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poliscritture

«Spillover»: il libro del momento

di Donato Salzarulo

 Spillover di David Quammen Adelphi dettaglio copertina1. Ecco un libro che forse non avrei mai letto se il coronavirus non fosse venuto a turbare e a rendere infausti i nostri giorni. La curiosità mi è sorta leggendo l’articolo di Paolo Giordano sulla “matematica del contagio che ci aiuta a ragionare” (Corriere della Sera del 26 febbraio), articolo – non mi stancherò di ripeterlo – benedetto, di cristallina chiarezza, che merita di essere diffuso dappertutto, in primo luogo nelle scuole; merita di essere diffuso perché di questo virus non ci libereremo facilmente e, comunque, altri virus sconosciuti sono o potrebbero essere in agguato per la nostra specie. Quindi, è decisivo far crescere la nostra consapevolezza razionale.

Lo scrittore (e fisico, non dimentichiamolo), dopo aver accennato alla nostra fatica di accettare qualcosa di radicalmente nuovo e complesso – fatica che conosco; a scuola suggerivo spesso agli insegnanti il libro «Attesi imprevisti» per interpretare il processo d’apprendimento, che è tale soltanto se è nuovo – ricorda che quanto ci sta succedendo in questi giorni non è davvero inedito. Il letterato, che un po’ è in me, avrebbe ovviamente subito pensato a Camus, Garcia Marquez, Saramago, Manzoni, Boccaccio, Tucidide…Giordano, che pure ha vinto il premio Strega con «La solitudine dei numeri primi», riporta un brano di David Quammen (chi è costui?…) in cui racconta come nel 2003 fu domata a Singapore l’epidemia della Sars. Poi scrive:

«Spillover, il libro di Quammen, meriterebbe un articolo a sé. Basti dire, qui, che è il modo migliore per comprendere le varie sfaccettature, la complessità per l’appunto, di questa epidemia. Per non viverla come una strana eccezione o un flagello divino. Per metterla in relazione ad altri disastri ecologici del nostro tempo, come la deforestazione, la cancellazione degli ecosistemi, la globalizzazione e il cambiamento climatico stesso. E per entrare, addirittura, nella mente del virus, decifrarne le strategie, intuire perché la specie umana sia diventata così golosa per ogni patogeno in circolazione.

A volte Spillover fa paura, è vero, complice il pipistrello nero della copertina, e a volte fa addirittura sobbalzare, per esempio quando si domanda – era il 2012 se il Next Big One, la prossima grande epidemia attesa dagli esperti, sarà causata da un virus e se comparirà “in un mercato cittadino della Cina meridionale”: Preveggenza? No. Solo scienza. E un po’ di storia. Strano che Spillover non sia esaurito sugli scaffali, come i gel antisettici e le mascherine.»

 

2. Ora chi sia David Quammen lo so. È un giornalista scientifico, autore di numerosi libri e reportage (soprattutto per «National Geographic»); ha 72 anni e vive con la moglie Betsy a Bozeman, cittadina universitaria del Montana, una cittadina piena di verde.

Ha pubblicato Spillover nel 2012. Sottotitolo: «Animal Infections and the Next Human Pandemic». Nella traduzione italiana è diventato un più rassicurante e neutro «L’evoluzione delle pandemie» (Adelphi, 2014, traduzione. di Luigi Civalleri, pp. 608, Euro 14). Forse tradendo un po’ il pensiero dell’autore che era proprio quello di lanciare qualcosa di più di un grido d’allarme sulle infezioni animali trasmissibili all’uomo (tecnicamente: zoonosi). Tra l’altro, in esergo alle sue pagine, Quammen cita nientemeno che «Apocalisse», 6, 8 in cui appare un cavallo verde, cavalcato da Morte, seguito da Inferno; insieme si danno a compiere la loro opera sterminatrice «con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra».

Con questa citazione l’autore non intende aderire al partito degli “apocalittici”. Il suo spirito è quello laico di un pragmatico. Il cavallo verde su cui cavalca la Morte è quello del primo capitolo infettato dal virus Hendra. Tirare in ballo l’Apocalissi serve però ad amplificare il pericolo che l’umanità corre, un pericolo più volte ribadito, di cui occorre essere consapevoli.

