Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email

sinistra

La crisi capitalistica e la voliera della Sinistra

Commento a un articolo di Contropiano sul colpo di stato in Bolivia

di Michele Castaldo

tmp485052888461082624In un momento di grandi sconvolgimenti degli assetti capitalistici mondiali la Sinistra somiglia a una voliera dove molte specie di volatili danno vita a un coro polifonico in cui è difficile distinguere i vari cinguettii. Segno dei tempi e delle nostre difficoltà. Una di queste voci che prendiamo a esaminare, separandola dal contesto della voliera, è quella di , una rivista e una organizzazione che fino ad oggi ha difeso strenuamente i governi di sinistra di alcuni paesi dell’America latina. Onore al merito, ci sentiamo di aggiungere.

Dopo il colpo di stato ordito dalle potenze occidentali, in primis dagli Usa, e le dimissioni forzate di Morales in Bolivia, c’è una novità in quello che scrive Luciano Vasapollo, conoscitore dei paesi latino americani e dirigente storico di quella rivista. Citiamo alcuni passaggi di un articolo comparso in rete muovendo alcune osservazioni di merito in quello che viene espresso.

Scrive Vasapollo:

«E’ assolutamente evidente che gli Stati Uniti, in ritirata in altre zone del mondo, stanno cercando di riprendersi il “cortile di casa” eliminando le esperienze alternative, dal Venezuela al Nicaragua, dal Brasile all’Ecuador e ora in Bolivia»

«E’ […questa la conseguenza di] un errore abbastanza comune, quello di credere che la conquista del governo politico coincida con la conquista del potere reale. Ma se non si mette mano alla modifica sostanziale del sistema economico, ossia se non si fa prevalere l’autodeterminazione sul come e cosa produrre e ci si limita soltanto alle politiche di redistribuzione sociale, non si modificano le modalità di riproduzione delle parti reazionarie e benestanti della società».

«Non è un caso, per esempio, che laddove la forza militare e le strutture dell’autogoverno popolare sono più forti (come in Venezuela, ma non solo), la reazione faccia molta più fatica a cercare di risalire la china. Mentre dove le strutture del potere popolare sono più deboli, e la filiera di comando militare resta politicamente “affine” con gli interessi imperialistici, il rischio di golpe è perenne.»

«E la Bolivia ha una potenzialità mineraria rilevante, tale da poter rappresentare un’alternativa di sistema economico, tra l’altro, come si è visto in questi anni con una crescita irrefrenabile del Pil. E con le cospicue riserve auree e del litio (un minerale fondamentale per lo sviluppo della cosiddetta “green economy”, dunque strategico per mantenere o conquistare l’egemonia economica futura)».

«… porre all’ordine del giorno del dibattito per l’alternativa quello di percorrere nuove forme di potere politico socialista che superino la visione di una democrazia borghese che si è dimostrata inadeguata a poter essere adattata anche in chiave progressista alla rivoluzione chavista, e ad accompagnare anche il cambiamento socio-economico del governo di Evo Morales, che pure sul piano degli indicatori economici ha dato buoni risultati.»

Diciamoci la verità: siamo lì a morderci i gomiti perché non riusciamo a venirne a capo di una messa in discussione di uno dei nostri capisaldi teorico-politici come quello che il potere politico possa dirigere quello economico. Si tratta di un caposaldo che deve essere fatto risalire alle origini del nostro movimento ideale, quello del comunismo, presente nel Manifesto di Marx-Engels. Un caposaldo messo in discussione fin dalla Comune di Parigi, poi nell’Urss di Lenin prima e di Stalin poi, poi nella Cina di Mao, poi ancora nel Vietnam, a Cuba, poi ancora in Iugoslavia e via via in tutta l’America latina, in tutti i paesi dell’Est europeo, perché la forza del modo di produzione capitalistico si è imposta ovunque.

La scommessa gramsciana, all’indomani dell’Ottobre 1917, che l’ideale avrebbe potuto avere il sopravvento sulle leggi dell’economia capitalistica, l’abbiamo persa. E, paradosso dei paradossi, proprio dove era più potente il capitalismo, come Usa e Europa, il modo di produzione capitalistico comincia a mostrare la corda, dove è cominciato un declino irreversibile.

