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conflitti e strategie 2

Considerazioni sul marxismo e la filosofia

Un piccolo tentativo

Mauro Tozzato

lenin1924In Materialismo ed Empiriocriticismo Lenin cita il teorico marxista, operaio autodidatta, Joseph Dietzgen, giudicato con apprezzamento anche dallo stesso Marx:

<<All’”equivoco” degli universitari liberi pensatori, Dietzgen avrebbe preferito volentieri “l’onestà religiosa”: qua almeno “c’è un sistema”, ci sono degli uomini completi che non separano la teoria dalla pratica. Per i signori professori “la filosofia non è una scienza, bensì un mezzo di difesa contro la socialdemocrazia”. “Professori e ordinari, tutti coloro che si dicono filosofi, cadono, più o meno, malgrado la loro libertà di pensiero, nei pregiudizi, nella mistica … Nei riguardi della socialdemocrazia tutti costoro non formano che una massa reazionaria. Occorre, per seguire il buon cammino senza lasciarsi smontare dalle assurdità religiose o filosofiche, studiare la più falsa delle vie false (den Holzweg der Holzwege), la filosofia”>>.

In Lenin e la filosofia Althusser interpreta la posizione di Lenin come un modo alternativo di fare della filosofia, in corrispondenza allo spunto fornito da Marx: invece di “ruminare nella filosofia” si tratterebbe, infine, di praticarla. Questo diverso modo di “professarla” porterebbe come conseguenza a riconoscere che la filosofia non è <<altro che politica investita in un certo modo, politica proseguita in un certo modo, politica rimuginata in un certo modo>>. A questo punto Althusser pone il problema cruciale su cui ci si è scontrati innumerevoli volte che concerne la natura prevalentemente filosofica o scientifica del marxismo. Per questo blog il problema sembrerebbe ormai superato: tutti noi, che condividiamo l’impostazione di base centrata sulle riflessioni teoriche di La Grassa,  pensiamo che Marx sia stato un teorico (scienziato) della società che soltanto in gioventù si è anche un pochino occupato di filosofia.

 Ma l’approccio di Althusser merita attenzione per alcuni motivi; egli, prima di tutto, problematizza il possibile campo filosofico del marxismo facendo riferimento alle categorie di filosofia della prassi, di materialismo dialettico e di materialismo e dialettica come opzioni, quest’ultime, potenzialmente discordanti e “contraddittorie”. Dall’altra parte vede, in contrapposizione a questo spazio filosofico, non tanto la critica dell’economia politica ma bensì il materialismo storico inteso come teoria “scientifica” della storia:

<<Marx aprì alla conoscenza scientifica un nuovo e terzo continente [dopo quello della Matematica (Talete) e quello della Fisica (Galileo) N.d.r.], il continente Storia, con una rottura epistemologica il cui primo taglio, ancora tutto tremante, è iscritto nell’Ideologia Tedesca, dopo essere stato annunciato nelle Tesi su Feuerbach>>.

Ma  il materialismo storico è ancora una filosofia della storia  e così scrive in proposito Karl Lowith:

<<Ma, poiché Marx stesso aveva già liquidato i conti con l’”ideologia tedesca” della scuola post-hegeliana, egli anticipò fiduciosamente la filosofia futura che realizza l’unità di ragione e realtà, di essenza ed esistenza, così come Hegel aveva postulato. Ma se la ragione viene concretamente realizzata nella totalità della realtà materiale, allora la filosofia come tale si elimina, diventando una teoria della prassi. Mentre con Hegel il mondo era divenuto filosoficamente un regno dello spirito, ora, con Marx, la filosofia deve divenire mondanamente economia politica, cioè marxismo>>.

