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tropicodelcancro

Pluriverso e politica dell’amicizia

di Luigi Pellizzoni

Postfazione al volume Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo, Orthotes Editrice 2021

unnamedhnbw81Questo libro può essere letto in molti modi; o forse è più opportuno dire da molti versi. È uno di quei testi in cui si può partire da punti differenti e dirigersi in direzioni altrettanto divergenti, cogliendo assonanze e dissonanze tra temi, concetti, riflessioni. Lo dice il titolo: non c’è una sola maniera di concepire il mondo, di stare al mondo, di immaginare relazioni umane e oltre-che-umane, cercando vie d’uscita dal vicolo cieco in cui la modernità si è cacciata. Tuttavia – punto a mio avviso cruciale – il pluriverso, che il libro alimenta prima e più che descrivere, non è un caleidoscopio di (in)differenze; non descrive o dichiara una realtà puramente differenziale, equivalente nella e per la sua infinita variazione. Questa è la realtà del capitale; quella che in particolare il capitalismo tardo-moderno cerca in tutti i modi di imporre. Una realtà in cui la forma-merce ha raggiunto un’estensione e un’intensione che oltrepassa di molto l’analisi di Polanyi, poiché in gioco non è più la produzione di un’immagine fittizia di parti o elementi del mondo per poterli scambiare sul mercato, ma la rivelazione del carattere originario e integrale di merce del mondo intero. Una realtà cui molti autori, nella loro critica della società capitalista e dell’ontologia cartesiana che ne ha costituito la cornice originaria di senso, si sono fin troppo avvicinati, se pure non hanno contribuito a costruirne le basi; tesi, quest’ultima, sostenuta da autori come Luc Boltanski e Eve Chiapello1 o Paolo Virno2 a proposito dell’acquisizione a fini controrivoluzionari della “critica artistica” dei movimenti degli anni ’70, e rinnovata a proposito del sempre più sistematico impiego della decostruzione scientifica a fini reazionari.3

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badialetringali

Verso il collasso

Lettere al futuro 5

di Marino Badiale

collambient1. Introduzione

Il presente intervento intende approfondire alcuni temi di un articolo di qualche tempo fa (“Fine partita. Ha vinto la barbarie”[1]), nel quale argomentavo che il carattere ecologicamente insostenibile dell’attuale organizzazione economica e sociale sta portando il mondo verso l’esplosione concomitante di numerose, diversificate e pericolose crisi, il cui peso il mondo attuale non potrà reggere. L’argomentazione dello scritto citato portava quindi ad una prognosi di prossimo collasso dell’attuale società.

Nell’analisi svolta in [1], l’elenco (peraltro incompleto) dei vari fattori di crisi, generati dalla dinamica dell’espansione economica illimitata, era desunto dalla letteratura internazionale su tali argomenti, ormai piuttosto ampia (si veda la bibliografia dello stesso articolo). A questo si aggiungevano una serie di argomenti per sostenere che l’attuale società mondializzata non ha al proprio interno le risorse politiche e culturali per affrontare le crisi in arrivo: era questo il fulcro della diagnosi di collasso prossimo dell’attuale civiltà. Per la sua importanza all’interno della mia argomentazione, mi è sembrato che valesse la pena di dedicare un intervento all’approfondimento specifico di quest’ultimo tema, che nello scritto citato era mescolato con altri. Nel presente articolo non ripeterò quindi l’elenco delle crisi ecologiche che minacciano l’attuale società, per le quali rimando a [1] e alla sua bibliografia. Mi concentrerò invece sull’assenza delle condizioni sociali e politiche che sarebbero indispensabili per contrastare l’incombente crollo della nostra civiltà.

