Il gatto e il topo: note sulla negazione lagrassiana del comunismo
di Eros Barone
Premetto che è giusto cogliere quanto di positivo e di fecondo è pur presente nella elaborazione di un ex-marxista come Gianfranco La Grassa, al netto dell’oggettivismo spinoziano di derivazione althusseriana e di una lettura della crisi mondiale come esclusivo conflitto fra gruppi dominanti: lettura che, anche se declinata in chiave apertamente nazionalitaria, è molto affine a quella proposta dall’organizzazione politica “Lotta comunista”. Nell’apologia delle concezioni lagrassiane, che G. P. svolge in una nota recentemente apparsa su questo sito, vi è però un luogo comune che ovviamente non poteva non figurarvi, e che è quello relativo alle errate previsioni di Marx.
Orbene, dopo aver richiamato, sul piano epistemologico, la natura ipotetica e condizionale della previsione (riconducibile alla correlazione “se…allora”) e, su quello metodologico, la distinzione fra previsioni morfologiche e teleologiche (laddove accennerò alle prime, che riguardano le leggi che regolano la struttura e la dinamica del modo di produzione capitalistico, e ometterò le seconde, il cui oggetto, individuato da Lenin, è la formazione economico-sociale capitalistica e, quindi, il complesso rapporto fra struttura e sovrastrutture),
osservo che le previsioni confermate della teoria marxiana sono le seguenti: 1) crisi periodiche di sovrapproduzione con relativo incorporamento dei capitali deboli da parte dei capitali forti (se ne possono indicare almeno tre: 1873, 1929, 1973); 2) caduta del saggio medio di profitto (si confronti la dimostrazione della legge relativa, contenuta nel terzo libro del “Capitale”, con i dati statistici delle stesse fonti borghesi, che la confermano); 3) semplificazione della struttura di classe (negli USA l’80% della popolazione è costituita da lavoratori salariati: erano il 3% nel periodo della rivoluzione industriale), semplificazione che smentisce la tesi della crescita dei ceti medi (in realtà si tratta di una forma di proletarizzazione) e l’equazione mistificante tra classe operaia e ‘colletti blu’; 4) sviluppo gigantesco del capitalismo in tutto il mondo e compimento del processo di costituzione del mercato mondiale (processo impropriamente designato dalla borghesia con l’orrendo termine di ‘globalizzazione’).
Alle conferme ricevute dalle previsioni generali or ora richiamate sono poi da aggiungere quelle che hanno suffragato le seguenti previsioni particolari: 5) correlazione tra andamento dei salari, processo di accumulazione e grandezza dell’esercito industriale di riserva (la riduzione del salario indiretto – pensioni e prestazioni sociali varie – fa emergere prepotentemente tale correlazione); 6) progresso tecnico che, aumentando gl’investimenti in capitale fisso, determina inesorabilmente il declino dell’accumulazione e il conseguente declino del saggio di profitto, insieme con la riduzione degli stimoli all’investimento e con il forte indebitamento dei capitalisti; 7) enorme aumento della speculazione finanziaria e fondiaria, che ha contribuito a determinare la crisi attuale (gli effetti di questo fenomeno sono evidenti sia a livello internazionale sia nel nostro paese: l’enorme speculazione presuppone però un’altrettanto enorme elasticità del settore del credito e questa elasticità semplicemente non esiste); 8) rapporto fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo (la previsione, puntualmente confermata, ìndica una crescita costante del lavoro improduttivo: ad esempio, il commercio, che rientra nell’area del lavoro improduttivo, cioè del lavoro che si scambia con reddito e non con capitale, si espande e dà luogo ad un corrispondente aumento dei lavoratori dipendenti, poiché non è meccanizzabile). La conclusione è tanto palese quanto irrefutabile: se si applicano i normali criteri di verifica e di controllo delle scienze naturali, nessuno alla fine dell’Ottocento poteva augurarsi un tale successo della teoria di Marx.
