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antropocene

Quello che anche un bambino dovrebbe sapere sulla teoria del valore di Marx

di Michael A. Lebowitz

MR set23.jpgLa legge del valore funziona in modi misteriosi. Per alcuni marxisti, essa è alla base di tutto ciò che dobbiamo sapere sul capitalismo.[1] Ma, così come Karl Marx affermava di non essere marxista, allo stesso modo avrebbe potuto dire: «Questa non è la mia legge del valore».

 

È tutta una questione di allocazione* del lavoro

«Che sospendendo il lavoro, non dico per un anno, ma solo per un paio di settimane, ogni nazione creperebbe, è una cosa che ogni bambino sa. E ogni bambino sa pure che le quantità di prodotti, corrispondenti ai diversi bisogni, richiedono quantità diverse, e quantitativamente definite, del lavoro sociale complessivo». Karl Marx [2]

Ogni bambino ai tempi di Marx potrebbe aver sentito parlare di Robinson Crusoe. Quel bambino potrebbe aver sentito dire che sulla sua isola Robinson doveva lavorare per non morire, che aveva «bisogni [di vario genere] da soddisfare». A tal fine, Robinson doveva «compiere lavori utili di vario genere»: costruiva mezzi di produzione (utensili), cacciava e pescava per il consumo immediato. Si trattava di funzioni diverse, ma tutte erano soltanto «modi differenti di lavoro umano», il suo lavoro. Dall'esperienza, sviluppò la Regola di Robinson: «Proprio la necessità lo costringe a dividere esattamente il proprio tempo fra le sue differenti funzioni». In questo modo, imparò che la quantità di tempo dedicata a ciascuna attività dipendeva dalla sua difficoltà, cioè dalla quantità di lavoro necessaria per ottenere l'effetto desiderato. Date le sue esigenze, imparò come allocare il suo lavoro per sopravvivere.[3]

Come per Crusoe, così per la società. Ogni società deve allocare il proprio lavoro aggregato in modo da ottenere le quantità di prodotti corrispondenti alle diverse quantità di bisogni. Come commentava Marx, «in quanto la società vuole che i suoi bisogni siano soddisfatti ed a tal fine richiede la produzione di un determinato articolo, essa necessariamente deve pagarlo... [lo] compera mediante una quantità determinata di tempo di lavoro, di cui essa può disporre».[4] Deve allocare quantità di lavoro «diverse e quantitativamente determinate» alla produzione di beni e servizi per il consumo diretto (II Sfera) e una quantità di lavoro altrettanto determinata per la produzione e la riproduzione dei mezzi di produzione (I Sfera).

Per garantire la riproduzione di una determinata società, deve essere disponibile una quantità di lavoro sufficiente per la riproduzione dei produttori – sia direttamente che indirettamente (ad esempio, rispettivamente nelle Sfere II e I) – in base al livello esistente di bisogni e alla produttività del lavoro. Ciò include non solo il lavoro nei luoghi di lavoro organizzati, che producono particolari prodotti e servizi materiali, ma anche il lavoro necessario assegnato alla casa e alla comunità e ai luoghi in cui vengono curate l'istruzione e la salute dei lavoratori. Ogni società, inoltre, deve allocare il lavoro a quello che possiamo chiamare III Sfera, un settore che produce strumenti di regolazione e che può contenere istituzioni come la polizia, l'autorità legale, l'apparato ideologico e culturale, e così via.

Oltre al lavoro necessario per mantenere i produttori, in ogni società di classe una quantità di lavoro sociale è necessaria per riprodurre coloro che governano. Pertanto, il processo di riproduzione richiede l'allocazione del lavoro non solo per la produzione di articoli di consumo, mezzi di produzione e mezzi particolari di regolazione, ma, in ultima analisi, per la produzione e la riproduzione dei rapporti di produzione stessi.

 

Riproduzione di una società socialista

Consideriamo una società socialista: «un'associazione di uomini liberi che lavorino con mezzi di produzione comuni e spendano coscientemente le loro molte forze-lavoro individuali come una sola forza-lavoro sociale».[5] Avendo identificato le diverse quantità di bisogni che desidera soddisfare, questa società di produttori associati alloca il proprio lavoro, diverso e quantitativamente determinato, attraverso un processo consapevole di pianificazione. A questo proposito, segue la Regola di Robinson: ripartisce il suo lavoro aggregato «secondo un piano [che] regola l’esatta proporzione delle differenti funzioni lavorative con i differenti bisogni» sociali.[6]

La premessa di questo processo di pianificazione è un particolare insieme di relazioni in cui i produttori associati riconoscono la loro interdipendenza e su questa base si impegnano nell'attività produttiva. «Come base della produzione si presuppone una produzione comunitaria, la comunanza della produzione». La trasparenza e la solidarietà tra i produttori, in breve, sono alla base dell'«organizzazione del lavoro» nella società socialista, con il risultato che le attività produttive sono consapevolmente «determinate da bisogni e da scopi comuni».[7] La riproduzione della società, in questo caso, «diventa produzione da parte di [produttori] liberamente associati e si trova sotto il loro controllo consapevole e pianificato».[8]

Per identificare i loro bisogni e la loro capacità di soddisfarli, i produttori cominciano dalle istituzioni più vicine a loro: i consigli comunali, che identificano i cambiamenti nei bisogni espressi dagli individui e dalle comunità, e i consigli dei lavoratori, dove i lavoratori esplorano il potenziale per soddisfare i bisogni locali. Questi bisogni e capacità vengono trasmessi a organismi più grandi e infine consolidati a livello di società nel suo complesso, dove è necessario operare scelte a livello sociale. Sulla base di queste decisioni (che vengono discusse dai produttori associati a tutti i livelli della società), la società socialista alloca direttamente il proprio lavoro in base ai propri bisogni, sia per la soddisfazione immediata che per quella futura.

