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Recensione a Marx e Hegel di R. Fineschi*

di Tommaso Redolfi Riva

Con questo studio Roberto Fineschi continua il proprio percorso di ricerca iniziato con la pubblicazione di un’importante rilettura della critica dell’economia politica, Ripartire da Marx. Processo storico ed economia politica nella teoria del “capitale”. Studioso attento e dotato di acribia filologica, l’Autore si avvale dell’utilizzo della nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels (la Marx-Engels-Gesamtausgabe), che gli permette di avere sott’occhio il genetico costituirsi dell’elaborazione marxiana della teoria del capitale attraverso una gran mole di manoscritti, soltanto parzialmente disponibili al lettore italiano.

Lo scopo del libro del 2001 era quello di evincere lo sviluppo di tutta la teoria marxiana dalla contraddizione tra valore d’uso e valore, presente nella categoria con la quale ha inizio l’esposizione: la merce. La ricerca dell’Autore continua in questo libro, che, alla luce della comprensione della logica specifica della esposizione marxiana, cerca i presupposti storico-teorici sui quali tale esposizione si fonda.

La questione del metodo in relazione all’opera di Marx è complessa e particolarmente articolata. Non si tratta semplicemente di rintracciare i fondamenti teorici e comprenderne il movimento: si tratta di dare significato alla stessa comprensione che Marx ebbe del proprio metodo e di districarsi in una terminologia che ci è molto lontana, alla quale solo con difficoltà riusciamo a restituire la specificità semantica che doveva avere per Marx stesso. Di più, uno studio sul metodo marxiano non può evitare di confrontarsi con la filosofia hegeliana: è questo un tema che passa attraverso l’intera produzione teorica di Marx. In questo caso si tratta esaminare che cosa intenda Marx quando parla di Hegel e di dialettica, vedere la plausibilità dell’interpretazione marxiana e cercare di comprendere la continuità o la discretezza del pensiero dei due autori.

Questa la congerie di domande che si pongono una volta che si decida di mettere a tema un possibile “discorso sul metodo” in relazione all’opera marxiana.

Il primo accesso che l’Autore ci offre allo svolgimento dei molti problemi è quello del confronto tra le due differenti letture che Marx compie dell’opera hegeliana, in vista della comprensione dell’ “Hegel secondo Marx”,come afferma appunto il titolo del primo capitolo.

Una prima lettura dell’opera di Hegel è compiuta da Marx nel 1843. Nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico Marx afferma che per Hegel il soggetto del processo reale non è la realtà nella sua determinatezza, bensì il puro pensiero. Il vero soggetto della filosofia hegeliana è da Marx visto nell’idea e nel processo della sua estrinsecazione: Hegel non sviluppa una logica processuale della realtà che vuole comprendere, bensì applica una logica predeterminata, la logica del puro pensiero, ad una realtà specifica. In opposizione a quest’idea hegeliana Marx parla di logica peculiare dell’oggetto peculiare. Nei Manoscritti economico-filosofici il tema della logica peculiare scompare per lasciare spazio alla dinamica, di matrice feuerbachiana, di estrinsecazione-inseamento della autocoscienza. Marx riconosce nel processo dialettico di alienazione/estraniazione, che egli afferma appartenere alla filosofia hegeliana, elementi fortemente positivi una volta che all’autocoscienza – che adesso Marx fa coincidere pienamente con il pensiero – si sia sostituito l’uomo e si comprenda il processo di estraniazione attraverso il lavoro. Il processo di alienazione adesso non è più atto di quella autocoscienza assoluta, non è un processo astratto, è bensì lavoro, attuazione dell’essenza umana. Il superamento dell’alienazione è il comunismo: “l’umanità, la cui essenza è già data – l’astratta attività lavorativa –, che si aliena e che recupera l’alienazione ristabilendo una volta per tutte la propria essenza nel comunismo” (29). Da quest’idea, per cui l’essenza umana è già data una volta per tutte, Marx passa, attraverso L’ideologia tedesca, a pensare all’essenza in termini storico-processuali: l’essenza dell’uomo sta proprio nella storicità delle forme sociali attraverso le quali si determina il suo ricambio organico con la natura, “l’essenza umana è quindi l’insieme dei rapporti sociali, ha una storia” (31). L’attività lavorativa, pensata astrattamente come essenza umana nei Manoscritti economico-filosofici, trova così una sua determinazione di forma attraverso la dialettica di forze produttive e rapporti di produzione. L’approdo costituito dall’Ideologia tedesca non conduce tuttavia Marx ad un ripensamento della filosofia hegeliana, ancora concepita attraverso il giudizio maturato negli anni precedenti.

