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Mercati, un 2010 con poche illusioni

di Giuseppe Turani

"Questi mercati hanno ancora il 56 per cento di aumento da portare a casa. Poi verso metà febbraio si ferma tutto, si fa un bel crollo (magari anche del 20 per cento) in attesa dei risultati delle trimestrali e poi ci si guarda negli occhi. E ognuno deciderà che cosa fare da grande".

L'operatore milanese che fa questa previsione quasi millimetrica sa benissimo che può sbagliarsi, e anche di grosso, come peraltro è già accaduto in passato. E infatti aggiunge (non richiesto): "Di rialzi sballati ne ho visti tanti, ma questo in un certo senso li batte tutti». «Per quanto ci si sforzi di trovare una spiegazione razionale al boom del 20/30 per cento dei mercati in piena crisi, non ci si riesce. Non esiste una sola ragione al mondo che giustifichi questo boom. E infatti anche noi che siamo qui (e che stiamo guadagnando mica male) siamo perplessi. E' come essere oggetto delle cure di un corteo di Babbi Natale, tutti con le gerla pieni di doni. Doni che sappiamo benissimo di non avere meritato. Semmai, noi abbiamo fatto solo casino e abbiamo messo in piedi una crisi enorme».

 

Ma il rialzo c'è stato, e anche tosto, molto tosto. Possibile che non ci sia una ragione?

«Una c'è, a ben guardare. È la paura. Tutti si sono presi paura che il mercato finanziario mondiale potesse crollare sotto i colpi della crisi. Da tutte le parti, governi e banche centrali, sono arrivati inviti a impedire che ciò accadesse. E così, sentendoci protetti così in alto (invece che in galera), metterci a comprare ci è sembrato il minimo che si potesse fare. Insomma, eravamo colpevoli di furto con destrezza, borseggio continuato, circonvenzione di incapaci, malversazione dei mercati e invece dei carabinieri (o dell'Fbi per i nostri amici americani), ci arrivano telefonate in cui ci dicono di non abbandonare le postazioni e, soprattutto, di comprare, comprare, comprare. Lei che cosa avrebbe fatto?».

Anche perché il gioco ha cominciato subito a rendere.

«È vero. Si è scoperto quasi immediatamente che le grandi banche erano piene di soldi a costo praticamente zero e con un problema. Non si fidavano più a fare prestiti alle aziende (che esse stesse avevano contribuito a gettare nella crisi) perché era diventato troppo rischioso. L'unico posto in cui far rendere quegli enormi capitali arrivati dal cielo (e praticamente gratis) era il mercato finanziario. Anzi. Mentre dare soldi a un'azienda con mille dipendenti voleva dire (e vuole dire) assumersi un rischio molto grosso, in Borsa (viste le condizioni di partenza) si giocava con le carte praticamente segnate. Chi avrebbe mai osato mettersi contro dei mercati che, dati già per morti e sepolti, improvvisamente si mettevano a correre? E infatti nessuno si è messo contro».

Ma adesso si immagina uno showdown addirittura nel giro di poche settimane, tre, forse quattro. Come mai?

«Mia nonna diceva che un bel gioco deve durare poco. Questo del rialzo lo stiamo facendo da marzo, è quasi un anno. Non le sembra che sia ora di fermarsi e di tirare il fiato? Anche perché, ripeto, fra i prezzi a cui siamo arrivati e quello che ‘c'è sotto’, cioè le aziende quotate, non c'è più in realtà alcun rapporto. Stiamo pagando le azioni a dei prezzi che io, in un altro contesto, farei come il Ravelli dei bei tempi: venderei tutto il listino al ribasso e me ne andrei in crociera. Ma questo è il gioco nel quale ci siamo trovati infilati. E allora giochiamo. Ma a metà febbraio sottoscriveremo una polizza sulla vita: una bella botta al listino, e poi si riparte. D'altra parte, i miei clienti hanno visto il resoconto di fine anno e a momenti mi danno le loro figlie da sposare. Mai avrebbero creduto che sarebbe finita così bene».

Nel 2009, nonostante tutto, vi è andata proprio bene. Ma si dice che nel 2010 non sarà così. Forse, alla fine, metterete insieme un rialzo del 10 per cento, magari anche meno.

