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Bagno di sangue

di Moreno Pasquinelli

Lo afferma, apertis verbis, Roberto Cingolani, il ministro “grillino” (sic!) della cosiddetta “transizione ecologica”:

«La transizione ecologica? Confermo, cambiare il sistema potrebbe essere un bagno di sangue». [LA STAMPA, 1 luglio]

Cosa implichi “bagno di sangue” il ministro lo lascia intendere: il passaggio ad un’economia non più basata su fonti fossili causerà, sia la scomparsa di interi settori dell’economia (con la milioni di posti di lavoro che andranno in fumo), sia un aumento dei costi (lo dice lui) delle bollette per i cittadini.

E’ solo uno degli aspetti della “distruzione creativa”, evocata in nome del “Grande Reset” — segnaliamo il Forum di settembre dedicato —, l’ambizioso progetto con cui l’élite mondialista punta a ristrutturare l’intero sistema capitalistico.

Due sono le mosse dell’élite: da una parte presentare come necessaria e ineludibile la loro trasformazione pilotata; dall’altra esibirla (le leopardiane “magnifiche sorti e progressive”) non solo come salvifica ma come passaggio progressista, come avanzamento verso una società migliore.

Due sono dunque i fronti della battaglia di resistenza: quello sociale e quello ideologico e culturale.

Sul piano sociale saranno i settori sociali che verranno fatti a pezzi sull’altare della nuova economia ad essere chiamati alla resistenza e alla lotta. Che forma assumeranno queste lotte? Quali strumenti e organismi queste lotte produrranno? Vedremo. Un fatto a noi pare evidente: sarà difficile che saranno i sindacati, vecchi e nuovi che siano, i veicoli della ribellione sociale. Su questo torneremo. Basti dire che osservando i cicli storici della sindacalizzazione e delle lotte sindacali, risulta evidente che il sindacalismo cresce in tempi di espansione del ciclo economico capitalistico, quando c’è da rivendicare una redistribuzione della ricchezza sociale, declina invece, il movimento sindacale, in tempi di crisi e recessione e disoccupazione di massa — il resettaggio implica che avremo un intero periodo segnato da depressione e austerità programmate. Ci sono ovviamente le eccezioni: forme di lotta sindacali sopravvivono anche in tempi di crisi economica in quei settori che crescono (vedi ad esempio oggigiorno la logistica), ma sono forme che non riescono a diventare egemonchie.

I movimenti di resistenza e ribellione saranno, per usare un aggettivo di moda, eterologhi, caratterizzati dall’entrata in scena di molteplicità di spezzoni sociali di diverse ceti e classi sociali. Non è su basi sindacalistiche che questi rivoli dispersi potranno confluire in un fiume in piena.

In tempi di crisi e ristrutturazione sistemica non c’è movimento di resistenza che possa avere chance di successo se esso quindi non travalica i limiti del sindacalismo economicistico, del corporativismo e dell’aziendalismo. In tempi di crisi e ristrutturazione sistemica i fattori economici, politici e ideologici — non fosse che per come le classi dominanti perimetrano il campo da gioco e fissano le loro regole — sono strettamente correlati. In poche parole l’opposizione o sarà antisistemica e politica o non sarà.

Di qui la centralità della battaglia culturale, ideologica, etica; in una parola politica. Se non si svela il progetto strategico delle élite mondialiste, se non si smaschera il vero carattere del “Grande Reset”, se non si denuncia il grande inganno della pandemia; nessuna opposizione avrà speranza di successo.

Da questo punto di vista, se è finita (e da tempo) la spinta propulsiva del vecchio movimento operaio, inadeguati sono i nuovi movimenti d’opposizione sorti nell’ultimo anno. Fino ad ora, ed era comprensibile, essi hanno inseguito il nemico, provando a rispondere alle sue mosse tattiche. Ora occorre compiere un salto di qualità: non si tratta solo dimettere ordine tra le fila del movimento, si tratta di dare vita ad un diverso e più maturo movimento di massa, di cambiare l’ordine stesso del discorso.

E’ bene guardare in faccia la realtà e non continuare a raccontarci storie. L’Umanità, di sicuro l’Occidente si va progressivamente avvicinando al punto critico: o tutto o niente, o la rivoluzione sociale e politica, o l’abisso.