L’Autore ci conduce poi nella seconda lettura marxiana dell’opera di Hegel, che avviene in contemporanea alla stesura di Grundrisse (1857-58). Nell’Introduzione ai Grundrisse, in relazione al metodo dell’economia politica, Marx scrive che non è possibile iniziare un’esposizione con una datità immediata; essa si mostra vaga ed indefinita: “partire da essa significa porre implicitamente una serie di nozioni che sono essenziali alla sua definizione ma che è impossibile fissare” (36). È necessaria quindi un’analisi della rappresentazione immediata fino a scorgere di essa le determinazioni più semplici. Da queste determinazioni astratte e semplici è poi necessario ritornare al concreto da cui eravamo partiti, che adesso non è più una caotica rappresentazione, ma è un concreto strutturato, colto come sintesi di molte determinazioni. Il processo scientifico di conoscenza della realtà è un processo che sale dall’astratto al concreto: l’immediato sensibile, senza un processo di astrazione si mostra un inizio inservibile. Proprio in questa prospettiva marxiana l’Autore vede la presa di distanza da Feuerbach: “la conoscenza effettiva è per il pensiero e non per i sensi” (37), il concreto si dimostra come un risultato del processo di pensiero. Ma Marx prende le distanze anche da Hegel, o per lo meno così crede di fare, quando afferma che il concreto non è prodotto dal pensiero, bensì è solo riprodotto: per Marx l’errore di Hegel sta nell’aver pensato il reale come effettiva produzione del pensiero. L’errore di Hegel non sta quindi nel metodo dialettico, né nel salire dall’astratto al concreto, bensì nell’aver inteso questo metodo dialettico come processo di produzione del reale, che invece per Marx ha una sua indipendenza prima e dopo il processo conoscitivo. Questo tema è esplicitato da Marx anche alcuni anni dopo, nel Poscritto alla seconda edizione del primo libro del Capitale (1873), attraverso la messa a tema delle categorie di modo della ricerca e di modo dell’esposizione che ripetono sostanzialmente l’idea della salita dall’astratto al concreto: anche qui Marx, affermando che il pensiero non è il demiurgo del reale, vuole precisare la sua differenza da Hegel.

Le radici di quest’interpretazione della filosofia hegeliana, che vede una sostanziale identità tra le categorie soggetto, pensiero, idea e autocoscienza – una’interpretazione soggettivistica del pensiero di Hegel (56) –, sono individuate nella riflessione della sinistra hegeliana ed in particolare nelle elaborazioni di Bauer e Feuerbach. L’Autore riconosce – attraverso un puntuale confronto delle tematiche della sinistra hegeliana con i testi di Hegel – la sostanziale insostenibilità di una certa interpretazione, e giunge ad affermare che lo Hegel a cui si riferisce Marx nella sua critica non è quello che viene fuori da un’attenta lettura dei testi, ma una sorta di spauracchio costruito dalla sinistra hegeliana. Quest’acquisizione diventa un traguardo teorico fondamentale per 1) mettere alla prova gran parte della storiografia che si è confrontata con il tema del rapporto Hegel-Marx che per l’Autore “a Hegel ha sostituito più o meno acriticamente l’Hegel interpretato da Marx” (56) e 2) interpretare criticamente le affermazioni marxiane relative alla dialettica materialista in opposizione alla dialettica idealistica, al nocciolo reale e al guscio mistico, al capovolgimento del sistema hegeliano, che adesso sembrano più verbalismi che reali critiche della filosofia hegeliana.

