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lacausadellecose

I fatti di Tavazzano Lodi nelle complicazioni della fase

di Michele Castaldo

Lavoratore ferito PiacenzaIl fatto quotidiano, giornale democratico che ha sostenuto i governi Conte Uno e Conte Due, sui fatti di Tavazzano Lodi, titola in prima pagina: « Fedex Tnt: squadrismo contro gli operai licenziati ». Poi comincia l’articolo dicendo: « sarà un’indagine a svelare se il presidio dei lavoratori assaltato con bastoni e bottiglie è stato opera di bodyguard pagati dall’azienda ».

Sono i miserabili democratici al servizio di sua maestà il capitale che si scandalizzano per fatti che nei tempi moderni ormai non dovrebbero più accadere. Cerchiamo di entrare più da vicino sui fatti, e capire in profondità le complicazioni che presenta la fase per le condizioni dei lavoratori e la possibilità della loro organizzazione per difendersi in questa crisi.

Indipendentemente se siano stati bodyguard o lavoratori di imprese del nuovo appalto nel nuovo impianto di FedEx Tnt di Tavazzano Lodi ad aggredire gli operai licenziati della FedEx Tnt di Piacenza che cercavano di farsi sentire, perché licenziati in 298, bloccando il transito dei mezzi in entrata e in uscita delle merci, c’è un responsabile criminale che

si chiama rincorsa del profitto e che siede nelle poltrone dei capitani d’industria. Dunque c’è innanzitutto un imputato certo, pertanto non cerchiamo nella risposta del magistrato, che indaga, il colpevole, peggio ancora se certe indagini vengono affidate a certi magistrati come la dottoressa Pradella che giustificò l’intervento della polizia, a Piacenza, in virtù di « gravi fattori di pericolosità » nei confronti di lavoratori che chiedevano qualche sacrosanto diritto « garantito dalla Costituzione », o – peggio ancora – come il giudice per le indagini preliminari, la signora Donatella Bonci Buonamici che definì « atto di civiltà » la scarcerazione degli indagati incarcerati da un altro magistrato.

Ribadiamolo ancora una volta: i giudici non sono di destra o di sinistra, ma sono servi del diritto eguale fra i diseguali, dunque rivestono un ruolo che in quanto tale è impari e perciò disonesto. Il fatto che ci siano stati dei giudici che hanno pagato con la vita la lotta contro la mafia e la delinquenza organizzata non cambia di una virgola la responsabilità del ruolo oggettivo che sono chiamati ad assolvere nella lotta degli oppressi e sfruttati.

I fatti di Tavazzano Lodi, che richiamano i licenziati di Piacenza – e non siamo ancora alla fine – sono solo l’ultimo episodio di una guerra da parte della Logistica, nei confronti dei lavoratori per lo più immigrati e gran parte di colore. Un settore “cruciale”, come Amazon insegna, dove la velocità del trasferimento e consegna delle merci dal produttore al consumatore, per quella infernale giostra D-M-D’ (Denaro, Merce, Denaro maggiorato), per l’accresciuta concorrenza sia delle merci che delle imprese impegnate, non consentono troppi diritti da garantire ai lavoratori. Altrimenti detto: mentre le merci devono essere garantite di alcune caratteristiche dalla partenza fino alla consegna, per i lavoratori non valgono gli stessi diritti; ovvero devono lavorare al massimo ribasso e a cascata privi di qualsiasi garanzia. Dunque nelle gare di appalto sempre più a ribasso per ridurre i costi, i lavoratori sono quelli indiziati a pagare il ribasso. E dunque: turni massacranti, orari di attesa nei piazzali non retribuito, contratti non rispettati e via di questo passo. Si tratta di un settore in continua evoluzione e trasformazione, con tecnologie sempre più di avanguardia, dunque di continue ristrutturazioni, di chiusure e aperture di nuovi e più moderni impianti che la concorrenza impone, coi lavoratori sempre a rischio di trasferimenti e/o licenziamenti.

Vogliamo essere chiari su un punto: di fronte a un quadro così delineato, dove i lavoratori subiscono i ricatti più infami per poter lavorare, le stesse organizzazioni sindacali come Cgil Cisl Uil, cioè maggiormente rappresentative sul piano della tradizione e degli iscritti, sono impotenti al punto da subire continuamente schiaffi in pieno volto, come in questo periodo dal governo Draghi, senza avere la forza di reagire; sicché i fatti di Tavazzano-Lodi, fanno da corollario a una situazione molto difficile e complicata. Accade solo in Italia? No, tanto è vero che negli Usa qualche mese fa i lavoratori di Amazon addirittura si sono rifiutati di segnare su una scheda nel segreto di una cabina la volontà di far entrare il sindacato nei luoghi di lavoro. Mentre i morti sul lavoro continuano a riprodursi senza che nulla cambi.

