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lafionda

Un antidoto contro l’attuale propaganda: il nuovo spettacolo di Marco Travaglio

di Silvia D'Autilia

Quelli che organizzano la marcia per la guerra, oh yeh,
Quelli che organizzano tutto, oh yeh,
Quelli che perdono la guerra per un pelo, oh yeh, oh yeh

Così cantava Enzo Jannacci nel brano che, tra l’altro, apre e conclude l’ultimo spettacolo di Marco Travaglio I migliori danni della nostra vita, prodotto da Loft Produzioni Srl per SEIF – Società Editoriale Il Fatto. Cercheremo in questa recensione di darne giusto un primo assaggio. Nel suo inconfondibile taglio ironico e pungente, il direttore del Fatto Quotidiano ripercorre gli ultimi cinque anni di politica italiana e della relativa informazione che gli ha fatto da altare sacro: pandemia, guerra, governi tecnici, riverniciatura delle vecchie élites al potere, atlantismo ed europeismo sono i temi caldi che vengono passati al setaccio nella ricostruzione dei tempi presenti, sempre più simili a una scenografia di Guerre Stellari che alla realtà.

Ma partiamo proprio dal titolo, dove la parola ‘danni’ tramuta completamente il senso della canzone di Renato Zero del 1995.

I migliori danni della nostra vita sono tutte le scelte scellerate degli ultimi governi di cui stiamo appena appena intravedendo gli effetti sociali ed economici, prontamente sotterrati da una propaganda informativa che al contrario intende far credere di vivere nel migliore dei mondi possibili, sostenendo per esempio la cobelligeranza in una guerra sempre più imponente, a unica soddisfazione d’interessi altrui, e riservando un clima di dileggio a chiunque intenda dissentire. L’asticella del ridicolo si è così alzata che si compilano liste di proscrizione per chi osa mettere in discussione le trame stagne e paludose dell’ormai consolidato pensiero unico giornalistico, o si sorvola sulle corresponsabilità della Nato andato ad “abbaiare alle porte di Mosca”, così come persino il Papa non ha mancato di far notare, o sulle guerre americane, che – ça va sans dire – son sempre finalizzate a esportare democrazia!

Il Bel Paese è insomma da più di un anno ormai ostaggio di una ben precisa classe di intellettuali investiti dalla missione d’indottrinare l’intera opinione pubblica alla causa della guerra giusta, perché “in difesa di un paese aggredito”. Se tanto mi dà tanto e se la coerenza non è un’opinione, allora perchéchiede il giornalista al pubblico in sala – non siamo entrati in guerra al fianco di ogni paese aggredito negli ultimi decenni? L’articolo 11 della Costituzione – proiettato sul fondo del palco nella sua versione integrale – è estremamente chiaro: l’Italia ripudia la guerra. La scelta del verbo ripudiare da parte dei padri costituenti, all’indomani del secondo conflitto mondiale, è stata dirimente: non c’è spazio per interpretazioni o stiracchiamenti di sorta. Nel nuovo che avanza borioso abbiamo invece scoperto che la pace si ottiene con l’escalation militare e con un costante, progressivo e massiccio invio di armi. Persino le recenti dichiarazioni inglesi d’inviare armi all’uranio impoverito a Kiev – con le conseguenti ripercussioni nell’aria, nel suolo e nelle coltivazioni – non hanno destato chissà quale scalpore.