Scrive Vasapollo:

«I poteri forti presenti in America Latina – così come la destra boliviana – capiscono che si vanno riducendo i loro margini di manovra a causa della minaccia forte della Russia e della Cina al loro alleato Nord Americano. Mentre godono dell’appoggio delle multinazionali anche europee che vogliono limitare il più possibile l’espansionismo verso un mondo pluripolare».

La verità è che l’Occidente – dove è nato e poi si è sviluppato a macchia d’olio il movimento storico del modo di produzione capitalistico – ha agito da apprendista stregone, ha suscitato fantasmi, cioè forze sociali divenute poi concorrenti che gli si sono rivolte contro. È questa la grande verità storica di cui dobbiamo prendere atto. Questi ultimi 70 anni, in modo particolare, hanno rappresentato una lunga rincorsa da parte dei paesi aggrediti dal colonialismo prima e dall’imperialismo poi, per conquistare il pieno titolo a partecipare a quello straordinario movimento storico del modo di produzione capitalistico. Una rincorsa che ha visto al “potere” politico ora la destra ora la sinistra, ma sempre con l’intento di partecipare a pieno titolo allo stesso movimento generale di sviluppo dell’accumulazione capitalistica.

Da questo punto di vista dobbiamo essere chiari: nessuno nasce con la vocazione alla schiavitù, neppure i più famigerati personaggi della destra, anzi in alcuni casi, come Hitler, Mussolini, Pinochet e similari, si pongono in competizione con le oligarchie e plutocrazie internazionali. Sicché la guerra della destra contro la sinistra è pro domo sua anche quando si presta ai servigi delle grandi potenze. Mentre la sinistra, pur ingaggiando una guerra contro il colonialismo e l’imperialismo lo fa sempre pro domo sua, ovvero per partecipare a pieno titolo al movimento di accumulazione capitalistico e sviluppare il proprio paese. Ferme restanti le differenze di non poco conto tra destra e sinistra, siamo però sempre nell’ambito dello stesso sistema dove vigono le stesse leggi del modo di produzione capitalistico.

Scrive Vasapollo:

«Resta da considerare che qualsiasi processo umano commette errori e un paese di alternativa non si deve accontentare di forme di economia partecipativa ma gli elementi di politica per il potere di classe devono dominare sul governo dell’economia, cioè anche sul campo del controllo politico; si devono esprimere forme di democrazia di base dominate da elementi immediati di socialismo sul piano della politica, ma in forme originali e non accettando le regole della democrazia capitalista che rischia di vanificare il progetto della transizione anticapitalista».

Viene qui espressa una posizione sulla quale è necessario soffermarsi, perché qui sorgono tutte le nostre difficoltà, perché non può esistere un «paese di alternativa» e meno ancora se si tratta di un piccolo paese come la Bolivia, il Cile, Cuba, Venezuela. Non ce l’ha fatta l’Urss che era una grande coalizione di nazionalità, non ce l’ha fatta la Cina, con un miliardo e mezzo di abitanti. L’alternativa al modo di produzione capitalistico non può essere nazionale e meno ancora di un piccolo paese. Nessun paese è sovrano proprio per le interconnessioni di un movimento storico. L’unica vera sovranità la contemplano le leggi del capitale.

Ci corre l’obbligo di prendere in seria considerazione, perciò, quella che per Marx (del Capitale) era l’impersonalità del modo di produzione capitalistico e le sue ineffabili leggi. Dunque non si tratta di «errori» che commette chi si impegna a governare da sinistra un paese, no, ma di leggi che ci sovrastano anche quando la nostra volontà vorrebbe virare la nave per una rotta diversa. Insomma la forza delle onde delle leggi del capitale ci portano là dove non pensiamo di andare, come capitò a Colombo che pensava di essere arrivato nelle Indie e si trovò in America.