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paroleecose2

Crisi climatica fra emergenza, opportunità di profitti e lobby di potere

di Niccolò Bertuzzi

crisiclimaticaLetto nel 2021 durante la pandemia da Covid-19, il libro Clima, capitalismo verde e catastrofismo (Eleuthera 2021) di Philippe Pelletier acquista un rinnovato interesse. L’edizione originale, in francese, risale al 2015; solo quest’anno ne è stata pubblicata una traduzione italiana, per la quale bisogna rendere estremo ringraziamento a Elèuthera. Si tratta infatti di un testo forte, divisivo, sicuramente problematico, ma fondamentale nel dibattito contemporaneo sulla governance climatica

Perché quindi un libro simile dovrebbe suonare così interessante nella congiuntura pandemica? Non si tratta (o comunque non direttamente) delle riflessioni, avanzate da molte/i negli scorsi mesi, rispetto alle connessioni fra le due crisi. La ragione principale è un’altra, legata all’argomento di fondo sostenuto dall’autore: la narrazione, e per conseguenza la gestione, di fenomeni così rilevanti e centrali quali il cambiamento climatico (e oggi potremmo dire la pandemia) dev’essere inquadrata nella sua complessità, oltre le rappresentazioni dominanti offerte nel dibattito mediatico ma anche presso la “comunità scientifica”, espressione che Pelletier definisce come “formula cosmetica” funzionale a “nascondere le dinamiche di potere (economico, politico, simbolico) esistenti fra ricercatori, paesi e discipline” (p. 217).

Sullo sfondo di questo assunto, il volume condensa in 230 pagine una considerevole quantità di riferimenti, episodi ed eventi fondamentali nello sviluppo dell’attuale registro discorsivo che informa la lotta ai cambiamenti climatici, denunciandone in modo estremamente documentato intrecci geo-politici e interessi di natura economica.

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effimera

La transizione ecologica tra comando del capitale, erosione del soggetto e nuovi antagonismi

di Alice Dal Gobbo

32950475534 59cc9c53e1 e1508975768841La “transizione ecologica” ha improvvisamente acquisito una centralità inaudita nell’ambito della politica istituzionale italiana. Essa si configura principalmente come un nuovo campo di ripresa economica, guidata dalla retorica della crescita e dello sviluppo, in un percorso simultaneamente di rottura e continuità con la governamentalità ambientale degli scorsi decenni. Da un lato, infatti, riconferma quel modello su cui già si è largamente ragionato, per cui la crisi ecologica e il danno ambientale smettono di essere limiti all’accumulazione di capitale, divenendo invece nuove occasioni di profitto e investimento, in breve nuovo spazio e motore di accumulazione. Dall’altro lato, questo campo di valorizzazione ecologica assume un ruolo particolarmente centrale nella risposta oserei dire disperata ad una crisi sistemica senza precedenti esacerbata dalla pandemia Covid-19.

La “transizione verde” è, di fronte al collasso generalizzato del sistema-mondo e dell’ecologia-mondo tardo capitalisti, non soltanto lo spazio per la ricerca di nuove “opportunità” per un’economia ormai languente: è il luogo e il tempo dell’assalto ultimo al vivente ancora irriducibile alle logiche del valore, il tentativo profondo di convertire tutto il mondo – organico e non – alla logica ad esso estranea della produzione e dello scarto, oblio finale dei limiti e della cocciuta forza della materia nel sottrarsi ai disegni del capitale.

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effimera

Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo

Un’anteprima

PLURIVERSO COVER 001 1200x1051A brevissimo sarà in libreria per i tipi di Orthotes Editrice Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo, uscito nel 2019 e curato nella versione originale da Ashish Kothari, Ariel Salleh, Arturo Escobar, Federico Demaria e Alberto Acosta. Il suo “arrivo” in Italia, curato da Maura Benegiamo, Alice Dal Gobbo, Emanuele Leonardi e Salvo Torre, è frutto di un processo di traduzione militante, uno sforzo collettivo, a cui tante e tanti hanno partecipato – esempio di un “fare sapere” realmente cooperativo e partecipato.

