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micromega

Perché la moneta fiscale è meglio dell’Italexit

(ma quella del prof. Zezza non può funzionare)

di Enrico Grazzini

moneta fiscale italexit zezza 510Il Movimento 5 Stelle sembra indeciso tra l'alternativa di uscire dall'euro e adottare invece la moneta fiscale. La questione è complessa e la scelta non è facile: ma è già estremamente positivo che i 5 Stelle si pongano con decisione il problema di liberare finalmente l'Italia dai vincoli dell'euro. L'opzione peggiore, anzi quella pessima e disastrosa, è infatti proseguire con questa austerità suicida che sta strangolando l'economia e il lavoro di milioni di italiani. Non si può aspettare passivamente che l'euro crolli – come probabilmente prima o poi accadrà –.

Cercherò di dimostrare che la soluzione di gran lunga migliore è quella della moneta fiscale; ma la nuova moneta pubblica deve essere progettata bene, altrimenti anche questa scelta diventerà fallimentare. Tenterò di spiegare che l'Italexit è una soluzione possibile ma che sarebbe estremamente complessa da gestire, molto dolorosa, e spaccherebbe il Paese. Difficilmente una forza politica di governo riuscirebbe a percorrere con successo questa via che è teoricamente praticabile ma è anche molto stretta e impervia, sia sul piano politico che strettamente tecnico.

In confronto la scelta della moneta fiscale è assai più semplice e fattibile, e molto meno dolorosa. Il problema è piuttosto che la via indicata dal prof. Gennaro Zezza sul blog di Grillo, peraltro ancora in bozza, presenta delle carenze sostanziali che porterebbero molto probabilmente al fallimento dell'iniziativa: infatti Zezza propone una soluzione di moneta fiscale non convertibile in euro ma utilizzabile subito per pagare le tasse. Ma questo moneta non convertibile – e quindi di secondo rango – si deprezzerebbe subito e genererebbe immediatamente debito pubblico: quindi spingerebbe subito l'Italia fuori dall'euro. Ovvero avrebbe l'effetto opposto a quello che si propone.

Il rischio forte è che questa particolare soluzione di moneta fiscale sia impraticabile. Del resto questa proposta elaborata da Zezza originariamente per la Grecia in collaborazione con il suo collega del Levy Institute Dimitri B. Papadimitriou – divenuto poi l'attuale Ministro dell'Economia del governo di Alexis Tsipras – è stata recentemente dichiarata impraticabile dallo stesso Papadimitriou.[1]

Occorre quindi approfondire le soluzioni possibili di moneta fiscale e migliorare il progetto iniziale. La soluzione che indicherò – promossa tra gli altri dal compianto Luciano Gallino, illustre sociologo dell'economia, e da Marco Cattaneo[2] - è a mio parere concreta e maggiormente praticabile: non a caso un report di Mediobanca Securities, cioè della principale banca d'affari italiana, ha confermato che con l'adozione della nostra moneta fiscale l'aumento del PIL raddoppierebbe da subito[3]. Senza però incrementare il deficit pubblico. In tendenza, grazie alla nostra proposta di moneta fiscale, scenderebbe il rapporto debito/PIL. Questo però non accadrebbe a causa del taglio selvaggio delle spese pubbliche – sanità, istruzione, ricerca, pensioni, ecc – ma grazie all'aumento del PIL.

Una cosa è certa: occorre preparare, come fa giustamente il M5S, il piano B, perché è quasi sicuro che prima o poi l'euro cadrà: infatti è una moneta che strutturalmente soffoca l'economia, la società e le istituzioni democratiche. L'uscita dell'Italia dall'euro prevedibilmente non avverrà per decisione unilaterale, né tanto meno per decisione di un referendum, ma semplicemente perché l'eurozona si sta sgretolando. E' prevedibile che la crisi a un certo punto precipiterà. In particolare diventerà più acuta quando la BCE cesserà di dare soldi alle banche per sostenere con il Quantitative Easing (espansione monetaria) i titoli di debito pubblico. La fine (vicina) del QE segnerà l'inizio del tiro al bersaglio sui titoli italiani del debito pubblico da parte della speculazione internazionale, e quindi, con grande probabilità, la fine dell'euro. Bisogna prepararsi perché il piano B diventerà presto il Piano A.