Siamo a un passo da un conflitto che potrebbe rivelarsi irreversibile proprio nel cuore del nostro continente, e invece di pensare a tirare in tempo il freno d’emergenza, si continua imperterriti a gettare benzina sul fuoco. Il tutto in barba agli ideali di costruzione e mantenimento della pace che avevano fatto da vessillo e bandiera dell’Europa, per aderire pressoché totalmente ai voleri di Washington. Ma è oramai il caso di dirlo apertamente – afferma il giornalista: l’euroatlantismo è un ossimoro, un’antitesi politica e geopolitica su cui non è più possibile soprassedere. Non ci può affatto essere convergenza d’intenti tra gli interessi europei e quelli americani. Come non leggere ad esempio in questi termini, l’enorme costo che l’Europa ha dovuto sostenere cambiando i suoi partner commerciali per effetto delle sanzioni alla Russia? (Un Carlo Rovelli molto pragmatico, qualche settimana fa, nella trasmissione Piazzapulita, ha illustrato al conduttore Corrado Formigli, con un disegno semplice ed essenziale, come quella che ci ostiniamo a chiamare ‘Comunità internazionale’ coincida in realtà con una porzione assai limitata di mondo. È per questo che, a dispetto della propaganda occidentale e a dispetto degli effetti che speriamo di sortire sanzionando Putin, Mosca è tutto fuorché isolata economicamente e politicamente.)

Così, siccome non si sono realizzati i pronostici di chi (Enrico Letta primo tra tutti!) aveva prefigurato il collasso dell’economia russa a poche settimane dall’inizio delle sanzioni, allora è partita la caccia ai malanni più terribili che starebbero lasciando a Putin le ore contate. Siamo asfitticamente avvolti da una stampa che per sostenere col pilota automatico la nenia del c’è un aggressore e un aggredito ha deliberatamente deciso di comprimere la storia degli ultimi decenni al 24 febbraio 2022, data d’ingresso delle truppe russe in Ucraina. Quanto accaduto prima è letteralmente irrilevante. Come ad esempio gli otto anni di guerra civile in Ucraina tra Kiev e le comunità russofile. O come ad esempio il progressivo allargamento della Nato a est negli ultimi 25 anni, passando da 16 a 31 membri, compresa la recentissima Finlandia.

E se la misura non fosse già colma, come dimenticare la scioccante campagna di russofobia a cui abbiamo assistito nei più disparati ambienti artistici e culturali? Sono stati cacciati musicisti e ballerini; sono stati cancellati corsi universitari su Dostoevskij; sono state negate le partecipazioni russe alle fiere di libri e la lista potrebbe andare avanti copiosa. Sono questi i capisaldi d’inclusività e rispetto per le altre culture di cui si fregia la società europea? D’altronde, dovevamo aspettarci simili bassezze fin da quando il nostro ex primo ministro Mario Draghi aveva posto a noi tutti un quesito molto semplice: volete la pace o il condizionatore? Parafrasato: cari italiani, vedete di essere ben disposti a punire Putin e non badate a sacrifici o doglianze di sorta!

Ma per l’ex presidente della BCE, chiamato da Mattarella a formare un nuovo governo, dopo che il lungimirante Matteo Renzi aveva cagionato il crollo del Conte2, non era certo la prima uscita tragicomica in conferenza stampa – ricorda il giornalista. Nel luglio 2021 si era lanciato in analoghe acrobazie definendo il Green Pass “una misura con la quale gli italiani potevano continuare a svolgere le loro attività con la garanzia di non ritrovarsi tra persone contagiose”. Ci avrebbero poi pensato i tempi a venire a smentirlo doviziosamente. Forse è stato chiamato “Governo dei Migliori” perché meglio di così – tanto per la pandemia quanto per la guerra – non avrebbe potuto contribuire ad alimentare divisioni sociali, creando discriminazioni e dividendo i cittadini in buoni e cattivi.

Quando a metà luglio 2022 il Movimento 5 Stelle sceglie di non votare la fiducia sul Dl Aiuti, inizia la crisi del Governo Draghi. Mattarella respinge le dimissioni del premier chiedendogli di andare a cercare la fiducia la settimana successiva. È così che prende avvio uno spettacolo giornalistico e propagandistico in cui si dipinge un Paese in afflizione e costernazione che chiede al banchiere di restare tramite appelli e raccolta firme di vescovi, sindaci, rettori delle università, Confindustria, medici e persino senzatetto, e non è una battuta! “Draghi fa la differenza per tutto il Paese. L’Italia ha recuperato prestigio e credibilità con lui. Io che sono un barbone lo vedo (…)”. A parlare all’Andkronos è Emanuele, un clochard che vive a Roma, in piazza San Silvestro.

