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Così parlò Saggio Massimo. Cronache marXZiane n. 7

di Giorgio Gattei

Cubo di ZarathustraSul pianeta Marx, questo corpo celeste improvvisamente comparso nella costellazione dell’Economia sul finire del XVIII secolo, è presente una estrema periferia dove non si pagano salari (così si dice, ma non è proprio così come vedremo). Qui abita Saggio Massimo (del profitto) che logicamente consegue, in un sistema di prezzi di produzione, da un Netto Y che si spartisce tra Salario W e Profitto P, con quest’ultimo misurato da un saggio generale del profitto r sul capitale K complessivamente impiegato:

Y = W + P = W + rK

quando il salario W risulta pari a zero:

max r = R = Y / K

(il che sembrerebbe una pacchia per i capitalisti perché i lavoratori non consumano nulla, ma nella condizione di Saggio Massimo tutto il profitto deve essere risparmiato per essere investito in accumulazione, così che nemmeno i capitalisti consumano nulla). Così Saggio Massimo misura quel rapporto tra Netto e Capitale che nella Cronaca marXZiana precedente abbiamo visto coincidere, mediante l’espediente sraffiano del “sistema tipo”, con quel Rapporto-tipo (R = R*) che prescinde dai prezzi e siccome nella periferia di Saggio Massimo il salario è nullo, R* non è influenzato nemmeno dalle variazioni della distribuzione del reddito che non possono esserci.

Si capisce perciò come quel luogo sia il più insolito del pianeta Marx e dove devono valere regole così particolari di funzionamento che quando Piero Sraffa nella sua esplorazione del pianeta ha incontrato Saggio Massimo, ha voluto farsele spiegare in un colloquio personale.

Anch’io, tempo dopo, ho potuto parlare con Saggio Massimo (come raccontato in una Cronaca precedente), ma con me lui è stato molto reticente nel dire, lamentandosi soltanto del vizio d’indeterminazione che lo affligge perché stretto tra una “composizione del capitale” (q = K/L) e una “produttività del lavoro” (m = Y/L) che sono entrambe a crescere, così che da:

R = Y / K = Y/ L . L / K = m / q

lui resta incerto sul suo destino finale. Con Sraffa Saggio Massimo è stato invece assai più esplicito rivelandogli il segreto del “salario di sovrappiù” e delle “merci non base”, che sono le due principali anomalie di quella periferia. Avendo adesso recuperato la registrazione sonora di quel loro straordinario colloquio (con Saggio Massimo che parla come un fiume in piena, mentre Sraffa diligentemente prende appunti), qui la trascrivo, mentre l’immagine che ho messo in copertina è quella del luogo dell’incontro tra i due: davanti al “cubo di Zoroastro” (Ka’ba-ye Zartosht) in località Naqsh-e Rostam, con la massa rocciosa lavorata che incombe sullo sfondo che è la forma materiale che Saggio Massimo si è dato per manifestarsi davanti a Sraffa.

Piero Sraffa: Ma non è un’assurdità che non si paghino salari a lavoratori che pure producono le merci?

Saggio Massimo: Infatti non è così. Si tratta di un equivoco, come quello per cui da me il salario sarebbe pagato post factum, ossia «dopo il raccolto», e non invece ex ante, cioè “prima della semina” come secondo la tradizione astronomica classica. Ma qui si confonde il momento del pagamento del salario monetario, che avviene necessariamente prima della produzione (altrimenti chi semina?) con la sua spesa sul mercato delle merci, che potrà esserci soltanto dopo che la produzione è avvenuta e secondo i prezzi a cui esse verranno vendute, così che i salariati ne potranno acquistare di più o di meno a seconda di quei prezzi. Il “potere d’acquisto” di un salario monetario anticipato è perciò valutabile soltanto ex post, come già Marx aveva notato: «la classe capitalista dà costantemente alla classe operaia, in forma di denaro, assegni su una parte dei prodotti che questa avrà prodotto… e l’operaio restituisce costantemente questi assegni alla classe capitalistica sottraendole la parte del proprio prodotto che spetta a lui».