Alla base di questo processo c'è «il bisogno di sviluppo dell'operaio stesso», «l'assoluto sfruttamento delle sue potenzialità creative», «lo sviluppo completo dell'individuo» – lo sviluppo di ciò che Marx chiamava esseri umani «ricchi».[9] Questo obiettivo è inteso come indivisibile: non è compatibile con disparità significative tra i membri della società. Nelle parole del Manifesto del Partito comunista, «il libero sviluppo di ciascuno è condizione per il libero sviluppo di tutti».[10] Di conseguenza, data la premessa della comunanza e della solidarietà, questa società socialista alloca il proprio lavoro per eliminare i deficit ereditati dalle formazioni sociali precedenti. La società socialista, in breve, è «fondata sullo sviluppo universale degli individui e sulla subordinazione della loro produttività collettiva, sociale, quale loro patrimonio sociale».[11]

La pianificazione consapevole – una mano visibile, una mano collettiva – è la condizione per costruire una società socialista. Questo processo, tuttavia, non si limita a produrre il cosiddetto piano giusto. È importante che produca e riproduca anche i produttori stessi e le relazioni tra di loro. Ciò che Marx chiamava «pratica rivoluzionaria» («il cambiamento simultaneo delle circostanze e dell'attività umana o l'autocambiamento») è centrale. Ogni attività umana produce due prodotti: il cambiamento delle circostanze e il cambiamento degli attori stessi. Nel caso particolare delle istituzioni socialiste, il tempo di lavoro speso in riunioni per sviluppare decisioni collettive non solo produce soluzioni che attingono alle conoscenze di tutti gli interessati, ma è anche un investimento che sviluppa le capacità di tutti coloro che prendono tali decisioni. Costruisce solidarietà a livello locale, nazionale e internazionale. Queste istituzioni e pratiche, in breve, sono al centro della regolamentazione dei produttori stessi (attività della III Sfera). Sono essenziali per la riproduzione della società socialista.[12]

 

Riproduzione di una società caratterizzata dalla produzione di merci

Ma che dire di una società non caratterizzata dalla comunanza, una società segnata invece da attori separati e autonomi? La premessa essenziale di una società di questo tipo è la separazione dei produttori indipendenti.[13] Piuttosto che una comunità di produttori, c'è un insieme di proprietari autonomi che dipendono, per la soddisfazione dei loro bisogni, dall'attività produttiva di altri proprietari. La «dipendenza reciproca dei produttori» esiste, ma si tratta di una «connessione di individui reciprocamente indifferenti». Infatti, «la [loro] unità e integrazione reciproca esiste, per così dire, come un rapporto naturale esterno agli individui, indipendentemente da loro». Tuttavia, se questi «individui indifferenti tra loro» non comprendono la loro connessione, come fa questa società ad allocare le sue «diverse e quantitativamente determinate quantità di lavoro aggregato della società» per soddisfare le sue «diverse quantità di bisogni»?[14]

Ovviamente, una società di questo tipo non utilizza la Regola di Robinson: non può allocare direttamente il suo lavoro aggregato in accordo con la distribuzione dei suoi bisogni. «È solo quando la società controlla efficacemente la produzione, regolandola in anticipo,», sottolinea Marx, «che essa crea il legame fra la misura del tempo di lavoro sociale dedicato alla produzione di un articolo determinato e l’estensione del bisogno sociale che tale articolo deve soddisfare».[15] Sebbene l'applicazione della Regola di Robinson non sia possibile, la sua funzione rimane. Come commenta Marx, in quelle relazioni semplici e trasparenti delineate per Robinson Crusoe «vi sono contenute tutte le determinanti essenziali del valore».[16] In particolare, rimane la «necessità della distribuzione del lavoro sociale in proporzioni specifiche».

La legge necessaria dell'allocazione proporzionale del lavoro aggregato, insisteva Marx, «non è certo abolita dalla forma specifica della produzione sociale». Cambia solo la forma di questa legge. Come scrisse Marx a Ludwig Kugelmann, «ciò che può mutare in condizioni storiche diverse non è che la forma con cui quelle leggi si impongono». Nella società produttrice di merci, la forma assunta da questa legge necessaria è la legge del valore. «La forma in cui questa distribuzione proporzionale del lavoro si afferma, in una data situazione sociale nella quale la connessione del lavoro sociale si fa valere come scambio privato dei prodotti individuali del lavoro, è appunto il valore di scambio di questi prodotti».[17]

Poiché l'allocazione del lavoro sociale incorporato nelle merci è «mediata attraverso l'acquisto e la vendita dei prodotti dei diversi rami dell'industria» (piuttosto che attraverso un «controllo genuino e preventivo» da parte della società), tuttavia, l'effetto immediato del mercato è un «modello disordinato di distribuzione dei produttori e dei loro mezzi di produzione».[18] Tuttavia, questo apparente caos mette in moto un processo attraverso il quale la necessaria allocazione del lavoro tenderà a emergere. Nella semplice produzione di beni, alcuni produttori riceveranno un reddito ben superiore al costo di produzione, mentre altri riceveranno un reddito ben inferiore. Supponendo che sia possibile, i produttori sposteranno la loro attività, cioè mostreranno una tendenza all'entrata e all'uscita. Di conseguenza, tenderebbe ad emergere un equilibrio in cui non c'è più motivo di muoversi per i singoli produttori di beni. Attraverso tali movimenti, i vari tipi di lavoro «vengono continuamente ridotti alle proporzioni quantitative in cui la società li richiede».

In breve, sebbene «il gioco del capriccio e del caso» significhi che l'allocazione del lavoro non corrisponde immediatamente alla distribuzione dei bisogni espressa dagli acquisti di merci, «le differenti sfere della produzione cercano costantemente di mettersi in equilibrio».[19] Attraverso la legge del valore, il lavoro viene allocato nelle proporzioni necessarie nella società produttrice di merci. «Così come p. es. trionfa con la forza, la legge della gravità», vediamo che «nei rapporti di scambio dei loro prodotti, casuali e sempre oscillanti, trionfa con la forza, come legge naturale regolatrice, il tempo di lavoro socialmente necessario per la loro produzione».[20] C'è una «tendenza costante da parte delle varie sfere di produzione verso l'equilibrio» proprio perché «la legge del valore delle merci determina in ultima istanza quanta parte del suo tempo di lavoro disponibile la società può impiegare per ogni tipo di merce».[21]

È possibile raggiungere nella realtà l'equilibrio in cui il lavoro viene allocato per soddisfare i bisogni della società? Se pensiamo a una società caratterizzata dalla semplice produzione di merci, l'equilibrio si verifica quando tutti i produttori di merci ricevono l'equivalente del lavoro contenuto nelle loro merci. In realtà, tuttavia, esistono notevoli barriere all'uscita e all'entrata: le particolari competenze e capacità possedute dai singoli produttori non saranno facilmente trasferite alla produzione di merci diverse. In effetti, questo processo potrebbe richiedere una generazione, nel qual caso i produttori di alcuni settori appariranno privilegiati per lunghi periodi.

