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orizzonte48

Il "piano" di Macron? E' il piano funk, l'unico €uro-futuro praticabile

di Quarantotto

IMG 1175 e14869192662671. Noi abbiamo già visto in vari post, nel corso di questi anni, come Martin Wolf, nell'ambito degli economisti-commentatori dell'establishment, (oscillante nel tempo tra posizioni hayekiane, quando, non a caso, era forte l'influenza del "68"...e neo-keynesiane, all'indomani della crisi del 2008), sia fondamentalmente un fautore della "classe media", come fosse una sorta di specie protetta alla quale, agli occhi dell'establishment, spetta quella funzione di stabilizzatore della conflittualità sociale evidenziata da Basso, con esito inevitabilmente favorevole al dominio delle elites.

La tattica più efficace di conservazione dell'assetto capitalistico neo-liberista, è appunto quella di trovare in ogni maniera una (almeno) formale differenziabilità di interessi socio-economici, pur in concomitanza della scomparsa dei partiti di massa (e quindi della democrazia sostanziale), da tradurre in una facciata di pluralismo politico.

Anzitutto, ai suoi occhi, occorre conservare ad oltranza una parvenza di dialettica destra-sinistra, tutta svolta sul piano ideologico-cosmetico, proprio perché meglio capace di dissimulare l'esistenza del conflitto scatenato dal capitalismo per poterlo portare a compimento in modo più discreto ed efficiente.

In questa ottica, memore della "concessione" Beveridge, era giunto, nel 2014, almeno per il Regno Unito, a ritirare fuori l'idea della "monetizzazione" del deficit pubblico.

 

2. Wolf perciò tenta costantemente di trovare delle soluzioni ai problemi politico-economici del nostro tempo che possano tenere in gioco, come stabilizzatore in apparenza mediatorio o almeno ritardatore, quella "terza forza" dei perdenti (senza coscienza morale di classe che), però possono pur sempre votare

Egli ha quantomeno il pregio di ammettere che, in assenza di questa interposizione della classe media, e della graduazione per fasi e per prudenti diluizioni nel tempo del disegno elitario, le cose possono finire male, temendo il dover ricorrere al c.d. "effetto pretoriani" che ad ESSI non ripugna per i mezzi usati, quanto piuttosto per il rischio di perdita del controllo già sperimentato col nazifascismo e le varie dittature "latino americane".

 

3. Ecco perché è interessante vedere premesse e conclusioni finali dell'analisi che, sul FT di oggi (pag.9), egli dedica alla situazione dell'eurozona, sotto il significaitivo titolo "Macron e la battaglia per l'eurozona". 

Diciamo subito che persino un infaticabile mediatore come Wolf denuncia oggi che la situazione politica dell'eurozona  è andata troppo oltre per poter consentire qualsiasi previsione ottimistica.

A livello inconscio (almeno in parte, si deve presumere), Wolf attribuisce all'eurozona il carattere di "istituzione" caratterizzata da un equilibrio instabile; essa non collassa esclusivamente per la paura, ma Wolf non può nascondere a se stesso che l'eurozona versi in una situazione di conflitto continentale tra le Germania e il resto d'€uropa. 

3.1. E infatti, in apertura, Wolf cita Pisany-Ferry (economista e politico "di governo" francese, di sicura fede europeista tecnocratica, bruegeliana, nonché vicina a Delors e Padoa-Schioppa), che ha la peculiarità di insegnare in Germania e che, dunque, da conoscitore del punto di vista tedesco, può ben permettersi di dire: 

"La sopravvivenza dell'euro allo stato si fonda più sulla paura delle terribili conseguenze di una rottura che sulle aspettative che esso porterà stabilità e benessere. Questo non è un equilibrio stabile".

Col che sono serviti, da una fonte che più euro-istituzionale non si può, gli italici rigurgiti, anche molto recenti, sui vantaggi, i dividendi e lo sviluppo, determinati dall'appartenenza all'eurozona. E sono servite pure le immancabili diagnosi sulla nostra mancata crescita, con cui l'euro non c'entra nulla, invariabilmente incentrate sulla "legge dell'offerta e dell'offerta".

 

4. Posta tale autorevole ed epigrafica premessa, Wolf riassume le proposte che Macron starebbe tentando di concordare con la Merkel per rimediare alla "fragilità" politica ed economica dell'eurozona. Queste consistono nel solito abecedario agitato stancamente da anni (rammento una conferenza stampa di sorrisini e sottintesi ammiccanti tra Letta, presidente del consiglio, e Hollande, nel 2013, dove si dava per avviato un dialogo su punti praticamente coincidenti):  una più profonda integrazione fiscale, con un bilancio federale europeo, un ministro delle finanze e una supervisione parlamentare (€uropea), insieme al completamento dell'unione bancaria.