Ovviamente la forza della disperazione di alcune migliaia di questi lavoratori, non trovando ascolto nelle organizzazioni maggiormente rappresentative, li ha portati a rivolgersi, da oltre 10 anni, a gruppi di estrema sinistra per essere ascoltati e organizzati per rivendicare il minimo dei diritti che gli spettano. Dopo alcune battaglie significative, al prezzo di batoste della polizia, denunce e intimidazioni fino alla minaccia della sospensione del permesso di soggiorno, qualche risultato si è ottenuto. Poca roba a dire il vero, ma meglio di niente.

 

Una fase complicata

Ma in quale prospettiva si collocano queste lotte? I fatti di Tavazzano-Lodi, in quanto effetto di quanto accaduto a Piacenza, sono gravi sia se sono stati i bodygard ad attaccare i lavoratori o, e peggio ancora, se si è trattato di altri lavoratori iscritti ad altri sindacati o non iscritti a nessun sindacato assunti nel nuovo impianto. Lo diciamo in modo particolare ai militanti, gruppi, organizzazioni e piccoli sindacati che si sono spesi durante gli ultimi 10 anni nell’organizzare i lavoratori della Logistica o anche settori del precariato, pagando prezzi altissimi in termini di repressione. Insomma questi fatti richiamano immediatamente una questione della fase storica, ovvero della natura delle organizzazioni dei lavoratori legate alla tradizione storica o meno.

Poniamo un punto fermo: la forza della disperazione non è solo quella degli iscritti al Si Cobas, ma può essere anche quella di lavoratori della ditta che ha vinto il nuovo appalto al ribasso, o del nuovo impianto in sostituzione di quello di Piacenza o di dove altro ancora, e che per poter lavorare sono costretti a scontrarsi con i lavoratori licenziati che ostacolano con la loro lotta la ripresa dei lavori. E può essere anche dei lavoratori internalizzati che si affidano totalmente alle sorti dell’azienda come unica possibilità di sopravvivenza della propria famiglia, come nel caso di Amazon negli Usa. Come la mettiamo? Facile la risposta dell’ideale comunista: richiamare gli uni e gli altri lavoratori a un unico fronte contro il padrone. Facile a dirsi, più complicato a prodursi, visto che gli operai sono merce al pari di ogni altra merce e perciò sottoposti alle infami leggi della concorrenza. Sicché il famoso appello di Marx-Engels « Proletari di tutto il mondo unitevi! » deve fare i conti con questa realtà, una realtà materialmente amara.

Se esaminiamo quello che scrivono certe formazioni lo facciamo perché si tratta ormai di epigoni di una costruzione ideologica sul capitalismo e sulla rivoluzione che la storia ha messo in discussione. E lo facciamo con un unico intendimento: per guardare avanti, non per amore di battaglia politica e ancor meno di polemica come tutta la tradizione marxista è abituata purtroppo a fare.

Senza girare troppo intorno vogliamo prendere di petto la questione per come la pongono i compagni che si ritrovano sotto la sigla di Tendenza internazionalista rivoluzionaria, che raccoglie in qualche modo varie istanze politiche, sindacali, quali il Si Cobas, o anche di singoli militanti, e che cerca di fare il punto sulla fase, in un articolo pubblicato su sinistrainrerte.info che ci fornisce lo spunto per tentare di aprire una seria riflessione.

A un certo punto essi scrivono:

« La grande crisi del 2008, con epicentro negli Stati Uniti, è stata brillantemente superata dal capitale globale con il predisporre tutte le condizioni per lo scoppio, un decennio dopo, di una crisi ancor più profonda, complessa, multifacce, la più grave da un secolo. Il rilancio dell’accumulazione in corso, fondato com’è sul gigantesco incremento della massa monetaria, dei debiti di stato e privati, e la connessa illusione di affidarsi alle stregonerie del capitale fittizio per risolvere ogni problema, ha un sinistro suono di guerra e devastazione: guerra al lavoro salariato, guerra alla natura, guerra/e in senso stretto all’orizzonte ».