Nel caso della produzione capitalistica di merci – oggetto del Capitale – il singolo capitalista «obbedisce alla legge immanente, e quindi all'imperativo morale, del capitale di produrre quanto più plusvalore possibile».[22] Di conseguenza, si verifica una «distribuzione proporzionale del capitale sociale totale, in continuo cambiamento, reso possibile dalla immigrazione o dalla emigrazione di capitale rispetto alle particolari sfere di produzione».[23] L'equilibrio si verifica quando tutti i produttori ottengono un uguale tasso di profitto sul loro capitale avanzato per i mezzi di produzione e la forza lavoro. Questa tendenza «ha l'effetto di distribuire la massa totale del tempo di lavoro sociale tra le varie sfere di produzione secondo il bisogno sociale».[24] Tuttavia, anche in questo caso c'è un ostacolo alla realizzazione dell'equilibrio: l'esistenza di un capitale fisso incorporato in particolari sfere non consente una facile uscita ed entrata.

Tuttavia, per Marx, la legge del valore (il processo attraverso il quale il lavoro viene allocato nelle proporzioni necessarie nel capitalismo) funziona in modo più fluido man mano che il capitalismo si sviluppa. Il «libero movimento del capitale tra queste diverse sfere di produzione come tanti campi di investimento disponibili» ha come condizione lo sviluppo del sistema creditizio e bancario. Solo come capitale monetario il capitale «possiede la forma in cui viene distribuito come elemento comune tra queste diverse sfere, tra la classe capitalista, a prescindere dalla sua applicazione particolare, in base alle esigenze di produzione di ciascuna sfera particolare».[25] Nella sua forma monetaria, il capitale è astratto da impieghi particolari. Solo nel capitale monetario, nel mercato monetario, scompaiono tutte le distinzioni relative alla qualità del capitale: «Tutte le forme particolari del capitale, derivanti dal suo investimento in particolari sfere di produzione o di circolazione, sono qui cancellate. Esso esiste qui nella forma indifferenziata, autoidentica, di valore indipendente, del denaro».[26]

L'equiparazione dei tassi di profitto «presuppone lo sviluppo del sistema creditizio, che concentra insieme la massa inorganica del capitale sociale disponibile nei confronti del singolo capitalista».[27] Cioè, presuppone il dominio del capitale finanziario: i banchieri «diventano i gestori generali del capitale monetario», che ora appare come «una massa concentrata e organizzata, posta sotto il controllo dei banchieri in quanto rappresentanti del capitale sociale in modo del tutto diverso dalla produzione reale».[28]

 

L'autocritica di Marx

Non c'è modo migliore per comprendere la teoria del valore di Marx che vedere come egli rispose ai critici del Capitale. Rispetto a una particolare recensione, Marx commentò a Kugelmann nel luglio 1868 che la necessità di dimostrare la legge del valore rivela la «più completa ignoranza, sia della cosa di cui si tratta, sia del metodo della scienza». Ogni bambino, continuava Marx, sa che «le quantità di prodotti, corrispondenti ai diversi bisogni, richiedono quantità diverse, e quantitativamente definite, del lavoro sociale complessivo». Come può il critico non vedere che «questa necessità della distribuzione del lavoro sociale in proporzioni definite, non è affatto annullata dalla forma definita della produzione sociale, [ma solo può cambiare il suo modo di apparire], è SELF-EVIDENT!»[29] Analogamente, rispondendo all'obiezione di Eugen Dühring alla sua discussione sul valore, Marx scrisse a Friedrich Engels nel gennaio del 1868 che «in realtà, nessuna forma di società può impedire che il tempo di lavoro a disposizione della società regoli la produzione in UN MODO O IN UN ALTRO».[30] Questo era il punto: in una società produttrice di merci, in quale altro modo il lavoro potrebbe essere allocato – se non dal mercato!

Sebbene su tale punto Marx fosse più chiaro in queste lettere che nel Capitale, nella sua critica all'economia politica classica era trasparente sul valore e sul denaro. A differenza degli economisti volgari, che non andavano al di sotto della superficie, gli economisti classici (a loro merito) avevano cercato di «cogliere la connessione interna in contrasto con la molteplicità delle forme esteriori».[31] Gli economisti classici cominciarono spiegando il valore relativo con la quantità di tempo-lavoro, ma «non si posero mai una volta la domanda perché questo contenuto abbia assunto quella particolare forma, cioè perché il lavoro sia espresso in valore e perché la misura del lavoro in base alla sua durata sia espressa nel valore del prodotto».[32] La loro analisi, in breve, partiva dal centro.

Questo approccio classico caratterizzava il pensiero iniziale di Marx. È importante riconoscere che la critica di Marx era un'autocritica, una critica di opinioni che lui stesso aveva accettato in precedenza. Nel 1847, Marx dichiarò che «la teoria dei valori di David Ricardo è l'interpretazione scientifica della vita economica reale».[33] Nei Principi di economia politica e dell’imposta, Ricardo aveva sostenuto che «il valore di una merce... dipende dalla quantità relativa di lavoro necessaria per la sua produzione». Con ciò intendeva «non solo il lavoro applicato immediatamente alle merci», ma anche il lavoro «impiegato per gli attrezzi, gli strumenti e gli edifici con cui tale lavoro è svolto». Di conseguenza, i valori relativi delle diverse merci erano determinati dalla «quantità totale di lavoro necessaria per produrle e metterle sul mercato». Questa era «la regola che determina le rispettive quantità di merci che devono essere date in cambio l'una dell'altra».[34]