Marx scrive nella Prefazione del 1859: “Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così …”; questo filo conduttore era la concezione materialistica della storia che appartiene a quella “parte” del pensatore e scienziato di Treviri che aspirava ad una società più giusta e migliore. Ma il lavoro scientifico che è sintetizzato nel primo libro de Il Capitale ed in alcuni altri testi minori o incompiuti non può essere ridotto ad un prolungamento della filosofia marxiana della storia. Quest’ultima effettivamente “ipotizzava” che la ragione filosofica avesse svelato il senso generale del mondo con il compimento del sistema hegeliano: a questo punto si trattava di realizzare ciò che era stato disvelato in quanto verità dell’essere sociale. La scienza filosofica (Wissenschaft) aveva terminato il suo percorso, l’essenza era stata colta e si trattava di portarla alla sua forma adeguata di manifestazione nel mondo della realtà empirica. Ma perché la politica potesse guidare la prassi trasformativa rivoluzionaria era necessario sviluppare la scienza empirico-positiva necessaria a questo scopo ovvero la critica dell’economia politica come teoria della formazione sociale capitalistica. Nell’elaborazione di questa teoria scientifica della società – che deve essere ovviamente rivista e sviluppata dopo due secoli e mezzo di storia – sta tutta la grandezza di Marx, studioso e scienziato appassionato che fece quel che fece per un profondo desiderio di giustizia e che sperava, come tanti di coloro che lo hanno seguito, in un futuro migliore per tutti gli esseri umani. Ma torniamo, ora,  al problema della filosofia della storia e alle osservazioni di Lowith:

<<… la filosofia materialistica, quale Marx la concepì, si presenta non come semplice negazione, ma insieme come la “realizzazione” materialistica dell’idealismo hegeliano. Il principio fondamentale di Marx è quello stesso di Hegel – l’unità di ragione e realtà, di essenza universale e di esistenza particolare. Nella compiuta collettività comunista ciascun individuo ha attuato la sua particolare essenza umana come esistenza universale, di carattere politico-sociale. Facendo così proprio il principio di Hegel, Marx poteva dire di rimproverare a Hegel non la sua affermazione teoretica della realtà della ragione ma la sua mancata realizzazione pratica. Invece di criticare teoricamente in nome della ragione l’intera realtà esistente e di trasformarla praticamente, Hegel accettò la storia politica e religiosa come razionale in sé>>.

Il materialismo di Marx ha una duplice origine. Da una parte l’essere umano in quanto autocoscienza (vedi Hegel e la Fenomenologia dello Spirito) non si limita a pensare ma vive, desidera e prova sentimenti e la materialità del mondo è il correlato necessario della sua dimensione extrarazionale che lo manifesta come dipendente da una realtà  esterna rispetto alla quale deve rapportarsi praticamente nella prassi , nella poiesi e nel lavoro. D’altronde,  se in qualche modo pensiamo che nella realtà mondana si possa realizzare l’Idea, che la ragione e quindi la giustizia e la vera libertà possano trionfare, dobbiamo presumere che la realtà sia destinata a conformarsi e “identificarsi”  con la ragione e quindi  a essere conosciuta pienamente, magari in un futuro indeterminato, da essa. E se i pensieri sono immateriali il correlato opposto dei prodotti della coscienza non può consistere altro che in un mondo di oggetti materiali. E qui completa l’opera Lenin con la sua distinzione tra il concetto filosofico e quello scientifico di materia. Così che sempre nel saggio su Lenin e la filosofia , che risale al 1968 e quindi al “primo” Althusser, si può leggere questo passo:

<<”La materia è una categoria filosofica”. […] “L’unica proprietà della materia, la cui ammissione definisce il materialismo filosofico, è quella di essere una realtà oggettiva.” (Materialismo ed empiriocriticismo pagg. 96-206). Ne consegue che la categoria filosofica di materia, che è congiuntamente Tesi d’esistenza e Tesi d’oggettività, non può mai essere confusa con i contenuti dei concetti scientifici di materia. […] Il contenuto del concetto scientifico di materia cambia con lo sviluppo, ossia con l’approfondimento della conoscenza scientifica>>.

