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Industria 4.0, modello tedesco. Dove è finito il Lavoro?

di Sergio Bologna

Audi fabbrica robot 467 kzsF 835x437IlSole24Ore WebDopo aver adottato nel 2013 il Piano Industria 4.0, il governo tedesco avviò nel 2015-16 un processo di consultazione tra i vari attori sociali per conoscere la loro opinione sulle conseguenze che la rivoluzione digitale avrebbe potuto avere sul mercato del lavoro. Fu redatto un Libro Verde a cura del Ministero degli Affari Sociali, retto allora dalla Ministra Andrea Nahles (che sarebbe diventata anche segretaria della SpD), dove si esplicitava una serie di problemi ai quali imprese, associazioni, sindacati, chiese, enti vari avrebbero dovuto dare risposta. Ma il valore dell’iniziativa stava nelle dichiarazioni programmatiche contenute. Il governo non chiedeva il parere degli stakeholders con un atteggiamento passivo o “neutrale”, ma dichiarava apertamente quale ottica avrebbe seguito nell’accompagnare la rivoluzione digitale. Dalla serie di citazioni tratte dal testo si può capire l’orientamento politico ed etico cui erano ispirate.

 

1. «Non si tratta d’intervenire solo sui fenomeni a margine e sulle conseguenze indesiderate dei processi, anche se è comunque necessario farlo», si tratta di andare oltre e lo stato deve intervenire per “plasmare” il processo secondo il quale la tecnologia possa diventare un mezzo per realizzare le nostre aspirazioni a una vita migliore e a un migliore modo di lavorare.

Questa forte presa di posizione contro un laissez faire, questo non voler lasciare le cose alle forze del mercato si accompagna alla reiterata affermazione che se le macchine debbono sostituire una parte del lavoro umano, «si pone il problema di come distribuire gli incrementi di produttività che ne conseguono».

I due punti fondamentali su cui il Libro Verde chiede di pronunciarsi – ai parr. 3.2 e 3.3 – sono: a) tempo di lavoro e conciliazione tra prestazione e obblighi famigliari, b) giusti salari e sicurezza sociale.

Là dove queste esigenze fondamentali non vengono soddisfatte dal mercato, «lo Stato deve intervenire per apportare dei correttivi». Ma essi non si debbono limitare – questa precisazione è più volte ribadita – agli strati disagiati e sfavoriti (es. disabili), devono intervenire anche sul corpo centrale della forza lavoro dipendente e sui lavoratori autonomi.

«La promessa di una volta “benessere per tutti” è diventata assai incerta […] se guardiamo ai salari reali notiamo una tendenza al declino, benché gli ultimi contratti nazionali sembrino contrastare questa tendenza. La componente di forza lavoro con bassi salari è aumentata sensibilmente negli ultimi quindici anni. Nel 2012 un lavoratore su quattro risultava occupato in settori a bassi salari (31% per le donne, 18% per gli uomini)». Le previsioni dicono che in concomitanza con la digitalizzazione si dovrebbe verificare una crescita di freelance (Solo-Selbständige), si tratta di verificare se sono previsioni azzeccate e, una volta ottenuta una risposta positiva, «pensare a come garantire a queste persone una protezione sociale adeguata e a come finanziarla», ma soprattutto a come «vincolare l’economia internazionale in un sistema di tassazione e di comuni prelievi fiscali».

Uno dei temi su cui le domande si affollano riguarda le misure di accompagnamento di una vita lavorativa, che sempre più prevede un lungo periodo di precariato prima di entrare in un sistema di occupazione “standard”. «Come può una politica attiva del lavoro mettere al riparo dai rischi di una transizione che prevede forme di occupazione atipiche? […] Come possiamo migliorare il passaggio da mini-jobs a forme di lavoro tutelate sul piano della previdenza sociale, da lavori interinali a occupazioni sostenibili? […] Come possono essere garantiti equi compensi e sufficienti tutele ai lavoratori freelance?».

Al par. 3.4 si affronta il problema della formazione: «Il moltiplicarsi di forme di lavoro atipiche indica che le imprese hanno perso interesse a investire nella formazione a lungo termine dei loro dipendenti».