Nei suoi primi lavori, Marx seguì Ricardo. «Le oscillazioni della domanda e della disponibilità», scrive Marx in Lavoro salariato e capitale, «riconducono sempre il prezzo di una merce ai costi di produzione» (cioè al suo «prezzo naturale»). Questa era la teoria del valore di Ricardo: «La determinazione del prezzo secondo i costi di produzione è uguale alla determinazione del prezzo sulla base della durata del lavoro che si richiede per la produzione di una merce». Inoltre, questa regola si applicava anche alla determinazione dei salari, che erano «determinati dai costi di produzione, dal tempo di lavoro che si richiede per produrre questa merce, il lavoro».[35] Lo stesso punto fu espresso nel Manifesto del Partito comunista del 1848: «il prezzo di una merce, quindi anche quello del lavoro, è uguale ai suoi costi di produzione».[36]

Negli anni ‘50 del XIX secolo, tuttavia, Marx iniziò a sviluppare una nuova concezione. Nei quaderni scritti nel 1857-58, che costituiscono i Grundrisse, inizia la sua critica dell'economia politica classica. Marx concluse i Grundrisse annunciando che il punto di partenza dell'analisi non doveva essere il valore (come aveva iniziato Ricardo), ma la merce, che «appare come unità di due determinazioni» – il valore d'uso e il valore di scambio.[37] La merce e, in particolare, il suo carattere bifronte è il punto di partenza della sua critica e il modo in cui inizia sia Per la critica dell'economia politica (1859) sia Il Capitale.[38]

 

I migliori punti del Capitale

La legge del valore come «legge regolatrice della natura» non era uno dei punti migliori del Capitale , né uno degli «elementi fondamentalmente nuovi del libro». Dopotutto, se la legge del valore è la tendenza dei prezzi di mercato ad avvicinarsi all’equilibrio, allo stesso modo in cui «si afferma la legge di gravità», allora questa «legge regolatrice della natura» era già presente in Ricardo.

Piuttosto, ciò che Marx sosteneva nel Capitale è che l’economia politica classica non comprendeva il valore. «Per quanto riguarda il valore in generale, l’economia politica classica non distingue esplicitamente in nessun luogo, in modo esplicito e chiaramente consapevole, tra il lavoro che appare nel valore di un prodotto, e lo stesso lavoro che appare nel valore d’uso del prodotto».[39] Ma questa distinzione, dichiarò Marx a Engels nell’agosto 1867, è «fondamentale per ogni comprensione dei FATTI!» Questo «duplice carattere del lavoro», egli indicava, è uno dei «punti migliori del mio libro» (e, in effetti, è il punto migliore del primo volume del Capitale).[40]

Marx ha espresso lo stesso concetto nella prima edizione del primo volume del Capitale a proposito del duplice carattere del lavoro nelle merci: «questo aspetto, che per primo ho sviluppato in modo critico, è il punto di partenza da cui dipende la comprensione dell’economia politica».[41] Scrivendo nuovamente a Engels nel gennaio 1868, Marx descrive la sua analisi del duplice carattere del lavoro rappresentato nelle merci come uno dei «tre elementi fondamentalmente nuovi del libro». Tutti gli economisti precedenti, non avendolo compreso, furono “destinati a scontrarsi ovunque con l’inspiegabile. Questo è di fatto l’intero segreto della concezione critica».[42]

Il segreto della concezione critica, il punto di partenza per la comprensione dell'economia politica, la base per ogni comprensione dei fatti: che cosa ha reso così importante la rivelazione del duplice carattere del lavoro nelle merci? Molto semplicemente, è il riconoscimento che il lavoro effettivo, specifico, concreto, tutte quelle ore di lavoro reale impiegate per produrre una determinata merce, di per sé non hanno nulla a che fare con il suo valore. Non si possono sommare le ore di lavoro del falegname al lavoro contenuto nei mezzi di produzione consumati per ricavare il valore della merce del falegname. Quel lavoro specifico, piuttosto, è stato impiegato nella produzione di una cosa da usare, nota anche come valore d'uso. Inoltre, non si possono spiegare i valori relativi attraverso il conteggio della quantità di lavoro specifico contenuta in valori d’uso separati. Se non si distingue chiaramente tra i duplici aspetti del lavoro nella merce, non si è compresa la critica di Marx all'economia politica classica.

 

Il lavoro di Marx sulla teoria del denaro

«Qui si tratta di compiere un’impresa», annunciò Marx, «che non è neppure stata tentata dall’economia politica borghese».[43] Questo compito consisteva nello sviluppare la sua teoria del denaro – in particolare, di rivelare che il denaro è il rappresentante sociale del lavoro aggregato nelle merci. Per questo Marx ha dimostrato che (1) il concetto di denaro è latente nel concetto di merce e (2) che il denaro rappresenta il lavoro astratto in una merce e che la manifestazione di quest'ultimo, la sua unica manifestazione, è il prezzo della merce.

Se sommare le ore di lavoro concreto necessarie per produrre una merce non ne rivela il valore, che cosa lo rivela? Niente, se stiamo considerando una singola merce. «Potremo voltare e rivoltare una singola merce quanto vorremo, ma come cosa di valore rimarrà inafferrabile».[44] Possiamo avvicinarci alla comprensione del valore di una merce solo considerandola in una relazione. La forma più semplice (ma non sviluppata) di questa relazione è quella di valore di scambio: il valore della merce A è uguale a x unità della merce B, dove B è un valore d'uso. Abbiamo sempre conosciuto A come valore d'uso, ma ora conosciamo il valore di A dal suo equivalente in B. (Se invertiamo questo, diremmo che il valore di B è uguale a 1/x unità di A, e qui A è l'equivalente). La seconda merce, l'equivalente, è uno specchio del valore della prima merce. È attraverso questa relazione sociale che possiamo cogliere la merce come qualcosa che possiede valore.

