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lafionda

Il Superbonus e gli errori di Eurostat

di Biagio Bossone e Massimo Costa

L’aggiornamento del Manual on Government deficit and debt da parte di Eurostat dispone nuovi criteri di classificazione contabile dei crediti d’imposta rivenienti dall’utilizzo dei Superbonus e degli altri bonus edilizia concessi a famiglie e imprese (ex Legge n. 77 del 17 luglio 2020) a titolo di sconti fiscali o per cessione a terzi.

Al punto 35 della sezione sui Transferrable tax credits, Eurostat stabilisce che il contribuente che beneficia di un credito d’imposta trasferibile ha una forte motivazione a utilizzarlo come sconto fiscale oppure a traferirlo a terzi se c’è un rischio di non poterlo utilizzare come tale (e quindi di perderlo in tutto o in parte).

Invero, più che per ragioni di rischio, la motivazione a traferire un credito d’imposta è assai più verosimilmente dettata dalla sua accettazione da parte di altri soggetti e, correlativamente, dal vantaggio che essa offre al cedente di potere accedere a liquidità con immediatezza e a condizioni meno onerose rispetto, per esempio, al credito bancario.

Va osservato, peraltro, che la trasferibilità del credito d’imposta ne scoraggia l’uso come sconto fiscale. Pensando ai gettoni telefonici un tempo in uso nel nostro Paese, sovente utilizzati come succedanei delle monete da 200 lire (e che i ragazzi di allora della nostra Palermo chiamavano “Sippini”, dal nome dell’ente telefonico italiano che li emetteva – la SIP), i lettori meno giovani ricorderanno che la loro accettazione come mezzo di pagamento non ne aumentava, anzi ne riduceva, l’uso per le telefonate. E la loro accettazione non era dovuta al fatto che il cessionario avesse necessità di usarli per telefonare, me perché sapeva che altri li avrebbero accettati come mezzo di pagamento. Certo, il fatto che circolassero come monetine non ne faceva titoli “pagabili” dalla SIP, né tantomeno essi costituivano una “passività” nel bilancio della società. Ne consegue che, in una catena indefinita, l’uso del credito d’imposta come mezzo di scambio tende a ridurne l’uso come sconto fiscale e, corrispondentemente, ne diminuisce la relativa minore entrata: la trasferibilità dei crediti d’imposta ne abbatte il costo per lo Stato che li emette.

Successivamente, al punto 36, Eurostat afferma che se il credito del contribuente è trasferibile (vendibile), esso rappresenta un’attività nel bilancio del contribuente e quindi necessariamente una passività nel bilancio dello Stato che lo emette, sostenendo altresì che lo Stato subirà con quasi certezza un deflusso di risorse. Di conseguenza, afferma poi Eurostat al punto 37, la trasferibilità del credito d’imposta ne fa un titolo pagabile.

La logica di queste affermazioni è errata. Primo, un’attività valevole “erga omnes” non è necessariamente una passività di qualcuno; esattamente come nel caso della proprietà dei beni reali, i quali sono attività di qualcuno ma non necessariamente passività di qualcun altro. L’IASB e l’IPSASB – gli organismi che stabiliscono i criteri internazionali di contabilità (si veda qui e qui) – definiscono una “passività” come “un’impegno presente derivante da un evento passato che obbliga un soggetto a sostenere un esborso di risorse”. Un credito d’imposta non pagabile causa al più minori entrate future, ma non dà luogo a un obbligo di esborsi futuri. D’altra parte, pur assimilando una minore entrata a un esborso di risorse, tale esborso non è conseguente ad alcun evento passato. Un credito d’imposta, dunque, non presenta nessuna delle caratteristiche necessarie per qualificare contabilmente una passività come tale.

Secondo, l’affermazione secondo cui la trasferibilità comporta con quasi certezza maggiori esborsi di risorse, trasformando i crediti d’imposta in titoli pagabili, non trova fondamento logico. Intanto, come già osservato, la trasferibilità accresce la probabilità che il credito sia usato come mezzo di scambio, piuttosto che come sconto fiscale. Inoltre, pure ipotizzando il contrario, il titolo non per questo diventerebbe pagabile più di quanto non accadrebbe se esso fosse utilizzato dal beneficiario originario. Il rationale dell’esclusione del credito d’imposta dal novero dei titoli pagabili non è la scarsa probabilità che esso venga utilizzato come sconto fiscale, ma l’assenza di un obbligo per lo Stato di pagare alcunché a qualcuno: quest’assenza di obbligo non è inficiata dai passaggi di proprietà del credito resi possibili dalla trasferibilità.

Viene infine da pensare che, ragionando per analogia, Eurostat consideri che la trasferibilità del credito d’imposta ne faccia uno strumento monetario che, in quanto tale, sia per definizione da considerare come una passività di chi lo emette. Se questa ipotesi fosse vera, secondo quanto abbiamo mostrato altrove, sarebbe bene che Eurostat prendesse atto che la moneta fiat dei nostri giorni, libera da vincoli di redimibilità, non costituisce una passività per l’ente emittente, giacché non lo impegna ad alcun esborso di risorse future. Considerarla come passività è una “reliquia del passato” che andrebbe definitivamente abbandonata.

La natura (quasi) monetaria di un credito d’imposta non pagabile e trasferibile a terzi non ne fa una passività dello Stato e non lo trasforma in un titolo pagabile.


Le opinioni espresse in quest’articolo sono esclusivamente degli autori e non necessariamente riflettono quelle delle istituzioni con cui uno dei due autori è affiliato.

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