A mio parere occorre approfondire questi temi sia in ambito ristretto e specialistico che in dibattiti pubblici, confrontando le diverse posizioni in maniera tale da raggiungere i migliori risultati. Quello che è certo è che occorre sganciarsi al più presto possibile dai vincoli dell'eurozona.

Ma andiamo con ordine.

 

Le conseguenze dell’Italexit

Ho già scritto[4] – come ha convenuto anche il prof. Paolo Savona – che “ In Italia c'è da molti anni un avanzo primario consolidato – cioè paghiamo più tasse di quanto lo stato spende per i servizi ai cittadini -; abbiamo un consistente avanzo commerciale con l'estero (+ 50 mdi) e una posizione finanziaria netta verso l'estero non eccessivamente negativa (17% circa sul PIL). In questa situazione tutti gli economisti seri possono facilmente comprendere che l'uscita dall'euro, se ben gestita da un governo forte, non provocherebbe disastri irreparabili, e che – dopo la turbolenza iniziale – la nuova lira non cadrebbe più di tanto.

Grazie all'avanzo primario di bilancio, siamo già in grado di pagare le spese pubbliche correnti; inoltre, a differenza della Grecia, entra già preziosa valuta estera perché esportiamo più di quanto importiamo. La nostra situazione è totalmente differente da quella greca: là mancavano i soldi per pagare le pensioni e gli stipendi pubblici e la bilancia commerciale con l'estero era negativa. L'Italia è in una posizione molto più forte. Noi non saremmo totalmente dipendenti dalla moneta estera. L'Italia potrebbe uscire dall'euro senza fare default: lo stato potrebbe pagare i suoi debiti e continuare ad avere accesso ai mercati internazionali. Nonostante ciò che politici e media ci propinano, la nostra situazione economica non sarebbe disastrosa, almeno se non ci fossero l'euro e la UE a strangolare l'economia”.

Il problema però è che l'Italexit non sarebbe una passeggiata. Per fronteggiare la reazione dei mercati internazionali occorrerebbe una politica di intervento statale e di “repressione finanziaria” estremamente decisa e competente. Con la ridenominazione del debito da euro in nuove lire, e con la conseguente svalutazione, bisognerebbe bloccare in anticipo la fuga dei capitali; cambiare immediatamente lo statuto della Banca d'Italia, in modo che questa possa intervenire sul mercato dei cambi, utilizzando le sue riserve in valuta e oro – che però attualmente sono nella disponibilità della Banca Centrale Europea -. Bankitalia dovrebbe poi subito monetizzare il debito pubblico – cioè stampare nuove lire - per espandere l'economia e l'occupazione. Con la svalutazione della nuova lira, le banche italiane subirebbero dei contraccolpi seri perché sono fortemente indebitate in euro (550 miliardi), e perché il valore dei 400 miliardi di titoli di debito pubblico che hanno in pancia scenderebbe notevolmente. Occorrerebbero allora decisi interventi di nazionalizzazione delle banche.

In ogni caso i contraccolpi sugli stipendi, i salari e le pensioni sarebbero - almeno nell'immediato – forti. Il Paese si spaccherebbe a metà tra chi è favorevole all'Italexit e chi invece si ribellerebbe all'immediato taglio del suo reddito.

Probabilmente per uscire dalla crisi bisognerebbe ricorrere all'aiuto americano di Donald Trump: ma questo soccorso non sarebbe gratuito. Inoltre anche la ridenominazione del debito in lira presenta non pochi problemi sul piano legale. La questione giuridica della Lex Monetae è centrale per risolvere il problema dell'enorme debito pubblico.

