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Il Fallimento dell'Euro Rivisitato

di Wolfgang Münchau*

[Questo articolo di Wolfang Munchau su EuroIntelligence indica chiaramente come lo scenario più probabile e desiderato dall'establishment europeo sia quello di cucinarsi  i PIIGS a fuoco lento con finti salvataggi per arrivare a una ristrutturazione già pagata in gran parte dalla gente, come ci ha già ben detto  Paolo di ML... Sarebbe il caso di giocarsela un po' meglio!]

Ci sono due dichiarazioni di volontà che governano la politica dell'eurozona. La prima è quella della Germania, per una responsabilità limitata. La seconda è l'impegno dei leaders europei a salvare l'euro a qualunque costo. Le due dichiarazioni sono tra di loro logicamente incoerenti.

Ci sono due modi - e solo due - perché questa incoerenza non entri in gioco. In primo luogo, il massimale della responsabilità limitata della Germania non deve mai essere superato. In secondo luogo, il massimale viene raggiunto, ma l'Unione europea trova il modo di esternarlo.

Così rimangono quattro opzioni - e solo quattro - da considerare:

1. La Germania accetta l'estensione della sua responsabilità;

2. La crisi del debito della zona euro riesce essenzialmente ad auto-correggersi attraverso l'austerità;

3. Scenario di successo con ristrutturazione/rinegoziazione del debito;

4. I leaders della UE abbandonano il loro impegno – ed è lo scenario del fallimento dell'euro.


Io escluderei la prima opzione. Vorrei prendere la responsabilità limitata della Germania come un dato di fatto, sia per ragioni di politica interna che di diritto costituzionale. E' inconcepibile che la Corte costituzionale tedesca accetti una illimitata condivisione degli oneri. E anche un cambio di governo nel 2013 non muterebbe sostanzialmente la posizione della Germania. Darei una probabilità zero a questo evento. Se qualcuno dei politici cercasse di aumentare l'onere sulla Germania, il paese si rivolterebbe.

La seconda opzione è il caso degli ottimisti. Dicono che l'austerità funziona. Ha funzionato nel caso della Lettonia, e funzionerà in Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. L'austerità non è a costo zero, naturalmente. In Lettonia, il prezzo è stato un calo della produzione di circa un terzo, simile alla Grande depressione nelle economie occidentali. L'argomento principale degli ottimisti dell'austerità è che i costi – per quanto alti – sarebbero sempre inferiori a quelli di un default.

Darei una probabilità bassa a questo scenario, ma non zero. Potrebbe avere una chance di funzionare, se la crescita economica mondiale fosse sostenuta, se la Banca centrale europea permettesse una moderata inflazione, se i tassi di interesse di mercato scendessero a livelli pre-crisi, se la correzione sul mercato immobiliare in paesi come Spagna e Irlanda terminasse in fretta, e se i governi riuscissero a mantenere il consenso sulla loro politica per diversi anni. Solo in forza di una tale serie di condizioni molto improbabili la Grecia e l'Irlanda hanno una possibilità di evitare la bancarotta nazionale.

Il motivo per cui io sono scettico su questo scenario è l'esperienza storica. Le crisi di debito non si sono mai auto-corrette. Non vorrei attribuire una probabilità superiore al 10% a questo evento - non impossibile, ma non molto probabile.

Lo scenario tre è quello chiaramente favorito dall'establishment politico. Il European Stability Mechanism è stato appositamente progettato con questa opzione in mente. Se completato con apporti da parte degli investitori privati, i € 750 miliardi totali di fondi pubblici potrebbero estendersi a € 1000-2000 miliardi in totale. Se, inoltre, i paesi beneficiari applicano un livello ragionevole di austerità, allora il massimale effettivo dovrebbe risultare sufficiente - ma solo ad una importante condizione: che il contributo del settore privato di per sé non aumenti la responsabilità del settore pubblico. Ma questo sembra improbabile. Una ristrutturazione del debito costringerebbe i governi a mettere da parte ingenti somme per il salvataggio del settore finanziario nazionale, e della Banca centrale europea.

Ci sono varie opzioni alternative più miti all'interno di questo scenario, ad esempio una rinegoziazione delle scadenze del debito. Ma questo non risolverebbe il problema di un insostenibile rapporto debito/PIL. Molto probabilmente si richiederebbe una miscela di ristrutturazione e rinegoziazione. Ma c'è il fatto non banale che la somma dei costi dei trasferimenti agli altri paesi e dei salvataggi finanziari nazionali potrebbe superare ciò che è politicamente accettabile per i paesi della zona euro a tripla A.

Invece di attribuire direttamente una probabilità a questo evento, io preferirei fare un calcolo inverso. Se si considera la probabilità degli scenari uno e due come, diciamo al 10%, e la probabilità dello scenario quattro, dello smembramento della zona euro, pari a zero, logicamente la probabilità dello scenario di successo numero tre deve essere dell'ordine del 90 %. Sicuramente, è un probabilità troppo alta per uno scenario così incerto.

Questo significa che la probabilità dello scenario quattro non può essere zero o vicino allo zero. Quando la crisi scoppiò nella zona euro, la probabilità di fallimento è stata considerata come bassa, ma tuttavia positiva. E ora è più alta, nonostante l'impegno "massimo possibile". In Francia nei sondaggi di opinione Marine Le Pen ora sta davanti al presidente Nicolas Sarkozy e a Dominique Strauss-Kahn, e sta conducendo una campagna per il ritiro della Francia dall'euro, ma anche della Spagna, Grecia e Portogallo. Anche se lei potrebbe non farcela, le sue possibilità di successo sono nettamente superiori a zero. Il Portogallo è irrazionalmente ostile a qualsiasi programma che coinvolga il Fondo Monetario Internazionale, mentre la Grecia sta già facendo marcia indietro su alcuni dei suoi impegni nel quadro del programma esistente. L'economia politica non procede con facilità.

Il punto è che se la Germania è seria e ferma sulla responsabilità limitata - e credo che lo sia - la probabilità di un fallimento dell'euro è tutt'altro che minima.


*Wolfgang Münchau è presidente di Eurointelligence ASBL, e direttore associato e columnist del Financial Times.

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