«Concordo. Con una sola possibile variante. Vede, i tassi di interesse resteranno bassi per chissà quanto tempo. In queste condizioni obbligazioni e simili non rendono proprio niente. Uno compra questi titoli come alternativa al mettere i soldi sotto il materasso. Ma non c'è convinzione, perché non ci sono (e non ci saranno per molto tempo) guadagni interessanti. E questo potrebbe far partire un altro motore. Se nel 2009 ci ha spinti in avanti la paura di un fallimento globale, nel 2010 potrebbe darci un'altra spinta la disperazione: la disperazione di avere in mano tanti soldi che però non rendono quasi niente. Già me li sento che chiameranno al telefono e diranno: mi raccomando, stia attento, ma mi faccia guadagnare qualcosa, anche poco, sa, l'importante è non stare fermi. Se saranno in tanti a fare questo ragionamento, allora i mercati potrebbero decollare un'altra volta. Solo che in questo caso sarebbe un volo breve. Diciamo fino a giugno».

Perché siete così pessimisti?

«Vede, in aprile escono le prime trimestrali dal 2010 e sarà roba da mettersi a piangere sul serio, da crisi verticale del capitalismo. Ma a questa prima doccia fredda forse i mercati possono ancora resistere. Erano tutti risultati attesi, si dirà, che cosa potevano fare povere aziende dentro una congiuntura così? Ma a giugno arriveranno le seconde trimestrali e si comincerà a vedere in controluce l'intero 2010. E si capirà che per le imprese questo sarà un anno-tragedia. A quel punto anche i più testardi capiranno che non è possibile continuare nella pretesa di fare soldi con i soldi sopra un'economia che riesce a mettere insieme solo perdite e che, semmai, di soldi avrebbe bisogno per ricapitalizzarsi e per fare qualcosa di nuovo. E il tonfo non sarà più evitabile».

Tutto ciò è proprio inevitabile?

«Ha presente quei film western con i giocatori di poker che tengono la pistola sulle ginocchia, pronti a sparare? Ecco, siamo esattamente dentro quel film. Qui non ci tiriamo certo indietro, c'è da ballare, balliamo. C'è da comprare, compriamo. Ma sempre pronti a infilare l'uscita di sicurezza. Ecco perché ci sarà un tonfo e anche piuttosto robusto. La nostra non sarà una discesa calibrata, meditata, ragionevole. Ma sarà proprio una specie di ‘si salva chi scappa per primo’, si salva chi riesce in pochi minuti a rovesciare sul mercato tutto quello che ha, prima che i prezzi diventino insignificanti».

E dopo?

«Dopo, noi siamo fuori dal problema. A quel punto tocca a Obama, a Bruxelles, a Putin, ai cinesi rimettere in sesto l'economia mondiale e ridare prospettive di crescita alle aziende. Noi, piccoli gnomi della finanza, abbiamo tenuto aperto, per ora, il mercato, impedendo che si tornasse al Medioevo, con la gente che scambiava carri di fieno contro carri di patate. Le autorità ci hanno spinto a fare questo, spiegandoci che era fondamentale (ed è vero). Noi, già che eravamo lì, ci abbiamo messo un po' di entusiasmo, forse anche troppo. Ma sappiamo benissimo che ci stiamo prendendo in giro tutti quanti. Ci stiamo, tutti, scambiando azioni a dei prezzi che non hanno alcun senso».

Addirittura ‘alcun senso’?

«Ma di sicuro. Mi creda, qui stiamo facendo ballare un manicomio. E per qualche mese riusciamo a farlo, e forse ci divertiamo pure e guadagniamo dei soldi. Prima o poi, però deve arrivare una squadra di medici e fare ordine, distribuire delle pastiglie, fare degli interventi. Altrimenti sarà chiaro a tutti che questo non è, appunto, il ballo delle debuttanti della corte di Vienna, con gli ufficialetti in alta uniforme e le ragazze in abito lungo che ballano ordinatamente il valzer, ma un'immensa, planetaria, globale, devastante storia di matti che fanno i matti».

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