Dal par. 3.5: «Nel dibattito su Industria 4.0. si sono messe in primo piano finora visioni del futuro, problemi di standard tecnici e complesse architetture di processo, ma la questione centrale della creazione di buone condizioni di lavoro è stata trascurata. Se siamo convinti però che una maggior produttività dipende da una migliore collaborazione tra uomini e macchine, dobbiamo pensare diversamente: se Industria 4.0 vuole essere un’operazione di successo, il lavoro deve essere orientato alle esigenze degli occupati. In questa grande sfida della modernizzazione del nostro apparato produttivo non dobbiamo permettere che le visioni degli uni diventino l’incubo degli altri e la nostra società rimanga bloccata […]. Anche i problemi della tutela della salute si pongono in maniera nuova. Se la separazione tra vita lavorativa e vita privata viene annullata al punto di giungere a una reperibilità permanente dell’individuo, dobbiamo chiederci quali conseguenze questo possa avere sulla stabilità psichica delle persone. Il fatto che sia ammesso per i dipendenti l’any time, any place non significa che debba diventare always and everywhere […]. Sull’emergere continuo di nuove forme di lavoro c’è estrema necessità di ricerche empiriche sulle condizioni di vita e di lavoro in Germania, sui redditi di quelli che lavorano in Cloud e in genere su quelli che si offrono tramite piattaforme. Si pone il problema di quali forme di supporto sia possibile e desiderabile mettere a disposizione di questi strati di lavoratori, perché possano organizzarsi e rappresentare i loro interessi […]. Dato questo scenario, come si può realizzare nel xxi secolo la “umanizzazione” del lavoro? Come sarà la fabbrica, come sarà l’ufficio, come sarà il modello di produzione del futuro e cosa porterà agli occupati? Come si può gestire la tecnologia in modo da garantire un lavoro salubre, riducendone il peso sulla psiche dell’individuo? […] Le norme sul diritto del lavoro oggi in vigore avranno la stessa valenza nell’era digitale? […] Quelli che lavorano come autono mi tramite piattaforme online sono veri autonomi o finti? […] Che possibilità ci sono che tramite le nuove tecnologie i consumatori siano meglio informati sulle condizioni di lavoro che consentono di produrre certe merci o di offrire certi servizi?».

Abbiamo riportato integralmente questi passaggi perché ci si possa rendere meglio conto dello spirito che ha animato questa iniziativa di Arbeiten 4.0 (Lavori 4.0).

Il principio fondamentale su cui poggia il diritto del lavoro – ristabilire l’equilibrio in un rapporto asimmetrico – dovrà valere anche nell’economia digitale

Il par. 3.6 è un peana alla Mitbestimmung, che viene considerata, dati alla mano, molto bene accetta dai lavoratori, con buone percentuali sia a Est che a Ovest. Sarebbe il migliore contributo alla cultura d’impresa necessaria ad affrontare il salto digitale. E si conclude con questa annotazione:

«Stiamo assistendo a un rinnovato interesse per forme cooperative d’impresa e per imprese sociali. Possono aiutarci nel rendere sostenibile il nostro tessuto economico?».