Avendo stabilito che il valore di una merce si rivela attraverso il suo equivalente, Marx procede logicamente, passo dopo passo, a definire l'esistenza di una merce che funge da equivalente per tutte le merci, cioè è la forma generale del valore . Da qui a rivelare la forma monetaria del valore il passo è breve: il denaro come equivalente universale, il denaro come rappresentante del valore.[45] In breve, una volta che iniziamo ad analizzare una società che scambia merci, siamo condotti al concetto di denaro. Questo è ciò che Marx identifica come suo compito: «Dobbiamo dimostrare la genesi di questa forma di denaro, dunque di perseguire lo svolgimento dell’espressione di valore contenuta nel rapporto di valore delle merci, dalla sua figura più semplice e inappariscente, fino all’abbagliante forma di denaro. Con ciò scomparirà anche l’enigma del denaro».[46] Ma questo era un libro chiuso per gli economisti classici; «Ricardo», commentò Marx anni dopo, «in realtà si occupava solo del lavoro come misura della grandezza del valore e quindi non trovava alcun collegamento tra la sua teoria del valore e l’essenza del denaro».[47]

Ma cos'è il denaro? Per capire il denaro dobbiamo tornare al duplice carattere del lavoro nelle merci, quel punto da cui dipende la comprensione dell’economia politica. Sappiamo che il lavoro concreto e specifico produce valori d'uso specifici. Poiché il lavoro è concreto, non possiamo confrontare merci contenenti diverse qualità di lavoro. Ma possiamo confrontarle se le astraiamo dalle loro specificità, cioè se le consideriamo come contenenti lavoro in generale, lavoro astratto, «uguale lavoro umano, il dispendio di identica forza-lavoro umana».[48] Il lavoro complessivo della società è un composto di molti «diversi modi di lavoro umano»: «la forma compiuta o totale di apparenza del lavoro umano è costituita dalla totalità delle sue forme particolari di apparenza».[49] «l’unica massa omogenea della forza-lavoro umana», quel lavoro universale, uniforme, astratto, sociale in generale, il «lavoro umano puro e semplice», entra in ogni merce.[50]

Pensate al lavoro aggregato nelle merci come ad una gelatina, composta da una serie di unità identiche e omogenee. Una certa quantità di questa gelatina entra in ogni merce. Il valore di una merce è determinato dalla quantità che questa gelatina – quanto lavoro omogeneo, universale, astratto, quella comune “sostanza sociale” – contiene. Ovviamente non possiamo sommare la gelatina in modo semplice, come potremmo fare con il lavoro concreto. Come possiamo allora vedere il valore di una merce? Abbiamo già risposto a questa domanda. Il valore di una merce (cioè il lavoro omogeneo, generale, astratto contenuto nella merce) è rappresentato dalla quantità di denaro, che è il suo equivalente. Infatti l’unica forma in cui il valore delle merci può manifestarsi è la forma denaro.

Ogni società ottiene le quantità di prodotti corrispondenti alle diverse quantità dei suoi bisogni dedicando alla loro produzione una parte del tempo di lavoro disponibile. Come già detto, «se la società vuole soddisfare i propri bisogni e far produrre un articolo a questo scopo, deve pagarlo…[e] lo compra con una certa quantità di tempo-lavoro che ha a disposizione.»[51] Come soddisfiamo i nostri bisogni nel capitalismo? Li acquistiamo con il rappresentante del lavoro sociale totale delle merci: il denaro.

 

Ignoranza sia del tema in discussione che del metodo scientifico

Come scrive Michael Heinrich, «molti marxisti hanno difficoltà a comprendere l’analisi di Marx». Come gli economisti borghesi, «tentano di sviluppare una teoria del valore senza riferimento al denaro».[52] Tuttavia è un po' difficile capire il perché, viste le critiche di Marx all'economia politica classica proprio su questo punto. Ricardo, commentava Marx, non aveva compreso «e nemmeno sollevato come problema» la «connessione tra il valore, la sua misura immanente – cioè il tempo-lavoro – e la necessità di una misura esterna dei valori delle merci». Ricardo non ha esaminato il lavoro astratto, il lavoro che «si manifesta nei valori di scambio – la natura di questo lavoro. Quindi non coglie la connessione di questo lavoro con il denaro o il fatto che debba assumere la forma di denaro».[53]

Per questo Marx si è impegnato a «mostrare l’origine di questa forma di denaro” e di risolvere “il mistero del denaro”, un compito «che non è neppure stato tentato dall’economia politica borghese». Dobbiamo comprendere la natura del denaro e come si passa direttamente dal valore al denaro. Come ha spiegato nel capitolo 10 del terzo volume del Capitale:

occupandoci del denaro, si è presupposto che le merci fossero vendute al loro valore, non essendovi alcun motivo per esaminare il caso di uno scarto fra prezzo e valore, trattandosi unicamente dei mutamenti di forma che la merce subisce nella sua trasformazione in denaro e nella sua ritrasformazione da denaro in merce. Non a ppena la merce è stata venduta e una nuova merce è stata acquistata con tale denaro, abbiamo davanti a noi la metamorfosi completa e da questo punto di vista è indifferente che il prezzo della merce sia superiore o inferiore al suo valore. Il valore della merce rimane importante come fondamento, poiché è solo in base ad esso che è possibile sviluppare il concetto del denaro e del prezzo, che, secondo il suo concetto generale è da principio nient'altro che la forma monetaria del valore.[54]

Per capire perché Marx riteneva essenziale risolvere il mistero del denaro, è utile comprendere il suo metodo di derivazione dialettica. Come G.W.F. Hegel, esaminando determinati concetti, scoprì che essi contenevano implicitamente un secondo termine; procedette quindi a considerare l'unità dei due concetti, trascendendo così l'unilateralità di ciascuno di essi e passando a concetti più ricchi. In questo modo, Marx analizzò la merce e scoprì che conteneva, latente al suo interno, il concetto di denaro, la forma indipendente del valore, e che la merce si differenziava in merce e denaro. Inoltre, considerando la relazione tra merce e denaro da tutti i lati, Marx ha scoperto il concetto di capitale.[55]

Il concetto di capitale, insomma, non cade dal cielo. È contrassegnato dalle categorie precedenti. Poiché il denaro è il rappresentante del lavoro astratto, dell’omogeneo lavoro complessivo della società, il capitale deve essere inteso come accumulazione di omogeneo lavoro astratto. Intendendo il denaro come latente nelle merci, rifiutiamo l’immagine del denaro giustapposto esternamente alle merci come nell’economia politica classica e riconosciamo, quindi, che il lavoro astratto è sempre presente nel concetto di capitale.