Dunque un quadro a tinte fosche, si direbbe, per l’insieme del modo di produzione capitalistico, dove traspare chiaramente che tutto potrà essere ancora possibile meno la produzione di valore e un nuovo processo di accumulazione. Tanto è vero che i compagni pongono l’accento sull’aspetto caratterizzante della finanziarizzazione e dell’indebitamento ulteriore del capitale. In un quadro così delineato ci sentiamo perciò di escludere a priori la possibilità di una riedizione novecentesca, ovvero che il proletariato si possa costituire in classe operaia, dandosi una propria organizzazione sindacale e politica e di gestire progressivamente, anche se al prezzo comunque di dure lotte, il rapporto coi capitalisti. Altrimenti detto questa crisi non è come tutte le altre, ma si presenta come punto di arrivo dell’intero moto del modo di produzione capitalistico. Siamo perciò in presenza di una novità storicamente determinata.

In che modo deve essere affrontata questa novità storica dal punto di vista teorico e politico da quanti si richiamano all’antisistema, all’anticapitalismo, e o al comunismo?

Per evitare di essere fraintesi, va subito detto che l’insieme della produzione teorica, e per certi aspetti politica, che si riferisce a una delle classi complementari del modo di produzione capitalistico, cioè il proletariato, è inservibile per la nuova fase. E dovremmo avere perciò lo stesso coraggio di Engels che riferendosi alla condizione della classe operaia in Inghilterra e alla tenuta del modo di produzione capitalistico seppe dire: « ci siamo sbagliati », parlando al plurale, dunque lui e Marx. E noi oggi dovremmo dire: ci siamo sbagliati a ritenere che il proletariato classe operaia si potesse costituire in classe, fare la rivoluzione e istituire la propria dittatura. Si, lo dobbiamo dire non solo per verità storica, ma per spostare in avanti la riflessione.

Non alziamo affatto bandiera bianca e ci consegniamo alla logica di F. Jameson, S. Zizek o di M. Fisher per cui « è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo », ma cerchiamo di aggiornare alla luce della realtà dei fatti la teoria sul capitalismo. Ciò non vuol dire assolutamente che non ci saranno più sollevazioni da parte di oppressi e sfruttati tanto nelle periferie quanto nelle metropoli, ma che avranno caratteristiche diverse, modalità diverse in modo particolare sul piano temporale, ovvero sulla tenuta in quanto movimenti. Si tratta di un problema teorico centrale. È solo dalla comprensione di questo problema che possiamo fornire un contributo per una fase aperta del modo di produzione che viaggia verso un caos catastrofico.

Ora, i compagni della Tendenza internazionalista rivoluzionaria a un certo punto scrivono:

« C’è chi ipotizza che davanti ad una improvvisa riaccensione dello scontro di classe, queste strutture saprebbero rigenerarsi al modo del dopo-’68. Noi no. C’è una grande differenza tra la dura resistenza al dispotismo padronale fatta dalla Cgil nei primi vent’anni del dopoguerra da sindacato “classista”, e più di quaranta anni abbondanti, ormai, di accettazione sempre più supina della politica dei “sacrifici necessari”. Le due pratiche hanno forgiato leve di quadri sindacali dalle caratteristiche molto diverse – benché, sia chiaro, anche la leva Di Vittorio, a suo modo “classista”, fosse del tutto interna al riformismo e all’esigenza imperativa di ricostruire il capitalismo nazionale ».

Tracciare solo una differenza qualitativa piuttosto che temporale e perciò anche qualitativa, riferita cioè alla fase del modo di produzione, tra la Cgil dell’inizio del secolo scorso con quella degli ultimi 40 anni, induce a commettere l’errore che la storia possa ripetersi sempre uguale a sé stessa. E sappiamo che non è così.

Tra l’altro potremmo anzi aggiungere che tutte le formazioni sindacali e politiche che sorsero negli anni ’70 del secolo scorso si sono tutte consumate come la candela. Non ha prodotto niente sul piano storico l’alternativismo sindacale alle confederazioni maggiormente rappresentative, e ancor meno ha prodotto l’alternativismo politico, quello che partito dal 1966 in poi, tanto per capirci, oltre a quello precedente della Sinistra comunista. Questi sono i fatti. E non metteremmo mai sullo stesso piano quelle esperienze degli anni ’70 del secolo scorso con la formazione e l’attività del Si Cobas, non per particolari simpatie, ma semplicemente perché sono espressioni di due contesti temporali e spaziali diversi, riferentesi a settori sociali diversi. Temporale perché sono passati 40 anni di modo di produzione, dunque molta acqua è passata sotto i ponti; spaziale perché c’è un allarme demografico in Occidente ed è richiesta non solo la mano d’opera a bassissimo costo, ma anche persone fisiche per incrementare la popolazione che rischia di ridursi drasticamente. Dunque un contesto completamente diverso dai primi anni del secolo scorso e da quelli degli anni ’70.