Pluriverso è una raccolta di definizioni, di saggi brevi e analisi critiche sui processi che affondano le radici nella modernità, nel capitalismo, nel dominio di Stato e nelle pratiche maschiliste, a partire dalla globalizzazione neoliberale. Vi si mettono a critica le soluzioni di mercato (dal greenwashing agli approcci riformisti) e vi si descrivono iniziative di trasformazione radicale. Utile allo studio e alle iniziative di lotta per un mondo plurale, ricorda che in esse trova espressione la consapevolezza che un mondo ecologicamente saggio e socialmente giusto non solo sia possibile e necessario, ma per certi versi già esista.

Condividiamo oggi la Prefazione all’edizione italiana, di chi l’ha curata. Inoltre, due anteprime dal testo che ne dimostrano sia l’ampiezza di approcci che il legame con un dibattito vivo e condiviso anche dal nostro box di Ecologia Politica negli ultimi anni: Produzione Neghentropica di Enrique Leff e Il Salario al lavoro domestico di Silvia Federici.

* * * *

Prefazione all’edizione italiana

di Maura Benegiamo, Alice Dal Gobbo, Emanuele Leonardi, Salvo Torre

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blackblog

I «disastri naturali sociali» e il nuovo movimento per il clima

di Thomas Meyer

Venerdi per la cilindrata1.

La rapida diffusione del movimento di difesa del clima nel mondo è veramente notevole (cfr. Haunss; Estate 2020). Notevole è anche l'odio di cui questo movimento è talvolta oggetto, specialmente l'odio contro Greta Thunberg. Semplicemente, il soggetto borghese in crisi non vuole ammettere che il suo stile di vita capitalista è diventato insostenibile. Perfino i più piccoli cambiamenti nelle viti che regolano il sistema, fanno andare su tutte le furie il «cittadino preoccupato». A partire da questo, il movimento per il clima non viene visto come un'occasione o come un'opportunità di riflessione e viene invece, fin dall'inizio, continuamente interrotto da «isteriche reazioni difensive» (cfr. Hartmann 2020, 118ss.). La «virilità tossica» si scarica attraverso innumerevoli commenti di odio e si manifesta per mezzo di "contro-movimenti" assurdi e assolutamente reazionari come i "Venerdì per la cilindrata" (attualmente con circa 500.000 membri). [*1] Coloro i quali vedono la loro automobile come se fosse un'estensione del loro cazzo sembra che si sentano simbolicamente evirati da una ragazza.

Mentre da una parte il cambiamento climatico è diventato ovvio e scontato, dall'altra viene ostinatamente negato dai populisti e dai radicali di destra (come Donald Trump e Beatrix von Storch).

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lafionda

Il futuro è oggi. L’urgenza di un modello di sviluppo alternativo

di Fabrizio Venafro

sriLankaIl recente ennesimo disastro ecologico causato dall’affondamento di una nave cargo al largo delle coste dello Sri Lanka, ripropone prepotentemente la questione ambientale e in particolare dell’enorme quantità di plastica prodotta e dispersa nelle acque del globo. Dopo giorni di incendio, la nave affonda disperdendo enormi quantitativi di plastica e petrolio nell’oceano e sulle spiagge. È stato stimato che negli oceani la quantità di materiale inorganico immesso dall’uomo è ormai maggiore di quella di materia organica, costituita da pesci e alghe. Le microplastiche presenti nel ciclo dell’acqua sono ormai diffuse ovunque e fanno parte dell’alimentazione dei pesci (costituendo una sorta di plancton tossico) e tramite questi della nostra. L’invenzione della plastica, salutata quale grande progresso del XX secolo, si sta rivelando un vero e proprio cavallo di Troia per la salute umana. Un materiale che ha insitauna contraddizione dovuta al fatto che, a dispetto della lunga durata, viene impiegato per la produzione di oggetti usa e getta. Quello della plastica è solo uno dei problemi ambientali che ci vengono posti dalle sfide per il futuro e che pongono l’attuale modello di sviluppo sul banco degli imputati. La cosa bizzarra, quasi uno scherzo del destino, è che continuando secondo il modello espansivo perseguito finora, la catastrofe si abbatterà sullo stesso genere umano che ne subirà direttamente le conseguenze e potrebbe autoestinguersi. La Terra sopravvivrà a tutti gli stress cui la stiamo sottoponendo, ma si può dire la stessa cosa per il genere umano? Il nostro è un genere che provoca la propria estinzione e questa è una peculiarità della nostra specie, che pur si distingue per l’uso della razionalità.