Nell’ultimo capitolo vengono affrontate le questioni del quadro istituzionale e normativo. Prima di tutto in una dimensione europea – portabilità delle tutele per l’anzianità, diritto d’impresa e protezione del lavoro (antinfortunistica e non solo). Se ora ci si limita ad analizzare le competenze e il raggio d’azione del Ministero del Lavoro, successivamente, in un dibattito su eventuali riforme da apportare, sarà necessario esaminare anche il ruolo di altre istituzioni governative. Dev’essere chiaro però che il principio fondamentale su cui poggia il diritto del lavoro – ristabilire il più possibile l’equilibrio in un rapporto che è per sua natura asimmetrico – dovrà valere anche nell’economia digitale. Automazione, connettività totale, realtà aumentata… tutte belle cose ma «il compito fondamentale che ci dobbiamo porre è di far in modo che tutto questo sia compatibile con gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori». La previdenza sociale è stata pensata come protezione dai rischi dell’esistenza. Si tratta di capire se con l’emergere di nuove forme di lavoro non scaturiscano anche nuovi rischi per la persona. «Nuove forme di attività possono ancora esser classificate come “occupazione” e come tali possono ancora dare diritto a forme di tutela?». Si pone il problema se la costituzione di un’impresa, così come la costituzione di un nucleo famigliare, non abbia bisogno di misure d’accompagnamento per promuoverla e tutelarla. «Ed è qui che si chiude il cerchio: noi abbiamo bisogno di instaurare un dialogo e poi di creare un nuovo compromesso sociale per capire in quali situazioni scatta il principio di sussidiarietà in base al quale lo Stato interviene a tutela e a promozione di determinati fenomeni – nell’interesse di tutti».

Da qui prendeva le mosse nell’aprile del 2015 la conferenza di lancio di questa grande consultazione secondo lo schema qui delineato:

Bologna lavori

 

2. Dopo un anno di consultazioni e d’incontri, viene pubblicato il Libro Bianco. Il primo capitolo è ancora una “summa” dei principali obbiettivi e dei fondamentali valori che il Ministero intende raggiungere e mantenere – in sostanza già espressi nel Libro Verde. Il secondo capitolo contiene le sei domande fondamentali che vengono rivolte agli stakeholders:

  1. Ci sarà occupazione per il numero maggiore di persone possibile anche nel futuro e se sì a quali condizioni?
  2. Nuovi modelli di business basati su piattaforme digitali che effetti avranno sul lavoro?
  3. Se la raccolta e il trattamento di dati diventa sempre più importante, come può essere garantita la sicurezza dei dati riguardanti gli occupati?
  4. Se macchine e uomini in futuro lavoreranno ad ancora più stretto contatto, come possono le macchine contribuire a dare sostegno e a rendere più abile il lavoro umano?
  5. Il lavoro del futuro sarà ancora più flessibile. Quali soluzioni ci sono per migliorare la condizione degli occupati nella loro flessibilità spazio-temporale?
  6. Come sarà l’azienda del futuro? Non somiglierà certo all’immagine classica dell’azienda, ma potrà garantire comunque sicurezza sociale e partecipazione?

Nel terzo capitolo si delineano con più precisione le caratteristiche del “buon lavoro” che la rivoluzione digitale dovrebbe garantire sui pilastri del modello tedesco, quello che da un lato con un welfare molto articolato protegge da certi rischi dell’esistenza, e dall’altro tramite la Mitbestimmung garantisce un livello di partecipazione della forza lavoro ai destini e alle scelte dell’impresa. Nel capitolo quarto si entra più nel merito delle risposte che la consultazione ha dato. Primo: non dovrebbe verificarsi una massiccia sostituzione di lavoro umano con l’automazione, molto più probabile una modificazione delle mansioni, dei ruoli e dei mestieri. Occorre dunque investire in riqualificazione e possibilità di nuovi percorsi di carriera. Occorre però anticipare i fenomeni e non aspettare che le persone vengano espulse dal mercato del lavoro. Quindi l’intero sistema di sostegno alla disoccupazione (Arbeitslosenversicherung) andrebbe riorganizzato come sostegno al lavoro in quanto tale (Arbeitsversicherung), quindi si deve formulare un diritto alla riqualificazione, un diritto alla formazione permanente. Il passaggio all’era digitale deve comportare una maggiore autodeterminazione. Questo significa in concreto maggiore sovranità sul proprio tempo (Zeitsouveränität) mediante l’istituzione di un diritto al tempo parziale. Si dovrebbe quindi arrivare a una vera e propria legge sul tempo di lavoro scelto in autonomia dal soggetto, senza pregiudicare l’insieme della regolamentazione riguardante le prerogative del datore di lavoro. Se le tecnologie digitali consentono una maggiore flessibilità, allora è il momento di gestire e plasmare questa flessibilità come maggiore autodeterminazione del soggetto anche nei tempi di erogazione della sua prestazione. La digitalizzazione non riguarda solo la manifattura (Industria 4.0) ma investe massicciamente il settore dei servizi e della cura. Sarà necessario allargare il campo di validità di un contratto nazionale del settore di cura rendendolo vincolante per tutti (verbindlicher Tarifvertrag) ma lo stato dovrà intervenire con mezzi propri per sostenere questo settore sia nel pubblico che nel privato.