Tuttavia, non tutte le accumulazioni di lavoro astratto sono capitale. Affinché corrispondano al concetto di capitale, devono essere spinte dall'impulso alla crescita e avere un valore che si espande da solo (cioè M-C-M´). Tuttavia, come è possibile questo, presupponendo lo scambio di equivalenti? Da dove viene il valore aggiunto, il plusvalore? Le due domande esprimono la stessa cosa: in un caso, sotto forma di lavoro oggettivato; nell'altro, sotto forma di lavoro vivo, fluido.[56]

La risposta ad entrambe è che, con la disponibilità di forza-lavoro come merce, il capitale può ora assicurarsi ulteriore lavoro (astratto). Ciò non è dovuto a qualche qualità occulta della forza-lavoro, ma al fatto che, acquistando forza-lavoro, il capitale si trova ora in una relazione di «supremazia e subordinazione» rispetto ai lavoratori, una relazione che porta con sé la «costrizione a svolgere pluslavoro».[57] Questa costrizione, insita nei rapporti di produzione capitalistici, è la fonte della crescita del capitale.

Consideriamo il plusvalore assoluto concentrandoci sul “lavoro vivo, fluido”. Il valore della forza-lavoro, o lavoro necessario, in un dato momento rappresenta la quota di lavoro sociale aggregato che va ai lavoratori. La restante quota di lavoro sociale viene catturata dai capitalisti. Quando il capitale usa il suo potere per aumentare la durata o l’intensità della giornata lavorativa, il lavoro sociale totale aumenta; supponendo che il lavoro necessario rimanga costante, il capitale è l’unico beneficiario. Il rapporto tra pluslavoro e lavoro necessario – il tasso di sfruttamento – aumenta.

In alternativa, aumentiamo la produttività del lavoro. Per produrre la stessa quantità di valori d’uso è necessario meno lavoro totale. Di conseguenza, l’aumento della produttività porta con sé la possibilità di ridurre la giornata lavorativa (una possibilità non realizzata nel capitalismo). Se, al contrario, il lavoro sociale aggregato rimanesse costante, chi sarebbe il beneficiario di un tale aumento di produttività? Supponendo che la classe operaia sia atomizzata e che il capitale sia in grado di dividere sufficientemente i lavoratori, il capitale ottiene un plusvalore relativo perché il lavoro necessario diminuisce. In alternativa, nella misura in cui i lavoratori saranno sufficientemente organizzati come classe, beneficeranno degli aumenti di produttività con un aumento dei salari reali, in quanto i valori delle merci diminuiranno. Nel Capitale, questa seconda opzione è sostanzialmente preclusa perché, seguendo gli economisti classici, Marx presupponeva che il criterio di necessità fosse dato e fissato.[58]

In breve, dobbiamo comprendere il denaro se vogliamo comprendere il capitale, e per questo dobbiamo cogliere il duplice carattere del lavoro che entra in una merce. Sfortunatamente, molti marxisti non riescono a cogliere la distinzione «tra il lavoro come appare nel valore di un prodotto, e lo stesso lavoro come appare nel valore d’uso del prodotto» – distinzione che Marx considerava «fondamentale per ogni comprensione dei FATTI». Di conseguenza, essi offrono una «teoria del valore senza riferimento al denaro», ciò che Heinrich chiama teorie «pre-monetarie del valore», che io considero teorie pre-marxiane del valore o teorie ricardiane del valore.[59]

I marxisti ricardiani non colgono la logica di Marx, o il modo in cui Marx passa logicamente dall'astratto al concreto. Il problema è particolarmente evidente quando si tratta del cosiddetto problema della trasformazione. Ciò che non riescono a capire coloro che tentano di calcolare la trasformazione dai valori ai prezzi di produzione è che, piuttosto che trasformare i valori realmente esistenti, i prezzi di produzione sono semplicemente un ulteriore sviluppo logico del valore.[60] Il reale movimento va dai prezzi di mercato ai prezzi di equilibrio, cioè ai prezzi di produzione. Come abbiamo visto, è così che la legge del valore alloca il lavoro aggregato nelle merci, in modo simile alla legge di gravità. L’incapacità di questi marxisti di distinguere tra il logico e il reale dimostra la loro «completa ignoranza sia del tema in discussione che del metodo scientifico».


