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"Perché il sistema capitalistico è praticamente morto"

di Francesco Piccioni

capitalismo mortoTrovare un titolo così su un quotidiano economico dedicato specificamente alla finanza, diciamolo, è sorprendente. Scorrendolo, poi, abbiamo riscontrato notizie e spiegazioni delle trasformazioni avvenute nei “mercati” che mettono a fuoco esattamente i problemi sistemici.

Ancora più sorprendente, per un lettore italiano cresciuto ad editoriali stile Giavazzi-Alesina-Giannini-Cottarelli, è il fatto che questa attenzione ai fattori strutturali sia opera di un investitore istituzionale, a capo di un importante fondo di investimento svizzero. Non di un professorino cresciuto come un pollo in batteria alla Bocconi e passato direttamente dai banchi di studente alla tribuna di “teorico” grazie all’abilità nel maneggiare modellini econometrici (matematica applicata, insomma, non economia).

Il mestiere dell’autore si vede dall’attenzione a passaggi di tecnica finanziaria davvero poco noti ai non addetti ai lavori, e questo può distrarre l’attenzione del lettore non “addestrato”. Ma i passaggi sintetici, e i giudizi espressi sulle “svolte” dell’economia capitalistica degli ultimi 30 anni, sono quasi da saggio marxista. Chiari, semplice, soprattutto veri.

Marxismo inconsapevole, certo. Ma se così è vuol dire che è la realtà economica ad affermarsi, con tale evidenza che anche chi è stato formato su altri princìpi teorici (neoliberisti, in questo caso) è costretto ad arrivare alle stesse conclusioni.

C’è un perché questo riesca “naturale” ad un investitore istituzionale, uno che mette le mani quotidianamente nei “mercati” comprando e vendendo, speculando e guadagnando (oppure non più), e invece risulti impossibile ai “commentatori” ed editorialisti prima citati. Un investitore gioca con soldi veri, deve avere risultati tangibili. Gli altri sono pagati – anche dagli stessi investitori – per raccontare un mondo diverso da quello reale, in cui gli investitori possano liberamente sguazzare.

Vogliamo comunque evidenziare chiaramente i passaggi più rilevanti, al di là del titolo-shock.

 

1) “i mercati finanziari stanno entrando silenziosamente nella fase preliminare della nazionalizzazione, dove l’intervento pubblico e il sostegno della FED saranno elementi portanti di un capitalismo che è praticamente finito”.

Un sistema fondato sull’iniziativa priva, negli ultimi venti anni, è rimasto in piedi solo grazie alla “socializzazione delle perdite”, ovvero grazie a risorse pubbliche regalate ai privati.

Questo gioco è solo modestamente replicabile, anche se le banche centrali vere e proprie (Federal Reserve Usa, Bank of England, quella cinese e poche altre, ma di certo non la Bce) possono “inventare denaro” a volontà, perché il rischio inflazione – dopo dieci anni di deflazione o stagnazione – è molto meno serio del palese blocco totale del sistema.

Ma in ogni caso un sistema produttivo e finanziario che si sostiene solo grazie all’intervento pubblico non è più capitalismo. E’ sicuramente un “ambiente” fortemente diseguale, anzi sempre più diseguale; dove pochissimi guadagnano cifre colossali grazie a posizioni monopolistiche o oligopolistiche, e quasi tutti vengono invece spinti verso la povertà assoluta.

Ma non è capitalismo.

C’è più Marx in questa formulazione di quanto non ce ne sia mai stato nei ponderosi saggi di teoria. Non bastano infatti le disuguaglianze, le ingiustizie, lo sfruttamento e la ferocia a fare di un modo di produzione capitalismo.

Queste infamie sono esistite anche in altri modi di produzione, magari precedenti di secoli l’affermarsi del capitale. Per fare capitalismo serve che il meccanismo privatistico stia in piedi da solo, tramite i soli meccanismi di mercato, deve cioè remunerare con profitto il capitale investito.

Se invece è “il pubblico” a compensare gli squilibri sempre più instabili, allora il sistema sta evolvendo “spontaneamente” verso una situazione in cui l’intervento pubblico diventa determinante. Ossia verso la nazionalizzazione (o meglio pubblicizzazione della proprietà dei mezzi di produzione, della finanza, ecc) e a maggior ragione la pianificazione centralizzata dell’impiego delle risorse in vista di obiettivi decisi su base molto più razionale della semplice “voglia di profitto individuale”.

 

2) Lo stallo del sistema è riassunto nei suoi elementi fondamentali: Il sistema ha bisogno di grandi capitali per essere sostenuto, ma non può remunerare questi capitali perché altrimenti fallirebbe. I Governi hanno bisogno di fare più debito per sostenere l’economia ma il capitale richiesto per finanziare il debito non può essere remunerato poiché renderebbe il debito non sostenibile. Le aziende hanno bisogno di emettere debito per finanziarsi ma non possono permettersi di pagare tassi tanto diversi rispetto a quelli dei governi perché anche per loro il debito sarebbe non sostenibile.

Scacco matto. Nessun soggetto sistemico può più muoversi senza perdere. Ma se nessuno si può muovere il sistema è finito. Dialettica materialistica, non finanza speculativa matematizzata.