Il secondo capitolo del libro si confronta con un tema caro alla marxologia degli anni Sessanta e Settanta, quello dell’alienazione. L’Autore procede attraverso tre fasi:

1) dà inizialmente ragione della lettura althusseriana del superamento dell’umanesimo giovanile fin dalle pagine dell’Ideologia tedesca; 2) mostra come in realtà i temi della alienazione siano riproposti dal Marx maturo nella idea del feticismo e dell’inversione soggetto-oggetto nel rapporto capitale lavoro e nella sussunzione del secondo sotto il primo; 3) cerca di comprendere l’unità concettuale dell’opera marxiana superando la volgarizzazione della dicotomia tra Marx giovane, filosofo, teorico dell’alienazione e Marx maturo, scienziato economista, teorico del modo di produzione capitalistico. Il processo lavorativo che Marx espone nel capitolo V del Capitale è la comprensione delle caratteristiche comuni ad ogni processo lavorativo. È il processo lavorativo nella sua generalità. I momenti del processo sono l’attività conforme allo scopo, il mezzo e l’oggetto di lavoro. Questa generalità non descrive la natura o l’essenza dell’uomo se non in relazione “alle astratte costanti che però come tali non esistono mai; esse potranno esistere sempre e solo nelle forme specifiche concrete (di cui il modo di produzione capitalistico è un esempio)” (100). L’essenza dell’uomo, che nella critica marxiana alla filosofia di Feuerbach non è un che di astorico e immutabile, è il suo prodursi e riprodursi di volta in volta in relazione alle particolari forme in cui gli elementi del processo lavorativo si compongono dando vita a formazioni sociali differenziate l’una dall’altra. Si determina così la dialettica di forze produttive (concretezza materiale dei momenti di cui si compone il processo lavorativo) e rapporti di produzione (forma di composizione dei differenti momenti del processo), nell’ottica della quale “l’essenza dell’uomo non è altro che il suo prodursi storico in diverse forme; quindi non esiste, né può esistere, una condizione naturale sia essa originaria nel passato, sia essa ideale accanto alla storia sia essa meta futura da raggiungere” (103). Ma, si domanda l’Autore, se non è possibile pensare alla naturalità del processo lavorativo se non come generalizzazione dalle forme storiche in cui esso si compone, in relazione a che cosa si può parlare di alienazione del lavoro? Marx evidentemente si riferisce al processo lavorativo nelle forme precapitalistiche, quello sul quale il modo di produzione capitalistico si instaura, cominciando il proprio processo di conformazione del contenuto alla forma riproduttiva capitalistica. “Il lavoro individuale del contadino, dell’artigiano, quello storicamente e logicamente dato nell’ideale momento 0 della produzione capitalistica” (101) si conforma, attraverso il processo di sussunzione del capitale, alla forma di moto specifica del processo produttivo capitalistico, nelle forme della cooperazione, della manifattura e del macchinismo. È chiaro che, se si legge il capitolo V di Marx intendendo una unità naturale dei momenti del processo lavorativo generale, si pensa ad un’essenza (Wesen-Gewesen) passata e perduta, che si deve recuperare attraverso un processo di trasformazione della realtà sociale che ricomponga i momenti astratti del processo di lavoro. Ma Marx non afferma certo questo; anzi, quell’estraneazione costituisce addirittura il tramite, la missione storica del capitale, attraverso la quale il lavoro individuale diventa universale. Ciò non significa un ritorno all’essenza perduta bensì il superamento della forma scissa attraverso cui avviene la composizione dei momenti del processo lavorativo, ossia attraverso un’appropriazione sociale della posizione di scopo nel processo lavorativo.