 

Nuova fase temporale del capitalismo

Dunque abbiamo un quadro temporale diverso sia per quanto riguarda la Cgil di ieri rispetto a quella di oggi, ma anche per quanto riguarda la costituzione di sindacati alternativi, o non concertativi, tra quelli degli anni ’70 e quelli di oggi; e un personale umano diverso sia rispetto alla Cgil di ieri che del sindacalismo alternativo di ieri.

A fronte di questo quadro incontestabile, la Tendenza internazionalista rivoluzionaria scrive:

« Ciò che ipotizziamo, perciò, in circostanze di forti scontri di classe, è piuttosto una crisi profonda del rapporto tra le strutture sindacali e la massa dei loro stessi iscritti, già oggi molto allentato, che si aggiungerà alla crisi cronica del loro rapporto con le nuove generazioni proletarie, e l’emergere di una spinta all’auto-organizzazione operaia e proletaria, che è altra cosa dal votare contro gli accordi-bidone ».

I compagni ipotizzano a) forti scontri di classe; b) una crisi profonda del rapporto tra le strutture sindacali e la massa dei loro stessi iscritti; c) l’emergere di una spinta all’autorganizzazione operaia e proletaria. Dunque tre fattori del tutto indipendenti dalla forza e dalla volontà di formazioni sindacali o politiche alternative a quelle attuali. Quale conseguenza logica è da trarre?

E allora, aggiungono i compagni:

« In nuce, in dimensioni minuscole per il momento, è quello che è accaduto a Piacenza con i trenta ribelli della Cgil solidali con la lotta dei proletari del SI Cobas, che sta accadendo a Melfi, e in alcuni porti con le iniziative dei portuali dei sindacati di base di non caricare le navi di armi ».

Cerchiamo di non dipingere la realtà secondo i nostri desideri. Sono oltre 50 anni che esisterebbe una sinistra all’interno della Cgil che cambia nome a ogni congresso ma si comporta sempre allo stesso modo per garantirsi posti nelle strutture di quel sindacato, e ancora crediamo alla befana? Vorremmo invitare i compagni della Tendenza internazionalista rivoluzionaria – e non solo - ad ampliare lo sguardo su un orizzonte più ampio, sia temporale che spaziale e osservare con la dovuta attenzione a quanto accaduto negli Usa sia riguardo alle mobilitazioni successive all’assassinio di G. Floyd per un verso, che alla vittoria di Amazon contro il tentativo di far entrare il sindacato nelle sue industrie. Di volgere lo sguardo in Colombia, in India o in Palestina, per un verso e in casa nostra, per il verso opposto, in Italia dove la vecchia classe operaia, come l’Ilva di Taranto, è muta e il povero Landini parla ma è ben consapevole che ha di fronte un capitalismo occidentale – e dunque anche italiano – in difficoltà, e un proletariato privo di nerbo, scoraggiato e afflitto, quello storico, e un nuovo proletariato disgregato che non riesce a trovare la strada per cominciare a invertire la tendenza.

Allora per evitare di essere fraintesi e per non lasciare nulla fra le righe – come direbbe Marx – il quadro che ci si presenta in questa fase ha le caratteristiche che non consentono la stabilizzazione di un movimento di classe del proletariato come fu fin dall’inizio del secolo scorso in modo particolare in Occidente, sicché non ci possiamo illudere di costituire un sindacato alternativo non concertativo perché le masse proletarie non vivono questa tensione. Mentre la storia, giudice severo, ha dimostrato che si sviluppano sempre prima le lotte e solo dopo si sono formati e costituiti i sindacati. La Polonia e Solidarnosc avrebbe pur dovuto insegnare qualcosa almeno a molti di noi ultrasettantenni; cioè che quando le masse insorgono, ma veramente, si danno proprie strutture e non tengono per niente in conto delle organizzazioni preesistenti, anche se si definiscono rivoluzionarie, a meno che non si accodano al loro movimento. Pertanto è metafisica la posizione di chi pensa che un “embrione rivoluzionario” possa crescere e divenire un grande movimento rivoluzionario agevolato dalla crisi capitalistica. Tutti i movimenti sorti negli ultimi 20 anni si sono liquefatti non perché non fossero rivoluzionari, non lo potevano essere, ma perché nella crisi i nuovi movimenti non si possono stabilizzare.