«Non dico tutto ciò allo scopo di angosciarvi o deprimervi. Non ho scritto questo libro per spaventare il pubblico, ma per renderlo più consapevole. Ecco cosa distingue gli esseri umani per esempio dai bruchi: noi, al contrario di loro, possiamo fare mosse intelligenti.» (pag. 535)

I bruchi richiamati, voraci mangiafoglie, sono simili a piccole larve pelose. Nome latino: Malacosoma disstria. A giugno del 1993 invasero la cittadina dove Quammen abita e lasciarono spogli quasi tutti gli alberi molto prima che l’autunno arrivasse.

«Era uno spettacolo grandioso nella sua bruttezza. Non tutti gli alberi erano nudi, ma la maggior parte sì, specialmente quelli più grandi e antichi come gli olmi e i frassini che abbellivano le strade e le ombreggiavano con le loro folte chiome. Tutto avvenne con grande rapidità.» (pag. 510)

Spray, disinfestazioni, trattamenti con sostanze chimiche varie. Tutto inutile.

«I maledetti continuavano ad arrivare e facevano il bello e il cattivo tempo. Erano semplicemente troppi, e l’infestazione era inarrestabile. Li calpestavamo camminando sul marciapiede, li spazzavamo in massa dalle strade. Loro continuavano a mangiare, crescere, cambiare pelle e crescere ancora. Marciavano su e giù per i rami facendo piazza pulita del verde cittadino, quasi fosse un’appetitosa insalata.» (pag. 511)

A un certo punto si fermarono e, dopo un breve riposo metamorfico in bozzoli intessuti sulle foglie, si trasformarono in piccole falene brune.

«In ecologia un evento del genere ha un nome preciso: è un outbreak ovvero un’esplosione. […]

Il concetto si applica a ogni forte e improvviso aumento della popolazione di una data specie.» (pag. 511-512). Compresa la nostra che, dall’epoca della nostra origine, circa duecentomila anni fa, al 1804 è arrivata a un miliardo di abitanti. Negli ultimi due secoli, invece, ha preso il volo: dal 1804 al 1927 siamo aumentati fino a 2 miliardi; dal 1927 al 1960 siamo a 3 e da allora siamo cresciuti di un miliardo ogni 13 anni circa. Nel 2011 eravamo 7 miliardi ed oggi 7.7…Un picco davvero dolomitico.

«E le esplosioni, tanto di malattie quanto di popolazioni, hanno una cosa in comune: prima o poi finiscono. In alcuni casi dopo molti anni, in altri quasi subito. A volte gradualmente, a volte di colpo. In certi casi terminano, ricominciano e finiscono di nuovo, come se seguissero un programma regolare.» (pag. 514).

Quammen non richiama la nostra esplosiva crescita demografica per ricordarci che siamo destinati a far la fine dei bruchi ridotti al lumicino l’estate successiva. Noi siamo intelligenti, almeno così ci sembra, e possiamo fare mosse intelligenti grazie alla scienza.

Dopo essersi moltiplicati per due anni e aver resistito alle misure disinfestanti dei cittadini del Montana, come mai i bruchi scomparvero o si ridussero enormemente?

«Nel 1993, quando i bruchi invasero la mia cittadina presi a interessarmi all’argomento e feci qualche ricerca.» (pag. 514) Ecco la mossa intelligente del nostro autore, una mossa che dovremmo imparare a fare tutti, quanto mai doverosa nei luoghi istituzionalmente preposti al compito fondamentale dell’apprendimento/insegnamento.

La ricerca comincia con il contattare il locale servizio di informazione agricola. Quammen tempesta di domande un addetto. Questo non sa il perché e si limita a dire che «Succede e basta». Insoddisfatto, si mette a leggere la letteratura specializzata. Scopre che uno degli esperti sul campo, Judith M. Myers, sospetta che siano i nucleopoliedrovirus (NPV) a regolare i cicli di espansione e riduzione dei lepidotteri. Anni dopo, mentre sta raccogliendo il materiale preparatorio per il libro che sta scrivendo, partecipa ad un convegno sull’ecologia e l’evoluzione e delle malattie infettive ad Athens, in Georgia; ascolta la relazione di Greg Dwyer, specialista di ecologia matematica dell’Università di Chicago, proprio sulle esplosioni di popolazioni e le malattie degli insetti. Lo scienziato racconta gli effetti terribili dei nucleopoliedrovirus sulle popolazioni di lepidotteri in fase esplosiva. Eureka! «Nella prima pausa caffè lo bloccai in un angolo e gli chiesi di fare una chiacchierata sul destino delle falene e sul futuro delle pandemie umane. Certamente disse.» (pag. 516)

Si incontrano due anni dopo nello studio di Dwyer all’Università di Chicago. Il giornalista comprende bene il funzionamento di questo subdolo virus che scioglie dall’interno i bruchi di falene come pappe. Ma l’argomento che gli sta più a cuore non è soltanto questo. Nella mente continua a frullargli l’analogia fra la crescita dei bruchi e quella della popolazione umana.