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antropocene

Lo Stato ecologico

di Erald Kolasi

Fiume JinshaIl problema centrale dell'economia è la scarsità, o almeno è così che si racconta la storia. L'argomento di base è che abbiamo desideri infiniti ma risorse limitate, e poiché non possiamo avere tutto ciò che vogliamo, dobbiamo necessariamente ideare un sistema per distribuire beni e risorse. [1]

Entrare nell'economia di mercato efficiente, con i suoi prezzi e salari fissati dalle forza magica della domanda e dell'offerta, presunti guardiani del magazzino del nirvana economico. C'è un nocciolo di involontaria verità dietro questa narrazione. I limiti naturali impongono certamente scarsità assolute impossibili da superare. Ad esempio, nel sistema solare la quantità di uranio è fissata, e anche se sintetizziamo determinate sostanze utilizzando altre sostanze, la quantità totale che possiamo produrre sarà comunque limitata dalla disponibilità delle materie prime che entrano nel processo di produzione. Non possiamo andare contro al principio di conservazione dell’energia.

Sebbene i vincoli naturali sull'offerta siano importanti, la maggior parte delle scarsità economiche che governano le nostre vite sono in realtà sociali e artificiali. La domanda e l’offerta non sono forze naturali che fluttuano nell'aria; sono realtà artificiali stabilite da un ambiente sociale interattivo che coinvolge governi, corporazioni, istituzioni e classi. I cicli di domanda e offerta sono costrutti sociali progettati per rispondere a una domanda fondamentale: chi ottiene cosa?

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antropocene

Capitalismo e catastrofe

di Alex Callinicos

Il Covid e il cambiamento climatico non sono aberrazioni: sono aspetti della permanente crisi globale del sistema

covid climat“La fine è vicina. L’esecuzione efficace dei test potrà migliorare le distanze sociali fino all'arrivo dei vaccini […] Avere diversi vaccini altamente efficaci per questo orribile virus dopo meno di un anno è un risultato abbastanza sorprendente, tra le cose più grandi che noi abbiamo - con noi intendo sia l'umanità in generale che i biologi molecolari in particolare - mai realizzato.”

Così scriveva Rupert Beale del Francis Crick Institut nella London Review of Books all'inizio del mese scorso. Ma prima di iniziare a festeggiare, dovremmo ricordare che un anno fa la possibilità che il mondo potesse essere travolto da una pandemia che avrebbe ucciso milioni di persone e innescato la peggiore crisi economica dagli anni '30 era al di là dell'immaginazione di quasi tutti noi.

Beale conclude il suo articolo con un avvertimento: “Siamo stati abili, ma anche fortunati. Sviluppare un vaccino Sars-CoV-2 è risultato relativamente facile. Il virus che causerà la prossima pandemia potrebbe non essere così indulgente.” La recente rapida diffusione delle infezioni grazie all'emergere di un nuovo ceppo di Covid-19 è un cupo avvertimento dei limiti della nostra capacità di comprendere, e tanto meno di controllare la natura.

Quindi ora dovremmo saperne di più. Molti di noi hanno letto pionieri marxisti come Mike Davis e Rob Wallace che per anni avvertivano che la distruzione della natura da parte del capitalismo stava creando le condizioni per pandemie come il Covid-19. Forse questa pandemia non era prevedibile, ma lo era certamente il fatto che ci sarebbero state delle pandemie (al plurale) paragonabili alla terribile epidemia influenzale del 1918-19, la quale uccise tra i 50 ei 100 milioni di persone.