Persino per un compromissorio favorevole alla sedazione del conflitto come Wolf, (via associazione della classe media all'interesse delle elite capitaliste), queste proposte sono ormai viste come una soluzione "né sufficiente né necessaria".

E Wolf spiega perché, prima di tutto a...Macron e poi, indirettamente ma non di meno, alla classe dirigente italiana (che credo legga il FT, ma forse non i commenti politico-economici...): 

"anche il federalismo non è una risposta sufficiente perché anche una federazione si rompe. E, quel che è più importante, dentro una federazione le regioni depresse possono finire a vivacchiare per sempre emarginate. E ciò sarebbe terribile per l'eurozona". 

Wolf si astiene dal dire che, però, questo è esattamente il massimo, meramente ipotetico per di più, che la Germania è disposta forse, in futuro, a contemplare: Pisany-Ferry glielo potrebbe spiegare, se volesse.

 

5. Prosegue Wolf: 

"il federalismo è necessario ma per un effetto limitato. Per comprenderlo dobbiamo considerare i difetti strutturali dell'eurozona, e cioè... (ndr; struttura ad elenco aggiunta per enfasi):

- risk-sharing inadeguato;

- inattitudine a perseguire politiche macroeconomiche appropriate;

- e aggiustamenti interni asimmetrici. 

Quando si verifichino delle perdite, occorre che siano  suddivise tra creditori e debitori. Il modo migliore per farlo è attraverso meccanismi di mercato, soprattutto tramite istituzioni finanziarie e mercati azionari condivisi in tutta l'eurozona. Perciò sono importanti le unioni pianificate, per tutta l'eurozona, dei sistemi bancari e del mercato dei capitali. Importante è anche l'esistenza di  meccanismi per la cancellazione dei debiti impagabili".

E qui, solo sul problema bancario-finanziario (commerciale), dell'eurozona il nostro Wolf si sarebbe già arenato su misure che, agli occhi della Germania, cioè della sua elite capitalista e di governo nonché, comunque, della sua stessa base sociale-elettorale, sono assolutamente e, direi, crescentemente, inaccettabili.

 

6. Prosegue Wolf: 

"Il modo migliore per attutire gli shock ciclici specifici di un singolo paese dell'eurozona, è attraverso le politiche fiscali nazionali, supportate, ove necessario, da fondi €uropei di emergenza. Abbiamo imparato dalla crisi dell'eurozona che la banca centrale deve essere pronta ad agire come prestatore di ultima istanza sui mercati del debito pubblico dei paesi in crisi. Altrimenti, l'illiquidità provocherà dei default invece evitabili."

"Abbiamo anche appreso che la politica monetaria può fallire nel compensare gli shock negativi interni all'eurozona. Dunque è necessario che si accompagi ad una politica fiscale attiva..."

"Il mio collega Martin Sandbu, ritiene peraltro che il federalismo fiscale giochi un ruolo modesto nel limitare l'impatto degli shocks, persino negli USA.

Per contro, il grado di integrazione fiscale richiesto per gestire la condivisione del rischio finanziario è piuttosto modesto: una garanzia assicurativa per i depositi bancari (ndr; ma vedi qui pp. 5-6) e una quantità limitata di obbligazioni pubbliche inattaccabilmente sicure.

D'altra parte, il livello del bilancio federale occorrente per stabilizzare l'eurozona risulta irrealisticamente elevato. L'alternativa sarebbe allora di usare i bilanci fiscali nazionali in concertazione tra loro."

 

7. Ma ecco che, giganteggia, anche nella visione di buon senso richiamata da Wolf - che già in precedenza tace, per carità di..."patria", su quanto sia forte l'opposizione alla creazione di una garanzia europea per i depositi bancari, tanto per dire, e sulle condizionalità  pesantissime, specie per l'Italia, che i tedeschi hanno irremovibilmente già opposto come "patto leonino" di scambio- il problema Germania: 

"Ahimè, l'opposizione della Germania alle policies fiscali anticicliche risulta escludere tali proposte nella loro totalità.

Il maggior pezzo mancante nell'eurozona, non è nè l'assenza di politiche fiscali attive (ndr; in pratica: il fiscal compact per i paesi interessati dagli aggiustamenti asimmetrici), nè il supporto fiscale di lungo termine, ma (proprio) gli aggiustamenti.

Un recente paper del Bruegel Group rileva la portata e l'impatto dei cambiamenti di competitività nei tre maggiori paesi dell'eurozona - Germania, Francia e Italia- dalla creazione dell'eurozona. 