Sennonché occorre riconoscere, radicalizzando il discorso sul piano teoretico, che nello “sconfittismo” di La Grassa è presente un’istanza critica che merita di essere valorizzata: l’istanza squisitamente marxiana che consiste nel mettere in dubbio le potenzialità di realizzazione di un certo tipo di comunismo, nella fattispecie quello riconducibile alle figure di Weitling e di Cabet, che funziona anche oggi, spesso mimetizzandosi sotto false spoglie, come un’“astrazione dogmatica”, laddove proprio questa è una delle principali accuse che Marx ed Engels muovono al socialismo utopistico nel “Manifesto del partito comunista”. Il punto debole del revisionismo lagrassiano va allora individuato, per un verso, nella erronea identificazione di quel tipo di comunismo con il comunismo ‘tout court’ e, per un altro verso, nel disconoscimento della specificità del comunismo in quanto idea che racchiude in sé, in modo inscindibile, una tensione verso la realizzazione, verso la transizione, verso la rivoluzione. In altri termini, nella misura in cui il comunismo è la ‘negazione determinata’ del capitalismo, ovvero nella misura in cui non si tratta di un’“astrazione dogmatica”, il problema della sua realizzazione è inerente al suo concetto. Il percorso teorico-pratico da seguire è però esattamente il contrario di quello che, come accade nel revisionismo lagrassiano e in altre forme di falsa coscienza che conducono a posizioni liquidazioniste, parte dalle aporie della realizzazione per giungere a negare, insieme con tali aporie, lo stesso concetto del comunismo.
Si può dire invece, ricorrendo ad una metafora zoomorfica, che il comunismo si interessa (o dovrebbe interessarsi) del capitalismo come il gatto si interessa del topo, che è quanto dire che il comunismo non va considerato dal punto di vista di princìpi programmatici astratti o di formule schematiche, bensì dal punto di vista dei problemi che orientano la loro propria risoluzione, così come afferma Marx nella Prefazione allo scritto Per la critica dell’economia politica quando sottolinea che l’umanità si pone, storicamente, solo le domande cui può rispondere (in modo analogo, si potrebbe aggiungere, al procedimento dei matematici che formulano le domande per le quali hanno, sia pure in qualche modo parziale, la dimostrazione). 1 D’altro canto, il comunismo, per citare una definizione, minimale ma molto pregnante, ricavata dai Princìpi del comunismo di Engels, si configura come “la dottrina delle condizioni di liberazione del proletariato”. Tuttavia, appunto perché le condizioni non sono “immobili”, va anche detto che il comunismo non è mai esentato dalla necessità di formulare i propri protocolli di realizzazione e di ridefinire il nesso tra princìpi, programmi e tattica-strategia. Cosa questa che ha importanti conseguenze per il dibattito teorico sul comunismo, in quanto investe la capacità collettiva sia di prefigurare che di realizzare i princìpi del comunismo. Del resto, non bisogna dimenticare che l’idea del comunismo è antica e che il marxismo è arrivato su questa scena caratterizzandosi proprio per la sua insistenza sulle condizioni materiali richieste dalla transizione. In questo senso, l’idea geniale di Marx sulla corrispondenza tra domande e risposte richiede la capacità di formulare una sintesi che ricomprenda in sé, superandola e conservandola alla luce della dialettica materialistica, tutta la storia ricca e complessa sia del comunismo che delle sue ‘realizzazioni’ socialiste: il gatto non studia semplicemente il topo, ma lo studia per mangiarselo; inoltre, il gatto non studia, come futuro cibo, tutti gli animali, poiché gli piacciono solo i topi.
