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aprileonline

La terza fase della crisi è in periferia

Domenico Moro

Dopo il crollo del sistema finanziario in Usa e in Ue e dopo la sovrapproduzione industriale, si apre una nuova stagione di difficoltà economica che investe i paesi emergenti portando allo scoperto la fragilità della loro crescita fondata su un esagerato indebitamento. Rispetto al pericolo di insolvenza e di bancarotta statale di queste nazioni, che sono soprattutto dell'Est, i più esposti sono i creditori dell'Europa Occidentale, tra cui l'Italia

Di recente si sono verificati due fatti significativi della situazione in cui versa la Ue ed in particolare il suo nocciolo duro, l'eurozona. Il primo è il calo dell'euro sul dollaro del 22% rispetto al picco raggiunto nel luglio del 2008, dopo un lungo periodo di crescita. Il secondo è l'approvazione da parte del governo tedesco di una legge che consente allo Stato l'espropriazione delle banche che versano in una situazione di grave difficoltà.

Si tratta di una novità epocale, perché la Legge fondamentale tedesca, a differenza di altre Costituzioni europee, prevede limiti specifici all'esproprio, e perché in questo modo si vengono a negare i principi di economia liberista su cui la Repubblica Federale Tedesca si è fondata sin dagli anni 50 in contrapposizione alla socialista Repubblica Democratica Tedesca.

La ragione di tali fatti è da rintracciarsi nell'apertura di una nuova fase nella crisi mondiale, che si sta per scaricare con violenza proprio su Eurolandia. Dopo una prima fase della crisi che, con lo scoppio della bolla dei subprime, aveva messo a terra il sistema finanziario e bancario soprattutto negli Usa e in parte nella Ue ed una seconda fase che ha fatto emergere la sovrapproduzione industriale da tempo latente nei paesi più "avanzati", ora siamo dinanzi ad una terza fase.

La crisi si trasferisce dal centro del sistema economico mondiale ai paesi della periferia, le cosiddette economie emergenti, che si ritrovano senza sbocchi per le loro merci nei mercati ricchi. Viene così allo scoperto la fragilità della recente ed enorme crescita di questi paesi, basata su di un esagerato indebitamento.

E' questa la situazione degli ex Paesi socialisti dell'Europa centro-orientale che, attuando drastiche campagne di privatizzazioni, hanno costituito il terreno della applicazione più sconsiderata del neoliberismo e, accogliendo massicci investimenti esteri, sono divenuti di fatto il prolungamento dell'industria europea occidentale.

Al momento questi paesi sono indebitati con le banche estere per 1656 miliardi di dollari (di cui 1511 con le banche dell'Europa occidentale), tre volte più che nel 2005. Un debito insostenibile in presenza della recessione, che determina il crollo delle valute locali e l'aumento dei deficit commerciali e statali. Ad esempio, l'Ucraina sta fronteggiando una perdita del 10% del Pil, mentre la Romania ha visto il suo deficit commerciale con l'estero passare dal 3,3% sul Pil nel 2002 ad un insostenibile 12,2% nel 2008, cui si aggiunge un deficit pubblico del 5,2%.

Il restringimento del credito bancario, seguito allo scoppio della bolla dei subprime, fa così emergere la vulnerabilità di molti paesi dell'Est Europa, che ora avrebbero bisogno di 200 miliardi di dollari di rifinanziamento e di 150 miliardi per ricapitalizzare le banche.

Per fronteggiare questa situazione, Ungheria, Lettonia ed Ucraina si sono assicurate prestiti d'emergenza presso il Fondo Monetario Internazionale, mentre Serbia e Romania stanno per fare lo stesso. In ogni caso, dinanzi al pericolo di insolvenza e di bancarotta statale di questi Paesi, i più esposti sono i paesi creditori dell'Europa Occidentale.

I maggiori fra questi sono l'Austria con 277,9 miliardi di dollari (il 75% del suo Pil), la Germania con 219,9 miliardi, l'Italia con 219,6 miliardi e la Francia con 155,1 miliardi. La finanza e le banche di Eurolandia, dopo lo shock dei "titoli tossici" provenienti dagli Usa, potrebbero, quindi, subire un durissimo contraccolpo proveniente da Est.

Pericolo da cui sono tutt'altro che esenti le due principali banche italiane, tra quelle occidentali le più attive nell'Europa orientale, Banca Intesa ed in particolare Unicredit, che è esposta anche attraverso le sue consociate in Austria, dove è il primo gruppo bancario, ed in Germania, dove è il secondo gruppo.

Ne risulta tutta la superficialità delle dichiarazioni di Berlusconi sulla situazione di sicurezza delle banche italiane rispetto alle altre banche europee. Ma per Eurolandia, l'Europa centro-orientale, il suo giardino di casa, è solo una parte del problema.

Infatti, secondo la Banca dei regolamenti internazionali, la zona dell'euro, oltre a fornire il 90% del prestito dell'Est Europa, eroga quasi i tre quarti dei prestiti bancari ai paesi emergenti su scala mondiale. Su un totale di 4593 miliardi di dollari di prestiti globali, l'eurozona contribuisce con 3369 miliardi (il 73,4%), gli Usa con 475 miliardi (10,3%) ed il Giappone con 218 miliardi (4,8%). L'esposizione dell'eurozona verso i paesi emergenti raggiunge il 18,8% del suo Pil, quella degli Usa il 3,4% e quella del Giappone il 5%. Solo la Spagna, ad esempio, fornisce un terzo dei prestiti totali all'America latina.

E' per queste ragioni che le difficoltà del mercato mondiale possono danneggiare l'Europa più delle banche Usa e giapponesi. Di conseguenza, l'euro, essendo la valuta più esposta sui mercati emergenti, è a rischio di svalutazione. Infatti, dall'inizio del deterioramento della situazione nell'Est Europa, attorno all'8 di ottobre, l'euro è calato del 10%.

L'aggravarsi della situazione economica europea è dimostrato anche dall'aumento del costo delle assicurazioni sui titoli del debito statale non solo dei paesi dell'Est Europa, ma anche dei paesi più deboli dell'eurozona, come Grecia e Irlanda, e persino di quelli più forti, come Francia e Germania.

Se la crisi è insieme conseguenza ed accelerazione della disgregazione dell'ordine economico e finanziario mondiale basato sul dollaro e sugli Usa, è al contempo anche la dimostrazione della incapacità dell'euro e della Ue di soppiantare o quantomeno di condividere il ruolo egemonico del dollaro e degli Usa. Del resto, anche l'Europa negli ultimi decenni ha seguito la stessa strada degli Usa nell'eliminazione neoliberista delle briglie imposte agli animal spirits del capitale e nello sviluppo di una economia basata su di un indebitamento abnorme.

Inoltre, dinanzi ai gravi pericoli che minacciano le banche Ue, l'esistenza dell'euro e persino l'integrità di Eurolandia, i vari governi stentano ancora a trovare punti di vista e azioni unitarie che correggano quegli errori.

Intanto, il Paese più forte dell'euro, la Germania, pur dimostrando, con la legge sull'esproprio delle banche, di aver capito i pericoli sospesi sulle banche, limitando l'aiuto della Bce in Europa orientale alla sola Ungheria, rivela però di non essere capace di esercitare un ruolo economico, che è a tutti gli effetti anche politico, su un'area decisiva per la sua stessa esistenza.

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