La tematica della sicurezza sul lavoro dovrà essere approfondita secondo un programma di “sicurezza sul lavoro 4.0”. In attesa dell’emanazione delle norme europee sulla protezione dei dati degli occupati, dovrà essere compiuto ogni sforzo perché la parte della normativa lasciata all’autonomia dei singoli paesi possa essere in Germania formulata in modo da garantire la protezione dei dati nella maniera più ampia possibile.

Molta enfasi viene posta sulle risorse della Mitbestimmung e sull’allargamento delle coperture contrattuali, lasciando intendere che non si esclude d’intervenire per via legislativa in modo da conferire maggior potere ai consigli di fabbrica.

La differenza tra lavoro dipendente e lavoro autonomo tende sempre più ad affievolirsi. Sarà necessario lavorare sulle condizioni che possano rendere il più agevole possibile l’apertura di nuove attività d’impresa o di attività individuali. I lavoratori autonomi debbono essere inseriti a pieno titolo nel sistema pensionistico. L’onere derivante allo stato dovrà essere compensato attingendo a risorse di altre gestioni, mentre per quanto riguarda l’assistenza malattia degli autonomi probabilmente sarà necessario ricorrere a formule diverse a seconda dei gruppi professionali. Il problema dell’istituzione di un “conto dell’attività lavorativa” del singolo, che registri tutte le diverse fasi e i diversi cambiamenti del suo percorso, va tenuto presente.

Ma mancano ancora molte informazioni per poter formulare una strategia di lungo termine, perciò si propone l’avvio di una nuova inchiesta nazionale sulle attività lavorative, come preludio a una fase costituente di un nuovo patto sociale.

 

3. Belle parole, ottimi propositi. Ma come sono stati posti in pratica? Andrea Nahles, Ministra del Lavoro del terzo cancellierato di Angela Merkel, è stata la prima donna a essere nominata alla segreteria del partito socialdemocratico (2009-2013). Assume la guida del dicastero il 17 dicembre 2013 e come primo atto introduce il salario minimo legale ma il 30 gennaio 2015, cedendo alle pressioni dell’UE assediata dai paesi di Visegrad, decide di sospendere i controlli sulle retribuzioni degli autisti stranieri che operano in Germania grazie alle norme sul cabotaggio. Quello che è stato uno dei settori maggiormente devastati dalla concorrenza dei paesi dell’Est viene lasciato di nuovo a se stesso; quando si troverà ad affrontare i massicci scioperi dei ferrovieri e dei lavoratori delle compagnie aeree e degli aeroporti, fa passare una legge che impone in quei settori il riconoscimento di un unico sindacato nelle negoziazioni. I sindacati autonomi, di singole categorie, ormai avevano scavalcato e messo in difficoltà la Lega dei sindacati. La sua immagine di angelo protettore del lavoro viene compromessa. Nahles termina il suo mandato nel settembre 2017 e diventa presidente del partito e capo del gruppo parlamentare, per una donna la prima volta nella storia. Ma alle elezioni politiche la SPD subisce un primo tracollo, alle europee ottiene il peggior risultato di sempre. Il 2 giugno 2019 Nahles si dimette da tutte le cariche e in ottobre lascia il Parlamento in aperta rottura con il partito, accusando i verti ci per il loro atteggiamento discriminatorio verso le donne. Visti i precedenti, si stenta a crederle. È probabile che i vertici abbiano buttato tutta la colpa su di lei per le sconfitte elettorali. Resta da vedere se la SPD intende sbarazzarsi (o si è già sbarazzata) anche dei valori che i due libri Lavori 4.0 avevano propugnato come qualificanti del partito.

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