 

Lex Monetae e debito pubblico

Secondo la lex monetae uno stato sovrano come l'Italia avrebbe il diritto di restituire il suo debito nella sua nuova moneta legale (per esempio in lire) se questo debito è stato emesso sotto la sua legislazione. Se invece il debito è stato emesso sotto legislazione estera, per esempio nei centri di Londra o New York, deve essere ripagato nella valuta nella quale è stato contratto, cioè, per quanto riguarda l'Italia, in euro.

Secondo un report di Mediobanca[5], solo una parte esigua, il 2,5% circa, cioè 48 mdi sul totale del debito pubblico italiano, è stato emessa in base alle leggi estere e andrebbe quindi restituita in euro. Il resto del debito pubblico verso l'estero (pari a un totale di circa 750 mdi) è invece stato emesso sotto la legislazione nazionale, e quindi è soggetto alla lex monetae e restituibile in nuove lire (svalutate).

Applicando la lex monetae, il risparmio sul costo del debito sarebbe notevole. Se si ipotizza, come fa Mediobanca, che la nuova lira si svaluterà di circa il 30% rispetto all'euro/marco – cioè di una percentuale pari a due volte il differenziale di inflazione accumulato negli anni dell'euro tra la Germania e l'Italia –, grazie alla ridenominazione il debito pubblico risulterebbe sostenibile: infatti, considerando i 750 mdi di debito estero, lo sconto del 30% varrebbe indicativamente oltre 200 miliardi. In conclusione: se il debito pubblico venisse pagato in nuove lire, allora per lo stato sarebbe certamente opportuna l'uscita dall'euro. Tuttavia si aprirebbero contenziosi a non finire con le istituzioni europee e con la grande finanza americana e inglese.

Infatti Mediobanca e altre fonti qualificate reputano (a mio parere sbagliando) che la Lex Monetae sia difficilmente applicabile a gran parte del debito a causa delle Clausole di Azione Collettiva, norme europee accettate dal governo italiano e entrate in vigore a partire dal 2013: secondo queste interpretazioni le CAC renderebbero la ridenominazione di gran parte del debito in lire equivalente al default. La questione giuridica è ampiamente dibattuta. A parere di chi scrive e di molti altri, le regole CAC non si applicano alla ridenominazione: ma è chiaro che ci sarebbero contestazioni durissime.

Nessun potente investitore internazionale – sia esso una banca d'affari o un fondo speculativo o un fondo pensioni – sarebbe contento se il suo credito venisse restituito in lire svalutate invece che in euro -. Non è quindi affatto detto che Donald Trump e Theresa May sarebbero al nostro fianco con l'Italexit. Magari preferirebbero difendere i loro amici di Wall Street e della City accompagnandosi ad Angela Merkel e alle banche francesi per punire l'Italia.

Sul piano politico le cose sarebbero estremamente complicate. Con l'uscita dell'Italia dall'euro, è sicuro che l'eurozona si sconquasserebbe, e probabilmente l'euro non esisterebbe più. Ci sarebbe un ritorno immediato alle monete nazionali. Poi forse – ma solo poi e solo forse - si formerebbero altre aree valutarie: euro forte contro euro debole.

In definitiva: l'Italexit è certamente possibile, e sarebbe anche auspicabile per la ripresa economica, democratica e sociale dell'Italia, ma è molto difficile da gestire e gli esiti sono incerti. Assai difficilmente un governo potrebbe resistere al caos internazionale e nazionale che seguirebbe. Purtroppo nella storia i governi che hanno meglio sopportato e superato i caos finanziari con un deciso intervento statale sono (con poche importanti eccezioni) di tipo dittatoriale e tirannico. Tuttavia questo sbocco ovviamente sarebbe insopportabile. Per restaurare la democrazia si correrebbe il rischio di favorire al contrario politiche antidemocratiche di forza e di repressione.

In confronto la strada della moneta fiscale è lastricata di rose e di fiori.