Lo afferma, apertis verbis, Roberto Cingolani, il ministro “grillino” (sic!) della cosiddetta “transizione ecologica”:

«La transizione ecologica? Confermo, cambiare il sistema potrebbe essere un bagno di sangue». [LA STAMPA, 1 luglio]

Cosa implichi “bagno di sangue” il ministro lo lascia intendere: il passaggio ad un’economia non più basata su fonti fossili causerà, sia la scomparsa di interi settori dell’economia (con la milioni di posti di lavoro che andranno in fumo), sia un aumento dei costi (lo dice lui) delle bollette per i cittadini.

E’ solo uno degli aspetti della “distruzione creativa”, evocata in nome del “Grande Reset” — segnaliamo il Forum di settembre dedicato —, l’ambizioso progetto con cui l’élite mondialista punta a ristrutturare l’intero sistema capitalistico.

Due sono le mosse dell’élite: da una parte presentare come necessaria e ineludibile la loro trasformazione pilotata; dall’altra esibirla (le leopardiane “magnifiche sorti e progressive”) non solo come salvifica ma come passaggio progressista, come avanzamento verso una società migliore.

Due sono dunque i fronti della battaglia di resistenza: quello sociale e quello ideologico e culturale.

Sul piano sociale saranno i settori sociali che verranno fatti a pezzi sull’altare della nuova economia ad essere chiamati alla resistenza e alla lotta. Che forma assumeranno queste lotte? Quali strumenti e organismi queste lotte produrranno? Vedremo. Un fatto a noi pare evidente: sarà difficile che saranno i sindacati, vecchi e nuovi che siano, i veicoli della ribellione sociale. Su questo torneremo. Basti dire che osservando i cicli storici della sindacalizzazione e delle lotte sindacali, risulta evidente che il sindacalismo cresce in tempi di espansione del ciclo economico capitalistico, quando c’è da rivendicare una redistribuzione della ricchezza sociale, declina invece, il movimento sindacale, in tempi di crisi e recessione e disoccupazione di massa — il resettaggio implica che avremo un intero periodo segnato da depressione e austerità programmate. Ci sono ovviamente le eccezioni: forme di lotta sindacali sopravvivono anche in tempi di crisi economica in quei settori che crescono (vedi ad esempio oggigiorno la logistica), ma sono forme che non riescono a diventare egemonchie.

I movimenti di resistenza e ribellione saranno, per usare un aggettivo di moda, eterologhi, caratterizzati dall’entrata in scena di molteplicità di spezzoni sociali di diverse ceti e classi sociali. Non è su basi sindacalistiche che questi rivoli dispersi potranno confluire in un fiume in piena.

In tempi di crisi e ristrutturazione sistemica non c’è movimento di resistenza che possa avere chance di successo se esso quindi non travalica i limiti del sindacalismo economicistico, del corporativismo e dell’aziendalismo. In tempi di crisi e ristrutturazione sistemica i fattori economici, politici e ideologici — non fosse che per come le classi dominanti perimetrano il campo da gioco e fissano le loro regole — sono strettamente correlati. In poche parole l’opposizione o sarà antisistemica e politica o non sarà.

Di qui la centralità della battaglia culturale, ideologica, etica; in una parola politica. Se non si svela il progetto strategico delle élite mondialiste, se non si smaschera il vero carattere del “Grande Reset”, se non si denuncia il grande inganno della pandemia; nessuna opposizione avrà speranza di successo.

Da questo punto di vista, se è finita (e da tempo) la spinta propulsiva del vecchio movimento operaio, inadeguati sono i nuovi movimenti d’opposizione sorti nell’ultimo anno. Fino ad ora, ed era comprensibile, essi hanno inseguito il nemico, provando a rispondere alle sue mosse tattiche. Ora occorre compiere un salto di qualità: non si tratta solo dimettere ordine tra le fila del movimento, si tratta di dare vita ad un diverso e più maturo movimento di massa, di cambiare l’ordine stesso del discorso.

E’ bene guardare in faccia la realtà e non continuare a raccontarci storie. L’Umanità, di sicuro l’Occidente si va progressivamente avvicinando al punto critico: o tutto o niente, o la rivoluzione sociale e politica, o l’abisso.