«Secondo i dati di una settimana fa, dissi, siamo sette miliardi di persone sul pianeta. A quanto pare la nostra è una crescita esplosiva. E viviamo ammassati in spazi ristretti: pensiamo ad Hong Kong o a Mumbai. Siamo strettamente interconnessi. Voliamo per il mondo. I sette milioni di abitanti di Hong Hong sono a tre ore di viaggio dai dodici di Pechino. Nessun altro animale di grandi dimensioni è mai stato così numeroso. E abbiamo anche noi la nostra bella fetta di virus potenzialmente devastanti, alcuni forse spiacevoli come NPV. Allora, che cosa ci aspetta? Fino a che punto possiamo lasciarci guidare dall’analogia con le epidemie degli insetti? Dobbiamo aspettarci di collassare come una popolazione di bruchi?

Dwyer non aveva fretta di rispondere affermativamente. Nel suo sano empirismo, diffidava delle estrapolazioni avventate. Ci devo pensare, disse. E mentre rifletteva, ci trovammo a parlare d’influenza.» (pag. 519).

 

3.- L’influenza è una malattia molto importante. Sicuramente questo lo sa anche Maria Rita Gismondo, direttrice di Microbiologia clinica, Virologia e Diagnostica Bioemergenze del laboratorio dell’Ospedale Sacco di Milano diventata famosa per la sua dichiarazione anti-allarmistica nei primi giorni dell’arrivo di Covid-19 in Italia: «A me sembra una follia. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Guardate i numeri non è una pandemia.» Non lo era, ma di lì a poco lo sarebbe diventato. Il problema è che due persone che usano la stessa parola, in realtà non sempre intendono la stessa cosa. Nell’esperienza comune l’influenza è una malattia stagionale fastidiosa che si supera più o meno facilmente. Ma c’è influenza e influenza: quella spagnola tra il 1918 e il 1919 sterminò circa cinquanta milioni di persone. L’influenza, scrive Quammen, è «assai complicata da studiare e potenzialmente devastante, sotto forma di pandemia. Potrebbe essere benissimo il prossimo Big One» (pag.520).

Da qui parte per fornire al lettore le nozioni di base di questa malattia, indica i tre tipi di virus coinvolti (quello etichettato con la lettera A è il più preoccupante e diffuso) e ne delinea una sintetica storia. Impariamo così che Robert Gordon Webster, microbiologo neozelandese, è forse la maggiore autorità mondiale in materia; insieme a William Graeme Laver, biochimico australiano, ha scoperto la presenza di un virus influenzale, parente di quello umano, negli uccelli selvatici migratori e, infine, che questi virus, come tutti quelli a RNA, sono soggetti a un alto tasso di mutazioni. Siccome il secondo è morto, Quammen corre ad intervistare il primo che nel 2012 ha quasi ottant’anni, ma è ancora attivo ed arzillo.

«Ci sono sedici tipi di emoagglutinina – gli ricordò – e nove di neuraminidasi [non c’è da spaventarsi a pag. 520 è spiegato bene il significato di questi termini], il che significa centoquarantaquattro possibili combinazioni. I cambiamenti sono casuali e quasi sempre danno vita a cattive combinazioni per il virus, che diventa sempre più debole  [questo spera Ilaria Capua rispetto al nostro Covid-19; a Giuseppe Remuzzi, invece, appare più aggressivo]. Ma i cambiamenti casuali producono le variazioni, e le variazioni consentono di esplorare le possibilità. Sono la materia prima della selezione naturale, dell’adattamento e dell’evoluzione. Ecco perché il virus dell’influenza è un patogeno così proteiforme, sempre pieno di sorprese, novità, minacce: per via di tutte quelle mutazioni e riassortimenti. […]

Ed ecco perché c’è bisogno di un vaccino nuovo ad ogni autunno.» (pag.523)

Comunque, con l’influenza non si scherza. Mediamente fa circa 250.000 decessi in tutto il mondo.