Note
* N.d.T. Abbiamo tradotto l'inglese allocation, con allocazione. In questo articolo, allocazione ha come sinonimi, in relazione al contesto in cui viene adottato, termini come: ripartizione, distribuzione, divisione, destinazione. Nel linguaggio marxiano viene adottato, più comunemente, il termine "divisione del lavoro", ma abbiamo deciso di seguire l'indicazione dell'autore in quanto egli stesso utilizza il termine inglese "allocation of labour" invece di "division of labour".
[1] Nella sua bella introduzione e interpretazione del Capitale, Michael Heinrich critica il marxismo tradizionale e la visione del mondo, An introduction to the Three Volumes of Karl Marx’s Capital, New York, Monthly Review Press, 2012. Heinrich approfondisce ulteriormente le prime sezioni del primo volume del Capitale, in Michael Heinrich, How to Read Marx’s Capital, New York, Monthly Review Press, 2021.
[2] Karl Marx, Lettera a Ludwig Kugelmann. Londra 11 luglio 1868, in Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, XLIII, Roma, 1975, pp. 597-598.
[3] Karl Marx, Capital, vol. 1, London, Penguin, 1977, pag. 169–70.
[4] Karl Marx, Capital, vol. 3, London, Penguin, 1981, p. 288.
[5] Marx, Capital, vol. 1, p. 171.
[6] Marx, Capital, vol. 1, p. 172.
[7] Karl Marx, Grundrisse, London, Penguin, 1973, pag. 171–72.
[8] Marx, Capital, vol. 1, p. 173.
[9] Marx, Capital, vol. 1, p. 772; Marx, Grundrisse, pag. 488, 541, 708; Karl Marx, Critique of the Gotha Programme in Marx and Engels, Selected Works, vol. 2, Moscow, Foreign Languages Press, 1962, p. 24.
[10] Marx and Engels, Collected Works, vol. 6, 506.
[11] Marx, Grundrisse, pag. 158–59.
[12] Su questa visione della società socialista, vedi Michael A. Lebowitz, The Socialist Alternative: Real Human Development, New York, Monthly Review Press, 2010, e Michael A. Lebowitz, Between Capitalism and Community, New York, Monthly Review Press, 2020.
[13] La discussione sul singolo produttore di merci si applica anche ai produttori di merci collettivi o di gruppo (come nel caso delle cooperative).
[14] Marx, Grundrisse, pag. 156–58.
[15] Marx, Capital, vol. 3, pag. 288–89.
[16] Marx, Capital, vol. 1, p. 170.
[17] Marx e Engels, Collected Works, vol. 43, p. 68.
[18] Marx, Capital, vol. 1, 476. È importante tenere presente la distinzione tra lavoro aggregato nelle merci e lavoro aggregato nella società nel suo insieme.
[19]  Marx, Capital, vol. 1, p. 476.
[20] Marx, Capital, vol. 1, p. 168.
[21] Marx, Capital, vol. 1, p. 476.
[22] M arx, Capital, vol. 1, p. 1051.
[23] Marx, Capital, vol. 3, p. 895.
[24] Karl Marx, Theories of Surplus Value, Part II, Moscow, Progress Publishers, 1968, p. 209.
[25] Marx, Capital, vol. 3, p. 491.
[26] Marx, Capital, vol. 3, p. 490. Stiamo qui descrivendo il cosiddetto jelly capital, [capitale gelatina].
[27] Marx, Capital, vol. 3, p. 298.
[28] Marx, Capital, vol. 3, pag. 528, 491.
[29] Marx e Engels, Collected Works, vol. 43, p. 68.
[30] Marx e Engels, Collected Works, vol. 42, p. 515.
[31] Karl Marx, Theories of Surplus Value, Part III, Moscow, Progress Publishers, 1971, p. 500.
[32] Marx, Capital, vol. 1, pag. 173–74.
[33] Marx e Engels, Collected Works, vol. 6, pag. 121, 123–24.
[34]  David Ricardo, The Principles of Political Economy and Taxation, Homewood, Richard D. Irwin, Inc., 1963, pag. 5–6, 12–13, 42.
[35] Karl Marx, Wage Labour and Capital in Marx and Engels, Collected Works, vol. 9, p. 208–9.
[36] Marx e Engels, Collected Works, vol. 6, p. 491. In questo caso Marx accetta la simmetria di Ricardo nella produzione di cappelli e uomini, e continua a mantenere questa posizione nel Capitale. Per una critica, vedi Lebowitz, “The Burden of Classical Political Economy” in Lebowitz, Between Capitalism and Community, chapter 6.
[37] Marx, Grundrisse, p. 881.
[38] Tuttavia, al momento della stesura del Capitale, Marx era passato a identificare la duplice natura della merce come valore d'uso e valore, e dichiarava che il valore di scambio è solo la forma necessaria che assume il valore.
[39] Marx, Capital, vol. 1, p. 173 n.
[40] Marx e Engels, Collected Works, vol. 42, p. 407.
[41] Albert Dragstedt, Value: Studies by Karl Marx, London, New Park Publications, 1976, p. 11.
[42] Marx e Engels, Collected Works, vol. 42, p. 514.
[43] Marx, Capital, vol. 1, p. 139.
[44] Marx, Capital, vol. 1, p. 138.
[45] Nell'economia politica classica ed ai tempi di Marx, l'oro era la merce-denaro; tuttavia, la teoria del denaro di Marx richiede soltanto l'accettazione sociale come equivalente universale.
[46] Marx, Capital, vol. 1, p. 139.
[47] Karl Marx, “Marginal Notes on Adolph Wagner’s Lehrbuch der Politschen Oekonomie” in Dragstedt, Value, p. 204.
[48] Marx, Capital, vol. 1, p. 129.
[49] Marx, Capital, vol. 1, p. 157.
[50] Marx, Capital, vol. 1, p. 129.
[51] Marx, Capital, vol. 1, p. 288.
[52] Heinrich, An Introduction to the Three Volumes of Karl Marx’s Capital, p. 57, 63–64.
[53] Marx, Theories of Surplus Value, Part II, pag. 164, 202.
[54] Marx, Capital, vol. 3,pag. 294–95.
[55] Vedi la discussione sulla derivazione del capitale, in Michael A. Lebowitz, Beyond Capital: Marx’s Political Economy of the Working Class, New York, Palgrave Macmillan, 2003, pag. 55–60.
[56] «Il tasso di plusvalore è quindi un'esatta espressione del grado di sfruttamento della forza lavoro da parte del capitale, o del lavoratore da parte del capitalista». Marx, Capital, vol. 1, p. 326.
[57] Marx, Capital, vol. 1, pag. 1026–27.
[58] Vedi Lebowitz, Between Capitalism and Community, chapter 7.
[59] Heinrich, An Introduction to the Three Volumes of Karl Marx’s Capital, pag. 57, 63–64.
[60] Come specifica Heinrich, la trasformazione dei valori «rappresenta un avanzamento concettuale della determinazione della forma della merce». Heinrich, An Introduction to the Three Volumes of Karl Marx’s Capital, pag. 148–49.

