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fuoricollana

L’Unione europea verso l’irrilevanza economica?

di Vincenzo Comito

3 Il vincolo esterno il vincolo europeo.jpgL’UE dovrebbe indirizzare la propria azione al mondo multilaterale. Prevale la tendenza a rinchiudersi nel campo atlantista, come mostrano le vicende russo-ucraina e israelo-palestinese, usate per far prosperare l’industria delle armi.

Nel testo che segue cerchiamo di analizzare con qualche dettaglio la situazione e le prospettive economiche dei paesi facenti attualmente parte dell’Unione Europea, concentrandoci comunque soltanto su alcuni aspetti della questione. Il quadro appare, almeno a chi scrive, allarmante e senza grandi prospettive.

 

La competizione mondiale sulle tecnologie avanzate

Un’analisi svolta dall’Australian Strategic Policy Institute (Hurst, 2023), con il sostegno del Dipartimento di Stato statunitense, ha analizzato di recente la posizione competitiva dei vari paesi del mondo nel campo delle tecnologie avanzate. In 37 dei 44 settori analizzati nella ricerca la Cina è il paese guida, superando anche gli Usa, che mantengono il primato soltanto in 7 settori. Nessuno degli altri paesi, compresi quelli europei, ha una posizione di leadership in qualcuno di essi. Il paese asiatico tende a posizionarsi, secondo lo studio, come la superpotenza scientifica e tecnologica principale del mondo. La Cina genera da sola all’incirca il 50% del totale mondiale degli articoli scientifici ad alto impatto. Può darsi che lo studio, per alcuni aspetti, sovrastimi la dominazione cinese, ma in ogni caso esso fotografa una situazione corretta nelle grandi linee, in particolare in relazione al ruolo dei paesi europei.

L’istituto rileva in effetti che esiste un grande gap tra Cina e Stati Uniti da una parte e tutti gli altri paesi dall’altra. I dati indicano che c’è una serie di paesi collocabili in seconda fila; tale gruppo è guidato da India e Gran Bretagna, mentre gli altri Stati europei rimangono ancora un poco indietro.

Consideriamo il campo dei chip. Nel 1990 l’Europa produceva il 44% degli stessi e gli Stati Uniti più o meno era sugli stessi valori; nel 2022 siamo al 9% del totale per l’Europa e al 12% per gli Stati Uniti. Ma mentre gli Stati Uniti dovrebbero avere in funzione 14 nuove fabbriche di semiconduttori entro il 2025, i paesi europei e il Medio Oriente ne avranno soltanto 10, la Cina e Taiwan ne stanno avviando ben 43 (Rachman, 2023). Senza considerare i nuovi insediamenti della Corea del Sud e del Giappone. La preponderanza dell’Asia appare netta.

O guardiamo al settore delle energie rinnovabili. Per quanto riguarda la produzione di pannelli fotovoltaici, la Cina ne produrrà ancora nel 2030, secondo le previsioni, all’incirca l’80% del totale mondiale, mentre quella dei paesi europei continuerà ad essere sostanzialmente irrilevante (International Energy Agency), anche se ci sono dei programmi importanti in atto. Nel campo dell’energia eolica la Cina arriva ancora nel 2030 ad oltre il 60% del totale e in questo caso i paesi della UE hanno una posizione di un certo rilievo, poco distante dal 20%, ma frutto anche di una perdita di velocità; la due principali imprese europee del settore presentano infatti in questo momento rilevanti difficoltà tecnologiche e finanziarie, mentre in questi mesi,in Cina si inaugura un impianto che prevede la messa in opera delle pale eoliche di più grandi dimensioni al mondo. Per quanto riguarda la produzione di batterie assistiamo al solito predominio cinese, con il 75% circa del totale della produzione mondiale nel 2030, mentre l’UE si collocherebbe tra il 10% e il 15% del totale, anche se ci sono in campo dei progetti di espansione importanti.