Non andò meglio a Lenin che fu costretto a dire: «eravamo su un treno a binario unico della storia»; e successivamente ci siamo trovati al cospetto di Den Xiao Ping con l’ineffabile dichiarazione per cui «non importa se il gatto è bianco o nero, l’importante che acchiappi i topi».

Dove avrebbero sbagliato Marx, Lenin, Stalin, Mao, Fidel, Tito, Ceaucescu, e via via fino a Morales? A illudersi che la politica avrebbe potuto dirigere l’economia. E Robespierre li aveva preceduti con la legge sul «maximum» e finì al patibolo fra due ali di folla plaudenti. Tutto qui. E per questa illusione stiamo pagando un prezzo altissimo come tendenza ideale del comunismo. Perché? Perché il comunismo è la negazione del capitalismo e per questa ragione i comunisti non possono dirigere quello che vogliono distruggere.

Scrive Vasapollo:

«Non si possono accettare fino in fondo le regole della democrazia capitalista se si vuole tentare un cambiamento politico e socio-economico in chiave anticapitalismo».

Questo è vero, ma non possiamo pensare che il popolo sia sempre incline alla guerra, specialmente se ci poniamo come alternativa di un potere politico in grado di dirigere diversamente l’economia. Poi paghiamo dazio. Così come stiamo pagando.

E non possiamo riproporre come soluzione la stessa tesi, quando la storia degli ultimi 200 anni almeno l’ha smentita clamorosamente.

E Vasapollo prosegue:

«Non ci si può riuscire – e lo stiamo vedendo – se non si forza sul terreno delle forme di democrazia politica che indirizzino e dirigano quelle sul piano economico: se la politica non domina sull’economia viene risucchiata».

Ci corre l’obbligo di essere chiari ed espliciti: senza la forza della mobilitazione delle masse, non è possibile spostare di un millimetro le leggi dell’economia. E la forza della mobilitazione delle masse non la si può gestire a comando. Essa si sprigiona non per volontà dei comunisti ma per la pressione delle leggi del capitale; ovvero quelle stesse leggi dell’apprendista stregone che ha evocato fantasmi che gli si sono rivoltati contro.

Attenzione bene a non imbarcarsi nella leggenda del «si sarebbe dovuto fare e non si è fatto» come fa Vasapollo quando scrive:

«Per esempio, in Venezuela si sarebbe dovuto puntare per tempo sulla diversificazione produttiva. Mi era capitato di parlarne in un’intervista al Correo del Orinoco già nel 2007-2008. Dicevo: bisogna nazionalizzare l’intero settore bancario. Bisogna nazionalizzare i settori strategici».

Già Marx si comportò allo stesso modo dopo la sconfitta dei Comunardi e l’atroce massacro. E si sbagliava, perché dopo una sconfitta si devono analizzare le cause delle forze oggettive, piuttosto che addurre le colpe degli uomini. Una lettura più attenta e meno ideologica della Comune di Parigi ci porterebbe a capire che un pugno di artigiani e operai si trovò al cospetto di uno straordinario movimento storico in ascesa e che non avrebbe in alcun modo potuto frenare.

È questo l’“errore” storico che come movimento ideale abbiamo tutti compiuto e consiste nell’aver creduto che un movimento in ascesa potesse essere fermato dalla volontà degli uomini oppressi e sfruttati che invece erano prigionieri di quelle forze oggettive che l’insieme del movimento del capitale dirigeva.

La conclusione a cui giunge Vasapollo ci appare perciò piuttosto peregrina:

«In questo ambito ci poniamo l’obiettivo di analizzare l’iniziativa di muoverci verso un nuovo ordine economico pluripolare e multicentrico per l’autodeterminazione dei popoli. Così come la sua fattibilità e garanzia di un equilibrio universale che minimizzi la supremazia delle potenze e ci permetta di procedere verso modelli di giustizia sociale ed uguaglianza».

Cerchiamo di stare con i piedi per terra e di dire alcune cose “minime” ma solide dal punto di vista teorico e politico:

  • A) Innanzitutto cerchiamo di volare bassi: che vuol dire «ci poniamo l’obiettivo»? Chi siamo, quanti siamo, quale forza reale rappresentiamo?