Però i lavoratori potranno trarre le merci che si riprendono spendendo in salario monetario traendole dal Prodotto Lordo oppure dal Prodotto Netto, che sono due modalità che vanno tenute distinte. Nel primo caso siamo di fronte a quel salario di necessità che si deve pagare per mantenere i lavoratori al lavoro nella quantità imposta dal rapporto tecnologico K/L in uso ed è per questo esso che non potrà mai essere nullo altrimenti non sopraviverebbero (perfino nei campi di lavoro forzato – a differenza dei campi di sterminio dove sopravvivenza non c’è – i detenuti devono essere alimentati per continuare a servire!). Questo “salario di necessità” è perciò un ammontare di moneta che si deve convertire in una quantità/qualità di merci che esogenamente è data, ma non tanto in un senso fisiologico prestabilito (checché ciò voglia dire), bensì in una forma storicamente determinata che, dopo essere stata adottata in un certo luogo per un certo tempo, si fa abituale e inderogabile fino a diventare, come peraltro aveva compreso il solito Marx, «una “seconda natura”».

Immagina un Prodotto lordo X al suo prezzo in moneta che viene ricavato dall’impiego di beni-capitali K calcolati anche loro in moneta e con la quantità necessaria di lavoro L pagata ad un salario monetario unitario w che si suppone identico perché tutti i lavori si considerano di qualità uniforme. Se l’economia è “vitale”, al termine del processo di produzione nel prezzo monetario del Prodotto Lordo, oltre al recupero dei costi di produzione sopportati, sarà presente pure un Netto in moneta Y:

X = (K + Lw) + Y

dove Lw è quel il “salario di necessità” di cui finora ho parlato. Ma immagina ora che, per una particolare congiuntura economica favorevole, i lavoratori arrivino a farsi pagare un salario monetario superiore a quello necessario:

W > Lw

così che, spendendolo, possano acquistare delle merci aggiuntive che potranno trarre soltanto dal Prodotto netto. E’ questo il salario di sovrappiù che partecipa, in competizione col profitto dei capitalisti, alla spartizione del valore del Netto:

Y = P + W

che era stata una possibilità già prevista dall’astronomo “classico” David Ricardo nei suoi Principi di celeste economia di cui tu hai curato l’edizione definitiva.

P.S. Ricordo il passo a memoria. Sta nel capitolo sul “Reddito Lordo e reddito netto” e dice che «al lavoratore, con il nome di salario, può essere assegnato più di quanto è assolutamente necessario per le spese di sussistenza. In tal caso una parte del prodotto netto del paese è ricevuta dal lavoratore e può essere da lui risparmiata o spesa, o può servire a mettere il lavoratore in condizioni di contribuire alla difesa del paese».

S.M. Strano paese il vostro che paga di più i salariati solo per mandarli ad ammazzare o a farsi ammazzare! Comunque, adesso che sai delle due modalità salariali scrivi che ti detto: «abbiamo inizialmente supposto che il salario consista di quanto è necessario per la sussistenza dei lavoratori ed entri quindi a far parte del sistema sulla stessa base del combustibile per le macchine o del foraggio per il bestiame. Dobbiamo però anche prendere in considerazione l’altro aspetto del salario, poiché, oltre all’elemento di sussistenza, che non può mancare, è possibile che esso comprenda anche una parte del sovrappiù prodotto. In vista di questo duplice carattere sarebbe opportuno quando veniamo ad esaminare la ripartizione del sovrappiù fra capitalisti e lavoratori, tenere distinte le due parti che compongono il salario e considerare come variabile soltanto la parte di sovrappiù, mentre i beni necessari per la sussistenza dei lavoratori continuerebbero a figurare, insieme con il combustibile ecc. fra i mezzi di produzione».

Considera poi che l’ammontare di un “salario di sovrappiù” dipende dalla forza contrattuale dei lavoratori rispetto alla controparte padronale, così che ogni volta che esso si presenta a scapito del profitto, entreranno in azione dei meccanismi di recupero del profitto che potranno essere sia demografici (come l’aumento naturale della popolazione o l’immigrazione) che tecnologici (come la “sostituzione di macchine a lavoro” così da dar luogo a quell’“esercito industriale di riserva” di cui Marx ha detto), ma anche di carattere monetario con l’aumento del tasso d’interesse da parte della Banca centrale per costringere i lavoratori a rinunciare alle loro pretese salariali se vogliono conservare quell’ammontare di profitto investibile da cui dipende il livello dell’occupazione (che poi quel profitto non venga investito è questione che qui non è consentita: se hai del profitto lo investi e basta).