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iltascabile

Il mondo digitale non è sostenibile

di Alessio Giacometti

Tra emissioni, consumi, rifiuti e impronta ambientale, la rivoluzione informatica è sempre meno ecologica

shutterstock 1794432823La foto è del 1994: un giovane e intrepido Bill Gates si cala con fune e imbragatura in un bosco di abeti. Nella mano sinistra tiene bene in vista un iridescente CD-ROM, la destra è poggiata su una pila di fogli di carta che pareggia in altezza il fusto degli alberi. Il messaggio del ragazzo che vuole portare un calcolatore elettronico su ogni scrivania d’America e del mondo non chiede spiegazioni: guardate quanta informazione ci sta in un disco compatto di memoria, quanta carta ci farà risparmiare l’archiviazione digitale dei dati informatici. Basta già poca immaginazione per intravedere un futuro sfavillante in cui l’informazione, ormai quasi del tutto smaterializzata, viaggerà dal centro pulsante di un microchip fino allo schermo luminoso di un computer che potremo tenere in tasca. Alleggeriremo così la nostra impronta sull’ambiente, muoveremo i dati e non le cose, ci faremo efficienti e sostenibili. È la promessa spregiudicata di una rivoluzione digitale ed ecologica assieme.

A distanza di quasi trent’anni da quello scatto divenuto nel frattempo celebre, il savio e visionario Gates ama ancora farsi passare per guru della sostenibilità digitale, eppure la sua profezia pare essersi realizzata soltanto per metà. La rivoluzione digitale si è in effetti compiuta, almeno in larga parte, mentre la crisi climatica è sempre lì che incombe, anzi: sempre più. Ridimensionato l’ottimismo acritico della prima ondata per l’innovazione digitale – già messo in discussione, su basi economiche e politiche, da autori come Evgeny Morozov – le cosiddette ICT (information and communications technologies) hanno alla fine deluso le aspettative più rosee di riduzione dell’impatto ambientale.

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antropocene

Per la critica dell’ecologia apolitica

Antropocene e capitale

di Marco Maurizi

antropocene6564“If it’s true that plastic is not degradable, well, the planet will simply incorporate plastic into a new paradigm: the earth plus plastic. The earth doesn’t share our prejudice toward plastic. Plastic came out of the earth. The earth probably sees plastic as just another one of its children. Could be the only reason the earth allowed us to be spawned from it in the first place. It wanted plastic for itself. Didn’t know how to make it. Needed us. Could be the answer to our age-old egocentric philosophical question, “Why are we here?” Plastic… asshole.”

​(George Carlin)

Il disagio dell'Antropocene

La definizione di “antropocene” [1] come epoca geologica in cui la traccia dell’umano sembra assumere una centralità finora mai avuta rispetto ai processi naturali si presta a numerosi equivoci. L’idea dell’affermarsi progressivo, inarrestabile e forse irreversibile del predominio dell’uomo rispetto alla natura, infatti, necessita di essere verificato e chiarito dal punto di vista di entrambi i termini che la compongono: in che senso “predominio”? In che senso “dell’uomo”? Cominciamo con il primo punto.

Il termine “antropocene”, infatti, può essere declinato in due sensi diversi e riceve una coloritura differente a seconda di come viene accentato. Si può pensare, da un lato, che la nostra specie abbia raggiunto un tale livello di espansione da imprimere il proprio segno caratteristico sul pianeta, alterando l’ambiente in modo tale da lasciare tracce geologiche più o meno indelebili del proprio passaggio.

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machina

Contronarrazioni. La crescita illimitata è irrinunciabile?

di Alberto Ziparo

0e99dc 0f4f8215543f48db9824a86e135caa03mv2Le risposte che la realtà fornisce alla domanda posta nel titolo – si può rinunciare alla crescita illimitata? – appaiono inequivocabili anche alla luce della pandemia in atto: non solo si può, ma si deve abbandonare il paradigma della crescita illimitata.