Si tratta, in effetti, di una tesi di esistenza e solo  secondariamente  di  una asserzione di oggettività. L’oggetto è il correlato antitetico polare del soggetto; ciò che veramente trascende la coscienza è l’ente (o essente). Rispetto alla tesi kantiana dell’inconoscibilità della cosa in sé noi abbiamo qui una affermazione metafisica che attribuisce all’ente il carattere della materialità e che in rapporto alla storia degli uomini viene ulteriormente identificato come “materiale da lavoro”, “oggetto” del lavoro umano storico-sociale (Heidegger). Ma ci si può domandare perché Lenin ritenga necessario tenere in piedi questa tesi metafisica se in una ulteriore citazione di Althusser egli afferma che

<<l’opposizione tra la materia e la coscienza non ha un significato assoluto che entro limiti assai ristretti, e nella circostanza solo in quelli del problema gnoseologico fondamentale: che cos’è primordiale, che cos’è secondario ? [ossia in filosofia. N.d. Althusser]. Al di là di questi limiti [ossia nelle scienze. N.d.Althusser] la relatività di questa opposizione non presenta dubbi>>.

Nell’Ideologia Tedesca Marx vuole dimostrare, fondamentalmente, che la filosofia, come anche la religione e in parte la morale, non è altro che ideologia e difatti essa, insiste Marx, non ha storia perché la sola storia reale è quella della vita materiale degli uomini. Ma questa distruzione della filosofia finisce per ricadere in una trappola hegeliana perché come riporta Althusser, e forse senza comprenderne appieno il significato, la scienza manifesterebbe allora

<<il reale stesso, conosciuto attraverso l’atto che lo svela distruggendo le ideologie che lo velano: al primo posto di queste ideologie, la filosofia>>.

Il tentativo di una fondazione empiristica della dialettica (Dal Pra) si rovescerebbe così in un procedimento di ricostruzione scientifica della realtà concreta che potrebbe avvicinarsi  asintoticamente alla verità nella misura in cui si dimostrasse effettivamente in grado di smantellare la falsa coscienza e le illusioni delle costruzioni ideologiche. Sarebbe sufficiente lasciare che il processo della presa di coscienza dell’Idea Assoluta non venga interrotto per concepire il  Risultato di questo svolgimento come la verità del mondo mai raggiungibile ma sempre presente come ideale e fine. Ad ogni modo Althusser non sbaglia quando vede la filosofia come un processo che non ha né storia né oggetto. Da una parte essa può, comunque, aiutare le scienze positive a riflettere criticamente sulle problematiche metodologiche che di volta in volta ne ostacolano lo sviluppo (epistemologia), dall’altra diviene oggetto di smascheramento, in quanto ideologica in senso “negativo”, mentre “positivamente” può diventare un’ arma per il conflitto politico nel campo di battaglia delle idee e quindi della pratica teorica nella misura in cui viene assimilata e condivisa da gruppi di attori sociali in lotta per la preminenza. L’assunto materialista, che Lenin sapeva essere indimostrabile e quindi sostanzialmente metafisico serve, al di là delle considerazioni che abbiamo anticipato sopra a dare un senso alla verifica e/o falsificazione a cui le teorie che si occupano della storia e della società devono essere sottoposte. La prassi e la poiesi (produzione) trovano un “ostacolo” nelle forze sociali e naturali a cui si contrappongono; la materialità introduce l’inerzia e l’attrito a cui le forme sociali e naturali  si trovano contrapposte ma soprattutto dà a queste medesime forme l’autonomia necessaria per diventare una forza indipendente dalla coscienza soggettiva degli individui. Ma, infine, qualcuno può anche obiettare che la filosofia è probabilmente la più necessaria tra tutte le cose inutili in quanto dà sfogo all’inquietudine che anima gli uomini e che quasi costantemente li obbliga a non accontentarsi di un mero conferimento di senso (Sinngebung) soggettivo stimolandoli a porsi la domanda su un possibile significato, in qualche modo “oggettivo”,  del mondo. Ci spinge a ciò l’angoscia inevitabile per chi, dotato di una coscienza pensante, comprende come possibilità più propria della propria esistenza l’essere nel mondo come essere-per-la-morte.

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