Marx e il capitale come rapporto sociale
di Paolo Ciofi*
Ogni qual volta il capitalismo entra in crisi - e ciò si verifica sempre più frequentemente, fino a diventare uno stato permanente - Carlo Marx, dato per morto e sepolto, regolarmente ricompare e oggi il suo spettro aleggia di nuovo in Europa e nel mondo. Al punto tale che Time, settimanale americano con svariati milioni di lettori, è arrivato a scrivere che «Marx aveva ragione». E l’Economist, caposcuola britannico del pensiero liberale, ha affermato di recente che «la principale ragione per cui Marx continua a suscitare interesse è che le sue idee sono più pertinenti oggi di quanto non lo siano state negli ultimi decenni».
Tuttavia, una reticenza permane proprio sulla questione di fondo, ossia sulla natura del capitale. Giacché, scoprendo l’arcano del capitale, vengono in chiaro le ragioni delle sue crisi e le condizioni del suo superamento. Due aspetti inscindibili che hanno fatto di Marx uno dei pensatori più potenti e al tempo stesso un rivoluzionario instancabile, che concretamente lottava per trasformare la realtà: un esempio di coerenza, di alta moralità. La personificazione dell’unità tra teoria e prassi.
Una «immane raccolta di merci», osserva il pensatore e rivoluzioanrio di Treviri, caratterizza la società dominata dal capitale. Ma cos’è il capitale? Non semplicemente una somma di denaro, che a conclusione della produzione e della circolazione della merce, o dell’impiego nella finanza, si trasforma in una somma maggiore di quella investita; e che ci appare nelle più svariate forme di capitale industriale, bancario, fisso, costante, variabile e così via. Fino al capitale cosiddetto umano, in cui nel nostro tempo, ridotti a cose, si identificano gli esseri umani che producono ricchezza.
Che cos’è allora il capitale? Una cosa? Un’entità materiale o immateriale? Un insieme di macchinari e di materie prime? Di conoscenze scientifiche e tecnologiche? È un algoritmo? Un accumulo di mezzi finanziari ben nascosti nei paradisi fiscali? «Il capitale - risponde Marx - non è una cosa, bensì un determinato rapporto di produzione sociale, appartenente ad una determinata formazione storica». Ed «è costituito - sono sue parole - dai mezzi di produzione monopolizzati da una parte della società» con lo scopo di ottenere un profitto. Mentre un’altra parte della società, che comprende di gran lunga la maggioranza, «è soltanto proprietaria della condizione personale della produzione», ossia delle proprie soggettive capacità fisiche e intellettuali che chiamiamo forza-lavoro, venduta al mercato in cambio dei mezzi per vivere.
Quindi, secondo Marx, lo sfruttamento di esseri umani da parte di altri esseri umani sulla base di determinati rapporti di proprietà caratterizza il capitale come rapporto sociale. Una contrapposizione tra classi sociali oggettiva, su cui s’innalza l’intero edificio della economia, della società e dello Stato, della cultura e della politica.
Non ci sono, in tale visione, presunte leggi economiche che alla stregua di quelle naturali renderebbero immodificabile lo stato delle cose presente. Risalendo dalle merci e dunque dal rapporto tra cose, e da impersonali entità numeriche e quantitative, Marx porta alla luce le relazioni tra gli esseri umani, che proprio in quanto tali hanno un inizio e una fine. E perciò si possono cambiare edificando una civiltà più avanzata in cui si ridefiniscano i principi di libertà e di uguaglianza. Emerge così la possibilità di un processo rivoluzionario che rovesci l’ordine costituito, e in pari tempo un filo rosso che lega l’intero percorso di una vita, e che potremmo chiamare l’umanesimo integrale di Carlo Marx.
Il capitale, sempre mutevole e proteiforme, nel corso della sua storia e del suo movimento senza fine non ha mai rinunciato allo sfruttamento del lavoro, a sua volta mai uguale a se stesso. Se lo avesse fatto, avrebbe decretato la sua morte. Con l’ascesa della borghesia – è scritto nel Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels - «si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di concetti antichi e venerandi». «All’antica autosufficienza e all’antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale». E come per la produzione materiale, così per quella intellettuale.
Un processo che ha coinvolto miliardi di esseri umani, liberando e diffondendo ovunque nel mondo la forza-lavoro, ovvero la merce indispensabile per ottenere i profitti. Una merce speciale, di certo non scomparsa nella fase del capitalismo digitale finanziarizzato e anzi oggi massimamente diffusa, il cui uso in cambio di un salario genera per chi la compra un valore superiore al suo costo: un plusvalore determinato dal lavoro non pagato, che misura il grado di sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori, ed è alla base del profitto e dell’accumulazione dei capitali.
Per «forza-lavoro o capacità di lavoro - chiarisce Marx - intendiamo l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali (sottolineo intellettuali) che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente di un uomo (e di una donna, diremmo noi oggi), e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di qualsiasi genere». E poiché il suo valore è determinato dai mezzi di sussistenza necessari a conservare e riprodurre «l’individuo che lavora nella sua normale vita», ne deriva che il «valore della forza-lavoro, al contrario che per le altre merci, contiene un elemento storico e morale». Una visione che conferma l’umanesimo integrale di Marx.
Il concetto di classe lavoratrice si riferisce quindi non all’applicazione tecnica della forza-lavoro in un determinato procedimento produttivo, ma al fatto che miliardi di individui, tutti diversi tra loro come persone e indipendentemente dal lavoro che svolgono, hanno una caratteristica comune: quella di vendere l’insieme delle proprie capacità fisiche e intellettuali in cambio dei mezzi per vivere. D’altra parte, se l’universalità del lavoro si esprime nella concreta attività e nella vita di ogni persona, ciò significa - nella visione marxiana - che la liberazione della classe oppressa non può risolversi nella soppressione della libertà dei singoli. E infatti per lui il comunismo è una condizione sociale nella quale «il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti».
Nella condizione sociale del capitalismo, invece, la separazione del produttore diretto dai mezzi di produzione e dal prodotto del suo lavoro fa sì che mentre si realizzano nel mercato le merci che incorporano un plusvalore, si riproduce in pari tempo il rapporto di proprietà. Di modo che, annota Marx, dal momento che il processo produttivo crea non solo il prodotto per il consumatore ma anche il consumatore per il prodotto, la distribuzione della ricchezza dipende in ultima analisi dalla distribuzione della proprietà.
Ma, osserva ancora Marx, «il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d’uso (…) altrettanto quanto il lavoro». Per questo motivo, il capitalista proprietario dei mezzi di produzione, al fine di ottenere un profitto, deve poter disporre del lavoro e della natura, che vengono coinvolti insieme in un unico meccanismo di sfruttamento.
Diversamente - precisa il nostro interlocutore - «dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società, la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo». I beneficiari dei frutti della terra, infatti, sono soltanto «i suoi usufruttuari - conclude - e hanno il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive».
Ancora di recente è stato osservato che, essendo «l’incremento indefinito del profitto privato» lo scopo dell’agire capitalistico, ne deriva «inevitabilmente» che il capitalismo «distrugge la terra, la sua ‘base naturale’». Ma già lo stesso Marx, in un’altra epoca storica, aveva notato che il capitale, a un certo grado della sua crescita, mette a rischio le condizioni stesse della riproduzione di se medesimo: «la grande industria e l’agricoltura gestita industrialmente» - scrive - concorrono congiuntamente a dilapidare, da un lato, «la forza-lavoro, e quindi la forza naturale dell’uomo», dall’altro, «la forza naturale della terra».
Qeusto sistema, che sfrutta congiuntamente gli esseri umani e la natura, incalza Marx, è segnato da una insuperabile contraddizione. Infatti, per alzare i profitti, il capitale ha bisogno di contenere i salari, ma i bassi salari comprimono il potere d’acquisto riducendo la domanda, e quindi impediscono la realizzazione dei profitti. Si direbbe che il capitale è vittima delle sue stesse macchinazioni. In questo sistema piuttosto primitivo non vengono riconosciuti i bisogni reali, bensì solo quelli solvibili, espressi in tangibile domanda pagante, l’unica valida per incamerare un profitto. Emerge così in modo clamoroso il paradosso del capitale, per cui, in presenza di crisi da sovrapproduzione per difetto di domanda pagante, si assiste in pari tempo al diffondersi della povertà a causa di bisogni reali insoddisfatti.
«Gli economisti che pretendono di spiegare le periodiche contrazioni di industria e commercio con la speculazione - annota l’autore del Capitale - assomigliano a quella scuola ormai scomparsa di filosofi della natura che considerava la febbre la vera causa di tutte le malattie». La crisi», precisa, «scoppia dapprima nel campo della speculazione e solo successivamente passa a quello della produzione». Perciò agli occhi dell’osservatore superficiale la speculazione appare come causa della crisi.
Nelle mani del capitalista che punta al massimo profitto le innovazioni scientifiche e tecnologiche servono per intensificare il lavoro, ridurre il numero degli addetti, contenere il monte salari. Di conseguenza, secondo Marx, la diminuzione della quota degli investimenti destinati alla forza-lavoro generatrice del plusvalore, rispetto a quella investita in strumenti tecnici, produce tendenzialmente la caduta del saggio del profitto. Nel lungo termine non diminuisce la quantità dei profitti, bensì il livello di remunerazione del capitale rispetto all’ammontare complessivo degli investimenti.
Contro tale tendenza vengono poste in atto le più diverse contromisure, ma il segnale è chiaro: il sistema in sé perde efficienza e ha bisogno di potenti correttivi. E questi vengono dispiegati non solo nel campo dell’economia, ma anche nell’organizzazione della società e dello Stato, in quella che Marx chiama la sovrastruttura, comprendente le istituzioni culturali e politiche attraverso le quali la classe dominante esercita la funzione dell’egemonia, del comando e della violenza, fino alle guerre per la spartizione del mondo. È la storia del capitalismo.
La borghesia - troviamo scritto nel Manifesto - «non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali». Dal che si dovrebbe dedurre che per analizzare le incessanti mutazioni del capitale c’è bisogno di un pensiero critico dinamico, in divenire, aperto alle continue innovazioni della scienza e della tecnica, in grado di decodificare la società capitalistica in continuo movimento. Il contrario delle varie ortodossie che hanno imbalsamato il pensiero dirompente di Carlo Marx in un catalogo senza vita di formule e formulette. Non a caso Marx dichiarava di non essere marxista.
A un certo grado dello sviluppo del sistema - ci dice Max - si determina una condizione nella quale «i rapporti borghesi di proprietà, la moderna società borghese, che ha evocato (…) così potenti mezzi di produzione e di scambio, rassomigliano allo stregone che non può più dominare le potenze sotterranee da lui evocate». In altri termini, i rapporti di proprietà capitalistici si dimostrano troppo angusti per contenere la debordante potenza delle forze produttive. La proprietà sociale dei mezzi di produzione bussa alle porte.