 

La Moneta Fiscale

Ho già scritto molte volte su che cosa è la moneta fiscale, come funziona e perché essa è efficace ed è pienamente compatibile con le norme dell'eurozona. In questa sede, dopo una breve spiegazione sintetica sui Titoli di Sconto Fiscale – che chi li conosce già bene può agevolmente saltare - indicherò invece nell'ultima parte perché la soluzione proposta dal prof. Gennaro Zezza mi sembra ancora abbozzata, confusa e da perfezionare: infatti essa appare in alcune parti erronea e carente, e potrebbe quindi non essere viabile o, peggio, diventare fallimentare. Non voglio certamente entrare in polemica con il prof. Zezza, che ha il grande merito di avere posto in evidenza la questione della moneta fiscale, grazie soprattutto alle sue analisi sulla drammatica vicenda della Grecia. Intendo però approfondire l'analisi scientifica e stimolare un dibattito aperto in modo da raggiungere il migliore risultato possibile.

 

I Titoli di Sconto Fiscale

In fondo il progetto di moneta fiscale, di stampo keynesiano, è semplice da comprendere e da fare comprendere. L'Italia è ammalata, e la malattia si chiama: mancanza di domanda. Le risorse sono inutilizzate e sottoutilizzate: il capitale e la forza lavoro sono fermi. La capacità produttiva è sottoutilizzata. Gli investimenti sono caduti del 30%. Se manca la liquidità, se alle famiglie mancano i soldi per fare la spesa, se allo stato mancano i soldi per i beni pubblici, se insomma non c'è domanda, la produzione e gli investimenti cadono. Se invece con la moneta fiscale si immette liquidità e riprende la domanda, riprendono anche la produzione, gli investimenti e l'occupazione. L'economia ricomincia a girare grazie al nuovo ossigeno monetario.

La Moneta Fiscale è semplicemente un Titolo di Sconto Fiscale, un titolo di stato emesso dal Tesoro, negoziabile sul mercato e quindi convertibile in euro proprio come i Bot e i Btp. I Titoli di Sconto Fiscale (TSF) danno diritto ai loro possessori a godere di sgravi fiscali, ma non sono rimborsabili in euro. Più precisamente i TSF danno diritto a ridurre i pagamenti dovuti alla pubblica amministrazione – fisco, contributi, tariffe, multe, ecc.- per un ammontare equivalente al loro valore nominale a partire da due anni dall'emissione: ovvero i TSF maturano solo nel terzo anno.

I TSF, esattamente come tutti gli altri titoli di stato, come i Bot e i CCT, possono essere ceduti immediatamente sul mercato finanziario in cambio di euro. I TSF sono di fatto strumenti monetari a breve termine ipergarantiti dal loro valore fiscale (tutti infatti sono tenuti a pagare le tasse, anche se lo stato fallisse sui suoi debiti). Il meccanismo di mercato è questo: chi ha bisogno subito di soldi vende immediatamente sul mercato finanziario i TSF ricevuti gratuitamente dallo stato (supponiamo: 90 euro al mese in più per ogni famiglia); i compratori di TSF saranno quei soggetti (individui e aziende) che dispongono di liquidità in eccesso e che sono disposti ad acquistare i TSF per pagare a scadenza meno tasse. I TSF verranno acquistati a sconto, e questo varrà presumibilmente meno di qualche punto percentuale – considerando che attualmente i BTP decennali hanno un tasso intorno al 2% -..

In base alla nostra proposta, il governo attribuirà i TSF senza corrispettivo (gratuitamente) a cittadini e aziende, e utilizzerà i TSF anche per i pagamenti della Pubblica Amministrazione. Ai cittadini i TSF saranno attribuiti – ricordiamo: sempre gratuitamente - in proporzione inversa al reddito, privilegiando ceti sociali disagiati e lavoratori a basso reddito: questo sia per incentivare i consumi che per ovvie ragioni di equità sociale.

Alle aziende, le assegnazioni saranno attribuite principalmente in funzione dei costi di lavoro da esse sostenute, e in base ad altri criteri (propensione a investire, creare occupazione, export, ecc). In sostanza i TSF andranno a ridurre il cuneo fiscale. L’attribuzione di TSF alle aziende ridurrà i costi di lavoro, ne migliorerà immediatamente la loro competitività ed eviterà così che l’effetto espansivo sulla domanda interna crei un peggioramento dei saldi commerciali esteri. Quindi la manovra TSF non genererà scompensi sulla bilancia dei pagamenti: essa è del tutto paragonabile a una svalutazione.