E mostra l'enorme miglioramento tedesco in forma di caduta dei costi relativi per unità di lavoro. 

Questo è accaduto perché il compenso dei lavoratori è cresciuto in Germania molto più lentamente della produttività (ndr; e questo lo stra-sappiamo, ma è rilevante che Wolf lo ritiri fuori ora, in piena revanche dell'€uropeismo post-elezione di Macron), più o meno alla stessa velocità in Francia e più velocemente in Italia. Come risultato, l'incidenza del costo del lavoro rispetto ai redditi del settore d'impresa in Germania è caduta drasticamente, mentre è cresciuta in Francia e Italia. 

La combinazione di accresciuta competitività  e alti profitti (e perciò risparmi) ha condotto all'enorme surplus delle partite correnti della Germania".

 

8. E quindi Wolf solleva un punto del tutto trascurato, almeno in Italia

"Dalla crisi, queste divergenze di costo del lavoro hanno cessato di crescere, ma non si sono invertite.

Ciò significa che se la domanda interna in Francia o in Italia fosse abbastanza forte da eliminare la parte di disoccupazione dovuta alla compressione della domanda, i loro saldi correnti con l'estero tornerebbero in deficit significativo [ Ndr; la qual cosa è anch'essa stranota, tranne che alla ital-grancassa mediatica e a Confindustria, che non paiono curarsi delle conseguenze della crescente disoccupazione e sottoccupazione connesse all'aggiustamento, nonchè, simmetricamente, delle conseguenze politiche del mancato riassorbimento della disoccupazione/sottoccupazione: ma il fatto che sia Wolf, perlomeno ora, a segnalarlo, dovrebbe indurre serie riflessioni].

"Se poi devono anche ottenere bilanci fiscali in pareggio, i loro settori privati dovranno anch'essi sostenere deficit sostanziali (eccesso di spesa rispetto ai redditi; ndr; cioè risparmio negativo). 

Ma i settori privati francesi e italiani hanno registrato costanti surplus (ndr; Wolf trascura sia la differenza del volume di correzione del deficit pubblico occorsa in Italia rispetto alla Francia, sia l'effetto re-distributivo, verso l'alto, di drastici consolidamenti fiscali),  anche con gli attuali bassi tassi di interesse. 

Perciò una sostanziale stretta fiscale determinerà probabilmente un rallentamento della crescita (ndr; è pura aritmetica dei saldi settoriali, che il Bruegel group è ormai diposto a riconoscere, ma che i fautori italiani della legge dell'offerta e dell'offerta continuano a ignorare persino "risentiti")" .

Ndr-bis; ma diciamo pure, in luogo di "rallentamento della crescita", una più che probabile recessione...

 

9. Ed ecco il gran finale che liquida di prepotenza (tedesca e anticooperativa) ogni velleità, più che di Macron, degli spaghetti-liberisti-offertisti:

"La soluzione alle divergenze di competitività che propone la Germania (ndr; e che piace agli spaghetti-liberisti sopra ogni altra cosa), è che ognuno segua il suo modello

Nel 2016 tutti i membri dell'eurozona hanno così conseguito, eccetto la Francia, un surplus delle partite correnti (ndr; problemino non da poco...per Macron e la popolarità che ne ricaverebbe ove volesse accodarsi agli altri). 

Il saldo corrente complessivo dell'eurozona è passato da un deficit dell'1,2% nel 2008 ad un surplus del 3,4% nel 2016 (ndr; complice un dollaro forte che, però, dopo un transitorio effetto elettorale "Trump", sta tornando sui suoi passi)."

9.1. E dunque? Ecco: 

"Se la Francia fosse indotta in una prolungata deflazione competitiva, Marine Le Pen diverrebbe presidente alla prossima tornata

Macron deve chiedere ad Angela Merkel se la Germania sia disposta a rischiare questo risultato. Le "riforme" (ndr; del mercato del lavoro, beninteso) in Francia sono essenziali. E così lo sviluppo di istituzioni di condivisione del rischio (ndr; nella migliore delle ipotesi e al netto delle condizionalità  giugulatorie volute dai tedeschi, da realizzarsi al più nel 2024, a "Macron" ormai giubilato). 

Ma l'eurozona ha bisogno di un grande salto in avanti nelle retribuzioni dei tedeschi. Potrà accadere? Ho paura di NO."

 

10. E con ciò mi pare che ogni discorso ragionevole e in buona fede sulla sostenibilità sociale e politica dell'eurozona, prima ancora che economica, - ed ormai specialmente per la Francia- dovrebbe essere chiuso. 

