Print Friendly, PDF & Email
resistenze1

Dalla crisi dei mutui un duopolio Euro-Dollaro?

Domenico Moro

E' probabile che una parte almeno delle élite europee mirino a questo obiettivo, contando, oltre che sulla perdurante crisi finanziaria e monetaria degli Usa, anche sulle difficoltà incontrate dagli statunitensi a gestire unilateralmente i vari fronti di guerra

schizzo01web blogChissà cosa direbbe oggi Connolly, il segretario Usa al Tesoro che nel '71 affermò, rivolto agli europei: "il dollaro è la mia moneta, ma il vostro problema." Il recente rialzo del tasso di interesse di un quarto di punto al 4,25%, deciso il 3 luglio dalla Banca centrale europea, avrebbe potuto portare l'ennesimo colpo al dollaro, che dallo scoppio della bolla dei subprime non ha cessato di perdere posizioni di fronte all'euro. Del resto, anche il 2 luglio, alla notizia della contrazione dell'occupazione Usa ai massimi dal 2 novembre 2002, il dollaro era nuovamente scivolato rispetto all'euro. Ma, la dichiarazione del presidente della Banca centrale europea, Trichet, secondo cui l'ultimo aumento non avrebbe significato l'apertura di un nuovo ciclo di rialzi dei tassi d'interesse ha, per ora, scongiurato il pericolo di ulteriori smottamenti.

Non bisogna, però, scordare che la crisi, definita come finanziaria ma che probabilmente sarebbe più corretto chiamare monetaria, affonda le sue radici nella grave decadenza dell'economia reale Usa, che soffre, a partire dagli anni '60, delle conseguenze di una perdurante sovrapproduzione di capitale. Al proposito, solo un esempio: la GM, un tempo leader automobilistico mondiale, rischia ora la bancarotta, ed il valore delle sue azioni a Wall Street è crollato del 15%. Insieme, i due colossi di Detroit, GM e Ford, hanno oggi una capitalizzazione di Borsa di 10 miliardi, mentre la "piccola" Fiat da sola vale quasi 13 miliardi.

Negli ultimi anni, la speculazione ha sempre di più sostituito nella accumulazione dei profitti una struttura produttiva sempre più ristretta, col risultato di creare una serie di bolle, che, scoppiando, riproponevano la crisi, solo su una base sempre più larga. Il meccanismo speculativo è stato determinato dal mantenimento da parte della Banca centrale Usa (Fed) di un costo del denaro eccezionalmente basso e dal fatto che il dollaro, ricoprendo la funzione di moneta mondiale, ha permesso agli Usa di farsi finanziare debito statale ed estero dal resto del mondo. Negli anni si è così creata una situazione mondiale di grave squilibrio, con il debito mondiale concentrato negli Usa, ridottisi a maggiore debitori mondiali, ed il credito, invece, concentrato nei principali paesi esportatori di petrolio e nei paesi dell'Estremo Oriente esportatori di manufatti.

Lo scoppio della bolla dei subprime, nell'agosto scorso, non ha modificato l'atteggiamento degli Usa che sono tornati a ripercorrere la disastrosa strada dei bassi tassi d'interesse, abbassando il costo del denaro al 2%. Ciononostante, l'indebolimento del dollaro, che ne è derivato, non ha permesso di rilanciare le esportazioni e di ridurre sensibilmente il debito estero. Inoltre, la crisi dei mutui appare ad oggi tutt'altro che esaurita, come provano il continuo calo dei prezzi delle case ed il recente collasso di borsa della seconda banca d'investimento Usa, Morgan Stanley, i cui profitti sono crollati del 60%. Ma è l'intero sistema bancario Usa ad essere sull'orlo del collasso, gravato com'è da perdite che ufficialmente sono di 400 miliardi di dollari, ma che, in realtà, raggiungerebbero, secondo alcuni, la cifra stratosferica di tre trilioni di dollari. Mentre la politica monetaria ultraespansiva della Fed non è riuscita a risolvere i problemi economici interni agli Usa sta, invece, avendo un effetto devastante sulle altre economie mondiali.

Infatti, il basso costo del denaro e la svalutazione del dollaro hanno prodotto nuove bolle speculative, attraverso le quali banche e fondi d'investimento stanno cercando di rifarsi delle perdite derivate dai mutui. La speculazione ha così fatto impennare i prezzi del petrolio e degli alimentari, che hanno diffuso inflazione in tutto il mondo. I più penalizzati sono i paesi dell'Estremo Oriente, le cui valute sono legate a quella Usa. Così, questi paesi, per combattere l'inflazione, non possono impiegare lo strumento del rialzo dei tassi d'interesse (già piuttosto alti), perché in questo modo le loro valute si apprezzerebbero, aumentando così i prezzi delle loro esportazioni e riducendone la competitività. Dunque, le difficoltà Usa vengono scaricate sui paesi che rientrano nell'area del dollaro e che si trovano costretti a fronteggiare l'aumento del costo della vita (la Cina ha recentemente aumentato il prezzo della benzina) e crescenti tensioni sociali.