Comments
valore-lavoro è la spina dorsale della teoria economica marxiana ed è parte costitutiva ed integrante della medesima, talché chiunque la sopprima, la alteri, la subordini, la mescoli o la modifichi potrà dirsi tutto quello che vuole (sraffiano, keynesiano, neo-walrasiano, neo-proudhoniano ecc. ecc.), ma non è un marxista. E non è tale per via della separazione tra produzione e distribuzione che introduce nella teoria marxiana e per via del disconoscimento del presupposto su cui si basa la suddetta teoria in quanto rappresentazione del lavoro sociale. Entrambi questi aspetti - separazione e disconoscimento - segnano infatti una distanza incolmabile dall'analisi marxiana, che tali 'revisionatori' pretendono viceversa di rafforzare. Il pensiero neo-marxista, artefice di queste 'varianti', è proprio quella tendenza che, essendo priva di princìpi e indebolendo il proprio già debole pensiero con la speranza di indebolire anche quello altrui, è capace di combinare impunemente insieme le tendenze più diverse. In economia, consiste nell'innestare, ad esempio, princìpi keynesiani su una base walrasiana, con altri elementi marginalisti e, all'occorrenza, anche spunti classici, fisiocratici o neoricardiani (la riscoperta del "Sistema dell''economia nazionale" di Friedrich List è stata una delle poche sorprese gastronomiche ammanniteci dalla cucina lagrassiana in questi tempi così bulimici...). Per quanto riguarda poi l'assurdo "hysteron proteron" della "critica dell'economia politica marxista", è da osservare che rammenta quei disegni di Escher, simboleggianti paradossi e aporie, in cui la mano che dipinge si sdoppia dipingendo se stessa. Il povero BC, carente, come tutti gli althusseriani, di senso dialettico e di senso storico, finisce così con il restare imprigionato nelle spire di quella "cattiva infinità" della "critica critica", da cui non gli è riuscito di svincolarsi. Eppure bastava riflettere sul rapporto asimmetrico tra comunismo e marxismo, che non a caso ho cercato di sviluppare nelle mie note, per evitare di ripetere l'impresa del barone di Muenchausen. Sennonché chi arriva a liquidare le transizioni socialiste come "gulag a cielo aperto" o non non conosce la storia o, con la piatta apologia dello stato di cose esistente che suggerisce, si pone sullo stesso terreno dell'ideologia
euro-imperialista la quale, appellandosi alla lotta contro il totalitarismo, mette sullo stesso piano il fascismo e il comunismo. E però, una volta escluso, pur con qualche dubbio, che BC sia un insipiente, non resta che considerarlo, insieme con i suoi sodali, per quello che è sia soggettivamente sia oggettivamente: non un avversario
politico-intellettuale, ma un collaboratore, ancorché pretenziosamente agghindato, della odierna crociata anticomunista.
Il particolare che omette è il seguente: La Grassa approda a queste riflessioni dopo aver analizzato e criticato profondamente le esperienze del socialismo reale.
La Grassa è uno dei punti alti della critica dell'economia politica marxista in questo paese, forte della sua formazione althusseriana, ha fatto abbondantemente piazza pulita di quella ridicola esaltazione dei gulag a cielo aperto dell'Est Europa (cioè altre forme compiute di capitalismo in cui non c'era assolutamente nessun proletariato al potere). E questa riflessione ha consentito a La Grassa di analizzare con lenti nuove tutte le forme di capitalismo. Perciò, ritengo assolutamente utile, aldilà delle possibili divergenze con gli attuali approdi del suo pensiero, frutto di questa rilettura che ha portato il Nostro a pensare che la contraddizione principale nel capitalismo non fosse quella, assolutamente esistente, tra capitale e lavoro ma lo scontro tra agenti strategici del capitale, ribadendo il primato della politica sull'economia, la lettura dei suoi libri.
Il particolare che omette è il seguente: La Grassa approda a queste riflessioni dopo aver analizzato e criticato profondamente le esperienze del socialismo reale.
La Grassa è uno dei punti alti della critica dell'economia politica marxista in questo paese, forte della sua formazione althusseriana, ha fatto abbondantemente piazza pulita di quella ridicola esaltazione dei gulag a cielo aperto dell'Est Europa (cioè altre forme compiute di capitalismo in cui non c'era assolutamente nessun proletariato al potere). E questa riflessione ha consentito a La Grassa di analizzare con lenti nuove tutte le forme di capitalismo. Perciò, ritengo assolutamente utile, aldilà delle possibili divergenze con gli attuali approdi del suo pensiero, frutto di questa rilettura che ha portato il Nostro a pensare che la contraddizione principale nel capitalismo non fosse quella, assolutamente esistente, tra capitale e lavoro ma lo scontro tra agenti strategici del capitale, ribadendo il primato della politica sull'economia, la lettura dei suoi libri.