Una quota significativa dei TSF sarà inoltre utilizzata a sostegno di iniziative di pubblica utilità da decidere in sede politica e con la società civile: per esempio, si potranno finalmente finanziare forme di Reddito Garantito, un Piano del Lavoro finalizzato a realizzare infrastrutture immateriali (ricerca, scuola e università, politica attiva del mercato del lavoro, etc.) e materiali (per esempio, opere per risparmio energetico, per energie alternative, riassetto idrogeologico e del territorio, ecc.).

 

I Titoli di Sconto Fiscale sono compatibili con le regole UE

Sul piano istituzionale la manovra che propongo è perfettamente in linea con i trattati europei poiché 1) i TSF sono titoli di stato e non sono una una moneta parallela alternativa alla moneta legale (l'euro) e quindi non contrastano assolutamente il monopolio della BCE sulla moneta unica; 2) i TSF sono titoli di sgravio fiscale, e in campo fiscale ogni stato è (per fortuna!) sovrano. La UE non può obiettare all'emissione di titoli di stato sul fisco; 3) i TSF sono titoli/moneta che non generano nuovo deficit/debito, e quindi non possono essere attaccati legalmente dalle istituzioni UE.

I TSF non generano debito né al momento dell'emissione né nel periodo dell'utilizzo, cioè dopo due anni dall'emissione. Infatti, nel momento della creazione e della distribuzione gratuita dei TSF, lo stato non sborsa soldi e quindi non registra alcun deficit fiscale; inoltre sul piano contabile i TSF non possono essere computati come deficit pubblico perché il governo emittente non s’impegna a rimborsarli in euro ma soltanto a concedere futuri sconti sulle tasse. E gli sconti non sono debiti in nessun tipo di contabilità, pubblica o privata.

Nel periodo che va dall'emissione dei TSF alla loro maturazione entrerà in funzione il moltiplicatore del reddito. Come insegna l'esperienza storica – e come hanno verificato Olivier Blanchard e Daniel Leigh in un noto studio effettuato per conto del FMI - il valore del moltiplicatore è storicamente molto superiore a uno in caso di forte sottoutilizzo delle risorse e di bassi tassi di interesse, come è nella situazione attuale. Così ogni euro immesso nell'economia reale genererà un più che proporzionale aumento del PIL. Paul Krugman ha mostrato che il moltiplicatore nell'eurozona dal 2009 al 2013 è stato pari a 1,5.

 

I vantaggi dei Titoli di Sconto Fiscale

Il governo italiano potrebbe legittimamente varare i TSF in piena autonomia sfuggendo alla morsa di Bruxelles e Berlino. Infatti il Parlamento e il governo potrebbero emettere i TSF senza chiedere ex ante il permesso alle istituzioni UE, proprio perché sono strumenti fiscali che non aumentano il debito. L'economia riprenderebbe a crescere in un contesto di grande consenso sociale. L'emissione di questo titolo/moneta metterebbe in sicurezza il bilancio pubblico e quindi allontanerebbe lo spettro del default di fronte agli investitori esteri. Si abbasserebbe immediatamente il rapporto debito/PIL, e questo non potrebbe che essere apprezzato positivamente dai mercati. La moneta complementare potrebbe poi essere adottata con successo dagli altri paesi europei, senza bisogno di mettere in discussione l'appartenenza all'eurozona.

 

Perché la proposta di Zezza è inapplicabile

Molte monete fiscali sono fallite o hanno avuto un effetto molto limitato e temporaneo. Alcune proposte, come quella di Yanis Varoufakis in Grecia, non sono mai effettivamente entrate nella fase operativa. Occorre quindi progettare con la maggiore precisione possibile le caratteristiche che deve avere una moneta fiscale per essere effettivamente praticabile e avere successo.