 

4.- Da quanto detto sopra, il “metodo di ricerca” di Quammen è facilmente intuibile e riassumibile: studio accurato della letteratura specializzata (la bibliografia in fondo al libro comprende un ampio e nutrito numero di titoli da pag. 547 a pag.575), incontro-interviste-chiacchierate con moltissimi esperti (alcuni, illustri premi Nobel; inutile dire che mi erano quasi del tutto ignoti), partecipazione a convegni, visite a laboratori, viaggi ed esplorazioni sul terreno, spesso abbastanza avventurose, in quasi tutti i continenti del pianeta…

«L’idea di questo libro – scrive l’autore nei Ringraziamenti – nacque attorno a un fuoco in una foresta centroafricana, nel luglio 2000, mentre due uomini gabonesi raccontavano dell’epidemia di Ebola che aveva colpito il loro villaggio, Mayibout 2, e dei tredici gorilla morti visti nelle vicinanze, comparsi proprio nei giorni in cui i loro amici e parenti morivano per il virus.» (pag. 577). Dall’idea alla pubblicazione trascorrono dodici anni e, grazie alla pratica del suo metodo, l’autore può acquisire un’esperienza profonda e ammirevole che il lettore avverte chiaramente nelle sue pagine e nel modo di affrontare l’argomento generale (lo Spillover) e la storia delle malattie emergenti. Ne viene fuori un lodevole saggio narrativo, un ottimo libro di divulgazione scientifica sui virus (che cosa sono, quali sono le loro proprietà, come si diffondono), sulle malattie emergenti di origine zoonotica con le loro ricostruzioni storiche, ma anche un racconto avvincente di esperienze con quadri indimenticabili di vita sociale (modi di alimentarsi, riti più o meno religiosi, costumi, bisogni primari non soddisfatti in molte zone del mondo, ecc.). Insomma, un libro che ha appagato molte mie curiosità, che mi ha aiutato a comprendere bene il lessico prevalente in questi nostri giorni di pandemia e che ha allargato abbastanza i miei orizzonti culturali.

Lessico prevalente: ho capito cos’è un “salto di specie” (Spillover), cosa vuol dire “isolare” un virus, la differenza tra un virus DNA e uno RNA, come si valuta il tasso di velocità di un eventuale contagio (modello SIR) e, soprattutto ho cominciato a mettermi bene in testa le nostre “malattie del futuro”, malattie che si chiamano: Machupo, Marburg (1967), Lassa (1969), Ebola (1976), HIV-1 (riconosciuto indirettamente nel 1981, isolato nel 1983), HIV-2 (1986), Sin Nombre (1993), Hendra (1994), influenza aviaria (1997), Nipah (1998), febbre del Nilo occidentale (1999), SARS (2003), influenza suina (2009). A queste malattie Quammen dedica i nove capitoli del libro.

Apprendimento della massima importanza: ho capito che queste malattie non sono delle “calamità naturali” o dei dolorosi accidenti. Sono conseguenze non volute di nostre azioni. Per nostre intendo del genere umano, diventato sempre meno “sapiens” e sempre più “homo oeconomicus”. Queste malattie «sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria. Sommandosi, le loro conseguenze si mostrano sotto forma di una sequenza di malattie nuove, strane e terribili, che emergono da ospiti inaspettati e che creano serissime preoccupazioni e timori per il futuro negli scienziati che le studiano.» (pag. 42). Dovrebbero preoccupare anche noi che, a questo punto, abbiamo il dovere di metterle al centro della nostra azione sociale, politica e culturale.

 

5.- Lo sguardo di Quammen è guidato da due grandi corpi di conoscenze: da un lato la teoria darwiniana dell’evoluzione (selezione, strategie di adattamento, ecc.), dall’altro l’ecologia. Quando la teoria patogenetica della malattia incontra l’uno e l’altro paradigma scientifico si fa «ecologia e biologia evolutiva delle zoonosi», un sapere che porta con sé questo fondamentale messaggio: siamo parte della natura, siamo degli animali come altri, siamo dei primati da poco tempo sulla scena planetaria. Tutte le malattie infettive sono in ultima analisi delle zoonosi. La loro esistenza dimostra il legame, la connessione tra la nostra specie e quella degli ospiti dai quali i virus effettuano lo spillover. «La stessa idea di un mondo naturale distinto da noi è sbagliata e artificiale. C’è un mondo solo, di cui l’umanità fa parte, così come l’HIV, i virus di Ebola e dell’influenza, Nipah, Hendra e la SARS, gli scimpanzé, i pipistrelli, gli zibetti e le oche indiane. E ne fa parte anche il prossimo virus killer che ci colpirà, quello che ancora non abbiamo scoperto.»

