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Governi deboli e permanenza della guerra. Quale autunno?

di nlp

Come intuibile, la storia è piena di congiure di palazzo mentre fuori dalle stanze del potere infuria la guerra. Si tratta di vicende nelle quali il corto respiro degli interessi, e la grande vanità di chi scontra per il potere, sono in contrasto con il dramma della guerra, della distruzione materiale e umana, che si svolge ai confini di un paese, di un impero.

Intendiamoci, la lotta per il potere non finisce mai e non si esaurisce con una guerra, piuttosto cambia di natura. Ma in tutto questo c’è un punto di non ritorno: quello nel quale la lotta per in potere è una delle cause della sconfitta in guerra, perché alimenta la mancanza di coesione di uno schieramento, necessaria a passare i momenti difficili di un conflitto.

Si tratti di pensieri che emergono nel momento in cui, per motivi e in modi molto diversi tra loro, i governi di Francia, Gran Bretagna e Italia si trovano in difficoltà evidenti, il governo britannico è già saltato, su tre piani molto materiali: la difficoltà ad attivare politiche di superamento della crisi economica, quella a rappresentare con coerenza interessi concreti in un momento difficile e, appunto, la lotta per la supremazia a corte tradotta nel linguaggio delle democrazie postmoderne.

In Francia e in Italia, per quanto i contesti politici siano differenti, i piani materiali sono molto simili e tutti aggravati dal conflitto russo-ucraino nel quale, da tempo, la componente ucraina è un proxy del mondo occidentale.

Questa materialità della crisi dei governi è trasversale persino alla gerarchia dei paesi vincitori del recente summit Nato di Madrid: coinvolge la Gran Bretagna, capace di orientare la carta strategica NATO secondo i propri interessi; la Francia, che è sulla linea di confine tra paesi vinti e vincitori; l’Italia che ha visto declassate le proprie esigenze strategiche sul fianco sud dell’area coperta dall’alleanza. Si tratta infatti di una materialità che tocca il funzionamento stesso delle società coinvolte e che si sarebbe manifestata comunque, viste le difficoltà di evoluzione delle società occidentali nei primi anni ‘20. Il punto è che, con la presenza di un conflitto come non se vedevano da tempo in Europa, a queste criticità si aggiungono quelle di una guerra inedita.

E qui non aiuta il fatto che nella precedente globalizzazione, quella cominciata con la metà dell’ottocento e finita con la seconda guerra mondiale, le guerre che hanno coinvolto la Russia ai suoi confini occidentali si sono riprodotte (si pensi ai conflitti russo-turchi) per poi sfociare in guerre più vaste e fatte di maggiore intensità (la prima guerra mondiale, in questo caso). Certo, nel nostro mondo la guerra sul campo tende a localizzarsi geograficamente e a fare danni globali soprattutto sul piano logistico, economico, finanziario e di conseguenza su quello della tenuta sociale. Nel frattempo la questione della crisi tenuta sociale si salda, disgregando il potere politico esistente, a quella della lotta per il potere prima ancora che la guerra faccia vedere davvero i suoi effetti devastanti.

Per i prossimi mesi un contesto del genere si trova davanti a una sovrapposizione di scenari dei quali definiamo qui i lineamenti

Scenario militare. Il conflitto russo-ucraino vive l’alternarsi di aumento d’intensità e di cronicizzazione. Nel primo caso il potenziamento dell’esercito di Kiev, per quando più complesso di quanto finora descritto, servirà prima o poi per una vera strategia di contrattacco sui territori contesi. Di lì, dopo quel piano d’intensità, si capirà, poi, quale cronicizzazione della guerra, modello post conflitto 2014-5, subiranno queste aree. Questo perché né la Russia né Kiev intendono, nel medio periodo, ritirarsi ufficialmente lasciando così spazio ai signori della guerra presenti negli eserciti, nelle milizie e nell’economia. Nel modo in cui si giocherà la cronicizzazione del conflitto russo-ucraino si riuscirà a realizzare se ci sarà un vincitore sul piano globale, quello che si riflette su quanto accade oggi nell’Est Europa.

Scenario finanziario. L’aumento del dollaro, l’aumento USA dei tassi d’interesse contrapposto a tendenze finora contrarie, decremento dell’euro e politiche di sostanziale mantenimento dei tassi, come in Giappone, mostra che i conflitti finanziari aperti tra occidente e Mosca si sovrappongono a uno scenario nel quale la guerra finanziaria è interna agli stessi alleati. Infatti, mentre gli USA attraggono capitali tramite l’aumento del tasso d’interesse il dollaro troppo forte, effetto di queste politiche, rende competitive per l’export, ad esempio, le economie legate all’euro e allo yen. Per cui sul piano dei tassi d’interesse e su quello valutario si vede quanto siano forti i conflitti tra entità, su altro piano, alleate. Oltretutto l’aumento del dollaro provoca seri problemi nel pagamento del debito dei paesi emergenti visto che è proprio il biglietto verde la valuta con la quale si paga il debito contratto. Di li’ altri conflitti finanziari, quella che comunemente viene chiamata speculazione, proprio sul debito dei paesi emergenti. In questo senso la finanza mostra tutta la sua forza destabilizzatrice assieme alla guerra sul campo. E, nel caso, sarà questa forza l’ultima a placarsi.

Scenario economico. Più che un’economia di guerra, nella quale i singoli paesi dispongono le forze produttive nello sforzo di riarmo, per adesso siamo in un’economia che si adatta alla guerra. Quindi alla carenza, e al costo altissimo, di materie prime ed energia all’ inflazione, alla contrazione dei mercati e nella quale si avvertono le difficoltà materiali della forza lavoro.

Gli attuali livelli di sviluppo economico si fanno trascinare dall’evoluzione della guerra. Certo i piani di riarmo europei, le esigenze del complesso militare-industriale americano cominciano a farsi sentire ma, almeno al momento, non siamo nell’economia come warfare quanto in una economia dove si sommano le difficoltà dell’economia civile a riprodursi assieme al ritorno di una economia militare postfordista tutta da valutare in dimensioni e peso nella società.

Scenario sociale. Fuori dai denti: nelle società occidentali siamo di fronte a un possibile scenario di distruzione delle forze produttive causa inflazione, compressione del salario, costi molto alti per la riproduzione dei nuclei familiari (trasporto, energia, alimentare) e governi, già di per sé elitari, incapaci di agire sia per mancanza di risorse (nonostante che i profitti salgano) sia perché paralizzati dalla lotta per il potere in modo evidente (come nei tre paesi qui citati) o latente (come nei rami del parlamento USA). Qui o la società si manifesta ottimizzando le proprie risorse nella lotta quotidiana per la sopravvivenza, svuotando però ogni ipotesi di risposta politica a questo stato di cose, oppure reagisce, pur priva di strutturazione politica, attraverso rivolte facendo emergere una stagione di alta instabilità sociale dagli esiti non prevedibili.

Più che il ritorno della guerra le nostre società vivono l’uscita della guerra dallo stato di latenza grazie al quale non è mai scomparsa. Si tratta di uno stato di guerra diverso dal passato, fatto di una molteplicità di piani, che si distendono ben oltre il conflitto sul terreno, la cui sovrapposizione determina criticità e cambiamenti nelle nostre società. È in questa dimensione che le nostre società affrontano l’ignoto che hanno davanti.

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