Traduzione a cura della Redazione di Antropocene.org

Fonte: Monthly Review vol.75 n. 4 (01.09.2023)

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AlsOb
Sunday, 17 September 2023 17:01
Lebowitz in questo suo ultimo e appassionato scritto, prima di morire lo scorso aprile, solleva il tema cruciale del riuscire a presentare in modo adeguato e efficace il punto di vista e le categorie di Marx, per comprendere meglio il mondo e il capitalismo contemporaneo, in cui si è scaraventati e nel quale la grande maggioranza della popolazione viene trattata dai dominanti alla stregua di topi, e per maturare una analisi critica razionale, in grado di proporre alternative più in consonanza con i criteri di civiltà e umanità. Il che ripete fedelmente l’aspirazione di Marx a un mondo liberato dalla penuria di surplus e dalle conseguenze dello sfruttamento schiavistico e abbruttimento bestiale, determinati dalla venerazione e applicazione dell’unico valore, quello della valorizzazione del valore di scambio, in modo che in un contesto di comunione umana, razionale e solidaristica, ciascuno sviluppi e realizzi il proprio tempio, la pienezza della propria dimensione spirituale, in sintonia con gli obblighi morali e la sollecitazione che già Dante espresse.
È un dato di fatto che dopo Marx la classe dominante ha iniziato a spendere notevoli risorse per bloccare la trasmissione delle categorie di Marx e per promuovere un esteso clima ideologico antiscientifico e irrazionalistico (non a caso il capitalismo occidentale è scivolato verso un regime neoliberale fascista, schiavistico neofeudale), nella convinzione che quanto più diffusi siano il cretinismo politico e lo stordimento mentale, (la cultura politica delle mezze calzette nelle parole di Pasolini), più agevole diventi la difesa del loro potere e privilegi e il controllo schiavistico dei sottomessi.
Da qui è emersa la nota denigrazione della politica,specie se non allineata, e l’efficace saldatura tra manipolabili politici, propagandisti di giornali e televisioni padronali, le autentiche e consolidate fake news e il sistema dell’istruzione, tutti ruotanti intorno agli input e interessi della classe dominante.
Tra parentesi, è curioso osservare come, (probabilmente in linea con atavici pregiudizi), H. Arendt, nonostante il riconoscimento del valore intellettuale e scientifico di Marx e per quanto si considerasse una teorica della politica e non una filosofa o teologa cristiana (senza cristologia), e soprattutto fosse alla ricerca di elementi concreti di azione e arricchimento della prassi politica, relegò ingenuamente (e incredibilmente) Marx nel regno della fantasia e dei miti rifondativi del passato, per poi restare prigioniera, seppur con pregevoli intuizioni, di opache, inconclusive astratte linee di fuga, segnate da forzature e dubbi concetti teologici agostiniani di libertà e da una probabile confusa adozione di criteri edonistici di gusto in materia di discernimento critico del giudizio.
Quando non vi è, per esempio, nulla di più politico, specie dal punto di vista della prassi e applicazione politica, della distribuzione di un surplus e reddito socialmente prodotto. E infatti la classe dominante, nel processo di instupidimento ideologico collettivo delle classi inferiori, sponsorizza i suoi sicofanti per cercare di imporre una falsa pseudometafisica, secondo la quale la divisione e appropriazione di redditto avverrebbe sulla base di fantasiosi e inconfutabili criteri di giustizia naturale matematica e mai di conflitto di classe.
A estrapolare e attualizzare in chiave moderna l’ottimistico auspicio di Marx, nessun bambino e adolescente, dovrebbe cadere in simili mistificazioni, soprattutto se, in aggiunta, ha già sviluppato una sofisticata forma mentis e discernimento critico in relazione a prodotti tecnologici avanzati, come per esempio gli smartphones, di cui conosce sufficientemente le caratteristiche tecniche e componentistica, da saper ordinarli secondo effettivi criteri di valore e bontà, così da smascherare e neutralizzare la distorta pubblicità.
Al contrario, solo in teoria una simile analogia di comportmenti si replica in rapporto ai fenomeni capitalistici, nonostante una eventuale facilitazione derivante da acquisiti abiti mentali collegati alla evoluzione tecnologica. Perciò appare irrobustirsi la motivazione di Lebowitz di invocare, per sviluppare più sofisticate architetture mentali di orientamento, l’allestimento di schemi scientificamente e stilisticamente modernizzati di introduzione al punto di vista di Marx e alla sua rappresentazione del capitalismo, che resta la più potente e efficace in assoluto, in particolare per quanto concerne il ruolo dela moneta (la cui descrizione va dal concreto al simbolico e astratto).
La conversione ultradecennale della sinistra al neoliberalismo fascista costituisce un ostacolo e caso storico allo stesso tempo.
Con riferimento alla realtà odierna l’applicazione del modello e categorie marxiane contribuisce a far capire le politiche economiche e monetarie perseguite dalla classe dominante europea, dopo la unilaterale e sostanziale dichiarazione di guerra alla Russia e gli effeti di destabilizzazione inflazionistica e perdita di competitività industriale conseguenti. La riconfigurazione del sistema di prezzi monetari viene gestita per compatibilizzarlo con la difesa di una struttura di estrazione di plusvalore che garantisca un adeguato e desiderato tasso di plusvalore (e profitto) mediante l’innalzamento del tasso di sfruttamento (riduzione del tasso di salario), così da far assorbire i costi della guerra alle classi inferiori. (A margine, la scelta dela ecb di elevare la remunerazione monetaria delle riserve bancarie in eccesso invece di alterare il coefficiente di riserva, come osserva De Grauwe, sembra una misura diretta di sostegno ai profitti bancari).
Infine una breve nota in merito all’arzigogolato paragrafo relativo all’autocritica e bambino:
“Ogni bambino, continuava Marx, sa che «le quantità di prodotti, corrispondenti ai diversi bisogni, richiedono quantità diverse, e quantitativamente definite, del lavoro sociale complessivo». Come può il critico non vedere che «questa necessità…”
Può riassumersi nelle seguenti parole, ogni composizione di un output, di un insieme di prodotti, riflette una struttura di bisogni e di domanda, il che a sua volta definisce una corrispondente specifica divisione del lavoro sociale.
Divisione della forza del lavoro che è comunque indipendente dalla specifica determinazione storica assunta dalla forma sociale del modo di produzione.
Andando oltre la statica, nello spirito dinamico di Marx, si osserva che in generale accumulazione e crescita sostenuta del capitalismo tende a causare percepibili trasformszioni culturali sociali e politiche e un incremento del tasso del salario relativamente a quello di profitto. Anche la struttura tecnologica, organizzativa e della domanda subiscono una modifica più rapida.
Questi elementi trasformativi, per un carattere intrinsecamente, incontrollabilmente, rivoluzionario sono la principale spiegazione della decisione della classe dominante negli anni settanta di imporre un radicale cambiamento paradigmatico, interdire forme di capitalismo “marxiano” e promuovere il neoliberalismo fascista, contro il quale non si è manifestata alcuna resistenza.
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