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Ricordare e – soprattutto – capire

di Sebastiano Isaia

Coloro che scelgono il male minore, dimenticano molto rapidamente di aver scelto il male (Hannah Arendt)

Scrive oggi Mattia Feltri: «Ogni indagine segnala in crescita gli episodi di antisemitismo da molti anni, e specialmente in questi di pandemia, in cui l’inafferrabilità della minaccia virale ingrassa le superstizioni. I social, luogo delle viscere per loro natura, diventano il ricettacolo di quelle eterne menzogne che sono le cariatidi dell’antisemitismo: gli ebrei sono avidi, gli ebrei sono truffatori, gli ebrei sono doppi, gli ebrei sono dei succhiatori di sangue, gli ebrei complottano contro di noi. Nel Giorno della memoria dobbiamo anzitutto ricordarci che l’antisemitismo ancora erutta da sotto i nostri rancori perché, come disse l’immenso Vasilij Grossman, dimmi di quali colpe accusi gli ebrei, ti dirò quali colpe hai» (La Stampa). Non c’è dubbio. Ma la questione si esaurisce in questa pur giusta presa d’atto?

A mio avviso dovremmo in primo luogo domandarci com’è possibile che ancora oggi, nell’epoca della tecnoscienza più avanzata (e sfrenata), dei viaggi spaziali e dell’Intelligenza Artificiale trovino spazio nella testa delle persone idee e sentimenti vecchi di secoli, se non addirittura di millenni.

Questo solo fatto non ci parla forse del completo fallimento della Civiltà borghese che si prometteva di illuminare la coscienza degli uomini, liberandola dalle tenebre medievali radicate nella superstizione, nella cieca fede e nel pregiudizio? Non erutta forse questa società del XXI secolo contraddizioni, antagonismi, paure, angosce, sofferenze, disagio sociale, invidia sociale, precarietà “materiale” ed “esistenziale” e ogni altro ben di Dio in quantità industriale? Prima di arrivare alle nostre colpe, alle nostre individuali responsabilità è necessario a mio avviso passare per le colpe e le responsabilità di una società radicalmente disumana, irrazionale e violenta.

Lungi dall’essersi essiccata, è ancora viva e robusta la radice sociale che a suo tempo rese possibile lo sterminio condotto con mezzi tecnologicamente avanzati di ebrei, zingari, dissidenti politici, omosessuali e di “indegni di vivere” d’ogni specie.

La moderna società borghese non solo non è riuscita a liberarsi dell’antisemitismo, ma ha imparato a usarlo nei momenti di acuta sociale, esattamente come accadeva nelle società precapitalistiche, le quali ricorrevano alla caccia agli ebrei “deicidi e malvagi” tutte le volte che se ne offriva l’occasione. È sufficiente leggere un libro qualsiasi che tratti della storia dell’antisemitismo per capire di cosa sto parlando. La politica del capro espiatorio funziona ancora benissimo, e oggi essa può servirsi di mezzi scientifici e tecnologici che ne amplificano enormemente la potenza e la violenza. Ma sarebbe stupido attribuire la colpa di tutto questo alla tecnoscienza, che è uno strumento, e non alle cause sociali che rendono possibile il fenomeno di cui parliamo. Lo sterminio industriale degli ebrei è concepibile solo a partire dalla società capitalistica, la quale è riuscita a mettere la razionalità scientifica al servizio di potentissime forze ostili all’umanità. Solo alla luce di questa realtà è possibile spiegare lo «sprofondo umano che è stata Auschwitz» (M. Feltri).

Una volta Marx disse che se il Capitale fosse stato lasciato libero di assecondare i suoi istinti predatori, avrebbe consumato fino a distruggerla completamente la materia prima da cui trae il suo profitto (il lavoro vivo) nell’arco di poche generazioni. Per questo lo Stato borghese, come rappresentante degli interessi generali delle classi dominanti, si vide costretto a introdurre una legislazione sul lavoro intesa a mitigare la furia distruttrice del Moloch. Naturalmente anche le lotte operaie spinsero in quel senso, soprattutto per ciò che riguardava la durata della giornata lavorativa. Ecco, l’uso che i nazisti fecero della forza-lavoro degli ebrei e degli altri “esseri degenerati” per alimentare la macchina bellica della Germania rende bene l’idea evocata a suo tempo dal comunista tedesco. Usa e getta!

Insomma, attribuire la responsabilità di quello sterminio solo alla malvagità dei nazisti, senza peraltro chiedersi il perché del loro sorgere e del loro successo (una guerra ovviamente «persa per colpa degli ebrei», una rivoluzione sociale organizzata altrettanto ovviamente «dai comunisti, notoriamente di razza ebraica», una crisi economica causata naturalmente «dall’avidità e dal desiderio di dominio degli ebrei», e altre malefatte giudaiche di simile conio), significa non cogliere la verità della cosa. Più che di memoria, insomma, c’è bisogno soprattutto di coscienza, di un pensiero critico-radicale, un pensiero che sia in grado di afferrare i fenomeni sociali e politici alle loro radici, partendo dalla loro complessa fenomenologia.