Incidentalmente, abbiamo assistito nel tempo alla messa al bando da parte degli Stati Uniti e di conseguenza automaticamente da parte di molti paesi europei vassalli, delle tecnologie di telecomunicazione cinesi e segnatamente delle società Huawei e Zte; ma tale mossa, lungi dal favorire le imprese europee concorrenti Ericsson e Nokia, le ha fortemente indebolite, con rilevanti difficoltà tecniche e finanziarie.

Più in generale, nella classifica delle principali imprese tecnologiche del mondo sulla base del loro fatturato, le prime due imprese europee, la tedesca SAP e l’olandese ASML si collocano abbastanza in basso, mentre dominano le imprese statunitensi, cinesi e più in generale quelle asiatiche.

Questa situazione viene naturalmente da lontano ed è la conseguenza di molteplici fattori. Ne ricordiamo soltanto uno, quello relativo alle strategie dell’Unione Europea.

Sino a qualche anno fa anche soltanto usare l’espressione “politica industriale” era considerato anatema a Bruxelles ed anche i singoli paesi dell’Unione non osavano, di conseguenza, avventurarsi in programmi di sostegno pubblico ai settori avanzati. Poi, di fronte all’evidenza di una situazione di forte arretratezza rispetto a Usa e Cina nelle tecnologie avanzate, Bruxelles ad un certo punto ha cercato di colmare il gap. Sono stati così varati diversi programmi di intervento, da quello sulla robotica a quelli sui chip e sull’intelligenza artificiale. Ma non c’è da aspettarsi molto da tali progetti, le risorse stanziate sono molto al di sotto di quanto sarebbe necessario e comunque si è partiti tardi e lentamente per difficoltà burocratiche e di altro tipo. Al massimo si riuscirà. A proposito di IA si sono riuniti in questi giorni i rappresentanti di Germania, Francia ed Italia per concordare una strategia comune per il settore; vedremo.

 

Alcuni residuali punti di forza dell’Europa

Il modello economico dei paesi della UE si basa comunque sempre meno sulle tecnologie avanzate, che sono il prossimo futuro dell’economia e punta molto invece su settori più tradizionali, peraltro in parte vacillanti. Appare evidente che l’economia europea si trova in gravi difficoltà rispetto al suo possibile modello di sviluppo, come si può constatare da una veloce analisi.

Nell’auto la forte innovazione in atto nel mondo (elettrificazione, digitalizzazione, guida autonoma) pone ora in primo piano soprattutto la Cina e in parte gli Stati Uniti, rischiando di mettere sostanzialmente fuori gioco Stellantis e Renault, che comunque stanno tentando una marcia di avvicinamento ai cinesi, mentre i produttori tedeschi sono in difficoltà, ma cercano di resistere grazie ai forti legami già presenti sempre con la Cina. E questo mentre a Bruxelles, su disposizioni Usa, si cerca invece di bloccare l’arrivo di auto del paese asiatico nel nostro continente. Una follia! L’auto è stata sino ad oggi, comunque, l’asse portante principale dell’industria nel nostro continente e comunque l’Europa poteva contare sino a ieri sulle prodezze tecnologiche tedesche nel settore, che oggi tendono però quasi all’irrilevanza (il costo delle auto tende ad essere ormai costituito per il 40% da quello delle batterie e per un altro 40% da quello del software). Le tradizionali raffinatezze tecniche di Mercedes, BMW, Audi saranno sempre più relegate ad una piccola nicchia del mercato.

Anche nella chimica, altro tradizionale punto di forza dell’economia europea, il continente viaggia verso l’irrilevanza. Le previsioni al 2030 vedono la Cina controllare il 50% del mercato mondiale, mentre in Europa resterebbe solo il 10%; attualmente considerati gli alti costi dell’energia nel nostro continente, in particolare le imprese tedesche tendono sempre più a concentrare i loro investimenti in Cina ed negli Usa. Nell’elettronica di consumo dominano di nuovo i produttori asiatici, con qualche eccezione Usa. Minacce crescenti si registrano anche nel campo dei macchinari industriali.