  • B) Qual è la tendenza che ha imboccato il moto-modo di produzione capitalistico a scala mondiale?

  • C) In che modo si può innestare una proposta politica come quella del comunismo?

Stare con i piedi per terra vuol dire:

1) Avere consapevolezza che siamo dei residui di un movimento ideale illusosi sulla possibilità che una classe avesse potuto abbattere un modo di produzione in ascesa;

2) avere la consapevolezza che siamo poco credibili, perché i paesi che hanno dovuto lottare contro il colonialismo e l’imperialismo per uno sviluppo autoctono dell’accumulazione capitalistica, nella stragrande maggioranza, lo hanno fatto in nome del comunismo. Dunque usciamo con le ossa rotte perché abbiamo mostrato un “modello” sociale che è uscito sconfitto dal confronto con il capitalismo; e dall’‘89 non solo non ci siamo più ripresi, ma non si vedono segnali di inversione di tendenza, anzi.

3) avere la consapevolezza che la proposta teorico-politica di un movimento comunista che si impernia su una classe, il proletariato, che abbatta la borghesia e instauri il proprio potere politico, è priva di senso storico.

4) avere la consapevolezza che non è data, come ipotizza Vasapollo, nessuna possibilità di un «nuovo ordine mondiale», fondato su una nuova sovranità perché è in atto, questo si, una tendenza centrifuga già da alcuni anni; possiamo datare proprio l’89 come primo potente sintomo con l’Urss, poi la Yugoslavia, l’Albania con il Kossovo, il Nord-Est dell’Italia, la Catalogna, ultimamente con l’Inghilterra per l’uscita dalla Ue. Una tendenza che ha raggiunto l’Asia, vedi Hong Kong, e che rischia di coinvolgere l’India. Una tendenza destinata a rafforzarsi piuttosto che a ridursi. Una tendenza che per caratteristiche strutturali non può che essere nazionalistica, che chiama a raccolta ogni popolo a unirsi corporativamente contro gli altri popoli per batterli in concorrenza per l’acquisto delle materie prime e la vendita delle merci.

5) avere la consapevolezza che la natura di questa tendenza, che Vasapollo sembra prediligere, non è garanzia di maggiore sviluppo pacifico e di un nuovo ordine mondiale, ma di accelerazione caotica di tutti contro tutti, uno scenario che sta viaggiando sotto i nostri occhi e che la stessa rivista Contropiano denuncia, dove i vari settori del proletariato sono chiamati a svolgere il ruolo di grasso lubrificante di un sistema sempre più in crisi. Sicché «l’autodeterminazione dei popoli» di Vasapollo in che modo si dovrebbe dare? Rinnovando l’illusione di «non commettere gli errori del passato», ovvero di diversificare lo sviluppo industriale e sottrarsi così alle grinfie imperialiste.

Cioè Vasapollo propone di fare – di qui in avanti – quello che non sarebbero stati capaci di fare i dirigenti politici di alcuni paesi latinoamericani come Venezuela e Bolivia, giusto per stare in tema. Ma in questo modo scompare l’artefice principale dell’oppressione e dello sfruttamento, quel modo di produzione capitalistico che vogliamo combattere e abolire. Come la mettiamo? 