La crescente accelerazione della crisi climatico-ambientale e i disastri conseguenti, basterebbero da soli a significare un drastico mutamento di rotta. Ad essi tuttavia sono da aggiungere altri «guai di fase»: guerre, povertà e iniquità sociale, nuove migrazioni epocali, degrado e distruzione di quote crescenti di territorio, dissesti ecologici diffusi, invivibilità delle iperurbanizzazioni, riapparizione di problemi socio-culturali già sconfitti dalla storia del novecento – fascismi, razzismi, paura del diverso, disagi diffusi collettivi ed individuali. Il tutto è aggravato dalla profonda crisi delle forme politico-istituzionali che erano emerse nel novecento: se il «comunismo realizzato» è stato sconfitto innanzitutto dalle proprie rigidità e chiusure e dalle sue applicazioni burocratizzate, degenerate spesso in potere assoluto, imperiale e devastante; le democrazie liberali sono state via via stravolte dal loro degradarsi in iperliberismo, ulteriormente aggravato dalla pervasività dell’attuale finanziarizzazione globalizzata, che ha fagocitato nel tempo economia e politica.

Fino a una situazione paradossale in cui un numero limitatissimo di reali e consistenti apparati dirigenti – le direzioni delle grandi agenzie finanziarie, costituite spesso da un numero limitatissimo di soggetti gratificati – sono in grado di controllare e determinare scelte e strategie di istituzioni economiche e politiche a livello planetario. E quindi di imporre direttive generalizzate di portata globale che ricadono e condizionano i diversi contesti. Ciò comporta enormi benefici economici e sociali per i pochissimi controllori; ma i problemi ricordati in apertura per il resto della società.

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effimera

“Verso un’economia di merda”

In ricordo di David Graeber

di Franco Berardi (Bifo)

David Graeber 1200x800Conobbi David a Sapporo, nell’anno 2008 nella palestra dove si teneva la riunione iniziale delle giornate di contro-summit, mentre il G8 si riuniva in qualche luogo iper-protetto della città capitale dell’Hokkaido. Eravamo arrivati da poche ore, io e Claudia dall’Italia, David da Londra, e avevamo un sonno bestiale. Mentre i compagni giapponesi facevano i discorsini introduttivi al contro-summit, David si stese per terra e si addormentò per un po’.

Quando la riunione si concluse lui si alzò tutto stropicciato e ce ne andammo all’Hotel dove eravamo ospitati, o per meglio dire inscatolati. Ma la sera bussò alla nostra porta e ci chiese se avevamo qualcosa contro il mal di pancia. Avevamo quel che occorreva e lui si fermò per un’oretta a raccontarci quando era stato in Madagascar, e la percezione del tempo nella cultura africana e il fatto che è inutile darsi appuntamento qui o là tanto nessuno va mai agli appuntamenti, si dice tanto per dire allora ci vediamo alle tre al caffè, poi è inutile che ci vai tanto non ci trovi nessuno. Magari puoi fermarti lì in attesa che prima o poi quello con cui avevi preso appuntamento passi di lì casualmente e allora sai che festa, che gioia, che fortuna vederti.

Nel settembre del 2008 (ci conoscevamo da poco) mentre crollava la Lehman Brothers e altri colossi barcollavano, David mi mandò un messaggio che diceva: Non so se ho le traveggole ma mi sembra di capire che il capitalismo è finito.

Poi ci rivedemmo a New York con il nostro comune amico Sabu Kosho. E poi ci rivedemmo a Londra un paio di volte. L’ultima volta che ci siamo visti è stato un anno fa. E’ venuto a Bologna con Nika, e io li ho portati a vedere il Compianto di Niccolò dell’Arca nella chiesa di Santa Maria della Vita.