L’economia dell’UE registra una forte presenza, tra l’altro, nel settore del turismo (i paesi europei sono la principale destinazione turistica del mondo), nell’agroalimentare, nel lusso, nel campo bancario ed in quello assicurativo. Nei primi due settori la presenza europea dovrebbe rimanere forte nel tempo, ma per quanto riguarda quello del turismo si tratta di un’attività mediamente povera e a bassa qualificazione degli addetti, mentre quella del lusso è caratterizzata da alti margini di profitto. Ma si può prevedere che in relativamente pochi anni anche questo spazio vedrà moltiplicarsi la presenza dei produttori asiatici. Nel campo bancario gli istituti del continente sono molto più piccoli come dimensione di quelli cinesi e molto meno redditivi, circa la metà, di quelli Usa. I grandi fondi di investimento nel mondo sono controllati da Usa, Cina, paesi del Golfo, con soltanto qualche appendice relativamente minore nella UE. Anche nelle altre strutture finanziarie sono gli Stati Uniti a dominare la scena (private equity, venture capital, ecc.).

Persino nelle attività agricole le cose non vanno molto bene. A livello europeo il settore è oggi un grande importatore di input dall’esterno, mentre vende per la gran parte prodotti a basso valore aggiunto che invia in particolare verso la Cina, da cui importa invece produzioni a valore aggiunto crescente.

Come è noto, di recente la Commissione europea ha chiesto a Mario Draghi di preparare un piano per rafforzare la competitività internazionale dell’economia europea. Fatica improba e che non crediamo che possa portare a grandi risultati. O forse, per nascondere i veri fallimenti, si fa finta di fare qualcosa.

Nell’ultimo periodo, a partire dalla Germania, si va diffondendo la paura della de-isindustrializzazione. La crescita dei mercati esterni, in particolare asiatici, l’alto costo dell’energia, gli incentivi Usa, stanno in effetti facendo maturare nel nostro continente la tendenza di molte imprese a tentare la fuga verso altri lidi o comunque a cedere la proprietà delle loro aziende ad altri protagonisti. Hanno fatto sensazione di recente nel paese teutonico da una parte l’acquisizione da parte degli americani del principale produttore europeo di pompe di calore, dall’altra l’annuncio da parte della BASF, la più grande impresa chimica del continente, dell’avvio della costruzione in Cina di un grande impianto produttivo, mentre venivano ridimensionati i suoi piani di investimento in Germania.

 

Il confronto tra UE, UK, USA

Nel 2008 le economie di Stati Uniti e Unione Europea erano grosso modo della stessa dimensione, anzi quella della Ue presentava un livello del Pil un poco superiore. Ma dopo di allora l’andamento dei due blocchi è stato sempre più divergente. Oggi il PIL statunitense è all’incirca più grande di un terzo rispetto a quello europeo e senza la Gran Bretagna di circa il 50%. E comunque l’Europa dipende dagli Stati Uniti per le tecnologie, l’energia, il capitale e la protezione militare (Rachman, 2023).

Le cose continuano in ogni modo a deteriorarsi. Nel 2023 l’economia dei paesi della UE crescerà, se tutto va bene, dello 0,7%, mentre quella statunitense dovrebbe farlo tre volte tanto (anzi i dati relativi al terzo trimestre 2023 indicano che tale crescita potrebbe essere anche superiore); peraltro la Gran Bretagna farà ancora peggio, siamo allo 0,5%. Questo dominio Usa si estenderà anche nel 2024 e oltre. In tale anno, secondo le previsioni, il pil Usa crescerà dell’1,5%, quello UE dell’1,2% et encore e quello della Gran Bretagna dello 0,6%.

Le difficoltà in cui si dibatte l’UE è eloquentemente esemplificata dai contorcimenti in cui in questo momento si dibatte il più importante dei suoi membri, la Germania, mentre l’Italia, come è noto, non cresce significativamente da più di trenta anni.