Il punto di massima tensione si raggiunge nella fase in cui è la scienza stessa a configurarsi come forza produttiva e motore dell’innovazione, che impiega la tecnica come strumento di manipolazione e comunicazione. In questa fase il lavoro non scompare, ma assume caratteristiche sempre più qualificate, di ricerca e di controllo. Osserva Marx che quando «l’intero processo di produzione (…) si presenta come applicazione tecnologica della scienza» c’è bisogno di una classe lavoratrice «superiore» con un grado sempre più elevato di conoscenze. Fino a formare l’intelligenza generale dell’intera comunità. In questa fase - sottolinea il Moro di Treviri - «la specializzazione cessa», e «la tendenza verso lo sviluppo integrale dell’individuo comincia a farsi sentire».
Tuttavia il passaggio a una civiltà superiore, in cui il rapporto organico tra lavoro e sapere non sia continuamente spezzato dalla dittatura del capitale, avviene non in modo automatico, per spontanea evoluzione. È noto che Marx non intendeva apparecchiare pietanze per le osterie del futuro, intendendo con ciò che non era nelle sue corde una visione utopica della nuova società. Come era a lui del tutto estranea l’idea schematica e primitiva che il passaggio rivoluzionario a una società superiore possa avvenire seguendo un modello unico, ovunque e indipendentemente dalle condizioni storiche concrete.
Ma al di là di come e per quali vie si possa compiere il rivoluzionamento dell’economia, della società e dello Stato, per Marx resta fermo il principio che la classe lavoratrice debba comunque organizzarsi in partito politico, perché - sono sue parole - «ogni lotta di classe è lotta politica». Senza «organizzazione dei proletari in classe, e quindi in partito politico», - aggiunge - coloro i quali vivono del proprio lavoro restano nella condizione di una massa dispersa e impotente.
Dunque, perché la classe degli sfruttati si costituisca come tale ha bisogno di riconoscersi come tale, conquistando coscienza di sé e della propria funzione storica. E ciò non si ottiene senza l’organizzazione in partito politico, e senza la visione della politica come strumento di lotta per la liberazione - cito testualmente - della «enorme maggioranza nell’interesse dell’enorme maggioranza».
In conclusione possiamo dire che non vi è nel pensiero di Marx alcun determinismo. Sono gli esseri umani il fattore decisivo. Questo ci insegna Carlo Marx. Ma proprio perciò, una volta portato alla luce il meccanismo di funzionamento del capitale, non basta - come egli ci avverte - interpretare diversamente il mondo. Occorre agire per trasformarlo.
Comments
scrivo anche su questa frequentata pagina per una comunicazione di servizio, riprendendo per altro il capitolo non scritto di Stato e Rivoluzione richiamato da Eros alla fine del suo ultimo intervento. Avrei un compito, meglio, un tema libero, da proporre a chi, con un po' di buona volontà e competenze in materia, possa/voglia mettersi in gioco su questo argomento.
L'ultimo mio mese di lavoro extra-lavoro è stato dedicato alla traduzione e commento di questo capitolo di Syroezhin, appena pubblicato.
https://www.sinistrainrete.info/teoria/13648-ivan-mikhajlovic-syroezin-pianificabilita-pianificazione-piano-2.html
Il succo di quella trentina di pagine scritte prima che crollasse tutto è che si può, si deve, in un'economia sociale e di piano, continuare ad assegnare un ruolo fondamentale all'idea stessa di "pianificabilità", come UNICO ELEMENTO IN GRADO REALMENTE DI COMPIERE QUEL +1 VERSO L'OBBIETTIVO PREFISSATO, ma non solo, COSTITUENDO INFATTI L'UNICO ELEMENTO IN GRADO DI MISURARE CONCRETAMENTE L'ANDAMENTO DI TALE TRASFORMAZIONE (da lì quello spataffio di dimostrazioni matematiche che sfruttano tutte le potenzialità offerte dal Teorema di Kendall per l'avvicinamento del reale all'ideale). Questo, peraltro, impone un'idea di Stato ben definita e difficilmente equivocabile. Ma non è questo il motivo per cui scrivo. Riporto ora un'appendice a questo capitolo che, a mio avviso, merita la massima attenzione da parte di cervelli più allenati e addentro alla materia del mio.
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"Aggiungo [a quanto scritto] quella che, al momento, è una pura suggestione, ma che mi piacerebbe che possa servire come spunto di lavoro a chi ne sa più di me. E che mi è venuta ora in mente in modo del tutto casuale.
Tema: Un'economia socializzata di piano + tecnologia BLOCKCHAIN.
Breve spiegazione: la tecnologia blockchain, nata per le criptovalute, oggi è oggetto di ENORME attenzione da parte del grande capitale. Su questo avevo già scritto verso la fine di quella decina di pagine dedicate al tema dei bitcoin nel mio ultimo lavoro (https://www.academia.edu/37305627/Riportando_tutto_a_casa._Appunti_per_un_nuovo_assalto_al_cielo pp. 143-152). Ai vantaggi riportati aggiungerei, fondamentale in un'economia di piano - ed è lì poi che mi è scattata l'idea - ciò che è alla base dell'idea stessa di blockchain: il "registro" incancellabile di tutte le attività / transazioni / occorse dalla sua creazione sino a quel momento. Uno "storico" immediatamente a disposizione, in grado di tracciare l'intero percorso e misurare Risultanza, Qualità ed Efficienza applicate nel concreto al piano in questione. Ma non solo, blockchain di settore, di area, intersettoriali, interregionali, ciascuno con il compito di misurare, trasmettere, e rappresentare lo storico dell'intero percorso. Un grado di coordinamento possibile solo con un'economia sociale e di piano, uno strumento potentissimo a sua disposizione allora inimmaginabile, e oggi usato solo per speculare sulle criptovalute o, nel massimo dell'immaginario capitalistico-borghese (cinesi compresi), per trasmettere trasferimenti cifrati di denaro e di informazioni.
Chiunque sia in grado di raccogliere ciò che al momento è poco più di un messaggio nella bottiglia, e svilupparlo ulteriormente, è il benvenuto. Io continuerò a lavorare su questo testo, perché oggi più di ieri mi rendo conto dell'enorme potenziale in esso contenuto. Non avessi avuto questo capitolo sotto mano, non avrei mai collegato quanto in esso espresso, ovvero la definizione concreta, plastica, di "pianificabilità" in applicazione a una "legge economica fondamentale" di un modo di produzione completamente diverso e alternativo agli attuali esistenti, con questa nuova tecnologia non a caso oggi sotto la lente di ingrandimento del grande capitale. E qui saremmo di colpo anni luce avanti rispetto a Casaleggio, pienamente dentro gli ultimi ritrovati tecnologici anzi, talmente addentro da determinarne un utilizzo consapevole ed efficace a nostro favore."
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Lancio anche qui questa bottiglia. Penso che sia un'ottima idea per rilanciare un'idea di Stato diversa da quella attuale e innovativa, in una nuova battaglia con una nuova cassetta degli attrezzi, in un gioco completamente all'attacco su una terra di studio completamente vergine e, aggiungo, completamente compatibile con un'idea di socialismo a questo punto non più denigrabile da nessuno, neanche dal nostro peggior nemico, come nostalgica o passatistica.
Una buona domenica a tutti.
Paolo
grazie mille per la tua a ora più che tarda e scusami anzi il disturbo, visto che ti ho chiamato in causa ma potevo fare anche un esempio più astratto, mannaggia a me. Però ho capito bene ora il tuo punto di vista. Ora, mai dire mai, ma penso proprio che la terra promessa non la vedremo mai, finché saranno questi i rapporti di forza. Tuttavia, torniamo al mio esempio... "da ciascuno secondo le sua capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro": ti metterei non solo alle verdure, ma a capo di una squadra di lavaggio e, anzi, se te la sentissi, al controllo degli standard igienici (quelli sociali e lavorativi li darei per scontati in un'economia socialistica... ma forse anche qui sarei troppo ottimista e ti farei dare un occhio) nel processo produttivo e di distribuzione: perché una puntigliosa, rigorosa, e che ci crede, come te, a lavare verdure sarebbe sprecata. Mentre magari al controllo ci sarebbe uno che guarda l'orologio e aspetta le sei, o le cinque. E non lo dico per fare qualche commento gratuito, ma perché questo traspare in ogni tuo scritto, sia che mi trovi d'accordo, sia che non mi trovi d'accordo. E, anzi, avere degli yes-men in una squadra, ovvero circondarsi di leccapiedi, è quando di meglio auguro a un padrone... perché contribuisce ad accelerare la fine del capitalismo! :-)
D'altro canto, una volta al Gosplan, un capo dovrebbe risolvere il problema di ri-localizzare la produzione: e non solo perché è idiota (perché la nave che le porta inquina come 1/15 di tutte le macchine del mondo messe assieme) e criminale (per motivi etici) che le magliette (ovvero, produzioni a basso valore aggiunto) che usi a Viggiù siano fatte in Bangladesh perché lì costano due dollari (2 DOLLARI!) a capo e tu le puoi rivendere a 9 euro e 90.
Ma anche perché è compito del Gosplan trovare una giusta proporzione fra settori economici di modo che l'intera economia sociale (ovvero anche scuole e ospedali, per intenderci) trovi piena soddisfazione ai propri bisogni. In attesa che si arrivi al comunismo e le proporzioni si trovino sempre più "da sole", in una società libera e senza sfruttamento. Vabbeh, vado a timbrare che è ancora venerdì.