Per puro caso ho riletto un mio post del 2017, la cui conclusione, che riporto, mi ha molto colpito: «”Distruggere l’uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice” (P. Levi, Se questo è un uomo). Qui si parla di tutti noi, beninteso. Almeno io la vedo così. Più volte nei miei modesti post ho scritto che fino a quando non apparirà sulla scena “un’umanità socialmente sviluppata” (Marx), “un’umanità al suo livello più alto” (Schopenhauer), tutto il male astrattamente concepibile è pure molto probabile, anche ai danni di chi al momento pensa di esserne al riparo semplicemente perché crede di essere nato nella parte fortunata del mondo. Salvo ritrovarsi in casa la guerra sottoforma di attentati terroristici. Intanto, mentre rimandiamo sine die la creazione dell’uomo, ossia la realizzazione delle condizioni sociali che rendano possibile l’esistenza dell’uomo in quanto uomo su questo piccolo pianeta, la ruota della fortuna continua a girare, sempre più rapidamente, sempre più minacciosa. Non c’è dubbio, tira una pessima aria: mal’aria, appunto, e tutti – salvo chi legge, si capisce – ne siamo contagiati. “Ai vaccini, presto!” Auguri!». L’ironica invocazione “vaccinale” mi ha davvero colpito, e credo che non ci sia bisogno di spiegarne il motivo.

Scrive Feltri: «Dobbiamo pensarci e non solo oggi, nel Giorno della memoria, ricorrenza che corre il rischio, fra i tanti, di marmorizzarsi esclusivamente in quell’enormità dello sprofondo umano che è stata Auschwitz. Come se l’antisemitismo fosse nato e morto nei lager nazisti, mentre ha attraversato le terre e i millenni dalla Bibbia allo smartphone, e congiunge noi agli antichi con un unico filo dell’infamia». Sottoscrivo! L’antisemitismo purtroppo non è nato e morto nei lager nazisti, e la realtà ce ne dà testimonianza sempre di nuovo. Lo sterminio degli ebrei organizzato e portato a termine dai nazisti nel corso del Secondo macello mondiale non deve accecarci con la sua enormità ed eccezionalità, ma può piuttosto orientarci verso la comprensione di quella normalità capitalistica che non manca di generare mostruosità d’ogni genere. Dalla prospettiva che ho cercato di abbozzare, concetti come “responsabilità individuale” (con annesso “libero arbitrio”) e “banalità del male” (*) appaiono due facce della stessa medaglia, variazioni dello stesso tema: la radicale disumanità della vigente società.

Se non capiamo che la società classista è strutturalmente, radicalmente e necessariamente disumana, e quindi aperta a soluzioni ostili all’umanità delle sue contraddizioni e conflitti sociali, non possiamo, non dico cogliere ma nemmeno sfiorare il bandolo storico-sociale dell’intricata matassa che chiamiamo antisemitismo – ma anche razzismo e quant’altro.

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(*) A proposito di banalità del male (e di “italiani brava gente”), scrive Fausto Biloslavo: «La banalità del male riguardava, purtroppo, anche noi italiani. Ottanta anni dopo le leggi razziali, annunciate da Mussolini a Trieste, fa impressione leggere fogli ingialliti dal tempo saltati fuori per caso da una cartellina gialla con l’intestazione del “Municipio di Monfalcone”, a due passi dal capoluogo giuliano, sepolti nell’archivio storico del comune. Tutte comunicazioni ufficiali, che Il Giornale pubblica il giorno della Memoria, su carte intestate di prefetture, enti locali, forze armate, provveditorati agli studi. I documenti, che pesano come pietre sul nostro passato, sono stati scoperti da Maurizio Bon, consigliere comunale indipendente a Monfalcone appassionato di storia. “Cercavo fascicoli sui bombardamenti alleati – racconta al Giornale – quando ho trovato la cartellina gialla. È la caccia all’ebreo, a tutti i livelli, anche i più banali. Non pensavo che fosse così capillare. C’è da vergognarsi”. […] Un assurdo disegno sulle “principali razze umane” mette all’apice di un albero quella ariana, bianca e sottostante gli asiatici, africani, indiani d’America. Una frase chiarisce, che “la razza italiana è di origine ariana. Noi dobbiamo difenderla dall’incrocio con qualsiasi altra razza”» (Il Giornale).

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Segnalo un interessantissimo libro che, attraverso la storia del magistrato Gaetano Azzariti, testimonia la fortissima continuità dello Stato Italiano, soprattutto nella struttura burocratica dei suoi apparati repressivi (magistratura, polizia, carabinieri e servizi segreti), nel corso di tre diversi regimi politico-istituzionali: quello liberale, quello fascista e quello post-fascista. Si tratta di In questi tempi di fervore e gloria scritto da Massimiliano Boni, Consigliere della Corte Costituzionale. La strepitosa carriera di Azzariti, che diventerà Presidente del Tribunale della Razza (nonché fervente sostenitore del razzismo italiano come strumento di civilizzazione dei popoli colonizzati), non conobbe ostacolo alcuno lungo 50 anni di onorato lavoro al servizio dello Stato (capitalistico): dall’epoca liberale a quella fascista, dal periodo badogliano (ricevendo peraltro una pensione da parte della Repubblica di salò) a quello repubblicano, fino al 1961, anno della sua morte. Una carriera vissuta sempre da “numero uno”, da vincente, da riconosciuto modello di assoluta competenza messa al servizio dello Stato. «Nella sua carriera, prima dell’approdo alla Corte Costituzionale, collaborò persino con Togliatti nella redazione della amnistia del 1946»: anche di questo non bisogna stupirsi, tutt’altro! «A marzo 2019 il Comune di Napoli deliberava la rimozione della lapide apposta sulla facciata dello stabile dove era nato»: tolta la lapide rimane la verità indigesta agli antifascisti ideologici: la radicale continuità dello Stato capitalistico italiani attraverso i decenni e i regimi. Vedi: LA PERFETTA CONTINUITÀ DELLO STATO. OVVERO: LO STATO ETERNO

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