dell’alleanza sino-russa. Un gasdotto di 3.000 km di gas naturale che esporterà 38 miliardi di metri cubi di gas in Cina ogni anno per 30 anni, generando una stima di 400 miliardi di dollari per Mosca.

L’Arabia Saudita arriva seconda nella classifica di Pechino, con 185 miliardi di dollari in 111 progetti; terza è la Malesia con 57 progetti per un valore complessivo di 146 miliardi di dollari[6].

Sorprende infine come il Regno Unito, entrato nella top ten dei progetti solo lo scorso dicembre, sia oggi il quarto beneficiario di investimenti BRI, con progetti attivi per 139 miliardi di dollari.

Tutto ciò rende ormai evidente che il piano “Una cintura, una strada” non sia esclusivamente un progetto di sviluppo infrastrutturale. Esso rappresenta per la Cina il sentiero più rilevante per esportare un vero e proprio modello, necessario a trasferire in suo favore la nuova distribuzione della potenza internazionale.

Non potendo fronteggiare in campo aperto un’America che continua ad avere una considerevole superiorità militare, Pechino persegue una strategia di scontro asimmetrico, volta ad accrescere la sua influenze nelle sfere di interesse attraverso una controrete di alleanze politico-economiche.

Parag Khanna, esperto di geoeconomia e geostartegia, docente all’università statale di Singapore, definisce la BRI la “più grande iniziativa strategica del XXI secolo“. Secondo Khanna, “la connessione attraverso le grandi reti infrastrutturali è centrale. È perfino più importante del rafforzamento militare. La Cina è disposta a investire subito centinaia di miliardi nei paesi vicini, ed è la nazione che ha più paesi confinanti di ogni altra”[7]. Quando le reti di trasporto e comunicazione, anche informatica, si affermano ormai come realtà più estese e intraprendenti dei singoli stati nazionali, la Cina si dimostra capace di competere anche sul terreno del soft power, contrapponendo all’arsenale militare di Washington la strategia della connettività.

Ecco che, nonostante leggeri rallentamenti nei nuovi progetti o ritardi nei progetti esistenti e già annunciati, Pechino non farà arretrare la Belt and Road Initiative neppure davanti alla più grande crisi dal 1929 a oggi.

Gli obiettivi della Cina, come spiega Matthew Mingey, research analyst del China Macro&Policy team del Rhodium Group, oltre allo sviluppo di infrastrutture e collegamenti commerciali, includono anche la creazione di sostegno internazionale alle sue politiche all’interno dell’Unione Europea e delle altre organizzazioni internazionali. Per Mingey Pechino sarà ancor più incoraggiato a raddoppiare gli impegni verso i paesi che sono stati ricettivi nei confronti della Via della Seta, anche in Europa orientale, alla luce della rivalutazione dei reciproci rapporti in tempo di Covid-19[8].

In conclusione, fosse per Xi Jinping tutte le strade, senza dubbio, porterebbero a Pechino, ma al di là della pandemia in corso, almeno altri due elementi potrebbero avere le potenzialità necessarie per influenzare l’agenda cinese.

Le elezioni americane del prossimo 3 novembre ne rappresentano il primo in calendario. Sia con Trump che con il suo sfidante democratico Biden il dialogo con la Cina dovrebbe rimanere frammentato, almeno sui fronti della tecnologia e della sicurezza, e difficilmente potrebbero intraprendersi con Pechino politiche dalla porta aperta. Biden, a differenza di The Donald, potrebbe ricondurre la battaglia cinese all’interno di una cornice istituzionale, capace di assorbire l’imprevedibilità dello scontro, ricorrendo al multilateralismo ogniqualvolta ne avesse possibilità. La diversità di approccio tra i due candidati è evidente: piuttosto che continuare a limitare il contenzioso alla sfera commerciale, Biden da liberal convinto tenterebbe forse di costruire un’alleanza di interessi, facendo leva sulla matrice illiberale del sistema cinese. La tutela del made in Usa o la salvaguardia delle relazioni atlantiche sarebbero quindi tra i primi ostacoli per Pechino

In seguito un ruolo di rilievo potrebbe essere recitato dall’Unione Europea, qualora intraprendesse un percorso di vera integrazione fiscale in grado di rafforzare la cooperazione tra i suoi membri così da tutelare e potenziare quello che rappresenta ancora il secondo mercato più integrato del mondo.


Note
[1] F. Semprini, Il peggior momento dal 1929. L’Fmi prevede: “Crisi globale per il coronavirus”. In Italia il Pil crollerà del 9%, in “La Stampa” online (https://www.lastampa.it/economia/2020/04/15/news/il-peggior-momento-dal-1929-l-fmi-prevede-crisi-globale-per-il-coronavirus-in-italia-il-pil-crollera-del-9-1.38717992 ) , 15 aprile 2020.
[2] C. Sirti, Via della Seta in crisi, Covid-19 e scandalo Oms pesano. E Xi prova a rilanciare, in Formiche.net (https://formiche.net/2020/06/via-della-seta-covid-19-oms-xi/ ), 19 giugno 2020.
[3] G. Sciorati, La Cina post-Covid guarda al mercato interno (e a Hong Kong), in Ispionline.it (https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-cina-post-covid-guarda-al-mercato-interno-e-hong-kong-26280 ), 28 maggio 2020.
[4] A. Amighini, Belt and Road: 2020, l’anno della svolta, in Ispionline.it (https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/belt-and-road-2020-lanno-della-svolta-27622 ), 30 settembre 2020.
[5] Ibid.
[6] Ibid.
[7] F. Rampini, Il tradimento, Piccola biblioteca Oscar Mondadori, Milano 2017, p.82.
[8] G. Carrer, Vi spiego perché la Via della Seta è in salita. Parla Mingey (Rhodium), in Formiche.net (https://formiche.net/2020/07/matthew-mingey-via-della-seta/ ), 19 luglio 2020.

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