Un abbraccio
forse è colpa mia che non mi sono spiegata , ma in verità ti risponderei qualcosa del tipo “non accetto imposizioni , ma non essendo più utile a nessuno che continui a fare pagnotte , mi metto a lavare le verdure”. E' un pò diverso . E’ importante non dividere la parola libertà dalla parola uguaglianza regalando la prima al discorso capitalista e la seconda al discorso disciplinare e militarista , entrambi in realtà gerarchici ed escludenti . Il continuo allargamento della democrazia e l’invenzione continua di diritti sociali di cui ho parlato , si risolvono inevitabilmente in un quadro che fa esplodere il paradigma della proprietà privata e dello Stato che ne è gendarme . E in una prospettiva e contesto simili , la pianificazione diventa una conseguenza , è implicita , anche se non cade dall’alto , anche se è libertaria e parte dal basso , anche se è federale e transtatale . D’altro canto classe e nazione stanno in una relazione antinomica , sono inconciliabili ; ci sono Stati di soli borghesi , e facendo dello Stato un feticcio si rischia di confondere la sovrastruttura con la struttura ; Marx , per dire , era per la cancellazione di 38 Stati in un colpo solo , con un tratto di penna , a favore dello Zollverein . Comunque , sto scrivendo da un cellulare , se ho fatto degli errori mi scuso , ma spero di aver chiarito come mi comporterei con le pagnotte e perchè . Ciao
Io sono un meticcio, figlio di una conciliazione tra Lombardia ed Emilia, fra città e campagna, fra industria ed agricoltura, fra non avere un soldo in tasca e avere due genitori che non mi hanno mai fatto mancare niente di ciò di cui avevo bisogno. In piena esplosione ormonale non ho fatto una brutta fine solo perché, a parte qualche scappellotto ben assestato, praticavo per 11 ore la settimana il judo, che oltre a costituire un'ottima valvola di sfogo mi insegnava a usare la forza dell'avversario per atterrarlo (via della cedevolezza). Altra conciliazione. Andare a Venezia, vincere i miei pregiudizi, rimettermi di nuovo in discussione, senza mettere in discussione le 400 000 mila lire al mese con cui mi pagavo affitto, vitto e alloggio, e i quattro anni tassativi entro cui dovevo chiudere tutto, è stata anche quella una conciliazione. Andare a Venezia ed entrare in contatto con culture dove il tuo pensiero di origine vale meno di zero, perché ragionano su presupposti completamente diversi, e riuscire a valorizzare entrambe, senza tentare di inglobarne una o denigrarla, che è la stessa cosa, è anche questo uno sforzo di conciliazione. Uscire con 110 e lode e decidere di "servire il popolo", ovvero fare il mediatore culturale (lo dice la parola stessa) senza tentare improbabili, vista la testa che mi ritrovavo, carriere accademiche è stata un'ulteriore conciliazione. E il resto è venuto di conseguenza, per cui Mario non ti sto a tediare con i successivi vent'anni dove ho mantenuto lo stesso atteggiamento. Ho imparato e continuo a imparare da te, da tutti, da gente che la pensa più come me e gente che la pensa meno o completamente diverso da me.
Vuoi sapere invece come la penso veramente? In tutto ciò che scrivo, giusto o sbagliato che sia, in tutti i miei lavori, l'unica cosa che non mi si può rimproverare è di non avere coerenza.
Di una cosa, tuttavia, ti do pienamente ragione. Ed è un mio difetto. Un brutto difetto, che però ho scelto consapevolmente. Usare lo stesso registro sia nel parlato, che nello scritto individuale che, come in questo caso, nello scritto collettivo. Non ce la faccio a essere tre, quattro Paoli Selmi. Quindi, quando mi trovo al telefono un autista che è andato a ritirare a Malpensa senza traspallet e mi chiede cosa deve fare, anche se la prima cosa che mi viene in mente è indicibile, la seconda è chiamare i colleghi perché gli diano una mano. E lo stesso sul lavoro, che non ho scelto io, con colleghi che non ho scelto io, con la vita che non ho scelto io, ma che una volta che timbri entrata devi fare girare come se l'avessi scelta tu, e conciliare, e trovare uno sforzo di sintesi, e fare lavoro di squadra. COME SE, ed è qui il succo del discorso. Come notava Gramsci, il gorilla ammaestrato in queste strutture di comando elementari ha molto spazio per elaborare un proprio pensiero, per analizzare ciò che ha davanti agli occhi e trarne conclusioni... "inaspettate", da un punto di vista padronale. Discorso analogo per quando torno a casa, anche se lì la scelta è tutta mia: dove vuoi andare se non medi, se non concili, se imponi? Stesso discorso per quando intrattengo un confronto, che può essere nel comitato genitori dell'asilo o nella commissione cultura del mio piccolo comune, ma anche in uno scambio epistolare con chi mi scrive sulla mail di casa. E a questo punto, perché no, anche qui, dove sto scrivendo a te ma so che non mi stai leggendo solo te, e lo stesso fai tu, e lo stesso fanno tutti, perché usare un tono diverso da quello che userei se ti trovassi al bar del mio paese davanti a un caffé o a un grappino?
Come la penso è noto, tornando al caso di Anna non è che lei non l'abbia capito. Che senso ha continuare ad alzare i toni? Io credo che socializzare l'economia e pianificare sia impossibile senza realizzare un governo efficace dall'alto, lei probabilmente ama di più un'idea libertaria, dove ci si ferma al consiglio di fabbrica o di paese. La motivazione è più che condivisibile: il potere è violenza. Chi nega il contrario è un ipocrita. Lo stato ha il monopolio dell'uso della forza, in teoria... anche questo, negarlo, è ipocrisia. La mia conciliazione finisce qui. Perché poi io "faccio violenza a me stesso" e mi metto nei panni di chi deve decidere come e quando, in un'economia pienamente socializzata, produrre le impastatrici e i forni con cui produrre un pane a sua volta realizzato da prodotti raffinati che, a loro volta, in un ciclo più ampio, divengono prodotti intermedi. E penso che governare questo con l'anarchia è impossibile. Punto. Ma lei lo sa che la penso così e io idem, so che più di un tot non abbiamo in comune. Ho ragione se domattina finisco in un immaginario Gosplan con un obbiettivo di piano concreto e realizzabile per un panificio che deve servire le mense di scuole e ospedali e mi trovo da un'altra parte un'Anna che mi dice no: faccio quante pagnotte voglio io perché non accetto quote o imposizioni da nessuno. Ma qui non c'è nessun Gosplan, il potere è SOLO violenza di una classe su un'altra e quindi, in questo modo di produzione, con questo schifo di società e di mondo che stiamo lasciando ai nostri figli, che senso è metterci a litigare, a baruffare come i "do gobeti" della canzone su un futuro che, stanti gli attuali rapporti di forza, non arriverà neppure fra 10 vite?
Ti faccio un ultimo esempio: la "leva leninista": in meno di dieci anni, il PCUS (che non si chiamava ancora così) da 200.000 iscritti aumenta di centinaia di migliaia di unità. La pensavano tutti alla stessa maniera? No. L'ingresso è stato fatto dopo aver fatto a ciascuno leggere il Capitale e poi avergli fatto l'esamino? No. Al contrario, la politgramota, l'alfabetizzazione politica, è venuta dopo. La pensavano tutti però allo stesso modo sui bianchi, sui padroni, su quelle sanguisughe che ogni giorno ci ciucciano linfa vitale per il loro profitto. E questo bastava.
Quindi basta che non sei dalla parte dei padroni, che non mi canti "faccetta nera" o mi esci con qualche frase razzista, che non offendi o te la meni, che, pur essendo della mia parte, non fai il furbo e non mi dici che è giusto nella vita "pararsi il culo" (scusami ma io lo sento così da chi mi fa salire il sangue alla testa), anche - soprattutto - alla faccia degli altri, che sfruttare altri popoli, creare biecamente dipendenza economica, è "cooperare", è win-win, specialmente dopo nove ore passate a registrare, sdoganare e mandare via merce, di ogni tipo, con le fatture di prima vendita sott'occhio e i curriculum di espulsi dal ciclo produttivo che arrivano con frequenza maggiore che negli anni passati; basta che non mi prendi in giro, sfruttando magari la mia buona fede per poi trarne vantaggio o, peggio ancora, pugnalarmi alle spalle, cosa che nel mondo del lavoro è molto più frequente di quanto si pensi, specialmente fra colleghi; basta che non accada tutto questo, e io da te ho solo da imparare, e apprezzare quello che vorrai, avrai da insegnarmi. E se sarò d'accordo a 7 e in disaccordo a 3, cercherò di dirti prima che sono con te in accordo a 7.
E se sbaglio io, ti chiedo di perdonarmi.
Ciao!
Paolo
ti ringrazio del tuo intervento ma, su cosa sono d'accordo e su cosa non sono d'accordo, ti prego di lasciarlo decidere a me. La mia impostazione è abbastanza trasparente. Può un mio punto di vista ostacolare un dialogo, quando la maggior parte degli elementi in questione mi accomunano al mio interlocutore, mi danno almeno una parvenza di dialettica? Se si, faccio a meno di pronunciarlo, non è interessante. Se ti ricordi, invece, su altre cose non sono andato tenero. In altre parole guardo alla luna, e non al dito. Cosa che hai fatto anche tu all'inizio del tuo lungo intervento. Continuiamo a guardare la luna, e a preparare la Soyuz che, incidenti si, incidenti no, è l'unica che va ancora su.
Ciao!
paolo
Continuando nel vagomarxismo, la socializzazione della produzione e l’autogoverno dei produttori possono assumere le forme definitive (non parlo delle transitorie) più varie. Tanto, tra forma e sostanza non esiste alcun nesso; tra negativo e positivo non c’è nessuna relazione, decostruzione e costruzione sono momenti indipendenti. L’importante è abbattere i Moloch “Stato”, “Frontiere”, “Nazionalismo”, “Razzismo”, dare “diritti” alle persone. Il socialismo vien da sé. Non perdiamoci in queste inezie, tanto Marx nulla ha detto, se non qualche sporadica frasetta (così possiamo dormire sonni tranquilli anche con la nostra coerenza marxista). Si parte dalla sovrastruttura (basta scambiarla per la struttura) e la base ne conseguirà. Che ci importa del come?
In questa fantasmagoria di ipostasi un discorso serio e ragionato non ha ingresso, per il fatto che non vi hanno ingresso la storia e le condizioni materiali concrete della società.
E i ragionamenti ipostatici, anche se apparentemente problematici ed elevati, sono in realtà categorici e assertivamente privi di meta significati, non interpretabili. Il Corano non ammette traduzioni ma almeno ammette perifrasi. Questi tipi di discorsi, invece, se interpretati attirano sempre l'accusa di deformazione e le critiche ad essi rivolti sono sempre insulti. Ammettono solo l’interpretazione autentica degli autori-creatori.
P.S. Che l’affermazione del l’Ottobre come evento in linea col marxismo venisse contestata me l’aspettavo. Non sono così ingenuo. Ma che Gramsci, pur con i possibili errori, come sottolinea Eros Barone, considerasse davvero contro “Il Capitale” e non contro le sue deformazioni deterministiche da parte della II Internazionale la rivoluzione d’Ottobre, non lo pensavo sostenibile.
aggiungo , sempre se non si fosse capito , :
c) non ho volevo sostenere giudizi di merito sul pensiero cosiddetto negativo o decostruzionista in quanto tale . Lo si trova a Destra ( C.Schmitt ad es. ) , ma molto anche a Sinistra , nella Scuola di Francoforte , in Foucault , Derrida , in Sartre ecc.. Ma poi questi stessi autori attingono a pieni mani da Marx . Ok , basta cosi .
Se ti accontenti di una risposta sommaria , “Meglio meno, ma meglio” mi pare lo sia a tratti : c’è la decisione scollegata dal processo storico e quindi collocabile , più che all’interno del pensiero dialettico , in quello , anche qui , cosiddetto negativo o decostruzionista ( decisione appunto da de-caedere , tagliare , tagliare via ) . Ribadisco che mi riferisco alle forme del pensiero , al modo di ragionare , non ai contenuti ( anche in “Meglio meno , ma meglio” si trovano parole d’ordine marxiane ) . Forse potevi prendere altri testi leninisti ( ce ne sono ) più tipicamente marxiani anche nella forma del pensiero .
In ogni caso , se non si fosse capito :
a) non mi riferivo all’opera omnia di Lenin , ma alla Rivoluzione d’Ottobre in quanto tale ; e che si trattasse di una rivoluzione “contro il Capitale” ( si intende contro il Capitale di Marx ) lo sosteneva notoriamente , all’indomani della stessa rivoluzione , già Gramsci .
b) sono contenta che ci sia stata la Rivoluzione d’Ottobre e il mio giudizio storico sulla Rivoluzione d’Ottobre è tutto sommato positivo almeno fino al ’24 ( “tutto sommato” , nel senso che avrei preferito fosse stata una rivoluzione “sovietica” , ma non lo fu . Fu , appunto , una de-cisione bolscevica e contro i soviet ; ci sono poi altri aspetti condannabili , anche fino al ’24 . Ma anche qui occorre considerare il contesto storico , la controrivoluzione che si scatenò contro i bolscevichi , il discorso è complesso ecc. )
ciao
A questa domanda, io penso, dobbiamo rispondere che la soluzione dipende qui da troppe circostanze, e che l'esito di tutta la lotta in generale può essere previsto solo considerando che, in fin dei conti, il capitalismo stesso educa e addestra alla lotta l'enorme maggioranza della popolazione del globo.
L'esito della lotta dipende, in ultima analisi, dal fatto che la Russia, l'India, la Cina, ecc. costituiscono l'enorme maggioranza della popolazione. Ed è appunto questa maggioranza che negli ultimi anni, con una rapidità mai vista, è entrata in lotta per la propria liberazione, sicché in questo senso non può sorgere ombra di dubbio sul risultato finale della lotta mondiale. In questo senso la vittoria definitiva del socialismo è senza dubbio pienamente assicurata.
Ma quel che c'interessa non è l'ineluttabilità della vittoria finale del socialismo. Ci interessa la tattica alla quale dobbiamo attenerci noi, Partito comunista russo, noi, potere sovietico della Russia, per impedire agli Stati controrivoluzionari dell'Europa occidentale di schiacciarci. Affinché ci sia possibile resistere sino al prossimo conflitto armato tra l'Occidente controrivoluzionario imperialistico e l'Oriente rivoluzionario e nazionalista, tra gli Stati più civili del mondo e gli Stati arretrati come quelli dell'Oriente, che peraltro costituiscono la maggioranza, è necessario che questa maggioranza faccia in tempo a diventare civile. Anche noi non abbiamo un grado sufficiente di civiltà per passare direttamente al socialismo, pur essendoci da noi le premesse politiche Lenin Meglio meno ma meglio; E questo sarebbe non marxiano? bah egregia Anna non ho capito cosa intendi con le tue sentenze; Lenin è stato marxista o marxiano come ti pare e fino in fondo; la questione è esserlo NOI ADESSO NEL NOSTRO TEMPO.
era una battuta... tra l'altro il mio paese d'origine, nulla più ancora oggi di un villaggio di campagna, è a 3/4 d'ora di macchina da Brescello. Quella stazione è uguale alla sua. Quella piazza è molto simile (quella di Brescello è un piazzone), e la gente e le vicende di quel piccolo mondo erano molto, molto simili a quelle narrate da Guareschi. E ne ho visti tanti di "tipi", finché i miei nonni erano vivi e passavo le mie estati da loro (ovvero fino ai miei trent'anni) ad aiutarli in campagna o a farmi dei giri sull'appennino. Poi Guareschi era un reazionario. E su questo non ci piove. Occorre però, tornando seri, capire quanto nei suoi racconti avesse un fondo di realtà. E non era poco. Anche perché, se torniamo alla storia, quell'Emilia "da bere" che passò dal PCI al PDS con la stessa nonchalance con cui io passo dal primo al secondo bicchiere di lambrusco, occorre chiedersi come mai fosse arrivata a ciò.
Ti piacciono i gialli. Anche a me piace molto Simenon. Che non era un compagno. Certi ritratti della nord della Francia, io che ho avuto la fortuna di conoscere sia per esserci stato, che per aver avuto come amici francesi che venivano da lì, li ho trovati come se fossero stati scritti in quel momento.
Ciao!
Paolo
“Non voglio giudicare moralmente o biasimare l’Ottobre...ma mi sembra evidente che c’entri veramente poco con la filosofia politica marxiana.”
“Nel pensiero dialettico la rivoluzione non è una cesura improvvisa che vuole spaccare il mondo, ma è come una spintarella finale che vuole completare dei processi già maturi.”
“...la rivoluzione intesa come rivolta fine a se stessa non fa parte del suo [di Marx] impianto teorico”.
Che dire di questo insano miscuglio di ingredienti eterogenei? Abbiamo il menscevismo controrivoluzionario (‘alias’ gradualismo socialdemocratico), la ‘volontà di potenza’ con relativa equazione tra il signor Zarathustra e il bolscevico Lenin (ovvero fra “la marcia su Roma” e l’assalto al Palazzo d’Inverno: qui fa capolino Curzio Malaparte!), il mito piccolo-borghese e reazionario del carattere apolitico del pensiero nicciano, la piatta antitesi tra un evento storico e una concezione filosofica (laddove la gramsciana “rivoluzione contro il ‘Capitale’”, pur erronea, aveva almeno un carattere antigradualista), una caricatura della dialettica (dove il ‘salto di qualità’ è ridotto ad una “spintarella” e viene obliterato il concetto della “rottura dell’anello più debole della catena” e della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria) e, per finire, una tautologia del tutto ovvia per chiunque abbia una minima conoscenza del pensiero marxiano e marxista. Insomma, questo modo di riferirsi al socialismo scientifico è così speciale, che è proprio difficile a definirsi, a renderne il sapore. Cercherò allora di aiutarmi con una citazione inusitata. Ebbene, in uno dei “Gialli Mondadori” (Agatha Christie,“Il ritratto di Elsa Geer”) si può leggere, a proposito di una vecchia zitella inglese, questo gustoso passaggio: «Però, era un uomo – disse. La signorina Williams tentò di mettere in questo vocabolo un significato prettamente vittoriano. – Gli uomini... – proseguì la signorina Williams e si fermò. Come un ricco proprietario dice: Bolscevichi!; come un acceso comunista dice: Capitalisti!; come una buona massaia dice: Scarafaggi! – così la signorina Williams disse: Uomini!”. Anna è come quella buona massaia: per lei il bolscevismo è lo “scarafaggio” della storia.
Stupisce poi che in un sito come questo si arrivi, con dovizia di particolari e una non controllata ebefrenia, a citare don Camillo e Peppone, riproponendo uno dei moduli più frusti e ridondanti dell’anticomunismo degli anni Cinquanta (non a caso riproposto, in questi ultimi anni, dai canali televisivi berlusconiani): una sindrome che rivela il sedimento di una subcultura parrocchiale particolarmente radicata in certi ambienti clericali della provincia italiana. Il grande critico letterario Luigi Russo, a tale riguardo, esaminando certe manifestazioni riconducibili a questa sindrome, scrisse, sempre negli anni Cinquanta, sulla rivista "Belfagor", da lui fondata e diretta, un articolo dal titolo significativo: “L’oggettività di Gallarate”. È superfluo aggiungere che si trattava di una “oggettività” reazionaria, anticomunista e clericale.
Mi pare un buon programma . Approvo .
Ti saluto con questa scena che mi hai fatto venire in mente con il tuo ultimo e che a me ha sempre fatto morire dal ridere... specialmente se ripenso a quelle due maschere di Cervi e Fernandel. Parola di Giuseppe Bottazzi, Peppone:
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Cittadini lavoratori! (applausi)
Prima di presentarvi il compagno indipendente avvocato Cerratini (applausi) voglio dire due parole alla reazione clericale, atlantica e guerrafondaia che tutti ben conosciamo (applausi), a quegli sporchi corvi neri che parlano di patria, di sacri confini minacciati e di altre balle nazionaliste che la Patria siamo noi, la Patria è il Popolo!
E questo popolo non combatterà mai contro il glorioso Paese del socialismo che porterà al nostro proletariato oppresso la libertà e la giustizia! (applausi)
E voi giovani che andate nelle barbare caserme, direte a coloro che tentano di armarvi e di usarvi per i loro sporchi interessi, direte a coloro che diffamavo i lavoratori…
(Dal campanile della chiesa di Don Camillo si levano le note della Canzone del Piave)
…direte ai calunniatori del Popolo, direte che i vostri padri…
(Gli occhi di Peppone iniziano a farsi lucidi)
…hanno difeso la Patria dal barbaro invasore che minacciava i sacri confini e che noi del ’99 che abbiamo combattuto sul Monte Grappa, sulle pietraie del Carso e sul Piave saremo sempre quelli di allora e che quando tuona il cannone è la voce della Patri che chiama e noi risponderemo “Presente!”.
(Don Camillo dalla torre campanaria si mette sull’attenti e sussurra “Presente!”)
Noi vecchi che abbiamo sul petto le medaglie al valore conquistate sul campo di battaglia ci troveremo come allora a fianco dei giovani e combatteremo sempre ed ovunque, getteremo l’anima oltre l’ostacolo e difenderemo i sacri confini d’Italia contro qualsiasi nemico, dell’Occidente e dell’Oriente, per la difesa del Paese e al solo scopo del bene indissolubile del Re e della Patria!
Viva la Repubblica, viva l’Esercito! (applausi)
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Un abbraccio
Paolo
Sottinteso ( mi pare di essere stata già chiara nei commenti precedenti , ma per sicurezza ) , dicevo , sottinteso cioè che bisogna sempre andare nella direzione del superamento proprio dell’idea reazionaria di Stato Nazionale territorialmente chiuso , che ha come premessa la chiusura delle frontiere e l’esclusione : una frontiera si riesce a legittimare e a difendere dall’interno solo se si incoraggiano , e si inscrivono nel funzionamento delle istituzioni , sentimenti identitari nazionalistici ( come attestato da molte pubblicazioni di questo stesso sito ) ; il che apre inevitabilmente la strada al neorazzismo culturalista ( che ha preso il posto del vecchio razzismo biologista , squalificato dalla scienza ) e sciovinista . E questo sciovinismo identitario , oltre ad essere notoriamente il cuore delle ideologie di estrema destra ( il cui antiliberismo si coniuga in chiave neorazzista e reazionaria ) , va chiaramente contro gli interessi dei lavoratori ( che non hanno patria ) e la democrazia moderna .
“una formazione sociale non perisce finchè non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso” ( Marx ), dal punto di vista della filosofia politica , l’Ottobre può avere molto più a che fare se mai con il pensiero cosiddetto negativo o decostruzionista che con Marx ( mi riferisco alla forma del pensiero , non ai contenuti : Nietzsche è a-politico , non è un pensatore politico ) : se l’Ottobre invece di Lenin l’avesse fatto Nietzsche , al posto di “rivoluzione” avremmo parlato di “volontà di potenza” . Non voglio giudicare moralmente o biasimare l’Ottobre ( anzi non solo la pace di Brest-Litovsk , che ne è conseguente , rappresentò il primo atto unilaterale di cessazione della carneficina della Grande Guerra ; ma fece anche divampare entusiasmo in ogni angolo del mondo , basato su ideali e speranze emancipatrici eccetera ) , ma mi sembra evidente che c’entri veramente poco con la filosofia politica marxiana .Nel pensiero dialettico la rivoluzione non è una cesura improvvisa che vuole spaccare il mondo , ma è come una spintarella finale che vuole completare dei processi già maturi ( tanto che l’elemento carente in Marx è proprio la rivoluzione : certo descrive le giornate della Comune come “la soluzione al fin trovata” , anche se nelle giornate precedenti aveva provato a disincentivare i futuri comunardi per scongiurare un inutile massacro ; ma la rivoluzione intesa come rivolta fine a se stessa non fa parte del suo impianto teorico ) .
Ho sostenuto invece il dato di fatto che la prima vera ed elaborata teoria di un’economia centralizzata e pianificata dallo Stato sia stata elaborata nei primi anni del XX sec da un liberale conservatore , che non si ispirava di certo a Marx ( dubito che Federico Caffè abbia potuto sostenere questo , forse si è confuso riferendosi ad un generico tipo di socialismo ; tra l’altro se non ricordo male Enrico Barone anticipa le stesse conclusioni di un saggio sul socialismo di von Mises degli anni ’20 , cioè che la pianificazione statalista non può fare altro che utilizzare le stesse categorie dei sistemi di libero mercato che invece dovrebbe sostituire . Ne deduciamo che anche von Mises si ispirasse a Marx ? Sarebbe ironico no ? La verità è che sono solo strumentalizzazioni fini a se stesse ) .
Poi , all’opinione su Stalin come “vero marxista” , credo sia meglio non rispondere ; penso che rispondere non abbia nemmeno senso .
@Paolo Selmi
Leggerò la tua traduzione e complimenti per la tua scelta sul servizio civile .
Il mio ideale regolativo non è sostituire lo Stato Nazionale , con un Super Stato Nazionale più grande . Ma riarticolare forme e pratiche di antagonismo tra capitale e lavoro attraverso tutti i livelli ( che siano percepiti come locali , glocali , metropolitani , regionali , continentali , globali , transtatali ecc ) e pensare ai diritti sociali e civili come appartenenti non al cittadino , ma alla persona , quale che sia il luogo del mondo in cui si trova . Non esiste una ricetta prestabilita per questa idea regolativa , se non ogni volta che se ne ha l’occasione allargare le frontiere della democrazia ( non solo formale , ma materiale ) e dell’emancipazione ( civile e sociale ) alla “parte dei senza parte” . Stare quindi ogni volta dalla “parte dei senza parte” , secondo la nota formula di Rancière .
capisco al 100% il tuo punto di vista, ma perdonami perché no, non torno a Marx e butto un secolo di lotte insieme all'acqua sporca... lo devo a mio nonno, a mio padre, lo devo pure a te, Mario (ho la sensazione che tu abbia più di 44 anni e sia maggiore di me... e quindi qualche lotta in più di me tu l'abbia fatta), e a tutti quelli che ho conosciuto e che mi hanno fatto diventare quello che sono, e che - aggiungo - ci hanno fatto diventare quello che siamo. E che, giurin giuretta concludo per davvero, non conosciamo neppure, perché dall'altra parte di un muro dove erano tutti sporchi, cattivi, mangiavano i bambini, ma che al solo nominarne lo spettro qui i padroni calavano le braghe. La prova del nove ce l'hai con le grandi conquiste operaie ottenute da quando non c'è più l'URSS, anzi, da poco meno di dieci anni prima, quando morivano tutti di raffredore (fa freddo da quelle parti...) e han capito che non poteva fare paura più a nessuno. A parte in Rocky IV, Rambo III e Invasion USA con Chuck Norris che difende il patrio suolo a stelle e strisce dall'invasione... cubana (sic!).
Un'ultima cosa, Mario. Proprio perché abbiamo avuto un laboratorio lungo un secolo, parliamo di ricette, davvero. Non è tempo buttato via. Primo perché in epoca di pensiero unico, da oriente a occidente, non lo fa nessuno. Vuoi sapere cosa dice un "marxista" cinese dei brani di Marx (di MARX, non dei brutti sporchi cattivi seguenti) che stiamo citando? Che sono come le barzellette con bestemmia di Berlusconi agli occhi di un compiacente cardinale... che vanno "contestualizzate". Quindi Marx parla di proprietà sociale? Va contestualizzato... Parla di piano? Va contestualizzato... parla di superamento del modo capitalistico di produzione? Va contestualizzato... dal marxismo al marxianesimo (sono marxiano ma non marxista...), dal marxianesimo alla marxologia, dalla marxologia al marxume, e da quello... al marciume ideologico di un relativistico, eclettico, hard discount dove ognuno pesca qualcosa di ciò che vuole.
Parliamo quindi di ricette. Per esempio, io e Anna abbiamo avuto uno scambio davvero molto proficuo. Alla fine lo scoglio da affrontare non era proprietà sociale si proprietà sociale no, non era pianificazione si pianificazione no: non ritieni che sia un grande passo avanti, visto che su questi due punti c'è gente che si dice non "comunista così", ma "comunista così!!!!", alla Mario Brega, ma che poi difende l'indifendibile, chiama marxismo ciò che non lo è, e dice che la Cina si incammina a grandi passi verso il socialismo? Un socialismo... che va contestualizzato, come le barzellette col porco finale di B. Chierici di tutto il mondo, unitevi...
Alla fine la dialettica, tra me e Anna, è virata sul concetto di Stato. E su qui, alla fine, ci siamo capiti tutti, perché lo Stato è da superare. Non si sa bene come, e su questo siamo ancora tutti d'accordo. Fino ad allora ci tocca tenercelo, e su questo siamo ancora tutti d'accordo. Occorre sviluppare entrambe i sensi della verticale del potere, dal basso verso l'alto e non solo la prima variante. E su questo siamo ancora tutti d'accordo. E allora, rinnovo il mio invito: parliamo di ricette. Sulla base di un secolo scorso dove Stalin non è sineddoche di URSS, e chiamando le cose con il loro nome, ovvero senza chiamare socialismo ciò che non lo è.
Un carissimo saluto... e auguri a tutte le compagne e compagni per oggi!
Paolo
Abolire lo Stato (con la S maiuscola) è il vero compito del Comunismo (anch'esso con la s maiuscola).
Torniamo a Marx. Tiriamoci fuori, prendiamo le distanze dall'irreale movimento reale che lo ha tradito. La bellezza della nostra anima aumenterà e rifulgirà più intensamente. Però, non al Marx tratteggiato da Eros Barone, ma a quello un po' bakuninista e proudhoniano immaginato da tutta la piccola borghesia rivoluzionaria del mondo, non dogmatica, non dottrinaria (ma che frequenta con assiduità i sacri testi e respinge con sdegno il movimento reale della storia) e libertaria.
Sinceramente, a differenza di Paolo Selmi, comincio ad apprezzare un po' poco una discussione trita e ritrita intorno a luoghi comuni cucinati nell'osteria dell'avvenire senza l'indicazione degli ingredienti. Mi sembra una perdita di tempo che non muterà posizioni consolidate e ideologiche (nel senso proprio di visioni deformate dalla posizione (dal proprio posizionamento) di classe che, tra noi, non mi sembra identica).
Norberto Bobbio, dal "De senectute", Cap. intitolato "Un bilancio".
capisco pienamente il tuo punto di vista. Se ho fatto il civile e non il militare, finendo in un centro di prima accoglienza prima e in un altro centro, ma per malati terminali di AIDS poi (in "punizione" per aver rivendicato personalmente le istanze degli "ospiti" di quel centro), è perché anch'io ho condiviso e condivido la tua impostazione. Nei confronti dello Stato. Ieshua, ovvero il Cristo del Maestro e Margherita di Bulgakov, si piglia la sua prima scarica di legnate quando esce con "Ogni potere è violenza sulle persone" (всякая власть является насилием над людьми).
Premesso questo, "faccio violenza a me stesso" e cerco di fare un passo ulteriore. Oggi, concretamente, esiste una forma diversa da quella di "Stato" attraverso cui passare per una transizione al socialismo? Posso fare una repubblica partigiana in Val d'Ossola, "Quaranta giorni di libertà", come cantava Anna Identici, ma alla fine non creo anche lì un mini-Stato, come quelli che costellavano la nostra Italietta? Parliamo allora di macro-regioni (no!!! mi sto "maronizzando"... esci da questo corpo!), ovvero di aree contigue che attraversano diversi Stati. Per dare loro un minimo di coordinamento, creo strutture para-statali, che poi tanto para- non sono, divenendo statali a tutti gli effetti. Spariglio tutte le carte, allora: una bella rivoluzione, tutto il potere ai soviet. Soviet ovunque. Come hai riconosciuto molto lucidamente, fu una democrazia completamente diversa da quella parlamentare. Anche lì, tuttavia nasce la necessità di maggiore coordinamento, ecc. e si ricade su strutture che controllano strutture che governano territori. E allora arrivo al dunque: non è che i manuali sovietici di economia politica non avessero poi tutti i torti, quando scrivevano che nel SOCIALISMO, che non è il COMUNISMO, lo Stato sopravvive, mantiene alcune funzioni, in attesa che i rapporti sociali evolvano fino a compiere il passo successivo, quello della sua estinzione?
Premetto che non centra niente quello che sto dicendo col sovranismo, fossimo stati negli Stati uniti d'Europa, faccio un ipotesi, o nel Sacro romano impero, io ragionerei su quella base senza pensarci due volte.
Premetto anche che quello che sto traducendo attualmente, ovvero il manuale di pianificazione di Syroezhin, parla sempre più spesso di autoorganizzazione (самоорганизация) e autoregolazione (самонастройка) dell'economia di piano. Ovvero, di uno Stato più reattivo ai mutamenti e meno Moloch pachidermico nel rispondere alle sfide dei bisogni sociali crescenti. Vedrò a fine traduzione dove mi avrà portato.
Un grosso abbraccio.
Paolo
nella complessa galassia della sinistra tante sono le stelle polari, non ne esiste una sola. Divento molto "centralista democratico" se dobbiamo parlare di cose concrete, di cosa fare qui ed ora. Giusto per non fare la fine dell'asino di Buridano. E allora che si dibatta, si discuta, poi si alzino tutte le manine e chi prende più voti vince e chi non vince si adegua. Poi starà all'intelligenza di chi vince cercare di sussumere anche idee, posizioni, suggerimenti, critiche di chi ha perso, per coinvolgerlo, per costringerlo a partecipare, a crescere e a pungolare se necessario chi, in quel momento, temporaneamente, è "maggioranza". Detto questo, oggi abbiamo bisogno di un'elaborazione teorica che sia all'altezza delle sfide che ci troviamo ad affrontare. E tale elaborazione può e deve avvalersi di TUTTI i contributi di chi la pensa nella stessa direzione. Attenzione, non uguale, nella stessa direzione. Chi è convinto che Keynes abbia molto da dire, non vedo perché non possa esprimerlo liberamente. Lo stesso potrei dire di Polanyi. Poi, ma lo dico proprio per esemplificare, se uno tira fuori una teoria dove, per esempio, un barcone pieno di migranti che affonda è il male minore, o che è meglio che il porto di Vado Ligure sia comprato dalla Cosco che dalla Maersk, io qui di "stessa direzione" ne vedo proprio poca... ma sarò limitato io.
Tornando al dibattito, al bello del dibattito, che il marxismo-leninismo sia, per Paolo Selmi, il tentativo più riuscito di sintesi fra teoria e praxis in direzione di quell'assalto al cielo che puntava alla creazione di un ordine nuovo, alla fine, non interessa a nessuno. A che serve recitare così il credo, qualsiasi credo?
Che invece il marxismo-leninismo abbia molto da dire, anche a chi comunista non è, in questa fase storica, perché possibile propulsore non di "cose vecchie con il vestito nuovo", come direbbe il buon Guccini fra un fiasco di vino e l'altro, ma di istanze, rivendicazioni, idee alternative di trasformazione della società, una diversa politekonomija, direbbero loro, insieme alla prassi che accompagnò questo grandioso tentativo di assalto al cielo e che merita di essere studiata al pari della teoria, io di questo ne sono più che convinto e, intervenire in questo senso, può essere molto fecondo così come lo fu in un passato non troppo remoto.
Pensiamo solo all'America Latina mezzo secolo fa: un continente cattolico, attraversato dal fermento rivoluzionario, ben centrato sul marxismo-leninismo, reagisce producendo un Leonardo Boff, una teologia della liberazione, gesuiti massacrati e Oscar Romero, non da ultimo, un cardinale, esponente quindi della gerarchia, non un prete operaio, che fece la stessa fine. Le stesse ACLI da noi nei Settanta non erano le ACLI di adesso. Ma mi sto dilungando troppo...
Ciao!
Paolo
non mi hai tediata . A partire da quel particolare passaggio della Critica del Programma di Gotha , hai ragione a pensare che l’idea di pianificazione in sé non sia una forzatura deduttiva . Ma faccio notare che ho parlato di “pianificazione statale” e penso che tu abbia ancora più ragione quando sottolinei che Marx vada preso nel suo complesso , all’interno dell’intera sua opera omnia . E , come avrai capito , il punto dirimente è chiaramente lo Stato . Come scrive Marx nella “Prefazione all’edizione tedesca del 1872” del Manifesto ( siamo quindi appena dopo la Comune ) , l'esperienza della Comune ..”ha fornito la dimostrazione del fatto che la classe operaia non può semplicemente impossessarsi della macchina statale così com’è e metterla in moto per i propri scopi” . Nella stessa Critica del Programma di Gotha troverai tanti passaggi contro lo Stato e la mistificazione del comunismo in statalismo . Così come li trovi facilmente ne “Il Capitale” , ne “La Guerra civile in Francia” , ne “L’Ideologia tedesca” , ne “Il Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte” , ne “Per la Critica dell’economia politica” ecc. Marx mette al centro i liberi produttori , non lo Stato di cui professa se mai l’estinzione . Poi , marxianamente , questa dei liberi produttori , rimane una formula indeterminata e non poteva che essere tale . Lenin , seguendo Marx , in Stato e Rivoluzione , ha provato contingentemente a riflettere sul famoso “dualismo di potere” ( tra Soviet e Stato ) concludendo che i liberi produttori estinguono lo , e non sono più , Stato . Oggi , a maggior ragione , dato lo sviluppo e l’interdipendenza raggiunti , ritengo ancor più urgente immaginare e creare istituzione altre e oltre lo Stato. Qualsiasi Stato oggi , da solo , si presenta come inevitabilmente incapace di articolare politiche sociali ed economiche “progressive” : le uniche “pianificazioni” che , da solo , può attuare , sono quelle securitarie , repressive , e , a colpi di esenzioni fiscali e di abbassamento del valore del lavoro , tentare di attirare maggiori capitali liquidi del proprio vicino . Diciamo che , per regolamentare il Mercato e democratizzare il Capitale , ritengo che oggi la “pianificazione” ( se vogliamo usare questo termine ) possa essere solo oltre lo Stato .
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Ho letto solo le prime pagine del Capitale, comunque ho sempre diffidato di alcune nozioni capisaldi del pensiero dell'autore: il valore-lavoro e la lotta di classe. Il lavoro si può facilmente trasformare nel suo opposto, il gioco, così come succede nel gioco del calcio, o con il sesso che si trasforma in prostituzione, il mestiere più antico. Anche le classi sono frutto dell'operare umano, infatti ci sono le classi scolastiche, le classificazioni e le classifiche. Trovo più convincente Karl Polanyi con la denuncia del mercato autoregolato. Mentre il capitalismo è una forma razionale e scientifica dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, che è sempre avvenuto, il mercato autoregolato invece è una nuova forma di manifestazione economica: "La nostra tesi è che l'idea di un mercato autoregolato implicasse una grande utopia. Un'istituzione del genere non poteva esistere per un qualunque periodo di tempo senza annullare la sostanza naturale e sociale della società; essa avrebbe distrutto l'uomo fisicamente e avrebbe trasformato il suo ambiente in un deserto."
Finalmente dibattito! Cerco di replicarti con alcuni spunti che ritengo interessanti. Breve premessa: tra Marx e Stalin c'è Lenin, e dopo Stalin ci sono altri trent'anni di URSS, e quindi Stalin = URSS è una sineddoche inaccettabile, ma su questo concorderai anche tu.
Sul rapporto fra Marx e pianificazione, la materia è MOLTO controversa, complessa, ma anche decisamente affascinante. Alcuni argomenti, che a questo punto definirei, usando un linguaggio obsoleto, elementi di storia dell'economia politica (o, meglio, della critica all'economia politica).
Marx, la sua storia umana e intellettuale, sono considerabili come un percorso, un unicum. Durante questo viaggio, maturò, cambiò il proprio punto di vista da cui partire per l’assalto al cielo, cercò di mantenere una coerenza che era anzitutto rigore scientifico nella propria ricerca, senza però fossilizzarsi su una visione: in questo senso, Marx economista e Marx filosofo sono due facce della stessa medaglia, non concordo affatto con chi li pone in contrasto fra loro.
Parliamo ora dell’ultimo Marx. Il Capitale non fornisce ricette. Ma setaccia, analizza, spacca il capello in quattro, al Capitale e a tutti i suoi meccanismi. Per superarlo. La Critica del programma di Gotha è decisamente più esplicita, andando a meglio sbirciare “nell'interno della società collettivista, basata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione” (“Innerhalb der genossenschaftlichen, auf Gemeingut an den Produktionsmitteln gegründeten Gesellschaft tauschen” https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1875/gotha/cpg-cp.htm et http://www.mlwerke.de/me/me19/me19_013.htm#Kap_II ). I paragrafi successivi sono decisamente più espliciti. Te li risparmio perché sicuramente, decisamente, li sai meglio di me. Sull’idea di
- Superamento del capitalismo
- Proprietà sociale dei mezzi di produzione
Marx ha detto quindi abbastanza la sua. Persino su quella che i sovietici chiamavano “Legge economica fondamentale”, pur non chiamandola con questo nome, interviene nel Capitale quando, per esempio, scrive: “Che l’accumulazione si compia a spese del consumo, è di per sè — in un senso così generale — una illusione, che è in contrasto con l’essenza della produzione capitalistica, poichè presuppone che lo scopo e il motivo conduttore di essa siano il consumo e non già l’appropriazione di plusvalore e la sua capitalizzazione, cioè l’accumulazione.” (Daß die Akkumulation sich auf Kosten der Konsumtion vollziehe, ist - so allgemein gefaßt - selbst eine Illusion, die dem Wesen der kapitalistischen Produktion widerspricht, indem sie voraussetzt, daß ihr Zweck und treibendes Motiv die Konsumtion sei, nicht aber die Ergatterung von Mehrwert und seine Kapitalisation, d.h. Akkumulation. Il Capitale, Libro II, Cap. 21, http://www.criticamente.com/marxismo/capitale/capitale_2/Marx_Karl_-_Il_Capitale_-_Libro_II_-_21.htm et http://www.mlwerke.de/me/me24/me24_485.htm ).
E sulla pianificazione?
Non solo Lenin… anche il buon Carletto ebbe qualcosa da dire. Per esempio, nella pluricitata lettera a Ludwig Kugelmann del 11/07/2018: “Il senso della società borghese consiste appunto in questo, che A PRIORI non ha luogo nessun cosciente disciplinamento sociale della produzione.” ( Der Witz der bürgerlichen Gesellschaft
besteht ja eben darin, daß a priori keine bewußte gesellschaftliche Reglung der Produktion stattfindet. Qui in inglese https://www.marxists.org/archive/marx/works/1868/letters/68_07_11-abs.htm e qui in lingua originale https://marxwirklichstudieren.files.wordpress.com/2012/11/mew_band32.pdf p. 553). Insomma, quando parla di “cosciente disciplinamento sociale della produzione” da effettuarsi “a priori”, non penso che da qui a “piano” il passo sia così lontano. Onestamente, davvero Anna, non lo ritengo una forzatura.
“Il grande Lenin indicò la strada”… cantavano fino a trent’anni fa i cittadini sovietici – a proposito, AUGURI a tutte e tutti per domani, per chi festeggia, quantomeno. Ma la indicò e basta. Morì, come noto, prima del primo piano quinquennale. E sulla pianificabilità, sulla pianificazione, sul piano, l’elaborazione teorica sovietica andò avanti, evolvendosi insieme all’evoluzione della struttura socioeconomica, dei bisogni sociali continuamente crescenti, con tutte le luci e ombre, certo, di un processo storico singolare e inedito, fino alla cosiddetta “ristrutturazione”, o perestrojka.
Scusa se ti ho tediato, ma ritenevo interessante apportare questi contributi.
Un abbraccio,
Paolo
Franco Bianco conosce il numero approssimativo dei proletari mondiali? Conosce il numero degli addetti a lavori manuali esecutivi, esclusi gli addetti al terziario e al lavoro intellettuale (anch’essi spesso proletari, comunque), in tutto il mondo? Il proletariato nel mondo è aumentato o diminuito negli ultimi decenni? Gli è mai venuto il dubbio che il mondo non consista soltanto nella parte del pianeta a capitalismo avanzato in cui abitiamo? Si è mai domandato se esiste un nesso tra le produzioni "avanzate" e quelle "arretrate", se esista, cioè, un sistema unitario mondiale, come sosteneva Samir Amin? Si è mai veramente posto in questa prospettiva mondiale?
Lo inviterei a farlo e, soprattutto, si faccia dire queste cose dai teorici della fine del lavoro, che sembra non frequentino con assiduità volgari dati statistici, ma solo alati discorsi sull'immaterialità, sul general intellect (senza molta chiarezza su cosa esso sia effettivamente nel pensiero di Marx) e, tra un po', forse anche sull'anima e il paradiso (nel quale le anime non hanno più bisogno di soddisfare primordiali e arcaici bisogni fisici come mangiare, bere, vestirsi, ecc., e circolano soltanto sostanze eteree e puro pensiero. Anzi, algoritmi. Un posto nel quale è superata anche la necessità della produzione affidata esclusivamente a robot intelligenti ideati da liberi pensatori).
Si chieda, insieme a loro, cosa possono pensare di certe teorie, non tanto la cuoca di Lenin o i valorizzatori cognitari, con le loro fantasie particolaristiche elevate a realtà oggettiva e generale, ma anche gli africani estrattori di coltan (contenuto nello smartphone che, presumo, Bianco usi), i braccianti raccoglitori di pomodori (che, presumo, mangi, in mancanza dei pomodori immateriali), i muratori che costruiscono le case nelle quali abitiamo, gli operai delle fabbriche trasferite all’estero che producono le scarpe che porta ai piedi, i tanti precari pseudoautonomi, ecc.
Questo misconoscimento delle condizioni materiali della produzione (non dico della teoria che le analizza e le spiega) potrebbe essere indice di miopia e disprezzo delle vaste masse che vi concorrono per la comodità dei pensatori cognitari e dei piccoli borghesi delle professioni intellettuali di ogni tipo, convinti che l'unico valore sia generato dal proprio esimio libero pensiero creativo (non creativo nel senso di originale, ma proprio nel senso di creatore di tutto ciò che ci occorre per vivere) e che l'attività di pensiero, il lavoro intellettuale, sia una novità assoluta della storia che riguarda solo loro.
Per il resto, l’eternità e naturalità del sistema di produzione capitalistico è solo un pregiudizio ideologico, una superstizione. E le superstizioni sono difficili da sradicare. Non basta la dimostrazione scientifica o razionale, ma un occorre un mutamento storico generale che interessi i rapporti di produzione.
si può essere in disaccordo e continuare a dialogare. Senza cercare di convincere nessuno. Tra l'altro con la storia sugli editori mi hai fatto venire in mente un mio carissimo amico, sempre di Napoli, recentemente scomparso: Sergio Manes. Anche lui era un "compagno editore", anzi, per me era IL "compagno editore": lo ricordo con tantissimo affetto. E capitava anche che fossi in disaccordo con lui, o che lui fosse in disaccordo con me, nelle nostre lunghe telefonate fra Varese e Napoli. Ma trovavamo sempre il modo di proseguire nell'ascoltarci a vicenda. Passavano mesi prima che ci sentissimo nuovamente, così non ho saputo neppure che era morto. Qualche trafiletto è stato tutto quello che ho trovato, non è stata distrazione mia. I "compagni"... a cui aveva dedicato la vita. Voleva pubblicare la mia tesi di dottorato.
Ciao
Paolo
Kazhdaja kuharka dolzhna nauchit'sja upravljat' gosudartsvom! (каждая кухарка должна научиться управлять государством)
"Ogni cuoca deve imparare ad amministrare lo Stato!"
Ma ti dirò di più: con i nostri potenti mezzi abbiamo anche un ritratto della cuoca. Può partire il contributo:
https://medprosvita.com.ua/kuharka-upravlyaet-gosudarstvom-ili-kto-provodit-reformu/
oppure qui:
http://wiki.istmat.info/%D0%BC%D0%B8%D1%84:%D0%BA%D1%83%D1%85%D0%B0%D1%80%D0%BA%D0%B0
A fianco c'è scritto:
Non stare a casa seduta in cucina!
Vai alle elezioni al soviet!
Prima l'operaia stava nell'ombra,
Oggi anche lei decide nel soviet!
Può sembrare strano, Franco, ma tutto è iniziato da lì. Tutto, anche quello di cui dibattiamo. E che trovava una sua concretizzazione circa mezzo secolo più tardi in un film bellissimo, stranamente tradotto in italiano, dal titolo "Mosca non crede alle lacrime" (Moskva slezam ne verit, Москва слезам не верит)
Si trova anche qui: https://ok.ru/video/23391701563
Buona visione, e per il tema e per la simpatica Aleksandra.
Ciao!
Paolo
Touché! Io però non confonderei i mezzi con il fine. Perché i casi sono due: o al socialismo si può pervenire e tale sistema si può mantenere solo massacrando milioni di persone, e allora è un conto, e andiamo avanti a scrivere libri neri, peraltro abbondando di falsi storici per meglio avvalorare la nostra tesi, oppure no, e allora cerchiamo un modo il più possibile incruento di pervenire al socialismo. Dico il più possibile perché quando avrai i contras a bussare alla porta di casa tua ti auguro di aver fatto lo spioncino dove infilare la bocca del mitra e farli fuori tutti (e darti alla macchia), prima di diventare l'ennesimo desaparecido. Il capitalismo non accetta che libere elezioni lo aboliscano. Il problema, però, Mario, non è questo, anche se il tema è interessantissimo e meriterebbe pagine e pagine di interventi su sinistrainrete e non solo. Il problema è che molti compagni, mettiamola così, pensano che il socialismo sia una cosa diversa dalla proprietà sociale dei mezzi di produzione in un'economia di piano. Anzi, a pensarla così siamo un po' pochini. E nessuno si pone neanche più il problema di una transizione al socialismo. Perché chiama socialismo un'altra cosa.
Comunque Eros, abbiamo sbagliato tutto. Hanno ragione i cinesi, lo ammetto! L'anno scorso sono riusciti a creare due nuovi miliardari alla settimana! Due miliardari (due nuovi miliardari cinesi alla settimana (https://www.pwc.com/gx/en/financial-services/Billionaires%20insights/billionaires-insights-2017.pdf)!!! Ora è tutto più chiaro: tra 500 milioni di settimane saranno tutti, anche il contadino tibetano o uighuro, tutti miliardari! Avranno ridotto a un porcile l'intera galassia e in schiavitù il resto dei mondi, perché la terra non è abbastanza per il loro piano, ma sono sulla buona strada. Scusami Mario se mi sono permesso questa battuta pre-timbratura, ma quando leggo certe cose e poi altre da parte di compagni che solo dieci anni fa parlavano da "centri studi di transizione al socialismo" e oggi fanno da megafoni al "Il forte che si mesce col vinto nemico" e, insieme, continuano a schiavizzarci, mi gira la ciribiricoccola.
Ciao!
paolo
come un indirizzo strategico dello sviluppo socialista. Dimenticano quindi che, dopo la fine della NEP,
solo la socializzazione totale dei mezzi di produzione e l'avvio della collettivizzazione nelle campagne hanno reso possibile l'attuazione dei grandi piani quinquennali che hanno consentito all'URSS di superare in breve tempo 150 anni di arretratezza e diventare una delle massime potenze economiche del mondo. Come insegna Lenin e come la storia dimostra, la proprietà privata di qualsiasi mezzo di produzione, indipendentemente dalle sue dimensioni, riproduce “giorno per giorno” il capitalismo e tende a restaurarlo come modo di produzione dominante anche dopo la vittoria politica della rivoluzione, in quanto mantiene le basi materiali per la conservazione della borghesia come classe e lascia intatto il suo potere economico. Inoltre, l'esistenza di un settore privato perpetua l'anarchia della produzione, impedendo e vanificando la pianificazione, in quanto sfugge al
controllo dello Stato. Al contrario, solo la soppressione della proprietà privata e la socializzazione
totale dei mezzi di produzione possono avviare il processo di estinzione delle classi e garantire uno sviluppo economico pianificato e stabile, finalizzato non allo scambio mercantile, ma al soddisfacimento dei bisogni materiali e spirituali dell'uomo. Consentire dopo il XX congresso la nascita di una “seconda economia” privata in URSS ha rappresentato probabilmente la causa principale del dissolvimento, creando con le politiche gorbacioviane danni enormi all'economia socialista, diffondendo la corruzione e favorendo la costituzione di una base sociale antiprolertaria, fino al sovvertimento della società socialista. Non a caso, Stalin, quando ebbe a definire l'uguaglianza, la caratterizzò come l'abolizione della proprietà privata per tutti.
venuti al pettine. Se questa è la situazione, io penso che come in passato i comunisti non hanno mai rinunciato al concetto di democrazia regalandolo ai liberali, così oggi non debbano rinunciare a difendere la sovranità, che significa sostanzialmente "indipendenza" e autodeterminazione del popolo, secondo il dettato costituzionale, altrimenti si farebbe un grazioso regalo alla destra mistificatrice. Oggi la nostra indipendenza-sovranità è vilipesa non solo dalla Nato, ma anche dagli iniqui trattati europei che impongono all'Italia scelte di campo liberiste in contrapposizione netta ai principi della nostra Costituzione. Allora, difendere la sovranità dell'Italia significherebbe colludere con la destra? Non scherziamo! Andiamo a vedere le carte del poker e ci accorgeremo ben presto come gli atteggiamenti gladiatori di Salvini in fatto di sovranità siano una mascheratura maldestra degli interessi di classe che la destra da sempre persegue. Ma per questo non ci si può contapporre aprioristicamente al governo giallo-verde, almeno fintanto che la sinistra imperialista e quella "radicale" non siano state del tutto sradicate dal nostro paese: confondersi con esse sarebbe un errore mortale.
prima di intervenire una comunicazione di servizio: mi rendo conto, leggendo in appendice, che dietro questo lavoro c'è, probabilmente, un lavoro di paziente "sbobinatura" dell'intervento di Ciofi. Tuttavia, cerchiamo di citare sempre le fonti. Mi rendo conto che è un lavoraccio, che spesso basta andare su un motore di ricerca e digitare la frase tra virgolette per trovare tutto il testo, ma farlo prima, questo lavoro, sarebbe di grande aiuto.
Sono d'accordo con Claudio. Leggere questo dibattito, mi ha fatto venire in mente un documentario passato qualche giorno fa a un orario improponibile su Rai Scuola. Parlava del dibattito sulla fisica quantistica di inizio secolo scorso; Bohr, Schrödinger, Heisenberg, fino a Pauli (poi sono crollato, ma probabilmente sarebbe andato avanti ancora). Ricerche sensazionali, in tutti i sensi, un dibattito proficuo, continuo, affascinante fra formulazioni logico-matematiche ed elaborazione di modelli complessi, dimostrazioni sperimentali che confermavano, smentivano, rimettevano in discussione, successive riformulazioni, ecc.: tutto questo nelle università pubbliche. Del resto, a quale multinazionale privata (e ne esistevano, all'epoca, e avevano i loro "centri ricerca") è mai interessato, e mai interesserebbe, riformulare su base quantistica la tavola degli elementi di Mendeleev?
Ecco allora che parliamo di iniziativa individuale, più che privata. Essa non solo non è incompatibile con un'economia sociale dei mezzi di produzione, ma trova in essa un supporto inesistente nel modo capitalistico di produzione, dal momento che può andare avanti, con la ricerca, per "soddisfare immediatamente, ovvero senza alcun passaggio intermedio obbligato, i bisogni sociali", ovvero seguendo quella che, secondo me ancora oggi, si potrebbe definire "legge economica fondamentale" di un modo di produzione, il suo motivo conduttore, la sua tendenza generalizzata e dominante: che non è, certo, la stessa del modo capitalistico di produzione.
Per quanto riguarda Lenin, non dimentichiamoci mai che la NEP fu un mezzo, non un fine. Lenin fu COSTRETTO a cercare un compromesso con il Capitale, nazionale e straniero, perché la guerra mondiale prima e quella civile poi avevano ridotto il Paese allo stremo. E occorrevano soldi, per quanto sporchi, ma subito. Ma che non fosse quello lo sbocco a cui tendesse, E NON SOLO, CHE TEMESSE - E A GIUSTISSIMA RAGIONE! - QUESTA COPRESENZA, appare chiaramente. Per esempio, quando legge la situazione corrente in questi termini:
"Il problema è tutto qui: chi arriverà prima? Se riusciranno i capitalisti a organizzarsi per primi, allora cacceranno i comunisti, e questo sarà la fine di tutto. Bisogna veder queste cose lucidamente: chi avrà il sopravvento su chi? O sarà invece il potere statale proletario, appoggiandosi ai contadini, capace di tenere i signori capitalisti per la cavezza, così come loro conviene, per guidare il capitalismo lungo il solco statale e creare un capitalismo subordinato allo Stato e posto al suo servizio? Bisogna porre lucidamente la questione. " (versione italiana, con alcune correzioni, qui: https://www.marxists.org/italiano/lenin/1921/10/17-nep.htm , originale: Весь вопрос — кто кого опередит? Успеют капиталисты раньше сорганизоваться, — и тогда они коммунистов прогонят, и уж тут никаких разговоров быть не может. Нужно смотреть на эти вещи трезво: кто кого? Или пролетарская государственная власть окажется способной, опираясь на крестьянство, держать господ капиталистов в надлежащей узде, чтобы направлять капитализм по государственному руслу и создать капитализм, подчиненный государству и служащий ему? Нужно ставить этот вопрос трезво. Vladimir Ilic Lenin, La Nuova politica economica e i compiti dei centri di educazione politica - Новая экономическая политика и задачи политпросветов, 17/10/1921, Opere complete (Польное собрание сочинении), Istituto di marxismo leninismo del CC del PCUS, V ed., Mosca, 1970, Vol. 44, p. 161)
La traduzione italiana tradizionale è più "alata" del testo leninistico, molto terreno: il gesto è quello del contadino, che prende il muso della bestia e la costringe sul solco (in attesa di prendere un trattore e risolvere la questione altrimenti...): anche perché il capitalista è una "bestia" strana, non pia come il pio bove, o mansueta come un bel ciuchino. Si riorganizza, e appena alza la testa ti piazza due bei carri armati davanti al parlamento come durante il colpo di stato del 1993 e non esita a prenderti a cannonate e a costringerti alla resa. Da allora furono tutti avvisati. E infatti la Russia oggi è quello che è. Lenin, dopo due anni di guerra contro i "bianchi" e contro l'imperialismo straniero, lo aveva ben presente. Ecco perché egli ha sempre ben chiaro il quesito del Kto pobedit?(Кто победит?), del "Chi vincerà?".
Poi, per carità, quanto scritto può piacere o non piacere, ma l'esperimento sovietico fu quello che fu anche per l'impostazione leninistica data sin da allora.
Un saluto a tutti.
Paolo
Marco Revelli si è sempre schierato a fianco dei "beni comuni" , del "comune" etc.. ( trovi facilmente in rete ) . Ma credo anche Gallino. Questa del Comune , dei beni comuni , non ti pare una prospettiva marxianamente oltre il capitalismo ?
Per quanto riguarda la componente immateriale ( le idee , i progetti etc.. ) come nettamente maggioritaria nella costituzione sia dei costi che del valore di una merce , hai senza dubbio ragione . A patto di considerarne l'obsolescenza che tende , nel tempo , ad abbassarne il valore : obsolescenza che come noto ha meno influenza ( se pure esiste comunque ) sulle componenti materiali della merce , il cui valore è composto in maniera preponderante da lavoro vivo . Da qui l'ineluttabilità del Comune , che oggi è soprattutto ( anche se non solo ovviamente ) una battaglia , appunto , sui brevetti ( Ma anche qui Marx non è mai un ferro vecchio : è grazie alle sue intuizioni sul general intellect nei Grundrisse che possiamo permetterci questi ragionamenti . Certo poi ma Marx va storicizzato ; ci sono , e ci mancherebbe , tanti altri autori etc. Ovvio ) . La difficoltà di comprendere un mondo senza negozietti di vario genere in un sistema sociale oltre capitalista , è comprensibile . Io per prima ne ho difficoltà e Marx non ci ha lasciato “menù per l’osteria dell’avvenire” . Ma , a rigor di logica , in un mondo di abbondanza e non di scarsità , è probabile che ci siano molti negozietti di qualsiasi tipo.. Che poi la motivazione al lavoro ( sociale ) sia l'avidità sembra sia un mito , almeno seguendo Marcel Mauss e tanti altri . Ma il fatto è che la questione non si porrebbe nemmeno in questi termini . In termini marxiani classici , la base materiale necessita di essere sviluppata fino al punto in cui essa possa semplicemente negare la propria brutale e invadente presenza e andarsene via in buon ordine dalla coscienza , come un servo ( non umano ) che soddisfi con discrezione ogni bisogno rimanendo invisibile . La questione è che ad un certo livello la forma merce di questa ricchezza collettiva diventa oggettivamente improduttiva per i bisogni umani : per continuare a perpetuarsi necessita di bolle e crisi , scarsità , mercificazione della natura , alienazione e sacrifici umani . La svolta della dialettica marxiana è che solo materialmente ci libereremo dalla “silenziosa coazione” del materiale .
PS . credo che fra un pò eliminerò questo sito dalla pagina dei preferiti ; nel poco tempo che ho a disposizione credo sia giusto non avere nulla a che fare con la rozza propaganda sovranista e rossobruna ( non mi riferisco a questo articolo in particolare , ma alla maggioranza degli articoli di questo sito , che storpia senza pudore la parola sinistra , si confondono i confini tra destra e sinistra in maniera ormai sistematica ; nei periodi storici di "interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati” . Tra questi sintomi patologici , lo sviluppo del rossobrunismo sovranista è ( a mio avviso , per chi è di Sinistra come me ) il più rozzo e il più pericoloso .
Dunque: può darsi una organizzazione della classe proletaria in ogni circostanza? Certamente che no, essa si dà in circostanze "determinate" e con "caratteristiche specifiche" del contesto. Sicché il Partito - cioè lo strumento di massima espressione dell'organizzazione della classe - avrà le caratteristiche che il contesto richiede. Siamo all'ABC del materialismo storico. O no?
Esiste però - ecco l'obiezione di fondo - la volontà dell'uomo, di quelli che si richiamano alle necessità degli oppressi e degli sfruttati, è vero, ma questi non possono in alcun modo capovolgere la forza delle determinazioni storiche di un movimento generale degli uomini con i mezzi di produzione che hanno generato il modo di produzione capitalistico che vige finché è sorretto dalla forza delle sue energie sintetizzabili in quella doppia espressione di Marx: M D M e D M D' ovvero merce denaro merce e denaro merce denaro aumentato. Si tratta di un rapporto - giustissima definizione - che risponde a leggi oggettive, determinate ma destinate a esaurirsi. Questo è il punto fondamentale. Per il passato si è pensato che la rivoluzione potesse essere l'organizzazione del proletariato in classe e in partito politico potesse abbattere il capitalismo, quasi che si trattasse di un modello di rapporti piuttosto che di un movimento storico. Ci siamo sbagliati disse lo stesso Engels. Il comunismo del passato, che chiamiamo novecentesco, era da un lato l'espressione di una classe , il proletariato che rivendicava quota parte in un processo di accumulazione che cresceva; dall'altro lato è stato un movimento dei paesi oppressi dal colonialismo a prevalenza contadino per entrare a pieno titolo nel movimento generale del movimento storico del modo di produzione capitalistico.
Il comunismo degli anni a venire sorgerà dalle ceneri del moto-modo di produzione attuale e si caratterizzerà non per un diverso rapporto di proprietà con i mezzi di produzione ma come un nuovo rapporto tra gli uomini e i mezzi di produzione.
Quello che in questi anni ci appare come un arretramento rispetto alle conquiste del passato, altro non è che l'interludio tra un movimento generale che si va esaurendo e il nuovo che ancora non può apparire. Ma l'impossibilità di prosecuzione del vecchio ciclo ci fornisce già l'idea della sua decomposizione. Un interludio che - come ogni cosa terrena - non può durare all'infinito. Spiegare le ragioni della crisi del modo di produzione e l'approssimarsi della sua implosione deve costituire il fulcro programmatico del nuovo Partito Comunista Mondiale sapendo che: . «Non c’è nulla di più mutevole della psicologia umana. Soprattutto la psiche delle masse racchiude in sé, come “thàlatta”, il mare eterno, tutte le possibilità allo stato latente: mortale bonaccia e bufera urlante, la più abbietta vigliaccheria ed il più selvaggio eroismo. La massa è sempre quello che deve essere a seconda delle circostanze storiche, ed è sempre sul punto di diventare qualcosa di totalmente diverso da quello che sembra. Bel capitano sarebbe uno che dirigesse il corso della nave solamente in base all’aspetto momentaneo della superficie delle acque e che non sapesse prevedere l’arrivo delle tempeste in base ai segni del cielo e del mare. Bambina mia, essere “delusi dalle masse” è sempre il peggiore attestato delle qualità di un capo politico. Un dirigente in grande stile regola la sua tattica non in base all’umore momentaneo delle masse, ma in base a leggi eterne dello sviluppo, si attiene alla sua tattica a dispetto di qualunque delusione e quanto al resto lascia tranquillamente che la storia porti a maturazione la sua opera» come scriveva Rosa Luxemburg a una sua amica 16 16 gennaio 1917 a poco più di un mese dalla rivoluzione di "febbraio" di quell'anno.
Per concludere: quello che oggi ci appare come nero seppia non è altro che il preludio di nuovi e sconvolgenti rapporti tra gli uomini. Noi ci adoperiamo perché sbocchino nella nostra direzione, ben sapendo che il tutto dipende da molteplici fattori. Facciamo la nostra parte fino in fondo, il resto si vedrà.
Michele Castaldo