Sta di fatto che il 20 luglio 2022 è proprio finita. Nonostante il voto parlamentare che conta 192 presenti, 133 votanti, 95 favorevoli, 38 contrari e 59 astenuti, Mario Draghi dichiara le sue dimissioni irrevocabili. A quel punto, in vista delle elezioni politiche annunciate per il vicino 25 settembre, inizia una turbinosa campagna discriminatoria verso il M5S, reo di non aver, in ordine: saputo stimare ed apprezzare la sola vera figura che possa guidare il Paese, godendo degli ossequi di tutta Europa fin oltreoceano; saputo comprendere che in un momento così delicato una crisi di governo era l’ultima delle iniziative da intraprendere; saputo individuare le vere priorità di politica interna ed estera. Ad esempio, come permettersi di tentennare sull’invio di armi all’Ucraina? O come continuare a sostenere la causa del Reddito di Cittadinanza in un momento di forte difficoltà per i portafogli degli italiani? La carrellata di titoli e articoli della rassegna stampa – proiettati in sala col sottofondo del Billy Hill Theme – in cui si esecrano con i più disparati epiteti i percettori del sussidio è letteralmente esilarante! Travaglio aggiunge: “ve le devo per forza mostrare, altrimenti non ci credereste!” (Una sorta di enorme déjà-vu di come, qualche anno prima, giornali e telegiornali erano riusciti ad allestire un analogo show mediatico sull’estrema fondatezza e occorrenza del TAV, a colpi di accurati studi, perizie e analisi.)

Così, tra una manifestazione di dolore e l’altra per il migliore tra i migliori che lascia Palazzo Chigi, arriviamo alla vigilia del 25 settembre. La sinistra dell’Enrico Letta “dagli occhi di tigre”, sempre più prona ai diktat di ogni vincolo esterno e ormai anni luce lontana da lavoratori e semplici cittadini, viene data per sgominata ancora prima di ogni pronostico. Il terzo polo di Renzi e Calenda, nella mancata rielaborazione del lutto appena vissuto, impronta la sua campagna elettorale interamente sulla passata Agenda Draghi, o meglio “turboagendadraghi”. E, udite udite, Fratelli d’Italia – l’unico partito venuto meno all’ammucchiata precedente – raggiunge oltre il 26 % di voti. Una vittoria fin troppo prevedibile nella generale sconfitta del Paese per l’astensionismo intanto arrivato al 36,27%. Non rappresentanza; sfiducia politica; consapevolezza che le decisioni importanti vengano ormai da anni prese nelle stanze dei piani alti internazionali, indipendentemente dal voto dei cittadini, sono tutti elementi che ben ritraggono l’attuale volto del Paese.

Questo è il punto esatto in cui ci troviamo, dopo la sequela di sventure causticamente raccontate in quasi tre ore di spettacolo. Per ritornare da dove eravamo partiti, Renato Zero ci ricordava che nessuna notte è infinita; dunque auguriamoci di poter almeno attendere l’alba, tenendo sempre viva la libertà di critica e di fare satira.

Comments

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FMIt
Sunday, 31 March 2024 21:12
"nessuna notte è infinita"; ma se arriva la morte ,quella si è infinita, e ci stanno portando al macello.
cosa possiamo fare? Protestare? Contro tutte le istituzioni schierate...
Votare ? è mai cambiato qualcosa ? Si ,è cambiata la suonata dei nuovi eletti ,appena in carica.
Inoltre ,siamo chiusi dentro uno stato che è chiuso dentro l'€ U che è chiusa dentro la NATO
Vi rendete conto che neanche il popolo U$A a questo riguardo non conta niente, tanto è vero che è governato dall'Ologramma sfocato Biden e nonostante i veri padroni che non son stati votati da nessuno, continuano a seguire il loro programma di Dominio Assoluto.
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ndr60
Saturday, 22 April 2023 17:45
Vero, la notte non è infinita; però se vivi in una stanza senza finestre e l'unica lampadina viene accesa dall'esterno...
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