Siamo chiari, perciò: cosa comporta l’illusione di poter costituire e crescere come sindacato alternativo e non concertativo: a) di anteporre la forma alla sostanza; e dunque b) la necessità del tesseramento; e ancora c) la nomina di funzionari; o anche d) la costruzione di strutture tecniche; e persino e) di uffici legali; e infine f) rapporti con le istituzioni e coi partiti. Non solo, ma si entra in competizione con i propri simili, ovvero con altri sindacatini “alternativi” e “non concertativi” e necessariamente si scatena la guerra ideologica che spesso maschera quella per il tesseramento. Si tratta di ruoli e funzioni obbligati, storicamente determinati, dai quali non si può prescindere e che nella fase dell’accumulazione e crescita del modo di produzione capitalistico era possibile, oggi, allo stesso livello, no.

In ultimo vorremmo ricordare ai vari militanti che si ritrovano con la Tendenza internazionalista rivoluzionaria che il tentativo operato col sindacalismo degli I.W.W. negli Usa, al quale esplicitamente si richiama il Si Cobas, non fu sconfitto solo dalla repressione statale del più potente Stato capitalistico di allora, ma anche – o forse soprattutto – dalla potenza economica di una fase economica ascendente. Ipotizzare la riproposizione di una simile esperienza vuol dire non tener conto per niente dei fattori che abbiamo cercato di sottolineare in queste note.

Se sono in crisi i sindacati maggiormente rappresentativi, ma moderati, come è possibile ipotizzare la crescita di un sindacato rivoluzionario che si stabilizzi?

Tra l’altro vorremmo aggiungere che non è possibile, contemporaneamente, tenere insieme una ipotesi di sindacalismo come quella degli I.W.W, e certe dubbie proposte ultrariformiste come quella della Patrimoniale. Su queste basi non si va lontano.

La domanda che molti militanti di estrema sinistra non si fanno è: ma non sarà per caso che i sindacati maggiormente rappresentativi come Cgil Cisl Uil (in Italia, ma in Europa le cose stanno grossomodo sullo stesso piano) riflettono pari pari lo stato d’animo di un proletariato in profonda difficoltà che di fronte alla crisi del capitale nel suo insieme si aggrappa ad esso come i girasoli volgono il loro sguardo al sole? Perché se no voterebbero Trump negli Usa, o la Lega in Italia, o anche la destra in Francia e in Germania che difendono le ragioni delle proprie industrie automobilistiche contro gli attacchi degli Usa? E perché le nuove generazioni di lavoratori in Amazon si danno al padrone piuttosto che organizzarsi collettivamente? Perché meravigliarsi se nel riflusso della lotta della Logistica molti lavoratori dovessero prendere la tessera della Filt Cgil? Tutti traditori, leccaculo, servi del padrone, gente senza midollo osseo? Siamo seri, cari compagni, in modo particolare da parte di compagni che maldestramente si richiamano a Lenin che raccomandava financo di lavorare nei sindacati reazionar! Dopo 50 e passa anni di liturgie ideologiche si impone una seria riflessione, pena lavorare, nella nuova fase per il re di Prussia.

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Mario M
Saturday, 19 June 2021 15:00
Vedo degli aspetti schizofrenici nel mondo del lavoro, e non solo, per quello che attiene la sicurezza. Ad esempio, dove lavoro, parecchie volte all'anno si svolge una specie di pantomima, che consiste nell'esercitazione per la evacuazione, che noi consideriamo una sorta di intervallo lavorativo supplementare. All'ingresso, prima di recarci ai nostri uffici, ci misurano la temperatura e ci danno gli straccetti per coprirci il volto; come se una persona non capisse se ha la febbre. Ogni giorno arriva la donna delle pulizie per pulire i pavimenti, disinfettare la scrivania, il monitor, la tastiera; come se la scrivania fosse il nostro cesso. Il personale in mensa è aumentato perchè sembra che i lavoratori non possano più toccare niente, ci manca solo che ti imbocchino.

Ieri sera sono andato a teatro all'aperto - non vi dico gli addetti ai controlli. Poi, prima dello spettacolo, ci hanno ricordato le norme sulla sicurezza, ci hanno indicato l'uscita; come se qualcuno pensasse di scalare i muri per salire sui tetti e sfuggire a un eventuale incendio all'aperto

Siamo alla follia.