Ma da cosa dipende tale egemonia recente degli Stati Uniti? Le ragioni sono molte, dal più forte stimolo pandemico, alle ripercussioni dell’invasione russa dell’Ucraina, al boom del settore tecnologico, alla più larga disponibilità di capitali, mentre anche gli investimenti e la produttività crescono di più in Usa e la nostra appare come una società che invecchia (Romei, Smith, 2023).

 

I divari economici nell’UE

Bisogna comunque ricordare che non tutti i paesi dell’UE sono uguali.

Si potrebbe a questo proposito presentare delle analisi molto dettagliate in varie direzioni. Ma per dare un’idea della situazione facciamo soltanto riferimento ad una recente testimonianza di The Economist (The Economist, 2023). Il settimanale economico britannico ha cercato, in una sua elaborazione, di classificare i vari paesi facenti parte dell’Unione Europea sulla base di cinque parametri particolari; certo essi, almeno in qualche caso, appaiono discutibili, ma alla fine il quadro che ne risulta sembra abbastanza significativo. I parametri considerati sono il livello di inflazione, quello del debito pubblico e privato, la dinamica demografica, gli sforzi di decarbonizzazione delle varie economie, il livello di scambi commerciali con i paesi “autocratici”, criterio quest’ultimo, a nostro parere, assai discutibile. Il risultato complessivo vede intanto classificarsi ai primi posti tra quelli virtuosi alcuni paesi piccoli (Irlanda, Malta, Cipro, Lussemburgo, Danimarca, Croazia); tra quelli più importanti, la classifica vede al primo posto la Francia, poi molto più in basso la Germania, ancora la Spagna, seguita dalla Polonia, mentre l’Italia si colloca al penultimo posto insieme alla Slovacchia e precedendo soltanto l’Ungheria.

 

La subalternità europea agli USA

Pur nell’ambito di evidenti differenze nella collocazione dei vari paesi dell’Unione Europea in una possibile classifica delle virtù economiche, il quadro generale che esce fuori dalla collocazione di tale gruppo di paesi nell’ambito dell’economia mondiale attualmente e all’orizzonte 2030 non appare certo roseo e non si vede come la situazione possa migliorare in concreto nei prossimi anni. Gruppi dirigenti imbelli a Bruxelles ed altrove, la forte spinta economica e tecnologica dei due grandi blocchi “rivali” e anche di una serie di paesi minori, le rilevanti divisioni politiche presenti tra le singole entità facenti parte dell’Unione, la carenza di capitali effettivamente mobilitabili e di investimenti, l’elevato tasso del debito pubblico, soprattutto in alcuni paesi, l’alto livello di inflazione, le pressioni politiche statunitensi che sono in grado di indirizzare le scelte dell’Unione nella direzione dei loro interessi esclusivi, sono tutti fattori che sembrerebbero contribuire a ostacolare sviluppi positivi. L’Unione avrebbe, tra l’altro, bisogno per progredire di aprirsi sempre più in e tutte le direzioni geografiche, mentre la tendenza, imposta dagli Usa, appare quella di rinchiudersi quanto più possibile nel più ristretto campo atlantico e questo, incidentalmente, anche in quello politico, come indicano le recenti vicende dell’Ucraina e di Israele, usate tra l’altro strumentalmente per far prosperare l’industria delle armi, ma anche in questo caso soprattutto di quella statunitense. I risultati non saranno presumibilmente alla fine molto brillanti. Non resta che sperare di essere in qualche modo contraddetti sulle sorti dell’Europa dall’imprevedibile incidere della ruota della storia.


Testi citati nell’articolo
-Hurst D., China leading Us in technology race in all but a few fields, thinktank finds, www.theguardian.com, 2 marzo 2023.
-Rachman G., Europe is falling behind America and the gap is growing, www.ft.com, 19 giugno 2023.
-Romei V., Smith C., How is the Us economy managing to power ahead of Europe?, www.ft.com, 19 ottobre 2023.
The Economist, Our European economic pentathlon, 14 ottobre 2023.

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