Si tratta di un cambiamento della forma che veicola la riproduzione sociale complessiva, non del contenuto materiale della riproduzione sociale complessiva che nella forma capitalistica permette un’unificazione del genere umano non più nella forma dell’unità biologico-naturale di specie, ma come unità sociale. “Si tratta di trasformare il comando esterno in comando proprio e, attraverso la scienza, di produrre le condizioni per cui il lavoro meramente meccanico sia completamente automatizzato e all’uomo resti il lavoro universale della scienza e del libero sviluppo delle potenzialità personali” (102). Estraniazione sembra così rimandare ad una sorta di eterogoverno del genere umano che si dà in una forma, quella capitalistica, che non è posta dal genere umano stesso, bensì è soggetta a leggi che sono date. Superamento della estraniazione è quindi appropriazione sociale della forma di moto del modo di produzione e riproduzione del genere umano nella natura: “la presenza, o il ritorno se si vuole, della teoria della alienazione, della reificazione e di un determinato rapporto soggetto-oggetto che si istaura col modo di produzione capitalistico, non significa di per sé che esista una condizione naturale con la quale comparare quella attuale. Significa piuttosto descrivere la forma specifica in cui in questo rapporto si manifestano le relazioni sociali di produzione. Così si salva l’alienazione […] ma si evita al contempo una teoria dell’essenza dell’uomo” (102-103).

Tuttavia Marx non è così esplicito nella formulazione del suo allontanamento dall’orizzonte feuerbachiano giovanile. In sostanza, ciò che l’Autore sembra ammettere è che, per quanto nella maturità il concetto di essenza umana si ridefinisca attraverso la comprensione della dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione, continuando il tema dell’alienazione a svolgere un ruolo importante, Marx sembra cadere in delle vere e proprie contraddizioni. “Quando Marx parla di inversione/alienazione egli insiste molto sul carattere di dominio del capitale, sul fatto che il prodotto del lavoro si oppone al produttore come qualcosa di estraneo che lo comanda” (105). Ma questa forma di alienazione non è pensabile esclusivamente all’interno del modo di produzione capitalistico “il rapporto di servitù, la schiavitù rappresentano comunque rispetto al processo lavorativo ‘naturale’ azioni eterodirette” (105). L’alienazione non sarebbe quindi una caratteristica precipua del modo di produzione capitalistico; essa sarebbe rintracciabile in altre forme specifiche della produzione umana. Ma, come l’Autore ci fa notare, essa è definita da Marx come storica, quindi dobbiamo pensare che “tale storicità sussisterebbe solo in rapporto al comunismo che segnerebbe un culmine, il punto di discontinuità da cui inizia una nuova fase” (105), che consiste appunto nel superamento dell’alienazione. Ma anche questa nuova posizione non è completamente coerente con il pensiero marxiano. Se così stessero le cose, l’alienazione dovrebbe essere compresa soltanto in termini negativi, ma Marx stesso, quando pensa la missione storica e civilizzatrice del capitale, si rivolge alla capacità di riduzione dei tempi di lavoro e al superamento di un'economia di semplice sussistenza: acquisizioni, queste, che si danno attraverso il macchinismo e la divisione del lavoro ad esso legata e che esplicitamente afferma debbano essere conservate: “emerge quindi un’aporeticità di fondo della categoria, o meglio della pretesa, una volta che la si è legata al lavoro eterodiretto e a forme di comando su di esso, che essa possa essere superata” (106). Come afferma in termini inequivocabili l’Autore: “il Marx maturo, con la teoria del modo di produzione capitalistico e la dialettica di forze produttive e rapporti di produzione sviluppa un modello che non ha bisogno dell’antropologia e dell’essenza dell’uomo. D’altra parte recupera innegabilmente all’interno di questo nuovo modello elementi giovanili in particolare la teoria dell’alienazione. Rispetto al ’44, tuttavia, essa può essere ridefinita nelle sue coordinate generali e svincolata dall’essenzialismo: superare l’alienazione significa andare oltre la forma capitalistica dell’inversione, ma conservando l’acquisizione fondamentale per quanto concerne il contenuto materiale (ossia esattamente l’inversione di soggetto e oggetto) – certo non ristabilire un’essenza data e astorica)” (107).