Pin It

Comments

Search Reset
0
michele castaldo
Wednesday, 20 November 2019 07:37
Caro Maurizio,
tu chiedi: "chi fa cadere il capitalismo?" io rispondo: il capitalismo stesso. Meglio mi spiego.
Il capitalismo proprio perché è un movimento storico devono venir meno i fattori che lo fecero sorgere e sviluppare (per dirla con Marx del Capitale) perché imploda.
Mettiamo la cosa in questi termini: un operaio lavora a tempo indeterminato e riceve un salario col quale riesce a soddisfare le necessità della sua famiglia: perché dovrebbe fare la rivoluzione, perché dovrebbe abbattere un modo di produzione che lo tiene in vita come elemento complementare di un movimento storico? Avrebbe più ragioni a farlo il disoccupato, ma non ha la forza. Dunque non è sufficiente essere sfruttato, l'operaio, per pensare di abbattere il capitalismo. E' necessario che il capitalismo non garantisca più la sopravvivenza al salariato e questo insorge. Ma perché il capitalismo non riesce più a garantire la sopravvivenza al salariato? E' questa la domanda alla quale dobbiamo cercare di rispondere piuttosto che spremerci le meningi alla ricerca del soggetto che abbatte il capitalismo.
Altrimenti detto: la rivoluzione è il punto di caduta di un movimento storico esaurito, privo cioè di spinta propulsiva. E' dall'assenza di quella spinta che si sviluppa per riflesso agente il soggetto della rivoluzione, cioè come risultato della finitezza del movimento storico capitalistico.
Michele Castaldo
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Maurizio
Tuesday, 19 November 2019 22:04
Quoting michele castaldo:
Caro Maurizio,
Michele Castaldo

Caro Michele, ti ringrazio per avermi risposto e ho compreso cosa volevi dire, ma, mi sbaglierò, mi pare un problema più filosofico. Io da persona pratica, tendo a chiedermi chi fa, cosa, quando e, soprattutto come. Sappiamo tutti che ogni cultura ha una sua curva, nasce, tocca l'apice, inizia il declino, ma chi fa cadere una cultura non è il suo declino, ma gli oppressi (borghesia con Rivoluzione Francese) o gli esclusi (i barbari con l'impero romano). Nel caso del capitalismo possono farlo cadere solo i salariati e i disoccupati giovani. Altrimenti come cade?
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Pantaléone
Monday, 18 November 2019 20:52
Io non sono un intellettuale, ma un lavoratore precario, in quanto tale, quando il capitalismo non sarà più in grado di assicurare la sua riproducibilità può solo crollare, quando al proletariato sappiamo tutti che è alienato e reificato come lo siamo tutti, e che la coscienza non è coscienza, ma ciò che appare alla coscienza (il sistema).
Tuttavia, dal momento in cui il capitalismo crolla, la coscienza comunitaria emergerà nella testa del proletariato.
Sul fallimento della lotta, finché il capitalismo non ha raggiunto il suo limite interno, ogni rivolta è destinata a fallire.
Oggi non è più così e quindi la strada è aperta!
Verso la completa naturalezza.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
michele castaldo
Monday, 18 November 2019 16:05
Caro Maurizio,
innanzitutto ti ringrazio per aver letto il mio scritto e aggiungo: il medico scrupoloso non rincorre una diagnosi di comodo. Capisco perfettamente il senso di frustrazione che può colpire un compagno nel leggere che «la proposta teorico-politica di un movimento comunista che si impernia su una classe, il proletariato, che abbatta la borghesia e instauri il proprio potere politico, è priva di senso storico», ma questo è. Se osserviamo il procedere della storia degli ultimi 200 anni, questa è la diagnosi: il proletariato è una classe complementare al, del e nel modo di produzione capitalistico. Puntare su di esso per abbattere il capitalismo è stata una illusione per tutti noi. Ne prendiamo atto e cerchiamo di capire in che modo investire le nostre energie contro il capitalismo, per il Comunismo. Senza frustrarci perché il capitalismo è entrato in una fase dove non ha una nuova prospettiva di rilanciarsi per lo sviluppo dell'accumulazione.
Paradossalmente siamo più vicini oggi al Comunismo che non 170 anni fa come purtroppo pensavano i nostri maestri e noi al loro seguito.
Michele Castaldo
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Maurizio
Monday, 18 November 2019 14:41
Non comprendo le conclusioni e faccio fatica a pensare di essere "privo di senso storico".
D'altra parte o si trova una via d'uscita o la barbarie è dietro l'angolo, quindi tanto vale ragionare su cosa servirebbe, in questa fase, per avere un economia più a misura d'uomo. Sempre tenendo presente che quel sta succedendo in Bolivia era facilmente prevedibile.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit