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circolointernazionalista 

La rivolta evoluzionista contro l’economia classica

di Henryk Grossmann

Riproponiamo e mettiamo a disposizione del lettore, per il suo interesse, un importante testo dello studioso marxista Henryk Grossmann, pubblicato per la prima volta in inglese sul Journal of Political Economy 51, n. 5 e 6, The University of Chicago Press, 1943. Tradotto in italiano da Nestore Pirillo e pubblicato nel volume di H. Grossmann, Saggi sulla teoria delle crisi, De Donato, Bari, 1975. Trascrizione in PDF di Rostrum e Riddx, dicembre 2020

external c985f64se1. In Francia: Condorcet, Saint-Simon, Simonde de Sismondi

Qualsiasi analisi teorica di un sistema economico contemporaneo deve condurre alla formulazione di un modello con il quale sia possibile valutare il livello di sviluppo esistente. Per avere validità tale modello deve essere elaborato a partire dallo stesso processo di sviluppo e non solo dal livello raggiunto al momento dell'analisi. Sarà quindi utile al teorico contemporaneo guardarsi indietro e vedere in che modo il pensiero dinamico o evolutivo sia effettivamente entrato nel campo della teoria economica. Il problema non è stato presentato in modo adeguato o sufficientemente accurato nella nostra letteratura economica. Così, Richard T. Ely scrive: "Si deve probabilmente a Herbert Spencer più che a chiunque altro se siamo giunti a riconoscere l'applicabilità dell'evoluzione ai vari settori della vita sociale dell'uomo"1. Ma il saggio di Spencer a cui Ely si riferisce non apparve fino al 18572, decenni dopo che altri avevano già utilizzato le nozioni evoluzioniste nelle scienze sociali. John Bagnell Bury, per citare un esempio più recente, ha scritto un intero libro sull'idea di progresso3 senza nemmeno menzionare Sismondi o Richard Jones – i due uomini che per primi elaborarono l'idea della successione storica di stadi economici sempre più avanzati. Nella letteratura economica tedesca il problema o non viene affatto discusso, come nel noto studio di [Karl] Bücher sulla genesi dell'economia politica4, che non menziona feudalesimo o capitalismo neanche una volta, oppure la responsabilità esclusiva di ciò che essi chiamano la "sociologizzazione" dell'economia viene falsamente attribuita a Hegel e alla sua scuola5.

Anche [Edmund] Whittaker, in un recente libro, commette l'errore di sopravvalutare i rappresentanti tedeschi dello storicismo – la scuola storica tedesca e Hegel. Allo stesso tempo, parlando dei francesi e degli inglesi, cita le concezioni economiche di Saint-Simon, Sismondi, James Steuart e Richard Jones, ma non le loro idee sull'evoluzione. Condorcet non è menzionato affatto6.

Lo scopo del presente studio è quello di mostrare il ruolo decisivo degli economisti francesi e inglesi nel gettare le basi delle moderne teorie evoluzionistiche dell'economia, e in particolare del lavoro di Karl Marx. In piena coerenza con la generale trascuratezza riguardo il problema in questione, anche il contributo di Marx alla "sociologizzazione" dell'economia viene ampiamente frainteso. Secondo Sombart, ad esempio, l'importanza di Marx non risiede tanto nel campo della teoria economica quanto in quello della sociologia. “Marx”, scrive Sombart, "applica il pensiero evoluzionista al processo sociale"7. Egli ci fornisce "uno sguardo sul carattere storico dell'economia, sulla sua costante mutevolezza nel corso della storia". Egli ha creato per primo il concetto di sistema economico e ne ha fatto l’oggetto della scienza economica"8. Sombart dà così arbitrariamente credito a Marx per affermazioni che costui non ha mai pronunciato, nascondendo e distorcendo in tal modo l'immagine del vero lavoro di Marx9. Purtroppo, il punto di vista di Sombart ha avuto un'ampia eco, anche negli ambienti socialisti. Eduard Heimann, ad esempio, ripete che il contributo decisivo di Marx allo sviluppo dell'economia, il suo vero "significato copernicano", non risiede in teorie specifiche, come la teoria del plusvalore, la teoria della concentrazione o la teoria della crisi, ma nel suo avere, per la prima volta, "storicizzato" o "sociologizzato" l’economia. È stato Marx, scrive, che "per primo ha concepito [il capitalismo] come un che di storico, e quindi limitato nel tempo, trasformabile e transitorio".

Marx ha potuto avere questa intuizione perché era "l'erede e l'esecutore del pensiero di Hegel" e perché possedeva la "volontà politica" di attaccare la concezione statica del capitalismo10.

Possiamo facilmente disfarci delle presunte basi hegeliane della "storicizzazione" dell'economia. Tutti i grandi teorici dell'Illuminismo francese, ad eccezione di Rousseau, sostenevano la visione filosofica secondo cui la storia era un progresso infinito che segnava il cammino dell'uomo verso la ragione11. Un progresso senza fine implica necessariamente che la realtà esistente, il dato stato delle cose, sarà negato e non continuerà ad esistere all'infinito. Hegel, d'altro canto, pensava che la storia avesse raggiunto il suo obiettivo ai suoi tempi, che l'idea e la realtà avessero trovato il loro terreno comune12. Su questo punto, Marx era più vicino alla tradizione francese che a Hegel.

Nei suoi Lineamenti della filosofia del diritto, Hegel modella la nozione di libertà sulla libera proprietà13. Il processo storico diventa così la glorificazione della storia della classe media; e le Lezioni sulla filosofia della storia di Hegel si concludono con il consolidamento della società della classe media14. Un sistema sociale che non doveva più essere trasceso. Vedremo che la tradizione francese, da Condorcet a Saint-Simon e i suoi discepoli, a Sismondi e Pecqueur, era molto diversa. Per costoro l'idea di un progresso storico governato dalla ragione tendeva a voltare le spalle alle classi dominanti per volgersi alla "grande massa di coloro che vivono del loro lavoro" (Condorcet). Essi si opponevano al sistema sociale oppressivo esistente.

 

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