Purtroppo mi sembra che queste caratteristiche siano carenti per quanto riguarda il progetto avanzato dal prof. Zezza sul blog di Grillo.

Zezza propone:

a) una moneta parallela all'euro, ovvero denominata in euro ma NON convertibile in moneta legale. Ma una moneta fiscale non convertibile in euro sarebbe una moneta di secondo o terzo rango rispetto all'euro: difficilmente sarebbe accettata dal pubblico come mezzo di pagamento. Inoltre, non essendo subito convertibile in euro praticamente 1 a 1 presso un normale sportello bancario, subirebbe un forte sconto al momento dell'accettazione. Una moneta fiscale di 100 euro ne varrebbe in effetti di meno nel mercato reale. Infatti il pubblico e i commercianti preferiscono gli euro piuttosto che monete statali parallele. Inoltre le banche contrasterebbero pesantemente l'iniziativa di moneta statale non convertibile: infatti sarebbero completamente esautorate di ogni ruolo nel sistema dei pagamenti. Saltare le banche può fare piacere a molti, ma costituisce comunque un problema formidabile per realizzare in tempi brevi un progetto efficace. Al contrario i TSF che propongo sono titoli negoziabili e subito convertibili in euro, come qualsiasi altro titolo di stato (come i BOT e i BTP) presso un qualsiasi sportello bancario, o via Internet fissa e mobile (home banking).

b) La moneta di Zezza è utilizzabile subito per pagare in parte le tasse – per esempio il 20% dell'IVA o dell'IRPEF -. In questo modo provocherebbe però immediatamente un deficit fiscale del 20% circa, ovvero un mancato incasso dello stato e metterebbe in allarme i mercati. Lo spread salirebbe subito alle stelle.

c) Inoltre questa moneta, secondo Zezza, non verrebbe assegnata ai principali soggetti economici, cioè alle famiglie (per esempio: per il reddito garantito, e per aumentare in generale i redditi e quindi i consumi finali interni, che sono essenziali per fare ripartire l'economia). La moneta fiscale verrebbe invece utilizzata dallo stato per finanziare investimenti pubblici e sgravare in parte le aziende di onere fiscali. Questa moneta rischia quindi di produrre un eccessivo dirigismo statale.

In definitiva il progetto del prof. Zezza provoca subito un buco nel bilancio dello stato, allarma immediatamente i mercati finanziari che chiederebbero un premio maggiore per investire in Italia. Risultato: aumento dello spread e del costo del debito.

Considerate queste caratteristiche, a mio parere la moneta fiscale di Zezza potrebbe segnare l'immediata dipartita dell'Italia dall'euro, cioè proprio l'effetto che questa moneta vorrebbe evitare.

Il progetto promosso da Micromega è diverso e prevede delle caratteristiche vincenti. In particolare vorrei sottolineare alcuni elementi che a mio parere dovrebbero essere assolutamente inclusi in una versione efficace e di grande impatto della moneta fiscale. Queste caratteristiche mi sembrano ineludibili per il successo dell'iniziativa.

-I TSF devono essere negoziabili sui mercati finanziari e convertibili subito in euro, come i Bot e Btp. Infatti nei mercati reali, di prodotti e servizi non finanziari, devono circolare gli euro, non la moneta fiscale, che difficilmente all'inizio verrebbe universalmente e immediatamente accettata. Tutti, famiglie e aziende, preferiscono ovviamente disporre di euro piuttosto che di moneta fiscale per effettuare transazioni commerciali. Poi, nel tempo, quando tutti i soggetti – famiglie, aziende, enti pubblici – comprenderanno che i TSF in pratica sono soldi liquidi, che equivalgono agli euro, allora i TSF verranno utilizzati anche come mezzi diretti di pagamento al posto degli euro, senza bisogno di conversione in euro. Ricordiamo che nei mercati finanziari il valore del TSF sarà pari all’importo dello sconto fiscale al netto di un modesto tasso di attualizzazione. Il tasso di attualizzazione sarà assai contenuto in considerazione del fatto che i TSF sono strumenti monetari (quindi titoli a breve termine) ultra-garantiti grazie alla loro utilizzabilità per conseguire sconti fiscali. In pratica, a differenza dei titoli di stato che presentano rischi di default, i TSF avranno sempre valore: 100 euro di TSF = 100 euro (meno al massimo 1-2%).