Ma non c'è più nulla di ragionevole in tutto questo.

Ferma la "irrealistica" praticabilità di un adeguato bilancio fiscale federale, il massimo che si tenterà di fare, e che Macron è predisposto ad accettare per sua "forma mentis", è un inadeguato bilancio di tal genere: cioè composto con risorse fornite, da tutti i paesi dell'eurozona, in proporzione maggiorata in rapporto al PIL, rispetto all'attuale contribuzione, ma senza alcun intervento solidale-compensativo a carico della Germania. Questo pseudo bilancio federale (che non avrebbe alcuna funzione di riequilibrio delle asimmetrie interne, ma solo la veste di un'esosa esazione aggiuntiva aggravante la situazione fiscale dei paesi in crisi di competitività), sarebbe semmai, in più, farcito di un ESM trasformato in trojka permanente, intenta a "sorveglianze" di bilancio direttamente sostitutive delle politiche fiscali residue dei paesi dediti all'aggiustamento (quindi moltiplicando il "trattamento Grecia" per chiunque non correggesse di qualche decina di punti percentuali il costo del lavoro, tramite il dilagare della disoccupazione e la distruzione del welfare) e con un ministro euro-finanziario fantoccio della "guida" tedesca.

 

11. E questo con buona pace di De Grauwe, che pensa che il problema italiano siano le "deboli istituzioni".

Qui il problema è che non solo si dissolve la sovranità, poichè nessun Stato dell'eurozona avrà più l'attitudine a perseguire incondizionatamente i propri fini costituzionali volti al benessere dei propri cittadini, ma si sbriciolerà anche ogni traccia di consenso per chi vorrà, in definitiva, contrabbandare la sovranità "trasferita" all'€uropa come qualcosa di diverso dalla sovranità della oligarchia tedesca (neppure del popolo tedesco che è il primo ad aver subito la compressione salariale irreversibile e incessante dei propri redditi).

Insomma, come unico futuro praticabile, almeno nella traiettoria che vede l'entusiastica aspettativa creata dall'elezione di Macron, il Piano Funk,  ritentato con maggior successo in nome della "pace" federalista: €uropea (e della legge dell'offerta e dell'offerta).

Alla fine alla Le Pen e a tutti i populisti, xenofobi e quant'altro, non occorre fare nulla: basta attendere e lasciare che ESSI diano sfogo alle loro migliori escogitazioni (mediatiche e espertologiche). 

Per tutti gli altri che credono alle favol€, o forse no, ma comunque fanno calcoli di sopravvivenza politica, rimarrebbe solo l'opzione del Truman Show in attesa di abolire il suffragio universale. Dicendo che lo vuole l'€uropa...


ADDENDUM: mi rammentano dalla "banca dati" che una chiara anticipazione del senso politico dell'euro l'aveva già data Mundell, per l'appunto scovato da Bazaar, in questo post, ove occorre andare alla nota 12 per trovare il punto. Ve lo richiamo:

 

[12]    Otto anni dopo, nel 2012:

«La mia visione è semplice – dice Mundell – abbiamo bisogno di una valuta globale, o di quanto più vicino ci possa essere a una valuta globale. L'euro è un pilastro di questo nuovo ordine monetario insieme al dollaro e allo yuan. Oggi l'economia globale poggia ancora su un ordine monetario che fa punto di riferimento sul dollaro. Ma è chiaro che è un sistema che riflette il passato, oggi siamo in un equilibrio economico molto diverso con un peso specifico dell'America sull'economia globale già molto ridimensionato».

Mundell dunque vede delle ragioni strutturali e politiche che vanno al di là dell'Europa per la sopravvivenza dell'euro. Ma lo stesso vale per l'Europa: «La scelta di creare l'euro fu una scelta politica. Non fu l'evoluzione naturale di un fenomeno economico. E le ragioni politiche e storiche prevalgono. L'Europa ha costruito il suo futuro sull'euro. Ci sono litigi e differenze per come ci si posizionerà guardando in avanti. Ma mi colpisce la miopia dei mercati, o di coloro che parlano di caduta dell'euro: qui non stiamo parlando di numeri o di statistiche, stiamo parlando di una visione politica [il Fogno al cubo, ndr]. Chi scommette contro l'euro lo fa a suo rischio e pericolo»

Ma se il punto è questo, perché "aprire un dibattito" per ribadirlo, dopo aver inscenato un confronto scientifico che trascolora in contraddizioni superabili soltanto col richiamo a "visioni politiche"...che si conoscono già e si sono già chiaramente enunciate e condivise?

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