 

3) Ci si è arrivati per normale “evoluzione” darwiniana (e marxiana), ossia senza un progettto prestabilità.

I Policy Makers non controllano nulla e non vigilano sui rischi finanziari di sistema, anzi, li incentivano sempre di più. La commistione che si è creata tra Banche Centrali, Asset Managers, Banche e grandi gruppi di Private Equity ha portato alla costruzione di un sistema che crede che il rischio non esista più per chiunque.

Ma è scritto anche nei manuali liberisti del primo anno che “il profitto è il premio del rischio affrontato dall’investitore privato”. Dunque dunque è corretto che, proprio perché si deve far credere che il rischio non esiste, il capitale di rischio non venga più remunerato. Se tutti coloro che partecipano a questo meccanismo devono essere sempre salvati, indipendentemente dai rischi che decidono di prendere, è normale che poi il capitale di rischio non può pretendere una remunerazione.

 

4) Da cui consegue che: Il sistema capitalistico, degenerato a causa di questo modo di operare, è praticamente morto e la finanza, così come funziona oggi, lo ha ucciso.

Anche in questo caso non c’è stato alcun “progetto del capitale”, ma semplice reazione a una crisi che ha prodotto “soluzioni tampone”. Interventi dettati dalla contingenza, per cercare di ripristinare le condizioni pre-crisi, pur con qualche correttivi nei confronti dei fenomeni più evidentemente negativi (dieci anni fa spopolava sui media la critica dell’eccessivo moral hazard della finanza speculativa stile Lehamnn Brothers).

Gli Stati Uniti, dal 2001 in poi, hanno messo l’economia reale a sostegno della finanza, ribaltando la funzione che la finanza era a sostegno dell’economia reale. Oggi il settore finanziario “fa leva” 4/5 volte sull’economia reale per ottenere rendimenti che l’economia reale non riesce più a produrre, così come le banche nel 2008 facevano leva 40 volte sul capitale per ottenere rendimenti che l’attività caratteristica non poteva dare.

La “soluzione tampone” d’allora, sotto la pressione dell’”emergenza”, è diventata un elemento strutturale. Ciò che ha limitato allora la crisi ne ha prodotta ua molto più grande, anche se l’esplosione è avvenuta per un “fattore esterno”, un virus che ha fatto le funzioni di un asteroide. Ma un sistema che non regge gli impatti esterni è in realtà una bolla destinata prima o poi ad esplodere.

La diversità della reazione, e dell’efficacia, all’epidemia tra un sistema capitalistico sono governance pubblica (come la Cina) e i sistemi a totale predominanza del privato è evidente. Nel primo caso ci sono stati danni seri, ma limitati nella dimensione e nel tempo; nel secondo pare non esserci alcun limite al peggio (fin quando non ci sarà un vaccino, almeno), perché le risposte di tipo collettivo e razionale (quelle suggerite dalla scienza) vengono immediatamente messe in discussione dagli interessi delle imprese private, ognuna per sé.

 

5) Una serie di “game over” che porta un investitore istituzionale a una conclusione davvero paradossale (in apparenza), perché costituisce la negazione esplicita della sua funzione: una volta verificato che “l’eccesso di risparmio nel sistema, non trovando una adeguata remunerazione in loco, tende ad emigrare verso sistemi in cui i rendimenti sono superiori”, non resta che profferire la bestemmia peggiore per le orecchie di un finanziere:

Per evitare questa migrazione bisognerebbe impedire la libera circolazione dei capitali, piccolo dettaglio che le Teorie Monetariste hanno dimenticato. Il risultato di queste “sciagurate” operazioni fatte applicando in modo becero le Teorie Monetariste sono davanti a tutti. Infatti Europa e Giappone erano già in recessione a fine 2019 con le Banche Centrali impegnate a stampare moneta e con i tassi negativi (!).

 

6) La conclusione più logica è dunque quasi “comunista”, anche se vista con terrore.

La presenza dello Stato nell’economia è destinata a crescere, la redditività del capitale è destinata a scendere e l’impatto sugli equilibri sociali e politici attuali potrebbero essere l’ultimo tassello che manca per completare uno scenario di cambiamento dai contorni decisamente incerti. Anche se nei prossimi mesi si troveranno delle cure per contrastare il Coronavirus, tali cure non guariranno un sistema capitalistico e un sistema finanziario malato.

Nel nostro linguaggio si chiama “caduta tendenziale del saggio del profitto”, ma potete anche chiamarla “redditività calante del capitale”… Il risultato non cambia. A quanto pare sono state esaurite le “controtendenze” (la principale è sempre stata la finanza…).

Se non ci sarà la lungimiranza di modificare le regole del gioco con un cambiamento guidato dall’alto, c’è il rischio evidente che il cambiamento venga imposto dal basso, con evidenti conseguenze poco piacevoli per tutti (noi imprenditori e investitori istituzionali, ndr).

Lo sappiamo, lo speriamo, lavoriamo per questo.

Buona lettura:

Perché il sistema capitalistico è praticamente morto

di Maurizio Novelli

Comments

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romke
Friday, 08 May 2020 22:47
Francesco Piccioni, ben tornato rinnegato Kautsky !
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