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Trump dichiara guerra a neocon e liberal

di Davide Malacaria

Trump sigla un accordo multimiliardario con il principe ereditario Moḥammad bin Salman a Riad, prima tappa del suo tour mediorientale. La notizia è rimbalzata sui media internazionali, che però non hanno riportato le cose più importanti accadute nella circostanza.

Non che tale maxi-accordo non abbia rilevanza, ma appartiene alla cronaca e alla direttrice propria dell’America First. Nessuna sorpresa in questo. Sorprendenti, invece, almeno per i critici del trumpismo, i due spunti che appartengono alla storia.

 

La dichiarazione di guerra a neocon e liberal

Il primo è l’accenno di Trump ai disastri causati dall’interventismo liberale e dai falchi neoconservatori Usa. Infatti, elogiando lo sviluppo dei Paesi del Golfo, ha detto: “Questa grande trasformazione non è arrivata grazie agli interventisti occidentali… che vi hanno impartito lezioni su come vivere o come governare i vostri affari. No, le scintillanti meraviglie di Riyadh e Abu Dhabi non sono state create dai cosiddetti ‘costruttori di nazioni’, dai ‘neoconservatori’ o dalle ‘organizzazioni no-profit progressiste’, che hanno speso miliardi di dollari per non sviluppare Kabul e Baghdad, e tante altre città”.

In realtà, aggiunto, “i cosiddetti ‘costruttori di nazioni’ hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite e gli interventisti si sono ingeriti in società complesse che non comprendevano nemmeno”.

In tal modo, Trump ha condannato le due anime dell’interventismo americano, che in questi decenni hanno devastato intere nazioni – dalla Siria alla Libia, dall’Afghanistan all’Ucraina, dall’Iraq alla Jugoslavia, per citare solo qualche esempio tra i tanti – sia con le bombe sia con le rivoluzioni colorate e i golpe finanziati tramite l’UsAid, il National Endowment for Democracy e le organizzazioni non governative a esse collegate.

Altro spunto di rilievo è quando ha evitato di far pressioni sull’Arabia Saudita perché aderisca agli Accordi di Abramo, che pure ha lanciato nel corso del suo precedente mandato. Una svolta rispetto alla precedente amministrazione, che invece aveva pressato l’Arabia saudita perché vi aderisse, facendo leva sulle minacce alla stabilità regionale portate dall’aggressività ad ampio spettro dispiegata da Israele.

Sintetico l’altro accenno di Trump sui suoi predecessori consegnati alle fumisterie liberal-neocon: “Negli ultimi anni, troppi presidenti americani sono stati afflitti dall’idea che sia nostro compito giudicare l’anima dei leader stranieri e usare la politica statunitense per dispensare giustizia per i loro peccati… Credo che sia compito di Dio giudicare, il mio compito è difendere l’America e promuovere gli interessi fondamentali di stabilità, prosperità e pace”.

 

La prima presidenza Trump

Si tenga conto che il conflitto tra Trump (e i suoi sostenitori all’interno del partito repubblicano) contro liberal e neocon è la variabile più importante della geopolitica globale e l’esito ancora incerto di questo scontro – che interagisce con gli sviluppi internazionali, anzitutto la crescita dei Brics – avrà un peso notevole, se non decisivo, sui destini del mondo.

Tale conflitto si è registrato anche nel corso della prima presidenza Trump ed è stato vinto dagli antagonisti del presidente, tanto che riuscirono a impedire che sviluppasse la politica estera e a impedirne la rielezione.

Rispetto al primo mandato, però, Trump può giovarsi di un maggior numero di alleati interni e della crescita dei Brics, importante quest’ultima perché va a detrimento dell’influenza globale dei suoi nemici e, di conseguenza, del loro potere negli States (così come il caos delle guerre infinite ha aumentato al parossismo il loro potere).

Ma c’è un altro elemento da non sottovalutare: mentre nella prima presidenza Trump era fiducioso nella possibilità di poter gestire, da presidente, i neocon del partito repubblicano (che agivano in combinato disposto con i liberal all’opposizione), stavolta è ben cosciente del loro immenso potere e si muove di conseguenza.

Inoltre, ora è conscio che lo scontro che ha intrapreso è esistenziale: sa che, se perde, non sopravviverà alla sconfitta. Così anche i momenti nei quali è costretto a un appeasement con tali circoli, sa che si tratta di intese transitorie e si muove di conseguenza.

 

Gli attentati a Trump

Per inciso, e a corollario di tale assunto, non sembra affatto una coincidenza temporale il fatto che l’esplicita dichiarazione di guerra contro i suoi irriducibili antagonisti sia giunta il 13 maggio, a un anno esatto dall’attentato subito nel corso della campagna elettorale a Butler, al quale è scampato per una frazione di millimetro e qualche decimo di secondo (c’è chi ha voluto ricordare che il 13 maggio ricorreva la memoria della Madonna di Fatima; più prosaicamente si può concludere che ha avuto una fortuna sfacciata).

A tale proposito, ci sembra il caso di concludere con un cenno al secondo attentato a Trump, quell’ attentato il 15 settembre 2024, sempre durante la campagna elettorale, a opera di Ryan Routh, il quale si era appostato con un fucile di precisione presso il Trump International Golf Course in attesa di colpire il candidato repubblicano, sventato dalla sicurezza.

Il sito americano Headline Usa, dopo aver ricordato le numerose segnalazioni pervenute alle autorità americane sul conto di Routh, che agiva come reclutatore per la legione straniera creata per dar man forte all’esercito ucraino, ha rivelato che, poco prima dell’attentato, era stato spiccato un mandato di arresto contro di lui da parte della polizia della Florida.

A seguito di tale mandato, il 6 settembre, gli agenti avevano “effettuato un ‘controllo di sicurezza’ nei confronti di Routh presso un’area di sosta per camion dove sembra che abbia vissuto nelle settimane precedenti” l’attentato. Non solo tale controllo non ha avuto alcun seguito, ma gli agenti non si sono neanche accorti che il veicolo di Routh montava una “targa rubata” della Florida con numeri di serie #97EEED.

La stessa targa trovata sul suo veicolo quando è stato arrestato dopo il fallito attentato e con il quale aveva circolato liberamente nei giorni precedenti, nei quali aveva fatto un sopralluogo all’aeroporto usato da Trump e che era rimasto parcheggiato indisturbato per ben 12 ore nei pressi del golf club nel quale doveva trovare la morte il candidato alla Casa Bianca.

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