Appare con chiarezza che gli Usa non sono più in grado di assolvere a quella funzione di coordinamento della mondializzazione capitalistica, che si erano assunti a seguito della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e che si basava sulla loro schiacciante leadership sul piano produttivo e finanziario. A dire in faccia al re che è nudo ci ha pensato il neopresidente russo Medvedev, sostenendo che il ruolo mondiale degli Usa è sproporzionato rispetto alla loro capacità economico-finanziaria. Ma Medvedev ha fatto di più: ha detto chiaramente che il dollaro non può più continuare ad essere l'unica moneta di riserva e di transazione mondiale ed ha aggiunto che è l'euro a doversi affiancare al biglietto verde.

Le affermazioni di Medvedev trovano, inoltre, autorevole conferma in una intervista rilasciata recentemente al Sole24ore da Yves Thibault de Silguy, oggi presidente di Vinci, uno dei maggiori colossi europei delle costruzioni, e nel ‘95-‘99 Commissario Ue agli affari economici e monetari, in pratica uno dei padri dell'euro. De Silguy ritiene che gli Usa abbiano due scelte: o sopportare le conseguenze del loro deficit oppure sedersi ad un tavolo con gli europei per definire un nuovo ordine monetario mondiale. Infatti, gli Usa stanno incontrando difficoltà a continuare a farsi finanziare il loro debito col dollaro, proprio perché l'uso dell'euro si sta diffondendo. "Per questo," conclude de Silguy, "prevedo l'arrivo di un sistema monetario bipolare fondato su euro e dollaro." In effetti, la forza dell'euro è strutturale perché l'Europa è la prima area economica del mondo. Pensiamo, ad esempio, che il valore delle sue esportazioni ammonta a 5.769 miliardi di dollari, a fronte dei 1.854 miliardi del Nord America e dei 3.798 miliardi di dollari dell'Estremo Oriente, che pure può contare sulle dinamicissime economie cinese ed indiana. De Silguy ritiene però che l'euro, da lui definito "l'unica vera arma degli europei sulla scena globale", deve rafforzarsi ulteriormente "per convincere gli Usa che non possono più imporre la loro moneta al mondo." Ed è questa la spiegazione della scelta dei tecnocrati della Banca centrale europea di rialzare, nonostante i dubbi di Sarkozy e della Merkel, il costo del denaro, allo scopo di mantenere l'euro in posizione di forza sul dollaro.

Si tratta, comunque, di un nodo centrale, in quanto solo grazie al dollaro, in quanto valuta degli scambi mondiali, gli Usa ottengono merci dall'estero pur senza produrre e scambiare un equivalente. E' stato, infatti, per mantenere il dollaro nel suo ruolo, che l'amministrazione Bush ha invaso l'Iraq che, una volta terminate le sanzioni, avrebbe commercializzato il suo petrolio in euro, ha occupato l'Afghanistan, strategico nel controllo dei rifornimenti energetici, ed ora minaccia l'Iran, che vorrebbe aprire una borsa petrolifera che tratti il petrolio sempre in euro. Un eventuale duopolio euro-dollaro sarebbe, quindi, molto problematico da realizzarsi. Eppure, è probabile che una parte almeno delle élite europee mirino a questo obiettivo, contando, oltre che sulla perdurante crisi finanziaria e monetaria degli Usa, anche sulle difficoltà incontrate dagli statunitensi a gestire unilateralmente i vari fronti di guerra. Le aperture della Merkel e di Sarkozy nei confronti degli Usa, ad esempio con il rientro della Francia nella Nato, potrebbero essere lette in questo senso. Dunque, potrebbe forse aprirsi uno scenario in cui Usa ed Ue trovino una soluzione di cogestione della crisi della mondializzazione.

Sarebbe però tutto da vedere se questa cooperazione assumerà la configurazione di un coinvolgimento subalterno agli Usa nella gestione dell'economia mondiale, oppure segnerà la modificazione dei rapporti di forza mondiali a favore dell'Europa. Nel primo caso la Ue diventerebbe il puntello dell'imperialismo Usa, nel secondo caso bisognerebbe vedere se e quanto a lungo gli Usa potrebbero sopportare una situazione di condominio, che, alla lunga, li vedrebbe nuovamente economicamente subalterni al vecchio continente, dinanzi al quale si porrebbe anche il problema di come assumere un ruolo politico-militare mondiale più definito.

C'è, infatti, da essere scettici sulla capacità degli Usa di superare la natura parassitaria assunta apparentemente in forma stabile dalla loro economia e sulla volontà di cedere pacificamente fette di potere a chicchessia. In ogni caso, è ormai evidente che se il dollaro continua ad essere il problema di molti paesi, ora, per parafrasare Connolly, è sicuramente l'euro il problema degli Usa, anche più della Cina e sicuramente molto più del nucleare iraniano.

Add comment

Submit