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la citta futura

«La tecnologia verde non esiste»

Simone Rossi intervista Jeff Gibbs

Planet of the Humans pone domande difficili sul fallimento del movimento ambientalista per fermare il cambiamento climatico e salvare il pianeta. Per cercare una risposta intervistiamo il regista

fogliaRilasciato alla vigilia del 50° anniversario della Giornata della Terra e nel bel mezzo della pandemia globale causata dal Sars-Cov-2, Planet of the Humans ci racconta come il movimento ambientalista ha perso la sua battaglia facendosi convincere che pannelli solari e mulini a vento ci avrebbero salvato e cedendo agli interessi di Wall Street.

Per questi motivi, nessuna sorpresa che il film abbia generato polemiche. È stato criticato come parzialmente obsoleto e fuorviante e alcuni lo hanno accusato di distorcere le energie rinnovabili e di propagandare un “malthusianesimo anti-umano”.

Per fugare ogni dubbio abbiamo deciso di intervistare il regista e sceneggiatore del film, Jeff Gibbs.

Nato a Flint, nel Michigan, Jeff lavora da tempo come collaboratore di Michael Moore. Il primo film a cui ha lavorato è stato “Bowling for Columbine” e ha prodotto scene cult tra cui “la banca che ti dà una pistola”, “cacciatore di cani” e “Michigan Militia”. Dopo il successo di “Bowling for Columbine”, Jeff è diventato co-produttore di “Fahrenheit 9/11”, il documentario campione di incassi di tutti i tempi. Jeff ha anche scritto la colonna sonora originale di entrambi i film. Da “Fahrenheit 9/11”, sebbene si sia preso una pausa occasionale per produrre altri film tra cui il documentario di Dixie Chicks “Shut Up and Sing”, Jeff è stato singolarmente ossessionato dal destino della terra e dell'umanità.

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Domanda. Ciao Jeff. Grazie per averci concesso l’intervista. Il documentario si basa su dati scientifici. Quanto tempo è stato necessario per raccoglierli e quanto sono affidabili?

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sinistra

Introduzione a Ian Angus: Anthropocene

di Giuseppe Sottile

GMO are an ‘invention’ of corporations, and therefore can be patented and owned.
Ana Isla

Nature, too, awaits the revolution
Herbert Marcuse

copertina angusIl libro di Ian Angus è stato pubblicato nel 2016. Da allora si sono avute novità e conferme. Il 21 maggio dello scorso anno, l’Anthropocene Working Group ha formalizzato la proposta di considerare quella in cui viviamo una nuova epoca successiva all’Olocene, definita Anthropocene, il cui inizio viene datato a partire dalla metà del secolo scorso, con quella che è stata definita la «Grande accelerazione». Adesso si attende il parere di altri organismi.ii L’AWG individua questa nuova realtà cronostratigrafica in una serie di fenomeni imputabili alle recenti attività umane, che consentono di paragonare “l’umanità” ad una potente e distruttiva forza geologica.

Fondamentali cicli naturali sono stati compromessi a causa dei processi di industrializzazione ed urbanizzazione per come li abbiamo conosciuti e delle attività militari in campo nucleare, cosa che ha procurato il riscaldamento globale a cui stiamo assistendo, nonché una generale devastazione del pianeta; e molti di questi cambiamenti sembra persisteranno per millenni. La più importante traccia (primary marker) che segnala lo spartiacque tra le due epoche geologiche viene individuata nella presenza di radionuclidi dovuta alle esplosioni nucleari, che al ritmo di una ogni 9,6 giorni hanno caratterizzato il Secondo dopoguerra dal 1945 al 1988.

Intanto, vasti incendi hanno interessato la Russia, la California, l’Amazzonia e di recente in misura ancora più drammatica l’Australia, e inondazioni il Sud-Est asiatico. Circa dieci milioni di ettari di vegetazione scomparsi a causa degli incendi e si stimano un miliardo di animali morti nella sola Australia. In fondo, tutto come niente fosse.