Comments

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Giulio Maria Bonali
Sunday, 11 July 2021 12:08
A prescindere dalle pesantissime, demolitrici critiche che andrebbero rivolte alle pretese "transizioni [pseudo-, N.d.R] ecologiche" di loro signori, non mi pare affatto negabile che un' autentico adeguamento di produzioni e consumi agli ineludibili vincoli ambientali (per tentare di salvare l' umanità dall' "estinzione prematura e di sua propria mano" di se stessa oltre che di moltissime altre specie viventi), inevitabilmente comporti sia la scomparsa di interi settori dell’economia (con la milioni di posti di lavoro che andranno in fumo e dovranno essere adeguatamente rimpiazzati), sia un aumento dei costi delle bollette per i cittadini (nonché la dolorosa rinuncia a tante inveterate e più o meno piacevoli abitudini, come la “settimana bianca” e in generale il turismo di massa, l' ambientalmente tragicomico SUV, magari ibrido o elettrico, probabilmente il pranzo o la cena al ristorante a frequenza settimanale o men che settimanale, la frequenza settimanale o men che settimanale dell' estetista e tanto altro ancora).

I settori sociali che ne venissero inevitabilmente colpiti dovrebbero essere massi di fronte alla scelta se accettare di riqualificarsi come lavoratori impegnati in diverse attività produttive (cosa possibile unicamente alla conditio sine qua non della proprietà sociale collettiva per lo meno dei principali mezzi di produzione e di una oculata pianificazione integrale dell’ economia) o schierarsi con i nemici del popolo e della natura in una lotta inevitabilmente mortale.
Ovviamente sto parlando di una del tutto ipotetica autentica transizione ecologica e non delle sanguinose balle antipopolari del governo, dunque di qualcosa che non é oggi all’ ordine del giorno; ma ciò non toglie che se non si comincia mai ad affrontare seriamente il problema allora mai si sarà in grado di risolverlo.

Ovviamente concordo che di fronte alle reali politiche pseudoambientalistiche e autenticamente antipopolari del governo (e in evidente assenza delle condizioni per una reale transizione ecologica) tali settori sociali dovranno essere coinvolti nelle asperrime lotte necessarie per contrastare un siffatto andazzo gravemente reazionario.
Ma questo -secondo me- senza nulla concedere ad aspirazioni grettamente particolaristiche o corporativistiche e nella chiara affermazione che ciò inevitabilmente comporta l’ accettazione di severi limiti sociali (autentici e autenticamente benefici, e non certo da “ce lo chiede l’ Europa” o “non c’ é alternativa al capitalismo”) alla pratica dell’ iniziativa privata, anche “piccola”, e la disponibilità da parte di tutti, anche se in ben diversa misura a seconda dei casi, ad affronare sacrifici e autolimitazioni (come non si può sperare di guarire da un cancro mediante tisane da erboristeria, terapie omeopatiche o “cure Di Bella” anziché sottoporsi a pesanti mutilazioni chirurgiche e a dolorosissime chemioterapie, così non si può sperare di superare positivamente la disastrosa crisi cui ci hanno portato le classi parassitarie al potere senza pagare un pesante tributo di “sudore, lacrime e sangue”, per usare le parole di un bieco reazionario del secolo scorso).
Quindi se -qui concordo- I movimenti di resistenza e ribellione saranno, per usare un aggettivo di moda, eterologhi, caratterizzati dall’entrata in scena di molteplicità di spezzoni sociali di diverse ceti e classi sociali e Non è su basi sindacalistiche [nel senso de sindacati di regime, N.d.R] che questi rivoli dispersi potranno confluire in un fiume in piena, tuttavia deve essere ben chiaro che ciò non significa che le necessarie durissime lotte potranno essere fondate spontaneisticamente sull’acritica assunzione di qualsiasi rivendicazione leteralmente “popolare”, anche se soggettivamente più o meno giustificata, propria di qualsiasi settore sociale colpito dalla reazione, ma che invece dovranno essere guidate da una precisa bussola classista e che per o meno, in una fase più o meno lunga di limitata coscienza degli obiettivi inderogabili per vincere, dovranno avere un carattere sia pur limitatamente ma inequivocabilmente “socialisteggiante”.
E questo proprio perché E’ bene guardare in faccia la realtà e non continuare a raccontarci storie. L’Umanità, di sicuro l’Occidente si va progressivamente avvicinando al punto critico: o tutto o niente, o la rivoluzione sociale e politica, o l’abisso.
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