Nel terzo capitolo l’attenzione è volta alla comprensione del ruolo che la dialettica hegeliana, compresa nella sua verità testuale, svolge nella logica argomentativa del Capitale.

L’Autore riconosce il metodo dialettico marxiano nel salire dall’astratto al concreto, metodo che rimanda immediatamente al concetto hegeliano di esposizione quale Darstellung. Ma non si tratta a questo punto di ritrovare nell’esposizione marxiana un’omologia con lo sviluppo delle categorie della Scienza della logica di Hegel (si applicherebbe in questo modo una logica già pronta ad un contenuto concreto), bensì di vedere – riprendendo l’idea giovanile di Marx – lo sviluppo stesso di questo concreto, di seguirne la sua logica peculiare. Il punto di partenza dell’esposizione marxiana è la merce, quale contraddizione tra valore d’uso e valore. Mentre nello scritto del 2001 l’Autore analizzava proprio questo movimento, adesso l’attenzione è volta alla metodologia: la merce quale “punto di contatto fra il processo di esposizione e il processo di ricerca” (128).

Modo di ricerca e modo d’esposizione vengono messi in relazione con i processi di analisi e di sintesi che Marx rende operativi nell’Introduzione ai Grundrisse e con l’hegeliana distinzione tra la comprensione intellettuale e razionale della realtà. Il modo di ricerca è quel processo di scomposizione del concreto immediato attraverso il quale vengono astratte e poste in connessione tra loro le determinazioni generali. Questo processo è dall’Autore messo in relazione con i metodi analitico e sintetico sviluppati nell’idea del conoscere finito nella logica hegeliana del concetto. Il modo dell’esposizione è invece l’autoesposizione della cellula iniziale, ovvero la capacità, “in base alla propria contraddizione immanente, di generare tutte le forme successive del rapporto di capitale che alla fine le conterrà come propri momenti” (134). Questo processo è messo in rapporto con l’idea del sapere razionale sviluppato nell’idea del conoscere infinito sempre nella logica hegeliana del concetto. L’analogia tra il procedere hegeliano e quello marxiano diventa in questo modo evidente: la dialettica appare adesso, sia per Hegel che per Marx, quella modalità per cui “la rappresentazione e l’intuizione vengono trasposte in concetti”. L’oggetto dell’intuizione e della rappresentazione “preesiste alla trattazione concettuale”: esso viene esperito dalla coscienza e “si invera nella conoscenza concettuale che così produce un contenuto necessario” ma – e questo è fondamentale per una attenta comprensione dello Hegel al di fuori della mediazione marxiana – “a cambiare è solo la forma di questo contenuto” (136).

Le analogie tra l’esposizione categoriale marxiana e la dialettica hegeliana non finiscono in quest’idea generale del metodo. Nell’ultima parte del capitolo, l’Autore mette in luce strutture concettuali specifiche che operano nella Scienza della logica, e ne ricerca il ruolo e la funzione che esse hanno nella struttura argomentativa dell’opera marxiana. Trovano così la loro effettiva capacità esplicativa le categorie marxiane di opposizione e contraddizione, presupposto e presupposto-posto, essenza, fenomeno e parvenza.

Il testo di Fineschi offre importanti spunti di riflessione. In termini storiografici esso impone una rilettura critica di gran parte della marxologia che ha messo al centro della propria riflessione il metodo marxiano, la dialettica e la relazione con Hegel. Si tratta di vedere quanto questa storiografia si sia interrogata sulla comprensione che Marx ha di Hegel e di se stesso in relazione al proprio metodo. Ma ciò che a mio avviso merita la più profonda attenzione è la messa in luce di un nuovo “hegelismo” di Marx, non più racchiuso nei confini di un’omologia formale con la logica, né incatenato alle figure fenomenologiche dell’autocoscienza, bensì capace di interrogarsi sulla propria capacità di sviluppo nell’orizzonte di una logica peculiare dell’oggetto peculiare.


*Fineschi, R. (2006), Marx e Hegel. Contributi a una rilettura, Roma: Carocci.

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