Il virus chiede di vivere. Noi non vogliamo che distrugga i nostri polmoni, la nostra casa del respiro. È una lotta che va condotta potenziando i nostri centri di intelligenza individuale e collettiva. Si chiamano laboratori, istituti di ricerca, scuole, ospedali…Intelligenza individuale e collettiva è anche consapevolezza che il pianeta terra è uno solo ed uno è il genere umano; è anche cambiamento dei nostri sistemi economici e sociali, contenimento della crescita demografica, rispetto dell’ambiente e degli ecosistemi, scelta di mutare la nostra alimentazione, diminuendo, ad esempio, il nostro consumo di carne, ecc. ecc. C’è un grande lavoro da fare. Questo si capisce leggendo il bel libro di Quammen. C’è un grande lavoro da fare per regalarci intelligenza, salute e futuro.

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Michele Castaldo
Wednesday, 08 April 2020 10:36
Si, capitò anche a me di leggere l'articolo sul Corriere della sera di Giordano sul calcolo ecc. e avendo una compagna medico (russa della ex Urss) potei capire ancora meglio la questione (sempre, beninteso nei limiti di un analfabeta di scienza). Mi dispiacque da subito di non poter comprare Spillover perché nel frattempo ci furono le decisioni governative sulla chiusura di molte attività, librerie comprese.
Due sole annotazioni a questo ottimo contributo.
A) Quando qui viene detto che:
«Non dico tutto ciò allo scopo di angosciarvi o deprimervi. Non ho scritto questo libro per spaventare il pubblico, ma per renderlo più consapevole. Ecco cosa distingue gli esseri umani per esempio dai bruchi: noi, al contrario di loro, possiamo fare mosse intelligenti.» (pag. 535) », NUTRO SERI DUBBI che l'uomo possa fare «mosse intelligenti» per una semplice ragione: si è infilato in un vicolo cieco, nel suo rapporto con i mezzi di produzione ed è arrivato a produrre un modo di produzione impersonale e perciò incapace di governarlo che lo porterà al disastro.
B) Quando « Quammen non richiama la nostra esplosiva crescita demografica per ricordarci che siamo destinati a far la fine dei bruchi ridotti al lumicino l’estate successiva. Noi siamo intelligenti, almeno così ci sembra, e possiamo fare mosse intelligenti grazie alla scienza». Il richiamo alla scienza e alla possibilità di fare ricorso ad essa con «mosse intelligenti» Quammen mostra di non aver capito - purtroppo - che la scienza non ha una volontà propria tale da determinare scelte sul piano dell'economia complessiva, ovvero sul modo di produzione, dunque parla nel deserto.
Ovviamente mi augurerei di sbagliare, ma nonostante tutti gli avvertimenti del «mondo scientifico» prevalgono le forsennati leggi dell'economia del modo di produzione capitalistico.
Sicché dobbiamo pensare che quando l'autore di Spillover scrive che « Nella mente continua a frullargli l’analogia fra la crescita dei bruchi e quella della popolazione umana. » non è molto lontano dalla realtà, anzi. La prova? Eccola: «Strano che Spillover non sia esaurito sugli scaffali, come i gel antisettici e le mascherine». L'uomo come specie non vive di prospettiva. La prova provata? Non utilizza Quammen e il suo «Spillover» per andare alla ricerca delle cause del coronavirus, no, procede per affidarsi alle case farmaceutiche per "CURARE" il virus secondo canoni del più classico homo capitalisticus. Esattamente quello che scrive in chiusa del suo articolo:
«ho capito che queste malattie non sono delle “calamità naturali” o dei dolorosi accidenti. Sono conseguenze non volute di nostre azioni. Per nostre intendo del genere umano, diventato sempre meno “sapiens” e sempre più “homo oeconomicus” ». Tutto qua.
In ultimo vorrei consigliare all'autore di queste note la lettura di due articoli del fisico Rovelli sul Corriere della sera dove in uno - a fine febbraio - propone nuove tecnologie per una nuova fase di sviluppo; in un'altro, successivamente del 1 aprile è spaventato peggio dell'urlo di Munch e usa un'espressione come per dire: è tutto da rifare.
La mia tesi è che l'attuale modo di produzione si sta avviando verso una catastrofica implosione. Poi si vedrà.
Michele Castaldo
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