PS. Mi sono sempre chiesto il motivo dei tanti controlli prima di salire su un aereo, e di nessun controllo per salire sui treni. Se fossi un terrorista farei molti più danni facendo esplodere una bomba su un treno magari in galleria: oltre alle vittime, bloccherei la linea per mesi.
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Paolo Selmi
Friday, 18 June 2021 14:52
Il coordinatore interregionale dei SiCobas, Adil Belakhdim, 37 anni, è morto questa mattina investito da un camion davanti ai cancelli della Lidl di Biandrate (Novara). E' accaduto in via Guido il Grande, durante una manifestazione di lavoratori della logistica.

Secondo una prima ricostruzione, pare che l'autista del camion abbia investito durante una manovra l'uomo e poi sia fuggito. A bloccarlo in autostrada sono stati i carabinieri. Sul posto è intervenuto anche il 118, ma per il 37enne non c'è stato nulla da fare. L'autista avrebbe forzato il blocco della manifestazione, che stava per cominciare, e il sindacalista sarebbe stato trascinato per una decina di metri.
Il camionista si trova in caserma per essere ascoltato dai carabinieri del Comando provinciale di Novara,. Al momento nei suoi confronti non sono stati presi provvedimenti. Sul luogo dell'incidente c'è tensione tra i manifestanti. Uno di loro, che si trovava vicino alla vittima quando è stata investita dal camion, si è sentito male e, sotto choc, è stato soccorso dal personale del 118.

"Quel camion lo ha trascinato per una ventina di metri, il conducente non può non essersene accorto" dicono i lavoratori che hanno assistito all'incidente. Il camion ha urtato anche altri due manifestanti, ferendoli, che si trovano ora in ospedale. Secondo quanto si apprende, le loro condizioni non sarebbero gravi.

Belakhdim era residente a Vizzolo Predabissi, nell'area metropolitana di Milano. Lascia due figli di 15 e 17 anni. Da alcuni anni svolgeva attività sindacale.

(https://www.ansa.it/piemonte/notizie/2021/06/18/morto-investito-da-camion-durante-manifestazione-lavoro_12edc90c-d3cc-4d8a-b587-82cffc66a941.html)
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Paolo Selmi
Friday, 18 June 2021 11:37
Caro Michele,

grazie per aver dedicato tempo ed energie a parlare di questo episodio, su cui i media si sono soffermati un nanosecondo e per dovere di cronaca, per poi sommergerlo di tonnellate di altre notizie.

Aggiungo altri tre argomenti:

1. la sicurezza sul lavoro, sempre inferiore, a causa dei carichi maggiori e della sempre minore prevenzione e formazione. Vale non solo per l'industria, ma anche per chi è messo sotto da un muletto, o colpito da un carico, o vittima di un colpo di sonno e non per colpa sua, o caduto da una rampa, e via dicendo.

2. la sempre maggiore alienazione di questo lavoro, ovvero che crea questo lavoro. Un lavoro che paradossalmente è - dovrebbe essere - di relazione, mettendo in relazione settori diversi, figure professionali diverse, funzioni economiche diverse, persone fisiche e giuridiche e merci. E' diventata invece una catena di montaggio, dove nella migliore delle ipotesi l'essere umano è parte integrante dell'ingranaggio, e dove invece l'essere umano è percepito come "anomalia di sistema" nella peggiore delle ipotesi, come nei magazzini a scaffalatura automatizzata e robotizzata.
Siamo passati da Charlie Chaplin e la sua chiave inglese a Lino Banfi e il tasto verde e il tasto rosso e "la vostra soddisfazione è il nostro miglior premio"...

3. la sempre maggiore concentrazione di capitale nelle mani di pochi colossi, grazie a operazioni speculative come la sestuplicazione dei noli marittimi in meno di un anno che hanno tagliato e stanno tagliando le gambe alla piccola-media borghesia, che non ha le spalle abbastanza larghe. Parliamo quindi di accelerazione delle "ristrutturazioni" (ovvero chiusure e licenziamenti) in corso e creazione di rapporti di forza capitale-lavoro sempre più sbilanciati in favore del primo, sempre più in grado, legalmente peraltro, di ricattare il secondo e tenerlo continuamente sotto scacco.

Fine pausa sigaretta... grazie ancora per aver parlato di noi.

Ciao!
paolo
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