- I TSF devono essere titoli di stato a maturità differita (due/tre anni), altrimenti genererebbero immediatamente deficit fiscale e non darebbero tempo al moltiplicatore fiscale di produrre incremento di PIL. Solo se i TSF hanno scadenze e maturità differite entra in gioco il moltiplicatore che fa aumentare il PIL: conseguentemente i nuovi ricavi fiscali nel giro di due/tre anni coprirebbero il buco che altrimenti si creerebbe con l'emissione di TSF. Questo punto fondamentale non è presente nella proposta di Zezza. Ma così si creerebbe immediatamente deficit pubblico che ci porterebbe fuori dall'euro.

- I TSF non sostituiscono la moneta corrente, l'euro, e costituiscono reddito aggiuntivo per le famiglie. Ovvero, gli stipendi e i salari, le pensioni, continueranno a essere pagati in euro. I TSF distribuiti gratuitamente generano incremento di reddito ma non sostituiscono la moneta corrente. Altrimenti non ci sarebbe manovra espansiva e si introdurrebbe una sorta di moneta parallela contestabile dalla BCE e poco apprezzata dal pubblico (che ovviamente preferisce disporre di “moneta vera”, moneta legale, gli euro). L'attribuzione dei TSF alle famiglie alimenta i consumi e l'aumento della domanda interna è essenziale per la ripresa economica. Inoltre l'incremento di reddito delle famiglie combatte la povertà e crea grande consenso sociale verso la manovra.

- Occorre finanziare con i TSF direttamente le imprese per non squilibrare la bilancia commerciale. Questo è un altro punto fondamentale da includere nel progetto. La crescita della domanda interna produrrà inevitabilmente un aumento delle importazioni. Se non si taglia il cuneo fiscale alle aziende, e se le aziende non diventeranno più competitive verso l'estero, allora si potrebbe produrre un disequilibrio molto pericoloso della bilancia commerciale e quindi della bilancia dei pagamenti (creazione di nuovo debito finanziario per compensare il deficit commerciale). Non si può ignorare il fatto che i TSF devono essere assegnati anche alle aziende in maniera opportuna e con criteri da approfondire con attenzione.

Su questi punti occorre aprire un dibattito serio, sia a livello specialistico che pubblicamente. Ne va del presente e del futuro dell'Italia e delle giovani generazioni.


NOTE

[1] Vedi la dichiarazione di Papadimitriou: “Attract investments by taking advantage of the euro”, November 7, 2016 su http://www.keeptalkinggreece.com
[2] Vedi eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino.
[3] Vedi Mediobanca, “Italy: Country Update. Tide turns as recovery starts", 17 November 2015
[4] Vedi Enrico Grazzini, Micromega.net “Tutti i conti dell'Italexit: nessuna catastrofe se l'Italia esce dall'euro
[5] Mediobanca, Country Update, “Re-denomination risk down as time goes by” 19 January 2017.

Comments

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Mario Galati
Sunday, 07 May 2017 15:55
Errata corrige:
Stato, imprese e famiglie.
Non "dirigiste" e "dittatoriali".
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Mario Galati
Sunday, 07 May 2017 15:50
E vissero tutti felici e contenti. Stai, imprese e famiglie. Capitalisti e lavoratori. Ma come fanno i capitalisti a non capire che devono aumentare il reddito dei loro dipendenti e potenziare la domanda? Sono proprio stupidi. Meno male che c'è lo stato, anzi lo Stato, che ha studiato Keynes. Prima che funzionino le ricette keynesiane (seppure monche,, "non di riviste" e "dittatoriali", che si limitano a ridurre il cuneo fiscale e a dare qualche soldino alle famiglie concordando qualche misura economica), però, temo che occorra attendere la terza guerra mondiale e l'apertura di un nuovo ciclo espansivo.
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