P.S. Ma questo già lo sapevo. Anche da noi è successo che ad una certa stagione di “alti salari”, introdotta per dare sbocco ad una maggiore offerta di merci provocata dalla innovazione tecnologica del lavoro “alla catena di montaggio” e che il mio collega Nicholas Kaldor aveva entusiasticamente considerato un «più lieto stadio del capitalismo» a carattere permanente, ha poi fatto seguito una stagione di “alto prezzo del denaro” che ha costretto ad una Grande Moderazione Salariale che dura tuttora, col bel risultato che il salario perduto dai lavoratori non è andato a profitto dei capitalisti industriali, bensì ad interesse nelle tasche degli speculatori finanziari!

S.M. Ma è ovvio che dovesse andare a finire così quando l’autorità monetaria «è ricattata da una banda di malfattori o da un gruppo di finanzieri ribaldi» (ho citato da un tuo scritto giovanile, caro Piero!). Comunque, adesso sai perché i beni-salario acquistati dai lavoratori con il “salario monetario di necessità”, oltre ad essere storicamente determinati, devono pur essere inderogabili se si vuole ottenere il risultato della produzione, mentre quelli derivanti dalla spesa del “salario monetario di sovrappiù” saranno invece occasionali e variabili. Giusta quindi la mia definizione di Saggio Massimo è il secondo tipo di salario che qui non può esistere, così che i lavoratori non possono partecipano alla spartizione di un Netto che finisce interamente a profitto:

Y = X – (K + Lw) = P

Per questo a me non servono né immigrati né Banche centrali per tenere a bada qualcosa, come il salario di sovrappiù, che non c’è. Però, come vedi dalla formula sopra scritta, il “salario di necessità” viene pagato eccome, altrimenti chi lavora? Per questo è falso dire che Saggio Massimo non paga il salario (e Marx ha sbagliato a dire che da me i lavoratori dovrebbero «vivere d’aria»), quando è solo il “salario di sovrappiù” che io non pago!

P.S. Però come si possono distinguere i beni-salario acquistati dal “salario di necessità” da quelli comperati col “salario di sovrappiù”, soprattutto se partecipano della medesima composizione merceologica come il pane quotidiano necessario da quello eventualmente eccedente? Semplicemente non si può e per questo nella relazione di viaggio che pubblicherò intendo considerare l’intero salario come variabile, facendolo così partecipare alla spartizione del Netto:

Y = (X – K) = P + W

S.M. E così fai male, perché ti scompare la specificità delle merci acquistate dal “salario di necessità” che per loro natura sono “merci base”, mentre così (guardati la formula) non figurano più tra i costi di produzione sul lato sinistro della equazione (tra gli input, per intenderci), bensì a destra tra gli output, finendo perciò «relegate nel limbo dei prodotti “non-base”» (e scrivi proprio così).

P.S. Ho scritto. Ma “merci base” e “non-base”: che novità è mai questa?

S.M. Ti devo proprio insegnare tutto? Le “merci base” sono quelle merci che entrano, direttamente o indirettamente, nella produzione di tutte le altre (il caso tipico è quello del grano che, quale mezzo di sussistenza dei salariati sotto forma del pane quotidiano, entra nella produzione di ogni merce che derivi dal lavoro, mentre le “merci non-base” sono quelle che, pur essendo prodotte, non servono alla produzione delle altre. Hai in mente lo slogan femminista “il pane, ma anche le rose”? Ebbene le due merci non sono equivalenti, con il pane che è “base” perché, se mancano le rose comunque si mangia, mentre le rose sono “non-base” perché se non c’è il pane, anche se ci sono le rose, non si vive. Ma ciò che più preme è di farti notare la «funzione puramente passiva» (hai scritto?) che le “merci non base” giocano nella determinazione del saggio del profitto e che le cose stiano così lo puoi verificare (ti ridetto) «eliminando dal sistema l’equazione che rappresenta la produzione di una merce non-base. Poiché allo stesso tempo viene eliminata una incognita (il prezzo di quella merce) che appare solo in quella equazione, le rimanenti equazioni continuano a formare un sistema determinato che sarà soddisfatto dalle soluzioni del sistema maggiore». Ti può far comodo un esempietto algebrico? Si producano due merci: 1 = “base” e 2 = “non base”, dove a11 e a12 sono i coefficienti d’impiego della “merce base” nella due produzioni. Calcola i prezzi p1 e p2 delle merci prodotte maggiorati del Saggio Massimo del profitto prendendo a numerario il prezzo della merce base (p1 = 1 e p2 = p) e avrai:

1 = (1 + R) a11

p = (1+ R) a12

Ora dalla prima equazione puoi calcolare direttamente il coefficiente di profitto:

(1 + R) = 1/a11

senza che ti servano le condizioni tecniche di produzione della merce non-base, mentre la seconda equazione vale soltanto per fissare il prezzo della merce “non base” (p = a12/a11) che garantisce che ci sia lo stesso Saggio Massimo in entrambe le produzioni.

P.S. Però già me lo vedo chi obietterà che le “merci non base” potranno avere «un significato logico ma non economico», dato che nella determinazione del saggio del profitto, Saggio Massimo compreso, dovranno pure entrare tutte le merci prodotte, nessuna esclusa. Era questa la critica già mossa da Marx alla pretesa di Ricardo che le “merci di lusso”, in quanto «consumate esclusivamente dai ricchi», se cambiano nella tecnica di produzione non producono «nessuna modificazione nel saggio del profitto»: «siccome, all’infuori di un aumento nei salari, nulla può influire sui profitti, le sete e i velluti non sono consumati dai lavoratori e perciò non possono aumentare i salari». Però è stato poi confermato che Ricardo aveva ragione se si allarga la definizione delle “merci di lusso” a tutte quelle che «non entrano, direttamente o indirettamente, nella produzione dei beni-salario».

S.M. Vedi che vi stavate avvicinando alla mia definizione di merci “non base”? Che se poi prendi tutto il salario come variabile, anche i beni-salario “di necessità” finiscono tra le merci “non base” dove già stanno i beni di lusso, così che sono tutti i beni di consumo, chiunque li consumi, a diventre “merci non base” in quanto (scrivi la mia ultima definizione) «non sono usate né come strumenti di produzione né come mezzi di sussistenza, direttamente o indirettamente, per la produzione delle altre merci».

P.S. Ma quale sarebbe la convenienza a sottrarre tutti i beni di consumo dal novero delle merci base?

S.M. Non la capisci? La convenienza sta nel fatto che la loro presenza non influenza il saggio del profitto, Saggio Massimo compreso. Introduci l’accumulazione del profitto realizzato in moneta, che da me coincide con l’intero valore del Netto:

Y = dK

Dove lo puoi investire? Se lo metti tutto a produzione delle “merci base”, a parità di Netto (e non criticare che è la regola del ceteris paribus che tanto piace agli economisti) ne conseguirebbe un calo di Saggio Massimo:

R’ = Y / (K + dK) < R

mentre se lo investi tutto in “merci non base” non ci sarebbe modifica al Saggio Massimo, che rimarrebbe determinato dal solo investimento nella produzione delle “merci base” che non sarebbero cambiate d’ammontare. Insomma, l’investimento in “merci non base” salva (in prima battuta, perché alla lunga ci saranno conseguenze sulla crescita) Saggio Massimo da una sua eventuale “legge di caduta” per logica d’accumulazione. E ti pare poco?

P.S. Ma quante mai saranno queste “merci non base”?

S.M. Più di quelle che t’immagini. E bisognerebbe innanzi tutto farne una casistica completa, dato che ci sono merci non base che, pur prodotte, non sono usate nella produzione delle altre (ti farei il caso esagerato degli “elefanti bianchi”, oggetto di prestigio regale per i sovrani del Siam, ma vedo che arricci il naso e allora ti propongo le “uova di struzzo”), ma pure merci non base che, pur trovandosi fra i mezzi di produzione, non sono prodotte sia per ragioni fisiche, come le risorse energetiche non rinnovabili, che economiche, come le macchine obsolete (i cosiddetti “fossili tecnologici”).

P.S. Bene, allora procediamo… (ma qui, purtroppo, la registrazione si interrompe).


(A seguire: Pane e tulipani, ovvero ciò che Sraffa non scrisse).

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